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Caratteristiche dei dialoghi

2.1 Criteri d’analisi

2.1.2 Caratteristiche dei dialoghi

In secondo luogo, nel presente paragrafo, si appronta l’analisi stilistica e linguistica delle sezioni dialogiche del romanzo La macchina del vento.

Il complesso degli scambi dialogici si articola in tre tipologie: i dialoghi “attuali”, relativi al tempo in cui il narratore racconta l’esperienza di confino; i dialoghi del confino, inclusi

185 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 226. 186 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 44. 187 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 13. 188 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 82. 189 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 261. 190 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 82. 191 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 82. 192 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 13. 193 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 15. 194 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 15. 195 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 66.

45 nel racconto; i dialoghi “analettici”, ovvero scambi di battute interni a reminescenze avvenute al tempo del confino.

Per quanto riguarda i dialoghi “attuali”, essi consistono negli scambi di battute tra il narratore e il giovane intervistatore. La prima occasione in cui troviamo uno scambio dialogico è nelle prima pagine del romanzo, quando il giovane pone un quesito al narratore circa il significato dell’appellativo dato ai confinati non politici: «– Manciuriani? Come mai?»196 (con ‘come mai’ in sostituzione alla congiunzione ‘perché’). La seconda occasione rappresenta l’unico scambio reciproco di battute tra intervistatore e narratore: «Dov’eravamo arrivati? / – All’autunno del ’41. / – Ah, già la discesa agli inferi»197. Altri quesiti posti durante l’intervista sono affidati a domande retoriche riprese nel narratum, all’interno del quale vengono riportate anche le risposte dell’intervistato-narratore.

I dialoghi analettici comprendono i ricordi inerenti al periodo scolastico del protagonista, durante il quale i primi studi umanistici gli forniscono le basi per quella che nel romanzo è definita ‘lotta greco-romana’, il conflitto interiore del protagonista tra realtà e fantasticherie mitologiche. Per questa tipologia di dialoghi un’analisi più approfondita sarà condotta nel paragrafo relativo alla lingua del mito.

I dialoghi del confino rappresentano la ricostruzione che il narratore fa degli scambi dialogici avvenuti durante il confino, ma anche quelli avvenuti all’interno delle sue stesse rêveries. L’efficacia e l’attendibilità della ricostruzione linguistica risiede nella vicinanza dell’evento storico rispetto alla contemporaneità, ma anche nel fatto che si tratta pur sempre di scambi dialogici sofisticati dalla soggettività della memoria singolare del narratore. Inoltre, questa ricostruzione prevede un certo impegno rivolto alla caratterizzazione dei singoli personaggi, messa in atto soprattutto grazie a differenziazioni di tipo dialettale.

Talvolta, per ricostruire questi scambi dialogici, l’autore fa propria l’esperienza trasmessa dagli ex-confinati nelle loro testimonianze, specialmente se si tratta di circostanze in cui la comicità dei reali eventi ha superato le potenzialità delle creazioni fantastiche. A tal proposito si cita la sequenza relativa alle richieste sottoposte al direttore dai confinati, dopo la caduta di Mussolini. Fra le tante istanze, compare quella relativa alla rimozione degli emblemi fascisti, in particolar modo delle camicie nere. Ne parla esplicitamente Jacometti in Ventotene:

196 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 15. 197 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 289.

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«Tutte le condizioni vengono accettate. Il direttore dice che alcune misure (…) erano già state messe in atto per sua iniziativa. (…) C’è l’inconveniente delle camicie nere. A sentirlo molti militi sono sprovvisti di altre camicie. Risposta: ‘Le tuffino nella varechina!’ (il buffo è che la cosa è eseguita: il giorno appresso ci sono attorno camicie di un colore indefinibile)»198

L’asserzione di Jacometti diviene il fondamento su cui Wu Ming 1 plasma uno scambio di battute inserito nel romanzo:

«– Ma certo, – rispose Guida, a denti stretti. / – Allora siamo d’accordo, – disse Secchia, e ci alzammo. / – Però… – aggiunse il direttore. – La faccenda delle camicie nere… Non sarà facile, i militi le hanno solo di quel colore… / – Le mettano a mollo nella candeggina! – sbottò Domaschi»199 Un’altra sequenza esemplare si individua nel momento dell’attracco della nave che trasportava Mussolini al confino. Braccialarghe descrive così il momento in cui l’ufficiale di marina giunge al porto e vede le autorità dell’isola in tenuta fascista:

«Le autorità dell’isola, tra le quali il vecchio farmacista, che s’era affrettato a indossare l’orbace con fez e decorazioni, scesero sul molo per salutare il comandante dell’unità, sbarcato nel frattempo. (…) L’ufficiale di marina, scorto il farmacista, l’investì: ‘Pagliaccio! Vada a togliersi immediatamente quella maschera. Si vergogni di girare così vestito!’»200

Su questa descrizione si basa il passo proposto da Wu Ming 1:

«Ad accoglierli trovarono il podestà e il segretario di partito, che (…) si erano presentati in orbace, col fez e i distintivi, e fecero il saluto romano. Rimasero sconvolti quando l’ufficiale li apostrofò così: – Buffoni! Vergognatevi, a girare conciati in quel modo! Andate a togliervi quei costumi da pagliacci!»201

La stessa trasposizione dalle fonti avviene per il dialogo tra Erminio Squarzanti e Altiero Spinelli sul linguaggio notturno, per il quale si veda l’approfondimento riservato alla lingua romanzesca di Altiero, nel paragrafo relativo all’italiano di Roma.

Conviene puntualizzare che la caratterizzazione su base linguistica non coinvolge la totalità dei personaggi: peculiarità linguistiche e lessicali sono accordate ad una selezione di figure che solo in parte coincide con il nucleo dei personaggi principali. Difatti, in questa selezione rientrano anche personaggi secondari che, per ragioni interamente dipendenti dalla volontà autoriale, si contraddistinguono per tratti linguistici particolari.

198 Jacometti, Ventotene, p. 130.

199 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 314. 200 Braccialarghe, Nelle spire di Urlavento, p. 141. 201 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 317.

47 È il caso di Mario Maovaz: un personaggio secondario che, nonostante le limitate apparizioni nella narrazione, presenta una delle più interessanti caratterizzazioni linguistiche, attribuibile al grado di comprensibilità del dialetto veneto, nonché all’atteso effetto ilare che esso ha sui lettori.

Dal punto di vista lessicale, l’autore ha adottato gli stessi strumenti del narratum per ricreare la spontaneità del parlato. Inoltre, nei dialoghi sono presenti alcuni espedienti utili ad esaltare l’espressività e l’immediatezza dello scambio dialogico, anche laddove ai personaggi non sia stata attribuita una caratterizzazione linguistica dialettale. Assolvono questa funzione alcuni modi di dire, giochi di parole e proverbi proferiti da personaggi perlopiù privi di caratterizzazione. Nel romanzo, si riconosce un elemento di questo tipo quando, durante una discussione in merito a Stalin e il patto di non aggressione tra URSS e Terzo Reich, Secchia menziona l’espressione “se non è zuppa è pan bagnato” («– L’Inghilterra voleva trascinare l’Unione Sovietica in una guerra contro la Germania, e invece Stalin la tiene fuori. Vinca l’una o vinca l’altra, è zuppa o pan bagnato»202). Altri elementi sono: “corno” («– Persa un corno! Stalin non è là per fare il comodo dei borghesi!»203), termine colloquiale impiegato come esclamazione per negare con decisione; ‘mettere lo zampino’ («– Questo è, preciso sputato, il pensiero di Ares. Secondo te c’è il suo zampino?»204); il gioco di parole infantile “Ambarabà ciccì coccò” («– Che faccio? – Si domandò [Mussolini]. – Invado la Grecia o la Jugoslavia? – Per decidere, adottò il più sensato metodo di analisi geopolitica: fare ambarabacicicocò sulla mappa. – Il dottore si ammalò, am, ba, ra , ba, ci, ci, co…cò! La Grecia!»205); “in saecula saeculorum”206, locuzione latina impiegata da Ravaioli per enfatizzare la percezione indeterminata della durata di un periodo («– (…) Tu, Sandro, la dicevi quando la notte era più buia, e il fascismo sembrava dover resistere in saecula saeculorum»207); “la bellezza non fa bollir la pentola” («– (…) è normale che non voglia rinunciarvi facilmente. Ma lasciati dire un’altra cosa: la bellezza non fa bollire la pentola»208), proverbio citato da Pertini.

La lingua foggiata da Wu Ming 1 risponde al crescente «desiderio di autenticità»209 che si va affermando nella letteratura contemporanea e riporta nel testo una vasta gamma di possibilità enunciative. Oltre alle espressioni colloquiali e ai dialettalismi, tipici dello

202 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 57. 203 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 86. 204 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 129. 205 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 192.

206 <https://dizionario.internazionale.it/parola/in-saecula-saeculorum> 207 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 233.

208 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 258. 209 Dardano, Stili provvisori, p. 178.

48 scambio familiare, talvolta ci si imbatte in volgarismi, slanci dal sapore popolaresco, come il seguente: «– Suppongo, caro fratello, che il nomignolo alluda a quel che dici, ma col seguente significato: quando parla, così tonitruante, è come se petasse. Eppure qualcuno ha inteso quei peti come complimenti… »210, nel quale la dea Atena compara i discorsi di Mussolini alle flatulenze; oppure affermazioni tese a riprodurre un linguaggio volgare, esito del forzato cameratismo del confino, come: «– Ocio, compagni, che quello lì non è solo una spia, è anche un culattone»211.

Allo stesso scopo sono inserite alcune imprecazioni ed elementi afferenti al turpiloquio. Innanzitutto, conviene menzionare una esclamazione in cui compare una bestemmia impiegata da un confinato (anonimo) come interiezione in funzione rafforzativa per esprimere l’irritazione dovuta alle discussioni notturne bisbigliate da Giacomo nel camerone: «– La finiamo con le preghierine? Date più fastidio delle pulci, dio cane!»212. In secondo luogo, si menziona un dialogo riportato da Atena, col quale la dea ricostruisce uno dei miti relativi ai giganti Oto ed Efialte, detti gli Aloadi.

«Gli Aloadi avevano accolto la dea silvestre nel palazzo con commenti volgari e laide proposte. / – Mi piacciono le femmine un poco mascoline – le aveva detto Efialte. – Hai le gambe muscolose e quelle chiappe lì, uuuuuhhh, devono essere belle sode… Ti va di chiavare? / La dea s’era imporporata (…): – Come osi? / – Quando ti incazzi sei ancora più gnocca, – aveva detto Oto. E – Che belle zanne che hai, chissà come sei brava a mordicchiare il cazzo…»213

Wu Ming 1 ha riprodotto una conversazione stereotipica di stampo sessista per ottenere una nuova versione semplificata del mito classico, incrementando l’espressività, un fattore che tende a coinvolgere maggiormente un più ampio numero di lettori contemporanei. Dunque, la reinterpretazione del mito, con il conseguente abbassamento del registro linguistico e l’immissione di termini ‘triviali’, risponde a quei criteri di espressività e fruibilità più volte menzionati in merito al romanzo in esame.

Per quanto riguarda altri termini del linguaggio osceno (argomento trattato nel paragrafo 2.1), nelle sezioni dialogiche de La macchina del vento, si ritracciano: due occorrenze per ‘cazzo’, di cui una sopracitata nel passo degli Aloadi, l’altra usata dal fisico Giacomo Pontecorboli come interiezione («– (…) me la devi di’ tu una cosa. / – Cosa? / – Vorrei sape’ finalmente… perché cazzo li chiamate manciuriani »214); due occorrenze per ‘culo’,

210 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 75. 211 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 109. 212 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 114. 213 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 133. 214 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 242.

49 termine usato da un milite per denigrare i comunisti in balìa delle scelte di Stalin («– Sentito? Combattete una battaglia persa. I vostri capi vi hanno lasciati col culo bagnato. Manco sapete più perché state a marcire qui!»215) e anche da Atena per ricordare il salvataggio (a posteriori, immeritato) di Ares («– Se penso che quella volta gli ho salvato il culo, a quel fascista…»216), più una occorrenza per il sinonimo ‘chiappe’, sopracitato nel passo di Oto ed Efialte; una occorrenza per merda, impiegato come imprecazione da Pontecorboli («Gli venne da ridere, ma ripartì la tosse, e gocce di sangue finirono sulla coperta. / – Merda…»217); e una occorrenza per il verbo ‘fottere’, impiegata da Erminio con accezione ingiuriosa, per manifestare il proprio dissenso nei confronti del trattamento riservato a Terracini dagli altri comunisti («– Sono peggio dei teologici di Bisanzio… Ma una cosa non capisco: perché Terracini non ha fatto come Spinelli? Perché non li ha mandati a farsi fottere?»218).

Dal punto di vista morfosintattico, l’immissione nel testo di dislocazioni soddisfa la necessità d’imitazione dell’andamento delle frasi del parlato, riproducendo la difficoltà di pianificazione determinata dall’immediatezza dell’enunciazione. Si veda di seguito un campione selezionato delle principali occorrenze di dislocazione a destra rintracciate nel testo:

«– A proposito, l’ho orecchiato sulla nave, ’sto modo di chiamare i comuni» (p. 39) ; «– È un modo di dire naturalmente. Non vedo l’ora di vederle, mia moglie e le bimbe» (p. 48); «– (…). Vogliamo discuterne o no, di codesto fare e disfare?» (p. 58); «– E se dopo aver visto due grandi guerre europee nel giro di vent’anni non abbiamo ancora capito l’antifona, (…) potremmo non avercela una terza occasione» (p. 103); «– Mica l’ho usata a caso la parola ‘incantesimo’» (p. 120); «– Se penso che quella volta gli ho salvato il culo, a quel fascista» (p. 132); «– Lo hanno colpito duro sul cranio, quelle dannate scale» (p. 143); «– Lo dite voi, che ha la peritonite!» (p. 145); «– In fondo, farlo provare non costa nulla! Metti che la costruisce davvero, la macchina del tempo» (p. 149); «– (…) È chiaro che non l’hai studiata solo al ginnasio, ques…» (p. 161); «– Lo so bene, di aver agito senza considerazione» (p. 163); «– Non la capirò mai, questa storia» (p. 205); «– (…) Se non lo copriamo noi quel ‘turno’, chi altri potrà farlo?» (p. 233); «– Io li conosco, i Balcani» (p. 252); «– L’ho respirato nell’aria, l’ho vista coi miei occhi a Savona, la classe operaia tornare a raddrizzare la schiena» (p. 298).

E di seguito le occorrenze di dislocazione a sinistra:

215 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 58. 216 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 132. 217 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 211. 218 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 258.

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«– Insomma, la matassa della guerra mondiale dobbiamo sbrogliarcela noi dell’Olimpo» (p. 129); «E questa cosa noi, che in teoria saremmo quelli isolati, l’abbiamo capita da un pezzo!» (p. 233); «– Per Terracini è diverso: è più vecchio di me, il suo partito lo ha battezzato insieme a Gramsci» (p. 258).

I costrutti sintattici presentano le stesse deviazioni rispetto alla norma che si rintracciano nel testo raccontato, con fenomeni quali l’impiego semplificato dei tempi e dei modi verbali («– E pensa se mi laureavo!»219; «– Ci mancava solo che bombardavano il piroscafo!»220), l’uso del congiuntivo imperfetto in luogo del congiuntivo presente come imprecazione («– (…) Aveva accettato di farmi da relatore il professor Coppola. Grecista e latinista insigne, ma gli venisse un canchero»221) e l’impiego del che analogico («– Non preoccuparti, che sta bene! – lo canzonò un giorno Traquandi»222).

Dunque, negli scambi dialogici, fatta eccezione per l’ampio spazio riservato alle varietà locali o regionali (trattate nel capitolo successivo), in campo morfosintattico la semplificazione linguistica è minima e prevale l’italiano standard dell’uso medio.

Come nel narratum, il corsivo, oltre ad essere impiegato per alcuni termini o frasi in lingue straniere, ha la funzione di mettere in risalto parole o espressioni ed è utilizzato per le interiezioni onomatopeiche in un’unica occasione: per riprodurre il singhiozzo del dio Dioniso ubriaco («hic!»223).

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