La ricerca linguistica non si esaurisce col tentativo di riprodurre un ampio ventaglio di dialetti e varietà regionali: una certa attenzione è data anche alla lingua e ai costumi del fascismo. Una scelta che contribuisce alla contestualizzazione storica del testo e alla riproduzione dell’ambientazione storica.
Nell’arco della narrazione sono distribuiti numerosi riferimenti al costume del ventennio. L’efficacia di questi riferimenti risiede nella loro persuasiva e realistica riproduzione.
Si osservi la descrizione dell’esecuzione di tradizioni quali il ‘sabato fascista’, il giorno della settimana dedicato agli esercizi ginnici scanditi da un accompagnamento canoro di
219 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 55. 220 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 310. 221 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 55. 222 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 66. 223 Wu Ming 1, La macchina del vento, pp. 72,74.
51 stampo degno del regime, con inni quali Giovinezza e All’armi siam fascisti: ♫«Giovinezzaaaaaa, giovinezzaaaaaa, | primavera di belle-e-e-ezza…»224. ‘Tiritere del regime’225 che devono sia trasmettere gli ideali del regime sia esaltare le imprese belliche come quella etiope, oggetto delle strofette cantate dai fratelli Chiaramantesi – personaggi specchio della più vile, intollerante e violenta milizia – a pagina 62: «Neri: ♫ «Se prenderemo il Negus gliene farem di belle…» \ Gabriello: ♫ «A colpi di legnate gli schiarirem la pelle…» \ In coro: ♫ «Dài, dài, dài, l’abissino vincerai!»
Quanto ai fratelli Chiaramantesi giova ricordare un episodio in cui emerge l’atteggiamento veemente e minaccioso dei militi. Durante la canonica distribuzione delle mazzette, Pontecorboli ha un mancamento, vacilla, si appoggia ai militi, fa cadere il tavolo, versa l’inchiostro. In questo passaggio prevale il discorso indiretto, quello riportato da Erminio Squarzanti, e il susseguirsi di discorsi diretti si interrompe per fare spazio alla descrizione di una potenziale deflagrazione di violenza.
Si tratta di un episodio in cui, in virtù della sua assenza, si comprende il ruolo cardinale del discorso diretto nell’economia della narrazione. Al discorso diretto è affidato ogni tipo di confronto razionale, che sia politico o ideologico, perciò all’assenza di dialogo, talvolta, corrisponde assenza di legittimo scambio d’opinione, potenziale passaggio dal teorico al pragmatico:
«Il tutto era durato pochi istanti, nessuno aveva avuto nemmeno il tipo di dire: Ehi! / Giacomo si rialzò in piedi, stordito. I militi, rossi in faccia e frementi, stavano per gettarsi contro di lui […]»226. Non sembra casuale che Pertini prenda la parola per prevenire, con la sola forza del confronto orale, il deflagrare della violenza, mentre la risposta dei fascisti – «– Non finisce qui (…)»227 – giunge tardiva e astiosa.
Dal punto di vista strettamente linguistico e lessicale, oltre al laconico «– Pappamolle…»228 – sintomo di intolleranza verso ogni prova di debolezza – di un’anonima camicia nera di fronte allo svenimento di Pontecorboli, si riscontra il riferimento a volgarismi di stampo sessista, appannaggio della mentalità fascista:
224 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 84. 225 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 83. 226 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 123. 227 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 125. 228 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 29.
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«Per lesbiche e, soprattutto, finocchi il regime non aveva, non poteva avere tolleranza. (…) ‘Mutande di lamiera!’, dicevano, quando nei dintorni si aggirava un invertito»229.
Si noti anche l’utilizzo del verbo procomplementare fregarsene230, comune popolarismo che affonda le sue radici nel gergo militare e trova la sua massima espressione proprio in epoca fascista col motto Me ne frego!: « – Ce ne frega assai, degli ebrei… – bofonchiò Ares. – Se ne occupi Jahvè!»231. Il fatto che l’espressione sia attribuita ad Ares, si deve al fatto che, nel romanzo, il dio della guerra, insieme a Poseidone, si schiera dalla parte del fascismo, a differenza delle altre divinità dell’Olimpo.
Approfondimenti sulla politica linguistica del regime hanno messo in risalto soprattutto il tentativo di unificazione linguistica, attraverso l’imposizione della lingua nazionale con mezzi propagandistici, come i giornali, ma anche con un intervento nelle istituzioni, sia scolastiche che amministrative. Il tentativo risultò vano perché attuato non organicamente in un paese in cui i dialetti erano impiegati dalla maggior parte della popolazione in ogni situazione comunicativa232. L’insistenza mostrata sulla «purificazione dell’italiano, sulla difesa dell’unità linguistica nazionale, che letteralmente non esisteva se non per una ristretta minoranza di italofoni (anch’essi bilingui!), significava non voler vedere le effettive condizioni linguistiche della penisola e delle isole»233.
Alcuni personaggi del romanzo incarnano gli italofoni bilingui, a testimonianza di un’unificazione linguistica fallita a partire dai quadri amministrativi e dirigenziali del regime. Si fa riferimento a: Italo Balbo (rappresentato alle pagine 97 e 98), la cui unica battuta è in dialetto ferrarese; Marcello Guida, che alterna l’italiano a parole del lessico napoletano; Francescantonio Meo, che, con intere frasi in dialetto napoletano, è la rappresentazione più parodica e macchiettistica all’interno del testo di Wu Ming 1.
Questa spasmodica ricerca di unità linguistica durante il ventennio portò il regime ad imporre anche alcuni nuovi usi grammaticali. Fra questi l’uso del voi: «(…) il regime tentò infatti inutilmente di introdurre il voi come forma pronominale di cortesia, vietando l’uso di lei/ella con un’imposizione grammaticale (…) che, proprio perché interveniva sul livello del sistema linguistico (…), era votat[a] al fallimento»234.
229 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 15. 230 Foresti, Credere, obbedire, combattere, p. 81. 231 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 74. 232 Foresti, Credere, obbedire, combattere, p. 19. 233 Foresti, Credere, obbedire, combattere, p. 19. 234 Foresti, Credere, obbedire, combattere, pp. 18-19.
53 Wu Ming 1, con uno scambio di battute tra dirigenti fascisti e confinati, ricostruisce plausibili episodi in cui emerge l’avversione dei funzionari fascisti nei confronti del pronome allocutivo Lei – il cui utilizzo era stato proibito dal 1938 – e il caparbio rifiuto dei confinati politici all’impiego del Voi, del quale troviamo testimonianza in Ventotene, di Jacometti. L’ex confinato afferma che l’uso del “lei” durante i colloqui con la direzione stabiliva una «fondamentale discriminazione»235 tra confinati politici e confinati comuni, dal momento che i comuni, detti “manciuriani”, non si sottraevano alle imposizioni del regime, cercando di ottenere i favori della milizia e della direzione.
Il primo episodio nel romanzo wuminghiano rimarca il fastidio del vicedirettore Guida, nel momento in cui Pertini continua rivolgersi a lui dandogli del ‘lei’:
«– Tutti dicono che il corpo era sulla spiaggia, – lo interruppe Pertini, – ad almeno dieci metri dal piede della scalinata. Secondo lei…
Ancora il ‘lei’. Guida inspirò forte»236.
Il secondo episodio vede il direttore Meo, ligio all’uso fascista del pronome Voi, redarguire esplicitamente i confinati:
« – […] Non sarà che adesso tutti dicono di star male per andare in continente? – Sta dicendo che reputa Piancastelli un simulatore? – chiese Terracini, allibito. […] – Non è una colica! Lei scherza con la vita delle persone!
– E finiamola con lei, lei, lei! Sono forse una femmina io? Datemi del voi!»237.
Wu Ming 1, come nell’autobiografia di Spinelli, evidenzia il diverso impiego dei pronomi allocutivi, prima e dopo la fine del regime: «– Venga, Pertini, – disse. (…) Venga. Si seggano. Anche il ‘voi’ d’ordinanza era sparito»238.
Il fondatore del movimento federalista europeo allude al differenziato uso di ‘lei’ e ‘voi’ mettendo in risalto che il direttore Guida prima del 26 luglio riceveva i confinati in piedi e si rivolgeva a loro col ‘voi’, dopo il 26 luglio Spinelli afferma che: «Si rivolse a noi dandoci del ‘lei’, ci invitò a sedere»239.
Dal conflitto sull’uso dei due pronomi allocutivi l’autore ha dato vita ad un ilare scambio dialogico tra il milite Iannace ed Hermes – divinità greca impegnata in prima persona
235 Jacometti, Ventotene, p. 29.
236 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 142. 237 Wu Ming 1, La macchina del vento, pp. 144-145. 238 Wu Ming 1, La macchina del vento, pp. 311-312.
54 nella protezione dei confinati. In questo episodio è presente anche la menzione di un motto fascista con fini parodici:
«Sentiva un richiamo, anzi un risucchio in quella direzione di quella voce, però non voleva cedere. – Ma lì a far che? Chi siete? / – Non siamo, Iannace, sono uno solo. Obbedisci. Ti ricordi no? ‘Credere, obbedire, combattere’ eccetera…»240
Infine, si noti l’anacronistica espressione ‘malore attivo’, la cui triste notorietà si deve ad avvenimenti legati alla strage di Piazza Fontana. Difatti, si fa riferimento alle parole con cui il magistrato D’Ambrosio descrisse le cause della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, deceduto a seguito di un duro e lunghissimo interrogatorio in questura, dove era stato trattenuto illegalmente.
Nel romanzo, il vicedirettore del confino si avvale dell’espressione per giustificare la posizione del corpo di Pontecorboli, ritrovato esanime a seguito di quella che i funzionari fascisti volevano far passare per una banale caduta:
«– Secondo lei come si concilia la posizione del corpo con l’idea di un malore e di una caduta dalle scale? / – E che ne saccio io? Sarà stato un… malore attivo. Dopo la caduta avrà fatto ancora qualche passo»241.
È evidente il tentativo dell’autore di risvegliare la memoria del lettore più attento per invitarlo a forzare un parallelismo: anche se non cronologicamente legata alla fraseologia del regime fascista, l’espressione “malore attivo” rimanda alla tendenza dei poteri forti a impiegare formule ermetiche per celare la verità o evitare l’assunzione di responsabilità. In particolare, sotto la lente viene posto il tentativo di occultare i palesi delitti di violenza fisica, bruta e illegittima, di cui si macchia chi detiene il potere.
Altrettanto accurata pare la scelta del personaggio latore dell’espressione ante litteram: il vicedirettore Guida, futuro questore di Milano che sarà coinvolto nel caso Pinelli242. In questo modo Marcello Guida, anello di congiunzione tra epoca fascista, in cui è ambientato il romanzo, e venturo stato repubblicano esemplifica quel complesso di funzionari reimpiegati nelle istituzioni democratiche post belliche.
Si tratta di un utilizzo della lingua – nella fattispecie di frammenti accuratamente distribuiti nella narrazione – volto a celare, sotto la superficie di una narrazione
240 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 226. 241 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 142 242 Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini, p. 79.
55 diffusamente fruibile, un sottotesto di citazioni e rimandi riservati ad un gruppo elitario di lettori.