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Analisi linguistica de La macchina del vento di Wu Ming 1

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Academic year: 2021

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(1)

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

Analisi linguistica de

CANDIDATO

Sara Rosi

ANNO ACCADEMICO 2018/2019

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

Analisi linguistica de La macchina del vento di Wu Ming 1

RELATORI

Chiar.mo Prof. Fabrizio Franceschini

Chiar.mo Prof. Mirko Tavosanis

ANNO ACCADEMICO 2018/2019

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

di Wu Ming 1

Chiar.mo Prof. Fabrizio Franceschini

Chiar.mo Prof. Mirko Tavosanis

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1

Sommario

Introduzione ... 3

1 La macchina del vento ... 3

1.1 Il confino di Ventotene ... 3

1.2 Trama ... 6

1.3 L’autore ... 9

1.3.1 Da Luther Blissett a Wu Ming ... 9

1.3.2 Wu Ming 1 e le opere da solista ... 14

1.4 Genesi dell’opera ... 16

1.4.1 Il rapporto con le fonti ... 17

1.5 Struttura narrativa ... 26

2 Lo stile de La Macchina del vento ... 35

2.1 Criteri d’analisi ... 35

2.1.1 Caratteristiche del narratum ... 37

2.1.2 Caratteristiche dei dialoghi ... 44

2.2 La lingua del fascismo ... 50

2.3 La lingua del mito ... 55

3 Dialetti e varietà linguistiche ... 61

3.1 L’italiano di Roma ... 61

3.1.1 Altiero Spinelli ... 67

3.2 Il dialetto romagnolo e ferrarese ... 71

3.2.1 Italo Balbo ... 75 3.3 Il dialetto veneto ... 76 3.4 Il toscano ... 81 3.5 Il dialetto ligure ... 84 3.6 L’italiano di Napoli ... 86 3.6.1 Francescantonio Meo ... 88

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2

3.6.2 Marcello Guida ... 90

3.7 L’italiano dei non nativi ... 92

Conclusione ... 95

Bibliografia ... 97

Opere di Wu Ming ... 98

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3

Introduzione

1 La macchina del vento

La macchina del vento è un romanzo di Wu Ming 1 pubblicato da Einaudi nel 2019. Il romanzo è ambientato a Ventotene, negli anni che vanno dal 1938 al 1943, durante i quali l’isola era stata convertita dal fascismo in luogo di reclusione, soprattutto per gli oppositori politici ritenuti più pericolosi. In questo isolamento – dominato dalla soverchiante attesa della caduta del regime – essi condividono speranze, idee, utopie. Nel romanzo, eventi storici autentici ed episodi irreali convergono in un’unica narrazione che tratteggia l’esperienza del confino in maniera difforme rispetto alla tradizione letteraria italiana. La stessa commistione di generi letterari, dal romanzo storico a quello di fantascienza, con estese incursioni nel campo del fantasy, testimonia la distanza che intercorre tra La macchina del vento e i canonici romanzi del confino.

Erminio Squarzanti è il narratore e il protagonista. Egli racconta il confino di Ventotene, come esperienza dalle molteplici dimensioni. C’è il confino delle cronache storiche, quello mitologico, dello scontro tra divinità e quello fantascientifico del viaggio nel tempo di Giacomo Pontecorboli. La dimensione mitologica, così come quella fantascientifica, lasciano aperto un interrogativo di carattere interpretativo: resta ambiguo se esse siano dimensioni da includere nella finzione letteraria oppure se siano mere concezioni fantastiche, la cui origine è da attribuirsi al bisogno dei personaggi di trascendere una realtà troppo dura.

1.1 Il confino di Ventotene

Il confino politico, istituito il 6 novembre del 1926, era una misura restrittiva della libertà personale adottata dal regime fascista nei confronti degli oppositori, che erano obbligati dal regime stesso a dimorare in luoghi da esso stabiliti.

Mussolini parlò di confino, spiegandone motivi e finalità, in un discorso tenuto il 25 maggio 19271. Secondo Mussolini, non era necessario ricorrere a misure radicali quali la pena di morte, dal momento che, a suo dire, gli antifascisti non erano capaci di una vera

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4 opposizione, quindi non meritavano il massacro, ma solamente l’isolamento dal resto della società per la salvaguardia dello Stato italiano2.

Il confino, in realtà, era una «parte organica della macchina repressiva finalizzata alla difesa non dello Stato ma della dittatura mussoliniana»3. Difatti, nel regio decreto del 18 giugno 1931, approvazione del testo unico di Pubblica sicurezza, all’articolo 181 si legge:

«Possono essere assegnati al confino di polizia, qualora siano pericolosi alla sicurezza pubblica: 1/A Gli ammoniti; 2/A Le persone diffamate à termini dell'art. 1654; 3/A Coloro che svolgono o abbiano manifestato il proposito di svolgere un'attività rivolta a sovvertire violentemente gli ordinamenti politici, economici o sociali costituiti nello Stato o a contrastare o a ostacolare l'azione dei poteri dello Stato, o un'attività comunque tale da recare nocumento agli interessi nazionali»5.

Si trattava di un procedimento arbitrario e le motivazioni erano le più disparate: la partecipazione al funerale di un oppositore politico, la lettura di testi considerati sovversivi, il festeggiamento del Primo Maggio (anche solo indossando l’abito buono), la manifestazione di sentimenti o contegno antifascista, la denuncia dello stato di miseria in cui versava il popolo italiano (anche privatamente all’interno di scambi epistolari), il rifiuto di partecipare a rituali e manifestazioni fasciste, l’ascolto di radio straniere o genericamente antifasciste, l’organizzazione o partecipazione ad uno sciopero, la fede religiosa (testimoni di Geova, pentecostali, evangelisti), l’omosessualità6.

Oltre ai politici, condannati a causa di attivismo e ideologie avversi al regime, venivano mandati al confino anche i cosiddetti “comuni”, coloro che avevano commesso blandi gesti di opposizione oppure erano da considerarsi emarginati dalla società. A differenza dei politici, i “comuni” non avevano una fede politica né una morale ben definita, per cui spesso diventavano informatori e spie per conto delle autorità confinarie7.

Ben presto i “comuni” vennero soprannominati “manciuriani”. Jacometti spiega l’origine dell’appellativo. Questo singolare nome nacque a Ponza negli anni in cui avvennero le prime schermaglie tra URSS e impero giapponese; i cameroni dei politici si trovavano in una zona freddissima che venne chiamata Siberia, per cui, per contrapposizione, Manciuria

2 Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini, p. 13. 3 Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini, p. 14.

4 L’articolo 165 definisce diffamata “la persona la quale è designata dalla voce pubblica come abitualmente

colpevole”.

5 Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (GU n. 146 del 26/06/1931). Approvazione del testo unico delle

Leggi di Pubblica Sicurezza (pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n.146 del 26 giugno 1931).

6 Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini, pp. 45-72. 7 Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini, p. 72.

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5 venne detta la zona in cui si trovavano i cameroni dei “comuni”, da quel momento “manciuriani”8.

Le personalità dell’antifascismo ritenute irriducibili venivano mandate principalmente sulle isole (Egadi, Pontine, Eolie e Tremiti). Altri luoghi designati ai fini di isolamento erano sparsi in località sperdute della Calabria, dell’Abruzzo o della Basilicata.

Ventotene, isola dell’arcipelago pontino, divenne colonia confinaria a partire dall’estate del 1939, dopo la chiusura del confino di Ponza, e qui vennero trasferiti i confinati ritenuti più pericolosi9. Tra le personalità più importanti si citano: Sandro Pertini, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, Nello Traquandi, Giovanni Domaschi, Pietro Secchia, Mauro Scoccimaro, Francesco Fancello, Vincenzo Calace, Riccardo Bauer e Umberto Terracini. Molti di questi personaggi politici erano particolarmente temuti da Mussolini, motivo per cui erano sorvegliati «da un milite addetto alla loro persona»10.

A Ventotene, i confinati dormivano nelle camerate, che erano due per ogni padiglione, ed avevano i bagni in comune. In ogni camerone erano disposte venticinque brande e alle pareti vi era appeso ogni genere di cose, dagli indumenti alle carte geografiche, per personalizzare l’ambiente, dal momento che l’angolo di camerone in cui era disposta la branda era come una dimora per il confinato11.

Sull’isola pontina, i confinati si dividevano in base all’appartenenza politica. C’era il gruppo comunista, il più numeroso, con «la falange dei miliziani di Spagna»12 e «i comunisti slavi»13; il gruppo socialista, «assai esiguo»14; il gruppo anarchico, «il secondo in ordine di grandezza»15; il gruppo di Giustizia e Libertà, «forse il più piccolo di tutti»16, e infine il gruppo dei federalisti, «il solo gruppo nato al confino»17. La distinzione diveniva molto chiara al momento dei pasti perché «ogni partito aveva la sua mensa. Si sarebbe potuto dire che le differenze ideologiche si identificavano con le differenze dei cibi preparati nelle varie cucine»18.

8 Jacometti, Ventotene, p. 29.

9 Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini, p. 269. 10 Jacometti, Ventotene, p. 35. 11 Jacometti, Ventotene, p. 65. 12 Jacometti, Ventotene, p. 33. 13 Jacometti, Ventotene, p. 33. 14 Jacometti, Ventotene, p. 33. 15 Jacometti, Ventotene, p. 33. 16 Jacometti, Ventotene, p. 34. 17 Jacometti, Ventotene, p. 34.

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6 Le difficoltà principali che dovevano affrontare i confinati in un’isola come Ventotene riguardavano in primo luogo il freddo invernale, difficilmente sopportabile a causa del vento incessante, e in secondo luogo la fame19. Gli approvvigionamenti giungevano sull’isola prima col piroscafo Regina Elena, poi col più piccolo Santa Lucia. Tuttavia, spesso il maltempo non permetteva l’arrivo dei viveri e in seguito, soprattutto durante la guerra, la generalizzata penuria di cibo si faceva sentire in maniera drammatica sull’isola, dove non erano disponibili gli stessi espedienti del continente per procurarsi nutrimento: la pesca era inaccessibile, i terreni molto limitati e il baratto impraticabile per assenza di qualsivoglia materia prima.

1.2 Trama

Il protagonista del romanzo è Erminio Squarzanti, giovane socialista e studioso di lettere classiche, che viene arrestato dall’Ovra nel ’36, al terzo anno di università, e dopo un anno di carcere viene mandato a scontare la sua condanna al confino sull’isola di Ventotene. Il co-protagonista è Giacomo Pontecorboli, fisico romano, che afferma di essere uno degli allievi di Enrico Fermi e di aver partecipato alla progettazione e al collaudo di una macchina del tempo, all’interno della quale racconta di aver visto scomparire il compagno di studi Ettore Majorana. Entrato in Giustizia e Libertà, Pontecorboli viene arrestato nel ’38 a seguito di una spiata sul suo conto.

Entrambi i personaggi sono frutto dell’invenzione di Wu Ming 1, il quale ha inserito due personaggi fittizi nel reale contesto storico del confino, facendoli interagire con alcune delle più importanti personalità dell’antifascismo.

Tuttavia, i nominativi dei due protagonisti sono piuttosto evocativi.

Per Giacomo Pontecorboli si può pensare che l’autore si sia ispirato alla figura di Bruno Pontecorvo, che è accomunato al personaggio romanzesco non solo dal cognome piuttosto similare, ma anche dall’esperienza di studi accademici legati a Enrico Fermi e al gruppo dei “ragazzi di via Panisperna”. Bruno Pontecorvo mostrò il suo interesse per la fisica fin da giovane: dopo un biennio di studi. alla facoltà di ingegneria dell’Università di Pisa, nel 1931 ottenne il trasferimento a quella di fisica della Regia Università di Roma. Sotto la guida di Enrico Fermi, , nel 1933 ottenne la laurea cum laude e si unì poi al gruppo di ricerca per lo sviluppo della fisica nucleare che Fermi aveva costituito. Appartenente ad

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7 una famiglia di origine ebraica, Pontecorvo, per proseguire i suoi studi, fu costretto a lasciare l’Italia. Già nel 1936 lasciò Roma alla volta di Parigi,ove lavorò sino al 1940. Per quanto riguarda Erminio Squarzanti, è lo stesso autore ad affermare di aver tratto ispirazione dallo scrittore Giorgio Bassani, il quale, proveniente da una famiglia dell’alta borghesia ebraica, condivide con il personaggio le origini ferraresi, la frequentazione del liceo Ludovico Ariosto, dove lo scrittore ebbe come insegnante di greco e latino lo stesso professor Viviani che viene ritratto nel romanzo di Wu Ming 1 ed anche l’iscrizione alla facoltà di lettere a Bologna. In ultimo, si noti la similarità dei cognomi, legati da un rapporto fonosimbolico: Squarzanti e Bassani, infatti, sono trisillabi e presentano la stessa struttura vocalica.

Il romanzo ha inizio con l’arrivo di Giacomo sull’isola di Ventotene, l’antica Pantadaria, del cui toponimo Wu Ming 1 ricostruisce approssimativamente l’etimologia: «Pandataria pandatà pandatè fendetè ventetè ventotè, fino all’isola che vento tiene»20. A Ventotene Erminio e Giacomo si incontrano e col loro incontro ha inizio l’incrocio e, talvolta, la sovrapposizione della dimensione mitologica e della dimensione meta-temporale. Erminio introduce il lettore alla presenza delle antiche divinità greche che, in concilio, decidono come intervenire a favore delle sorti della civiltà occidentale alla deriva. Giacomo spinge a dubitare della linearità del tempo, aprendo alla possibilità dei viaggi nel tempo. Ne è un esempio l’orologio civico che si trova sulla piazza principale, di fronte alla caserma della milizia, perché non segna mai l’ora esatta21: per Erminio si tratta del risultato di un errore del dio Chronos, a causa del quale sull’isola il tempo scorrerebbe più velocemente; per Giacomo l’ora errata è il risultato di una peculiare condizione spazio-temporale che egli si ostina a voler spiegare con calcoli matematici.

Sull’isola i personaggi incontrano alcune delle più importanti personalità della politica e della Resistenza italiana, fra cui Sandro Pertini, Nello Traquandi, Eugenio Colorni, Lazar Fundo, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. La loro quotidianità è scandita dagli appelli, dai pasti – durante i quali i confinati mangiano in mense organizzate politicamente – e soprattutto dai confronti di natura intellettuale e politica. Un esito di questi confronti è tra l’altro il celebre manifesto, Per un Europa libera e unita, elaborato da Spinelli e Rossi22: un progetto federalista col quale i due confinati proponevano di unificare politicamente l’Europa. Nel romanzo, la nascita del manifesto sembra essere resa possibile dalle peculiari

20 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 22. 21 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 31. 22 Spinelli, Rossi, Per un’Europa libera e unita.

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8 condizioni venutesi a creare in questo luogo di isolamento, ma anche di raccolta delle menti più illuminate dell’epoca.

Non mancano descrizioni della condotta di funzionari e militi fascisti e della loro propensione all’uso della violenza. Tra le vittime dei soprusi figura lo stesso Giacomo, reo di aver fatto cadere un tavolo. I fascisti nascondono l’attacco contro di lui facendolo passare per una banale caduta dalle scale e lo inviano all’ospedale sul continente.

Ai confinati continuano a giungere notizie di Giacomo, impegnato in una personale battaglia contro gli apparati fascisti «per non essere mandato altrove»23, per essere rimandato a Ventotene, dove il suo forzoso allontanamento aveva, nel frattempo, contribuito ad incrementare l’interesse dei confinati per le sue teorie e la possibile fuga temporale. Nel corso del romanzo, l’irrazionalità di queste fantasie viene definita il linguaggio notturno, espressione che deriva dalle memorie di Spinelli (si veda il paragrafo 3.1.1). Per linguaggio notturno si intende una lingua frammentaria, irrazionale, introversa, che contagia tutti i confinati, tramutandoli in «aspiranti temponauti»24 impegnati a formulare nuove fantasiose ipotesi, fino al giorno in cui la notizia del trasferimento di Giacomo a Longobucco, località confinaria calabrese, spegne le ultime speranze.

Sullo sfondo del racconto si trovano la Seconda Guerra Mondiale, l’entrata in guerra dell’Italia e la campagna di Grecia, la cui fallimentare conclusione coincide con l’inatteso ritorno di Giacomo a Ventotene.

Il fisico romano sceglie di tornare, nonostante abbia contratto la tubercolosi, per cercare di portare avanti le proprie “ricerche” sul tempo. Erminio accoglie di nuovo l’amico sull’isola e resta al suo fianco durante l’intero decorso della malattia.

I due riprendono le loro discussioni sul tempo, arricchite dalla lettura della Macchina del tempo di H. G. Wells, finché, poco prima che Giacomo spiri, comprendono entrambi che «ogni sovrapposizione, fantasticheria, vaticinio» deriva «dal disgusto e dall’attrito quotidiano»25 contro il loro tempo, il momento storico da loro vissuto.

Infine, arriva il «Kairos, il tempo supremo della consapevolezza e delle scelte»26: le sconfitte sul fronte orientale e in Africa Settentrionale e lo sbarco alleato in Sicilia determinano la caduta del regime fascista, grazie alla quale avviene la liberazione degli internati, principali attori della Resistenza e del movimento partigiano:

23 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 177. 24 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 179. 25 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 242. 26 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 77.

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«Noi siamo come Pirra e Decaulione. Trascorremmo anni su un’arca nel Tirreno, mentre un diluvio sommergeva il vecchio mondo. Quando fu il momento di scendere, venne ad accoglierci Atena, dea delle guerre per giusta causa. Le chiedemmo nuovi compagni e compagne, per riprendere la lotta. Lei ci fece gettare in aria una pietra dietro l’altra, e le colpì col suo scudo. Dopo il diluvio, la Resistenza.

Ogni pietra un partigiano.»27

1.3 L’autore

1.3.1 Da Luther Blissett a Wu Ming

A partire dal 1994, in tutta Europa, numerosi artisti e attivisti, assunsero collettivamente il nome di Luther Blissett al fine di generare il panico all’interno dell’industria culturale. In Italia nacque il Luther Blissett Project, un vero e proprio fenomeno mediatico degli anni Novanta, «che cominciò a somigliare sempre di più a un eroe popolare, una sorta di Robin Hood dell’età dell’informazione»28.

Nel mese di marzo del 1999 uscì il romanzo Q, firmato Luther Blissett. Almeno inizialmente, l’interesse della critica e del pubblico si concentrò proprio sullo pseudonimo, che diede adito ad una sorta di caccia all’autore celato sotto la firma del nome collettivo. Q, romanzo d’esordio del collettivo bolognese, rappresenta l’«opus magnum», la «summa theologica»29 da essi raggiunta. Si tratta di un romanzo storico, anche se il collettivo precisò che «Q [era] un romanzo di genere, anzi un romanzo di generi»30, ambientato negli anni che vanno dal 1522 al 1555, periodo della riforma e controriforma luterana, in cui le guerre religiose dominarono la scena. Il protagonista è un anonimo anabattista che nel corso delle vicende assumerà diversi nomi e il suo antagonista, la sua nemesi, è Q, una spia al soldo del cardinale Carafa (il futuro papa Paolo IV), che sventa ogni tentativo del protagonista di modificare l’ordine costituito.

Il collettivo affermò di aver «affrontato una narrazione impegnativa, corale, in cui s'intreccia[va]no sottotesti e sottostorie» dal momento che a loro parare era proprio «questo che [doveva] fare la letteratura: raccontare storie, produrre mito»31.

27 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 326.

28 Napiórkowska, Da Luther Blissett a Wu Ming, p. 218. 29 <http://www.lutherblissett.net/index_it.html>

30 La Repubblica, 6 marzo 1999, p. 6 31 La Repubblica, 6 marzo 1999, p. 6

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10 In questo magnum opus sono già presenti tutti gli elementi sui quali si baserà il collettivo, che a partire dal 2000 ha preso il nome di Wu Ming (“nessun nome” in cinese mandarino), per la produzione successiva: in primis emerge la loro volontà di raccontare la storia da punti di vista inediti, nello specifico dal punto di vista dei reietti, dei personaggi ai margini della storia; in secondo luogo, si osserva l’azione e l’interazione di personaggi fittizi che si relazionano con i grandi personaggi della storia; in ultimo, lo studio del materiale storico e cronachistico, nel quale è compreso il tentativo di ricreare un linguaggio che sia contemporaneamente comprensibile per i lettori e rispecchi il più realisticamente possibile le parlate dell’epoca in cui avvengono i fatti narrati. Tuttavia questo primo romanzo presenta notevoli lacune per quanto riguarda la mimesi linguistica, infatti, la lingua ricreata dal collettivo fu criticata da critici e lettori, i quali in particolare, stigmatizzarono l’impiego di un linguaggio ritenuto anacronistico, a causa dell’«effetto di deviazione»32 generato dal turpiloquio (per il quale si veda l’approfondimento al sottoparagrafo 2.1.1).

L’esordio con il nuovo nome collettivo di Wu Ming, avvenuto a seguito della fine del Luther Blissett Project, venne sancito dal simbolico seppuku (termine che indica il suicidio rituale dei samurai giapponesi). I Wu Ming resero pubblica una loro dichiarazione d’intenti nel gennaio del 2000. In questa dichiarazione affermarono che la scelta di un nome cinese era legata alla loro convinzione che le sorti del mondo, in termini di catastrofi, ma anche di possibili soluzioni, si sarebbe giocato “sul versante del Pacifico”, in Asia; inoltre dichiararono di essere interessati a «storie di conflitti, intessute sui telai dell'epos e della mitopoiesi» e ai romanzi che attingevano «materia viva dalle zone d'ombra della storia, storie vere narrate come romanzi e/o viceversa, recupero di vicende dimenticate». Dunque, la volontà del collettivo era quella di dar voce ai comprimari, alla moltitudine che non era riuscita ad emergere dalla Storia.

Il primo libro ad essere pubblicato nel 2000 col nuovo nome collettivo è stato Asce di guerra, romanzo scritto con Vitaliano Ravagli, che racconta le vicende di un avvocato bolognese, Daniele Zani, alla ricerca di informazioni sulla storia del nonno partigiano, che finisce per raccogliere storie dei partigiani ancora in vita con cui parla e incontra anche un romagnolo (lo stesso Ravagli) che aveva preso parte alla guerra in Vietnam dalla parte dei vietcong, del quale vengono ricostruite le vicende biografiche.

Con questo romanzo il collettivo intendeva risvegliare l’attenzione dei lettori sul dopoguerra italiano, concentrandosi sugli avvenimenti rimossi e più scomodi, a partire

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11 dalle scelte politiche (come l’amnistia del 1946, che permise alla classe dirigente fascista di rimanere al potere nell’Italiana repubblicana e democratica) e dalla denuncia della condizione di miseria di una classe sociale, rimasta immutata anche dopo la liberazione: il romanzo «vive infatti di una narrazione che aspira ad essere oltraggiosa nei confronti del presente, che rovista nel fondo della storia per farne emergere gli aspetti più controversi, per portare alla luce il “rimosso” e smuovere le coscienze»33.

Anche in questo testo del collettivo si nota un tentativo di ricerca linguistica, almeno per quanto riguarda la riproduzione del dialetto imolese del personaggio Ravagli e alcuni (molto limitati) elementi di altre varietà locali immesse allo scopo di caratterizzare le voci dei personaggi che prendono la parola nel racconto.

Il secondo romanzo del collettivo, pubblicato nel 2002, è stato 54, che, come suggerisce il titolo, è ambientato nel 1954, un anno «scelto (…) arbitrariamente come un remoto punto d’origine del presente»34. Il collettivo incentra nuovamente la sua scrittura sul dopoguerra. Mantenendo sullo sfondo importanti avvenimenti dell’anno 1954, allargano lo sguardo su diverse situazioni mediante l’intreccio di storie individuali di personaggi fittizi: quella di Pierre Capponi, tra Bologna e Jugoslavia, raccoglie vicende legate alla situazione politica della Jugoslavia, dove il padre, Vittorio, ex partigiano comunista, ma antistalinista, si trovava dal 1943, anno della diserzione dall’esercito italiano e dove, nell’anno in cui avvengono i fatti, si trova in una posizione difficile in quanto il dittatore Tito si era avvicinato all’URSS; il secondo nucleo delle vicende ruota attorno a “Lucky” Luciano, un boss della mafia, a Napoli, dove uno dei suoi sottoposti, Steve “Cemento” Zollo, gli sottrae una ingente somma e della droga e la nasconde in un vecchio televisore Mc Guffin che verrà rubato e finirà a Bologna, facendo sì che le storie si intreccino; infine, c’è la storia legata a Cary Grant, tra America e Jugoslavia, che introduce nel testo il genere spy.

La caratterizzazione linguistica è circoscritta a brevi esclamazioni in dialetto o idiomi peculiari (come il “napoletano americanizzato” del boss Lucky Luciano) dei personaggi che agevolano il lettore nei numerosi cambi di scenario presenti nel romanzo.

Segue Manituana, romanzo storico del 2007 e primo dei romanzi del “Trittico Atlantico”, progetto del collettivo che prevede la stesura di tre romanzi ambientati sulle sponde dell’oceano Atlantico sul finire del diciottesimo secolo.

33 Amici, La narrazione come mitopoiesi secondo Wu Ming, p. 195 34 <https://www.wumingfoundation.com/italiano/54/kwlibri_54.html>

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12 Manituana, definito “una storia dalla parte sbagliata della storia” dal collettivo stesso, ben rappresenta gli intenti scrittori dei Wu Ming: narrare la storia da punti di vista inaspettati dando voce a categorie e personaggi resi subalterni dalla narrazione storica dettata dai vincitori. Si tratta di un testo che «fruga fra le radici del mondo euroamericano in cui viviamo e che, a livello allegorico, permette di cogliere sottili riferimenti alla realtà odierna»35. Il collettivo sceglie di raccontare la Guerra d’Indipendenza americana, andando così ad indagare sulle origini degli Stati Uniti d’America, dal punto di vista di coloro che sostenevano la causa lealista, tra i quali, almeno inizialmente, figurano le Sei Nazioni Irochesi, la confederazione di tribù indigene che aveva convissuto per decenni con gli immigrati europei. I personaggi della vicenda devono affrontare una serie interminabile di difficoltà nel tentativo di mantenere la pace che, con fatica, loro e i loro predecessori, aveva consolidato e che i ribelli, ostili alla corona inglese, stavano per annientare.

Sono inseriti nel testo brevi cenni a lingue straniere, come l’irlandese e il francese, ma anche termini peculiari degli idiomi indigeni. In più, nei paragrafi ambientati a Londra viene introdotto un gergo criminale, frutto dell’invenzioni degli autori.

Il secondo romanzo del “Trittico Atlantico” (non ancora compiuto) è L’armata dei sonnambuli, pubblicato nel 2014. I fatti narrati avvengono in Francia e afferiscono al periodo del Regime del Terrore, tra il 1793, anno della decapitazione del re, e il 1795, quando inizia l’ascesa del Direttorio.

L’esperienza di Orpheé D’Amblac, medico mesmerista, che, inviato in Alvernia, si trova di fronte ad avvenimenti strani, è simile ad una osservazione antropologica degli effetti che hanno certi tipi di credenze sulla popolazione; Marie Nozière rappresenta tutte le donne del popolo di Parigini, militanti e agguerrite; l’attore caduto in disgrazia Leo Modonnet veste i panni di Scaramouche per interpretare un vigilante mascherato, è difensore del popolo contro gli accaparratori e rappresentante della nuova spettacolarizzazione del potere, iniziata proprio con la Rivoluzione francese. Infine, l’antagonista, il barone d’Yvers, reazionario nostalgico della monarchia, impiega le tecniche del mesmerismo per controllare malati psichici nel tentativo di creare un esercito e riportare al potere il figlio di re Luigi XVI.

Wu Ming ha messo in campo personaggi marginali, ma significativi per la rappresentazione di tutte le componenti necessarie ad ottenere un quadro quanto più dettagliato possibile dell’epoca: l’obiettivo era quello di raccontare la Rivoluzione

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13 francese, il periodo comunemente ritenuto fondamentale per la costituzione della società e della cultura moderna, sotto nuova luce, dando voce anche al popolo parigino.

Nel 2009 viene pubblicato Altai, un altro romanzo di carattere storico considerato erroneamente da molti il seguito di Q. Come Manituana, questo romanzo punta la lente su eventi e vicende trascurati dai canonici manuali di storia. I Wu Ming scelgono di raccontare lo scontro per la conquista di Cipro tra impero Ottomano e Venezia raccontato dal punto di vista di Manuel Cardoso, giovane ufficiale della Serenissima che riscopre la sua identità ebraica dopo essere stato ingiustamente accusato di un attacco contro Venezia ed essere entrato in contatto con Yossef Nazi, giudeo e consigliere del Sultano, che lo invita a riscoprire le sue radice. Temi principali sono la crudeltà e la violenza delle guerre, lo scontro tra culture diverse, ma anche la possibilità di convivenza: il collettivo cela nel racconto degli ammonimenti che servano ai lettori per portare avanti il confronto tra il passato e il presente, sul quale invita alla riflessione.

A differenza di Q, nel testo non si rintracciano volgarismi anacronistici, ma vengono, invece, inserite parole o brevi espressioni in lingue diverse dall’italiano per identificare usanze o oggetti delle varie culture del Mediterraneo orientale e vengono utilizzati dei dialetti italiani per la caratterizzazione di alcuni personaggi36.

Nel 2015 viene pubblicato il reportage di Wu Ming 1 Cent’anni a Nord-est. Viaggio tra i fantasmi della guera granda, con il quale egli ha viaggiato nel Nord-est d’Italia per indagare sulla memoria del primo conflitto mondiale e sulle conseguenze, anche ideologiche, che ha avuto in quell’area. Immediatamente successivo è L’invisibile ovunque, nel quale si rintraccia una commistione di diverse forme narrative, con l’unico scopo di riaprire il dibattito su un conflitto che ha avuto più implicazioni successive di quelle che vengono tramandate e ricordate (si pensi al fatto che in questo periodo affonda le radici il fascismo col movimento degli arditi).

Nel centenario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale il collettivo si è concentrato su quattro storie: in ognuna di esse vengono raccontate le esperienze di personaggi che combattono contro la guerra. Nella prima storia il protagonista diventa un ardito per ottenere il suo riscatto e la via di fuga dalla trincea; nella seconda è centrale l’argomento del trauma e dei disturbi psichici causati dall’attività bellica; nella terza, con un omaggio al surrealismo, si racconta dell’artista Jacques Vaché (che aveva combattuto nella Prima Guerra mondiale) e di come abbia ispirato André Breton nell’elaborazione della teoria

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14 surrealista; infine, la quarta storia consiste in un falso saggio storico sulle origini e sull’utilizzo del mimetismo durante il conflitto.

L’ultima opera del collettivo è Proletkult, romanzo pubblicato nel 2018 nel quale si intrecciano le vicende di Aleksandr Bogdanov, medico ed ex rivoluzionario, e Denni, aliena giunta sul nostro pianeta alla ricerca del padre, un vecchio compagno di Bogdanov. Si alternano riflessioni politiche sul rapporto che c’era stato tra Bogdanov e Lenin, a riflessioni sui mutamenti che stava affrontando la Russia nel 1927, decimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre: il paese aveva vissuto un periodo ricco di sperimentazione artistica e scientifica, ma si stava avviando verso un arido conformismo burocratico. La finzione si confonde con la realtà grazie al personaggio dell’aliena Denni, proveniente da un pianeta comunista nel quale si stava valutando se annientare altre forme di vita o collaborare con esse.

Anche in questo romanzo, il collettivo mantiene fede all’intento di valorizzare personaggi storici secondari e raccontare la storia attraverso uno sguardo obliquo che apre a innumerevoli considerazioni. Oltre a quanto appena affermata, il complesso delle opere dei Wu Ming è accomunato dalla commistione di generi letterari e di stili narrativi che vede un’evoluzione del collettivo dai primi romanzi cosiddetti “metastorici” (come Q, 54, Manituana, Altai) verso l’ibridazione del genere storico con una narrazione di tipo fantastico e fantascientifico, come avviene proprio in Proletkult, nel quale, oltre alla riflessione sugli esiti del comunismo in Russia, è presente la componente fantascientifica rappresentata dalla giovane aliena Denni.

1.3.2 Wu Ming 1 e le opere da solista

La produzione di Roberto Bui, in arte Wu Ming 1, non è circoscritta alle opere composte in quanto membro del collettivo bolognese dei Wu Ming.

Il primo lavoro da solista è stato New Thing, una narrazione corale che raccoglie le testimonianze di coloro che hanno assistito, negli anni ’60, alle ribellioni agitate dai neri negli Stati Uniti nello stesso periodo in cui nasceva il free jazz di Archie Shepp.

L’intervista ai personaggi, che costituisce il nucleo principale della narrazione, è alternata a materiali di vario genere (come articoli di giornale e confessioni) che vengono raccolti nel corso di una lunga indagine relativa agli omicidi di musicisti jazz d’avanguardia, vittime di un assassino seriale.

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15 Si tratta di un testo che ha come protagonista la musica jazz, ma attraverso una narrazione corale, priva di un punto di vista univoco, affronta il tema delle forme di ribellione sollevate dai neri e della violenta repressione che questi ultimi subirono.

Nel 2013 viene pubblicato Point Lenana, un “UNO”, cioè un oggetto narrativo non identificato, scritto insieme a Roberto Santachiara. Si tratta di un lavoro sperimentale che l’autore ha definito «una forma molto ibridata di reportage narrativo»37 nel quale vengono narrate numerose storie a partire da quella di Felice Benuzzi, alpinista triestino che riuscì a fuggire dal campo di concentramento inglese nel 1943 e scalò il monte Kenya fino alla Punta Lenana, che fa da sfondo all’esperienza di scalata del monte vissuta in prima persona dal narratore-saggista.

Le numerose storie che si inseriscono nel testo spaziano dal milieu alpinistico, ai crimini di guerra del fascismo e del colonialismo, grandi rimossi della storia pubblica italiana (nella quale vige lo stereotipo di “italiani brava gente”).

L’ultimo imponente testo scritto da Wu Ming 1 e pubblicato nel 2016 è Un viaggio che non promettiamo breve. Venticinque anni di lotte No Tav, un altro oggetto narrativo non identificato, in cui l’autore ha raccolto informazioni e storie sulle lotte No Tav in Val di Susa ed ha composto un reportage reso romanzesco dall’abile messa in sequenza della materia narrativa raccolta e rielaborata.

Tre sono i grandi argomenti affrontati nell’opera: le ragioni politiche, economiche e geologiche dell'opposizione alla costruzione della Tav; la denuncia civile di una repressione del movimento; la resistenza del movimento e l’impegno per mantenere coesione all’interno di esso.

Con l’ausilio di fonti diaristiche, giornalistiche, studi sociali e antropologici, interviste e varia documentazione, Wu Ming 1 ricostruisce la storia della lotta No Tav, contribuendo a fornire informazioni su questo argomento poco conosciuto a livello nazionale, dal momento che la costruzione della Tav è stata mostrata dai mass media come necessaria per la crescita economica e l'integrazione europea, invece gli oppositori sono stati descritti come membri di un moto popolare nemico del progresso.

Infine, nel 2019, viene pubblicato La macchina del vento.

La produzione di Wu Ming 1, dopo una serie di oggetti narrativi di difficile identificazione all’interno dei canoni letterari tradizionali, vede infine la pubblicazione di un romanzo metastorico ibridato con il genere fantastico e fantascientifico, seguendo la medesima

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16 traiettoria segnata dalla produzione dell’intero collettivo, che si stava rivolgendo verso l’ibridazione del genere storico con altri sottogeneri.

1.4 Genesi dell’opera

La macchina del vento è stato pubblicato dalla casa editrice Einaudi il 16 aprile 2019. L’idea del romanzo, secondo l’autore, è più remota. Risale infatti ai primi anni Duemila dopo che il 13 settembre 2003 apparve la seguente dichiarazione dell’allora presidente del consiglio Berlusconi sulla rivista inglese “The Spectator”: «Mussolini non ha mai ammazzato nessuno. Mandava la gente a fare vacanza al confino». Queste parole «scatena[rono] polemiche e riacces[ero] l’interesse per l’argomento»38 del confino.

Il generalizzato desiderio di approfondire questo capitolo della storia italiana coinvolse lo stesso Wu Ming 1 – pseudonimo di Roberto Bui – che, dopo una serie iniziale di ricerche, creò la prima bozza del ‘soggetto’. Questa bozza di soggetto viene ripresa a partire dal 2017, periodo nel quale lo scrittore ritenne che alcune tematiche di attualità avessero reso necessaria la scrittura di questa storia, come egli stesso dichiara nei Titoli di coda: «La storia che avevo in mente mi sembrava molto più attuale di quando l’avevo concepita»39. Wu Ming 1 afferma, inoltre, di non essersi limitato ad approfondimenti su pubblicazioni e biografie sul tema, ma di aver trascorso personalmente del tempo sull’isola di Ventotene per una conoscenza diretta dei luoghi.

Il sostrato bibliografico che sta alla base di questo romanzo è piuttosto variegato. L’autore afferma di aver iniziato l’approfondimento della materia a partire da due romanzi di scrittori che ritiene tra i più importanti della letteratura italiana: Cesare Pavese, con Il carcere, e Carlo Levi con Cristo si è fermato ad Eboli40.

Wu Ming 1, inoltre, non occulta il fatto che abbia fondato la costruzione del testo a partire da letture di «memorie, biografie e raccolte di lettere di confinati»41 e cita direttamente i titoli dai quali ha tratto più ispirazione: La villeggiatura di Mussolini di Silviero Corvisieri, Ventotene di Alberto Jacometti, Nelle spire di Urlavento di Giorgio Braccialarghe e L’isola riflessa di Fabrizia Ramondino.

Molti dettagli ripresi da queste letture ritornano anche nel romanzo wuminghiano: nonostante l’autore abbia precisato che «la colonia del [suo] romanzo si discosta per molti

38 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 329. 39 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 331. 40 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 330. 41 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 329.

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17 versi dalla colonia di confino dei documenti»42, il romanzo presenta un ricostruzione molto vicina alle memorie dei confinati e alla realtà storica, in quanto si discosta da quest’ultima solo per quanto riguarda l’invenzione dei due personaggi di Erminio e Giacomo, per alcuni episodi concepiti dall’estro autoriale e per la ricostruzione dell’argot confinario, il complesso delle varietà linguistiche parlate nel confino.

1.4.1 Il rapporto con le fonti

Se si approfondisce il rapporto del romanzo in esame con le fonti, si osserva che in molte occasioni Wu Ming 1 attinge dai testi che ha avuto come riferimento primario.

Le fonti sono state esaminate in maniera sistematica. In ogni testo sono stati rintracciati i luoghi in cui episodi storici oppure dettagli di natura linguistica o stilistica coincidono con il romanzo di Bui. Dopo la constatazione delle riprese messe a testo, si è preferito prendere in esame un campione per discutere dei casi più rilevanti di rielaborazione dalle fonti, privilegiando il valore esplicativo di questi casi, oltre che l’immediatezza con cui è possibile cogliere la coincidenza tra essi e le fonti da cui derivano. Le fonti letterarie rappresentano le solide fondamenta su cui l’autore si è basato per costruire il racconto: ha dato nuova forma alla storia, reinventandola, e ha dato voce a personaggi fittizi e personaggi basati su figure storiche che animano questa versione romanzesca del confino ventotenese frutto dell’inventio di Bui. Dall’analisi condotta, emerge che la ripresa delle fonti non è pedissequa, perciò sia la natura contenutistica degli episodi riportati sia la loro veste linguistica è stata rielaborata, perciò nel testo non sono presenti riprese letterali dalle fonti.

Innanzitutto, si vedano i riferimenti di carattere linguistico a partire dall’introduzione alla morfologia e sociografia dell’isola di Ventotene, passaggio iniziale del romanzo di natura didascalica:

«In tempi antichi, l’isola si chiamava Pantadaria e Roma già ci mandava al confino persone scomode. (…) Il nome dell’isola lo ha eroso e scolpito il vento, che soffia imperioso. Pandataria pandatà pandatè fendetè ventetè ventotè, fino all’isola che vento tiene»43.

Wu Ming 1 presenta l’antico toponimo e la ricostruzione etimologica del toponimo dell’isola, forgiato dal popolino parlante dialetto napoletano.

42 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 332. 43 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 22.

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18 Si rintracciano alcune similitudini con L’isola riflessa, romanzo di Fabrizia Ramondino, nel quale la scrittrice cita l’origine greca del nome Pandataria e attribuisce l’odierno toponimo dell’isola ad un processo di «limatura fonetica»44.

Tuttavia si presume che sia la descrizione di Wu Ming 1 sia quella di Ramondino si debbano a quanto scritto da Alberto Jacometti nella raccolta di memorie Ventotene:

«Si chiamava, l’isola madre, Pandataria o Vandataria, da cui secondo i filologi, per corruzione, il nome attuale. Ma il popolino gli trova un’altra spiegazione fornitagli dal dialetto napoletano: Ventotene, l’isola che ‘tiene’ il vento, la ventosa insomma»45.

Il Dizionario di toponomastica conferma che la denominazione attuale sia ritenuta in rapporto con il vento che caratterizza l’isola e, pur affermando che la morfologia della forma odierna è incerta, presuppone che ci sia un legame con l’antico Pandataria46.

Altri due riferimenti sono alla denominazione dei confinati comuni e di Mussolini.

I confinati comuni ricevettero l’appellativo di “manciuriani” dai politici, a causa della disposizione delle camerate sull’isola confinaria di Ponza (per una più estesa spiegazione circa l’origine e l’impiego del termine si veda il paragrafo 1.1). Ne La macchina del vento i personaggi alludono spesso con disprezzo ai manciuriani, i comuni, che si umiliano al servizio dei fascisti. Di questo troviamo conferme sia nella testimonianza di Jacometti sia nella ricostruzione storica di Corvisieri47.

I confinati, invece, si riferivano a Mussolini con gli appellativi di “Pasta-e-fagioli”48 oppure “Andrea”, per precauzione, per evitare di essere accusati di violare il divieto di tenere discorsi sulla politica. In Ventotene, Jacometti illustra l’origine e la fortuna di questi appellativi:

«A Ventotene però di Mussolini non si parla mai. Precauzione, disprezzo? (…) E quando si deve chiamarlo in causa si ricorre agli appellativi di ‘Andrea’ o di ‘Pasta-e-fagioli’… Non so l’origine della locuzione; so che è nata in carcere; suppongo sia nata sottoforma di risposta data da un detenuto a un guardiano troppo curioso; ‘Di che state parlando?’. ‘Di… pasta-e-fagioli’. Si dovette ridere intorno, sotto i baffi, e l’espressione rimase. Può tuttavia aver avuto un’altra origine. Puerile sarebbe stato il pensare che dovesse servire a nascondere il soggetto della conversazione»49

44 Ramondino, L’isola riflessa, p. 116. 45 Jacometti, Ventotene, p. 16.

46 Queirazza, Dizionario di toponomastica.

47 Jacometti, Ventotene, p. 29; Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini, p. 72. 48 Jacometti, Ventotene, p. 119.

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19 Nel romanzo in esame, l’autore offre una delucidazione sull’origine di ‘Pasta-e-fagioli’ che, diversamente da quella presentata nella fonte dell’ex-confinato, afferisce al campo delle funzioni corporali:

«È vero, era proibito discutere di politica e fare ‘propaganda politica in modo anche occulto’. Ma quella disposizione, la 22, era la meno rispettata. (…) Quando parlavamo del duce, per esempio, lo chiamavamo ‘Andrea’, che in effetti era uno dei suoi nomi – il terzo dopo Benito e Amilcare – o, più spesso, Pasta-e-fagioli, alludendo a certe funzioni intestinali»50

Dunque, rimane dubbia la reale origine dell’espressione, ma sembra piuttosto chiaro il proposito dell’autore di rielaborare la fonte spostando l’accezione di ‘Pasta-e-fagioli’ verso gli effetti fisiologici del piatto.

Proseguendo nella disamina dei punti de La macchina del vento che più si avvicinano alle fonti, si trova la descrizione del trattamento che gli isolani riservano agli uccelli migratori:

«A Ventotene facevano sosta miriadi di uccelli migratori, decine di specie. Andando e tornando dall’Africa, dopo voli di centinaia di chilometri, si fermavano riposavano (…) e, se avevano fortuna, ripartivano. Nella mezza stagione, per abbattere gli uccelli sarebbe bastato sparare in cielo a casaccio. Ma sparare non serviva, c’erano le trappole. (…) Anche i bambini catturavano gli uccelli. Quando ne prendevano uno, gli legavano un filo a una zampa e lo facevano frullare (…). Noi guardavamo gli uccelli morire e ci struggevamo, li guardavamo ripartire e sospiravamo»51.

Una simile ricostruzione si trova anche ne L’isola riflessa della Ramondino: la scrittrice riferisce degli uccelli di passo, venuti dall’Africa, che si riposavano sull’isola prima di ripartire e della facilità con cui gli isolani li prendevano con le reti o con le mani52.

Le ricostruzioni di Wu Ming 1 e Ramondino, nuovamente, sembrano fare riferimento alle memorie di Jacometti, il quale rammenta l’arrivo degli uccelli migratori e la crudeltà dei giochi infantili con gli uccelli:

«In primavera a Ventotene centinaia di uccelli migratori sono raccolti fra la sterpaglia, finiti. Quaglie e tortore vanno a finire nei tegami, i più minuti sono dati ancor vivi ai ragazzi i quali legatili per una zampina ne fanno strumento di gioco. Ma il gioco diventa, per l’uccello, una tortura»53.

50 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 34. 51 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 24. 52 Ramondino, L’isola riflessa, p. 29. 53 Jacometti, Ventotene, p. 41.

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20 Un altro episodio mette in comunicazione La macchina del vento con L’isola riflessa, si tratta della cosiddetta “miccia dei galeotti”, un sistema col quale in carcere e al confino, i prigionieri ovviavano all’assenza di fiammiferi. Nel suo introspettivo romanzo ambientato a Ventotene, Ramondino descrive l’espediente per accendere il fuoco usato dai confinati:

«Un problema era il fuoco. (…) E ci sono tanti modi di accendere il fuoco, dalla miccia di marinai e pirati (…) al complicato espediente cui si ricorreva nelle carceri (…) – due bottoni di vetro strofinati su un ferro per qualche minuto finché prende fuoco uno straccetto semicarbonizzato»54

Questo espediente viene inserito da Erminio tra gli insegnamenti che Pertini dispensava ai meno esperti:

«Non era rimasto nemmeno un fiammifero. In mensa usavamo la ‘miccia dei galeotti’. Ricordo Pertini mostrare come funzionava a chi non era stato in galera: tieni un pezzo di metallo su un lembo di stoffa carbonizzata e lo colpisci con un bottone di vetro. Tac! Tac! Tac! Ecco, vedi? Ha fatto la scintilla, ora devi soffiare sulla stoffa, vedi che c’è un po’ di fumo? Soffia!»55

Ancora, risulta rilevante il trasferimento di una ossessione di Altiero Spinelli, a cui fa cenno Giorgio Braccialarghe, a uno dei personaggi del romanzo sul confino.

Nelle Spire di Urlavento, il compagno di confino di Spinelli afferma che quest’ultimo guardava l’orologio civico, posto su una torretta nella piazza principale, «come il gatto fissa la gabbia del canarino. Avrebbe persino ritardato la rivoluzione, per poterlo riparare»56. Nel romanzo, il più affetto da questa ossessione è Giacomo Pontecorboli, che, fin dalla prima volta in cui vede l’orologio segnare l’ora sbagliata, rimane impressionato e avvia proprio a partire da quello le sue elucubrazioni sul tempo.

Nel racconto di Wu Ming 1, la presentazione dell’organizzazione dei confinati su base ideologica e l’esposizione degli obblighi imposti, delle cerimonie dell’appello e in generale di come si svolgeva la quotidianità sull’isola sono fedeli ricostruzioni della realtà storica. Si giunge a tale conclusione comparando il romanzo con le testimonianze degli ex-confinati Giorgio Braccialarghe e Alberto Jacometti, ma anche con il testo di Silverio Corvisieri.

A sostegno di quanto assunto, si propongono alcuni episodi e peculiari riferimenti che ricorrono sia nel romanzo che nelle fonti citate.

54 Ramondino, L’isola riflessa, p. 36.

55 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 292. 56 Braccialarghe, Nelle spire di Urlavento, p. 37.

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21 Fra le convergenze tra romanzo e testimonianze, conviene considerare anche alcuni cenni al cibo, in particolare agli espedienti adottati dai confinati per procurarsi da mangiare. Nel romanzo Wu Ming 1 menziona le castagne come fondamento nutritivo in due occasioni:

«A fine pasto arrivò il dessert: castagnaccio alla toscana. Anni dopo il solo menzionare le castagne ci avrebbe dato la nausea, ma nel ’39 era ancora una leccornia»57; «Per un bel pezzo andammo avanti mangiando solo castagne: castagne bollite, caldarroste, zuppa di castagne, castagnaccio»58 Queste menzioni richiamano l’incisiva affermazione di Jacometti sulle «ciottolose castagne secche»59, che tra il 1941 e il 1942 formarono la base stessa dell’alimentazione dei confinati.

Ancora riguardo il cibo, nel romanzo così come nelle memorie di Jacometti, si ricorda che la fame aveva indotto i confinati a nutrirsi persino di cani e gatti. L’ex-confinato concentra in due brevi periodi questa informazione: il primo contenente un’allusione al fatto che «la gente dell’isola si lamenta[va] della scomparsa rapida dei gatti»60 e il secondo con un’altra all’allusione all’ingresso di «uno che porta[va] un cane in camerone»61.

Si ritrovano le stessi allusioni, in questo caso più esplicite, anche ne La macchina del vento:

«Dall’isola erano già scomparsi i gatti, e adesso svanivano i cani. L’ultimo a cadere fu Ciro, o Unulfo, il cane lupo del centurione. Gli tesero un agguato i comunisti. (…) Pertini disse che, finché lui fosse stato capo mensa (…) da noi non si sarebbero mangiati cani. Non parlò di gatti, perché quelli li avevamo già cucinati»62

Conviene confrontare anche la rappresentazione romanzesca di due decessi avvenuti a Ventotene con la ricostruzione di Corvisieri. Nel racconto di Wu Ming 1, il narratore fornisce i dettagli delle malattie e del trattamento riservato ai malati al confino:

«Giuseppe Piancastelli, quarant’anni, operaio comunista di Imola, era a Ventotene dal marzo del ’39. Prima si era fatto tredici anni di carcere. (…) Piancastelli fu piegato in due da un improvviso dolore all’addome, (…) il medico della colonia lo visitò, disse che era una colica intestinale (…). Fu chiaro che si trattava di peritonite. Doveva essere ricoverato e operato al più presto. Il 30 giugno, una delegazione guidata da Terracini fu ricevuta dal direttore. (…) La delegazione non ottenne nulla,

57 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 45. 58 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 285. 59 Jacometti, Ventotene, pp. 61-62.

60 Jacometti, Ventotene, p. 100. 61 Jacometti, Ventotene, p. 100.

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e Piancastelli continuò a peggiorare. (…) Finalmente, d’urgenza, si decise la traduzione del malato in ospedale. (…) Sapevamo che ormai era tardi. (…) Il 5 luglio via telegrafo, giunse la notizia. Piancastelli era morto»63; «Un altro compagno stava morendo di tubercolosi. Si chiamava Ernesto

Bicutri, di Casale Monferrato. (…) L’avevano spedito al confino già malato. (…) Nell’infermeria gli armadietti erano vuoti (…) Inviare Bicutri al confino era stato un puro e semplice atto criminale, era la pena di morte senza processo. Pertini scrisse una lettera al ministero»64.

I decessi di Giuseppe Piancastelli ed Ernesto Bicutri sono due casi esemplari degli effetti che aveva «la riluttanza con la quale le autorità concedevano ai confinati la possibilità di essere ricoverati negli ospedali»65. Corvisieri fornisce le stesse informazioni anagrafiche dei confinati e le medesime reazioni del medico e del direttore. Inoltre, sia nel romanzo sia nel saggio viene riportata parte della lettera che realmente Pertini inviò al ministero per denunciare gli abusi di potere delle autorità confinarie e il loro «atteggiamento punitivo nei confronti degli antifascisti più combattivi»66.

In ultimo, impressiona come Wu Ming 1 abbia plasmato sulla base delle testimonianze dirette la sezione di racconto relativa alle vicende successive alla caduta di Mussolini, il 26 luglio 1943. Conviene soffermarsi su alcuni passi di questa sezione del romanzo, a partire dalla descrizione dell’esultanza all’annuncio della caduta di Mussolini. Nell’ordine si veda la riproduzione romanzesca di Wu Ming 1 e le testimonianze di Jacometti, Braccialarghe e Spinelli:

«Pasta-e-fagioli caduto. / Dopo più di vent’anni, caduto. / E adesso? / Il vociare doveva ancora riprendere quando, accanto a me, Fundo, proprio lui, un albanese, gridò: – Viva l’Italia libera! / E l’intera piazza esplose»67 (La macchina del vento);

«E alle otto in punto la voce dell’annunciatore si alza: ‘Sua maestà il Re…’. / Soltanto Fundo grida: ‘Viva l’Italia libera!’»68 (Ventotene),

«Finito il comunicato un grido: ‘Viva l’Italia libera!’, risuonò isolato, senz’eco. E non era stato un italiano a lanciarlo, ma l’albanese Fundo, quasi che solo ad uno straniero fosse dato credere che l’Italia aveva riacquistato, finalmente, la libertà»69 (Nelle spire di Urlavento),

«Il primo a rompere il silenzio fu l’albanese Lazar Fundo, forse perché, non essendo italiano, la sua emozione era minore. Gridò: ‘Viva l’Italia libera!’ ed il grido fu ripetuto da tutti»70 (Come ho tentato

di diventare saggio).

63 Wu Ming 1, La macchina del vento, pp. 144-146. 64 Wu Ming 1, La macchina del vento, pp. 294-295. 65 Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini, p. 79. 66 Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini, p. 79. 67 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 308. 68 Jacometti, Ventotene, p. 129.

69 Braccialarghe, Nelle spire di Urlavento, p. 127. 70 Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, p. 328.

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23 Segue il passo relativo alla formazione di una Commissione di confinati al fine di sottoporre al direttore una serie di richieste:

«– Devi formare una commissione di dieci persone, – gli dissi, – che rappresenti confinati e internati, e andare da Guida. Adesso. Con richieste precise e nette. (…) Prima, per incontrare il direttore dovevi fare una domanda scritta e aspettare che lui ti convocasse. Ma adesso non era più prima. Ci presentammo da Guida senza preavviso, e non chiedemmo udienza: fummo noi a convocare lui»71 (La macchina del vento),

«Dieci minuti dopo una Commissione di confinati è formata. Mezz’ora dopo la Commissione è riunita e delibera. (…) Sono le nove e dieci o le nove e un quarto quando tre membri della Commissione si fanno annunciare al direttore. (…) Un membro della Commissione dice: ‘Vorremmo parlare con lei’. Il direttore (…) invita i confinati a prender posto nelle poltrone che ha davanti»72 (Ventotene),

«Non ci ritenevamo più confinati, ma ospiti involontari. Giungemmo ad un accordo con la direzione della Colonia: in cambio della promessa d’autodisciplina ottenemmo la fine di tutte le restrizioni»73

(Nelle spire di Urlavento),

«Costituimmo subito una commissione di rappresentanti delle diverse correnti politiche presenti nell’isola (…). Ci recammo insieme dal direttore della colonia, che era Marcello Guida, e mentre tradizionalmente per avere un colloquio con lui occorreva una ‘domandina’ scritta (…), questa volta ci fecero attendere solo pochi minuti»74 (Come ho tentato di diventare saggio).

Dunque, Wu Ming 1 ripercorre i passi dei confinati verso la riconquista delle libertà personali e dei diritti persi durante la prigionia. In questa sequenza di eventi è compreso il singolare episodio della nave che giunse il 28 luglio a Ventotene. Questa nave da guerra trasportava Mussolini poiché il governo Badoglio stava cercando un luogo appropriato dove confinarlo. Ne La macchina del vento, le parole del narratore Erminio restituiscono lo stupore descritto anche nelle testimonianze degli ex-confinati di fronte all’ironia del fatto che volessero confinare insieme a loro, l’uomo che per primo li aveva condannati ad anni di prigionia e privazioni:

«Cos’era venuta a fare quella nave? (…) Il mistero ce lo svelò Guida (…). Lo fece ridendo, e scappò da ridere anche a noi (…). Radio confino esplose: dire che la notizia era ghiotta significava sminuirla. Era l’ironia della Storia. Era la giustizia poetica. / Pasta-e-fagioli. / Sulla Persefone c’era Lui»75 (La macchina del vento),

71 Wu Ming 1, La macchina del vento, pp. 310-311. 72 Jacometti, Ventotene, p. 129.

73 Braccialarghe, Nelle spire di Urlavento, p. 133. 74 Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, p. 328. 75 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 317.

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«‘(…) di che missione speciale si tratta, direttore?’. ‘Non posso dirvelo,credetemi (…). Accordatemi un giorno o due. Vi prometto che ve lo dirò’. (…) ‘Il generale… ebbene, il generale aveva a bordo… lui’. (…) ‘E voleva condurlo qui?’ (…) ‘Ma si rende conto lei di quello che sarebbe avvenuto?’»76

(Ventotene), «Più tardi sapemmo che quella nave trasportava Mussolini. L’intelligenza dei nuovi governanti non aveva trovato altro luogo di reclusione per l’ex dittatore, e se il direttore della Colonia non si fosse opposto a riceverlo, l’avremmo avuto con noi»77 (Nelle spire di Urlavento),

«Arrivò una motovedetta; un uomo in borghese, evidentemente della polizia, ne scese e si recò da Guida. Il nostro comitato si precipitò verso la direzione, ma quando vi giunse l’uomo in borghese stava già rimontando sulla piccola imbarcazione militare. Guida ci disse che sul battello c’era Mussolini»78 (Come ho tentato di diventare saggio).

Anche la descrizione dei confinati del romanzo riproduce piuttosto fedelmente le rappresentazioni delineate nelle testimonianze degli ex-confinati. È il caso di Lazar Fundo, confinato albanese e comunista dissidente. Ne La macchina del vento, la rappresentazione del confinato albanese e del suo peculiare modo di studiare è coerente a quelle dei testimoni menzionati:

«Anche Fundo era appassionato di cultura classica. Leggeva il greco e andava in giro con le tasche piene di pezzetti di carta: versi di poemi, appunti, citazioni trascritte dai libri che prendeva in biblioteca. Ogni tanto si fermava, pensoso, e si rovistava in tasca. Estraeva una manciata di cartigli, trovava quello che gli serviva, lo rileggeva muovendo le labbra, lo riponeva e si rimetteva in cammino, anche lui legato al filo dei pensieri, perso in chissà quali visioni»79.

La descrizione che Wu Ming 1 fa del dissidente comunista albanese si deve nuovamente a Jacometti, per il quale Fundo era «Gran cultore di Omero e di Platone» e usava «trascrivere la parola o il periodo che gli interessa[va] su cartigli di cui si riempi[va] le tasche»80 per poi tirarli di nuovo fuori e rileggerli durante il cammino.

Si aggiunga che anche Braccialarghe nella sua testimonianza descrive brevemente il prigioniero albanese come un uomo «immerso nello studio del greco, come se cercasse in Omero l’amicizia che non trovava tra i suoi contemporanei»81. A queste attestazioni si unisce quella di Spinelli che nella sua autobiografia ricorda Lazar Fundo, descrivendolo come un bell’uomo dai capelli biondi, che era solito passeggiare «mormorando a bassa voce le parole di Platone che stava leggendo in greco»82.

76 Jacometti, Ventotene, p. 135.

77 Braccialarghe, Nelle spire di Urlavento, pp. 141-142. 78 Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, p. 329-330. 79 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 168.

80 Jacometti, Ventotene, p. 45.

81 Braccialarghe, Nelle spire di Urlavento, p. 95. 82 Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, p. 266.

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25 Si veda anche il caso esemplificativo dell’emblematica eleganza di Sandro Pertini.

La scrittrice napoletana Fabrizia Ramondino restituisce un’immagine del Pertini integerrimo difensore della dignità personale, un «‘elegantone’ (…); come a significare

quotidianamente che non si sarebbe mai piegato al regime, che il suo convincimento era fermo e diritto come la piega del suo pigiama»83. Un ritratto molto simile a quello tratteggiato da Wu Ming 1 attraverso le parole di Erminio a Giacomo: «– Guardalo: si veste in modo impeccabile, per ribadire che è superiore ai nemici»84 e nelle memorie di Erminio: «Il capo mensa era Pertini, che amministrava spese e turni con metodo, elegante come sempre senza i fanatismi di Traquandi»85.

Si può ipotizzare che entrambi facciano capo alle memorie di Jacometti, secondo il quale Pertini era «l’arbiter elegantiarum del confino»86 che si impegnava fortemente per mantenere precisione e ricercatezza del suo vestiario, riflesso della sua determinazione ad apparire sempre impeccabile, per dimostrare di non cedere all’abbrutimento.

Infine, si veda la descrizione del bibliotecario di Ventotene, Mario Maovaz. Jacometti ricorda il repubblicano triestino in un paragrafo dedicato alla biblioteca:

«Un bel tipo, Maovaz. Vecchio repubblicano triestino, ha, a sessant’anni, l’abilità di un giovanotto (…). Gran viaggiatore al cospetto dell’eterno, cineasta e profeta, ti predice, di due mesi in due mesi, la caduta del fascismo (…) e la fine della guerra. Lavoratore instancabile, del resto, è, in biblioteca, elemento preziosissimo»87.

Wu Ming 1 esalta e sviluppa alcuni dettagli forniti dalla testimonianza di Jacometti, in particolare l’aspetto giovanile e atletico del bibliotecario e la sua inclinazione a fare pronostici sulla fine del regime:

«Maovaz era un repubblicano triestino, anzi, dalmata. A cinquantasette anni era uno dei più anziani del confino, benché ne mostrasse molti di meno e, perfino nelle condizioni che pativamo, serbasse un fisico da atleta»88; «Il fascismo ancora non cadeva e Maovaz ritoccava le previsioni: ancora sei mesi, e poi ancora sei mesi, e poi ci siamo quasi. I giornali arrivavano di rado, così all’aruspice mancavano le viscere di animali, in compenso ascoltava Radio Londra»89

83 Ramondino, L’isola riflessa, p. 75. 84 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 38. 85 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 47. 86 Jacometti, Ventotene, p. 42.

87 Jacometti, Ventotene, p. 108.

88 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 187. 89 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 291.

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26 Oltre alle fonti apertamente citate dall’autore, ci sono le memorie e le raccolte di lettere. Fra di esse, una assume un’importanza cardinale nella costruzione di alcuni dialoghi. Si tratta di Come ho tentato di diventare saggio di Altiero Spinelli, in particolare in rapporto a una meditazione sul linguaggio notturno90.

Lo Spinelli della narrazione wuminghiana introduce Squarzanti a questa dimensione notturna, a questa lingua misteriosa e ricca che è «puro monologo»91 ed arricchisce le conoscenze che si acquisiscono di giorno mediante il ragionamento razionale, per capire «quel che accade malgrado e non grazie ai calcoli, alle manovre, alle occasioni»92.

Inoltre, in merito a Spinelli, Wu Ming 1 fa sì che Squarzanti utilizzi una locuzione latina presente anche nella raccolta di memorie del fondatore del federalismo europeo. L’espressione Habent sua fata libelli è impiegata da Spinelli in riferimento alla letteratura federalista inglese degli anni ’30, caduta nell’oblio e nell’indifferenza dei lettori: «Ho spesso pensato che veramente habent sua fata libelli»93. La stessa locuzione ritorna in Wu Ming quando Squarzanti rievoca il momento in cui finisce la lettera ad Altiero, la missiva con la quale gli consegna il suo parere sul Manifesto di Ventotene:

«Ci misi giorni e giorni, ma scrissi. Mi feci scoppiare la testa, e l’avrei pagata cara in seguito, ma scrissi, e terminai l’ultima frase – ‘Habent sua fata libelli’ – che era già agosto inoltrato. Avevo la mia epistula ad Altierum»94.

Come i saggi sul federalismo, la lettera di Erminio, ignorata dai destinatari, cade nell’oblio. Dunque, l’espressione latina, in entrambe le occasioni, nota che la sorte dei testi, una volta conclusi, non dipende più dall’autore, essi hanno vita propria e la loro fortuna è determinata dai lettori.

1.5 Struttura narrativa

Ne La macchina del vento si individuano due parti. La prima parte iniziale è di natura didascalica: comprende un elenco dei motivi per i quali si veniva mandati al confino («Ti mandavano al confino perché»95) e la descrizione dell’isola di Ventotene («Ventotene ha la

90 Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, pp. 318-321. 91 Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, p. 319. 92 Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, p. 320. 93 Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, p. 307. 94 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 266.

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27 forma di un cavalluccio marino»96) che si conclude con l’affermazione del narratore «Ecco, era questa la villeggiatura»97, in riferimento alla concezione del confino che il fascismo aveva dapprima fatto circolare attraverso canali privati e poi diffuso attraverso inchieste e articoli di giornale nei quali si esaltavano le bellezze naturali dei luoghi di confino98. Si ricorda, inoltra, la ripresa dell’equiparazione confino-villeggiatura da parte dell’ex presidente del consiglio Berlusconi, secondo il quale Mussolini “mandava la gente a fare vacanza al confino”.

La seconda parte comprende il nucleo centrale delle vicende in cui prendono avvio i primi racconti di Giacomo sulla sua esperienza di inventore della macchina del tempo.

Le identità del narratore e del narratario non sono immediatamente riconoscibili, ma col protrarsi della narrazione si fa chiaro al lettore che il narratore è Squarzanti stesso e il tu a cui si rivolge è uno studente intenzionato a scrivere la sua tesi di laurea sull’esperienza di confino.

L’intervista rilasciata da Erminio è il fulcro strutturale attorno a cui ruota il romanzo. La soggettività della narrazione fa sì che l’opera assuma i tratti di un memoriale, seppure fittizio, e, al contempo, agevola l’introduzione di elementi fantastici e mitologici, la cui presenza sarebbe stata difficilmente giustificabile in una ricostruzione cronachistica. Ne La macchina del vento sono evidenti gli esiti di questa tendenza all’ibridazione del romanzo storico con narrazioni di tipo fantastico e fantascientifico. Difatti, nei Titoli di coda, Wu Ming 1 afferma:

«Come Wu Ming ci stavamo muovendo dal romanzo ‘metastorico’ – Q, 54, Manituana, Altai – all’ibridazione di quest’ultimo con la narrazione fantastica/fantascientifica. Si vedeva già ne L’armata dei sonnambuli e si sarebbe visto ancora di più in Proletkult. Anche la mia storia di confino andava in quella direzione.»99

A tal proposito, si ricorda il carattere sperimentale delle scelte narrative del collettivo, già evidenti dalle loro precedenti opere letterarie, a partire dalla selezione di peculiari ambientazioni storiche e dalla predilezione accordata a tutti quei personaggi comunemente non menzionati nei manuali di storia. Questo approccio narrativo del collettivo Wu Ming trova una sintetica e accurata descrizione nelle parole di Remo Ceserani, durante una tavola rotonda con i Wu Ming nel dicembre del 2015:

96 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 22. 97 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 63.

98 Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini, pp. 17-30. 99 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 331.

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