2.1 Criteri d’analisi
2.1.1 Caratteristiche del narratum
In primo luogo, nel presente paragrafo, si intende procedere all’analisi stilistica e linguistica del discorso del narratore.
Ne La macchina del vento troviamo una vasta gamma di innovazioni utilizzate nel testo al fine di rendere la naturalezza e l’istintività del parlato, dal momento che l’intero romanzo altro non è che la testimonianza dell’esperienza singolare di Erminio Squarzanti riportata durante un’intervista. La soggettività della narrazione consente l’utilizzo di un linguaggio diffusamente informale: il narratum si attesta su toni tendenzialmente colloquiali, ai quali, tuttavia, si sottraggono alcuni elementi lessicali, di carattere eterogeneo, dal turpiloquio alla letterarietà, impiegati in base al differente contesto situazionale. Giova menzionare anche il ricorso al dialetto romagnolo di Ferrara, impiegato dal narratore in una breve affermazione rivolta all’intervistatore.
136 Tavosanis, La lingua moderna dei romanzi storici, pp. 338-339. 137 Tavosanis, La lingua moderna dei romanzi storici, p. 340. 138 Tavosanis, La lingua moderna dei romanzi storici, p. 340.
38 Innanzitutto si avvia la disamina a partire dai dispositivi adottati per discernere i diversi piani temporali: l’analisi di tali dispositivi è stata condotta su un campione che comprende le occorrenze più rilevanti, al fine di mostrare con chiarezza la modalità d’impiego e la loro funzione.
Il livello intradiegetico della narrazione permette all’autore di esaltare massimamente gli effetti dell’oralità. Il narratore e protagonista espone la propria esperienza, ma si concede delle pause dalla narrazione e interviene con commenti e osservazioni rivolti all’intervistatore. In queste interruzioni si registra il ricorso al medesimo italiano medio e uniforme, in cui non vengono a mancare i dialettalismi, come avviene di seguito:
«La bobina non gira più, mi sa che si sono consumate le batterie. Ne hai di nuove? Approfitto della pausa per far entrare il gatto, sarà un quarto d’ora che pietisce la mia attenzione appoggiato al vetro. Dài, vién déntar. Guardalo lì, che beatitudine… Non lo sa mica, quant’è fortunato a vivere in tempo di pace. Posso riprendere? Bene»139.
Per quanto riguarda le occasioni d’uso del dialetto si veda il paragrafo 3.2 relativo al dialetto romagnolo-ferrarese del narratore.
Si noti il verbo pietire, violazione rispetto alla forma corretta piatire140: si può ipotizzare che l’impiego sia da imputare alla diffusione della prima forma, affermatasi, a scapito della seconda. Il deittico temporale e quello spaziale inseriscono il dialogo del narratore in una dimensione attuale, scindendolo dal piano temporale della diegesi; mentre l’espressione rivolta al gatto in dialetto ferrarese suggerisce un contesto domestico.
Anche in altre occorrenze si apprezza il ricorso ai deittici per differenziare i piani temporali:
«Forse le mie fantasticherie non sono le stesse di allora, o meglio: qualcheduna sí, mentre altre si modificano man mano che le ripesco nella memoria, in base a ciò che ho appreso dopo. Ma è più complicata di cosí, perché già allora soltanto alcune erano fantasticheria. Solo che fatico a distinguere, si è tutto ricombinato e mescolato… Per l’appunto, ora devo dirti di quell’incontro a Monte dell’Arco, il punto piú alto dell’isola»141.
I deittici testuali designano una porzione di testo in cui l’intervento del narratore, rivolto al tu, cioè all’intervistatore, interrompe la continuità, frapponendosi tra discorso immediato e raccontato:
139 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 64. 140 <https://dizionario.internazionale.it/parola/piatire> 141 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 127.
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«Potrei cominciare cosí: poche decine di chilometri al largo della costa tirrenica…»142; «Dio solo sa se i russi avevano bisogno di Efesto! Scusa, non far caso al minestrone religioso di quest’ultima frase.»143; «Mi avevano subito mandato al confino. E a Ventotene, circondato dal mare del mito…
Ma questa parte la conosci già»144.
L’effetto ottenuto è quello di richiamare l’attenzione sui diversi livelli della narrazione, mettendo in risalto l’atto del ricordare. La memoria di Erminio è la pietra d’angolo sulla quale si erge l’intero romanzo. Ed è una memoria a tratti puntuale, capace di rievocare la lunga serie di eventi vissuti durante il confino, a tratti offuscata dal tempo, bisognosa del sussidio fornitole dal giovane intervistatore, sul quale viene riportata l’attenzione proprio grazie alla deissi:
«Il resto del ’41 e buona parte del ’42 formano un’unica chiazza opaca. Ero troppo impegnato a restare vivo. La fame ottundeva i sensi e impediva ai ricordi di fissarsi. Le tue domande mi aiutano, ma lo sai anche tu: non potrai colmare ogni buco.
Io sarò la tua tesi che non va né su né giù»145.
Dal punto di vista morfosintattico, la spontaneità del parlato è riportata nel testo da elementi di innovazione che si sono imposti sulla tradizione grammaticale. Tali elementi innovativi sono sempre più presenti nella narrativa contemporanea, a sua volta influenzata dal parlato dei nuovi media.
In primo luogo giova rilevare la predilezione per uno stile paratattico, in cui si impone un periodare breve (spesso monoproposizionale) con frasi di tipo nominale ed ellissi.
A sostegno di quanto appena affermato, si veda un campionario di esempi di paratassi, frasi nominali ed ellittiche:
«Dopo un centinaio di metri, ecco il più anonimo dei magazzini. Intorno solo campagna e rade baracche» (p. 9); «Non solo questo, certamente, ma anche» (p. 11), «Insomma, bastava poco» (p. 13); «Giacomo aveva i polsi segnati. (…) I polsi erano ossuti» (p. 20); «Intorno a lui, sghignazzi di camicie nere» (p. 37); «Chioma castana, ancora folta, mascella quadrata, fisico scattante, e soprattutto una gran voglia di evadere» (p. 45); «No, piuttosto il confino» (p. 51); «Almeno quella volta, il trionfo» (p. 53); «D’estate dovevamo esser dentro alle nove di sera. Nella mezza stagione, alle otto. D’inverno alle sette» (p. 63); «Chissà il lutto a Ferrara, e i segreti tripudi» (p. 99); «Per la prima volta, un fronte unico» (p. 124); «Auf Wiedersehen für immer, guerra ‘autonoma e parallela’. E addio per sempre anche al 1940» (p. 217); «Sempre più spesso il Santa Lucia era dirottato in
142 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 19. 143 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 255. 144 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 281. 145 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 250.
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operazioni militari. Arrivava una volta ogni tre. Idem per la nave cisterna» (p. 255); «Dopo il diluvio, la Resistenza. Ogni pietra un partigiano» (p. 326)
In secondo luogo si nota una generalizzata predisposizione alla gestione dell’ordine della frase in modo difforme allo standard. Numerosi artifici sintattici sono asserviti allo scopo dell’espressività e della spontaneità, difatti, alcuni esempi di dislocazione testimoniano la suddetta ricerca di spontaneità, oltre ad evidenziare una certa volontà di riorganizzare la frase per mettere in risalto elementi diversi dal soggetto146.
Di seguito un campione selezionato di dislocazioni a destra147:
«Immaginarla era una cosa. Ma crederla vera, quella scena (…) era un altro paio di maniche» (p.11); «Quelli pagati dall’Ovra – polizia politica dal misterioso acronimo – erano detti ‘fiduciari’, ma parecchi lo rendevano gratis, il servigio» (p. 14); «Ti mandavano al confino perché… A volte non lo sapevano nemmeno loro, il perché. Gli stavi sui coglioni e basta» (p. 15); «Non le facevano solo i tedeschi, certe cose» (p. 187).
Al quale si aggiunge un campione selezionato di dislocazioni a sinistra148:
«La spiata sul suo conto (…) l’aveva fatta un certo Piverti» (p. 20); «Il nome dell’isola lo ha eroso e scolpito il vento» (p. 22); «quelle vie non potevamo percorrerle» (p. 23); «L’ora di pranzo la batteva lo stomaco, ben prima di qualunque orologio» (p. 43); «L’annuncio di Pasta-e-Fagioli lo aspettavamo in tanti» (p. 95); «Il quaderno te lo davano la mattina e al secondo appello lo restituivi» (p. 169); «Un perché lo sapevo io, e forse, (…) poteva capirlo Eugenio» (p. 177); «La rogna di un confinato morto in traduzione il ministero se la risparmiava volentieri» (p. 190); «Il cortellazzo dalla parte del manico ormai lo aveva il generale Papagos» (p. 215); «e almeno le apparenze di una cura, anche solo sintomatica, doveva salvarle» (p. 238); «Noi quella spiaggia non l’avevamo mai vista» (p. 261); «In Italia, la rete socialista la stava ricostruendo il centro interno» (p. 280); «I topi non li avevamo ancora mangiati» (p. 300); «Il mistero ce lo svelò Guida» (p. 317); «Colorni, Maovaz e anche Fundo, che la Resistenza non la fece in Italia» (p. 326).
Sempre al servizio dell’immediatezza si riscontra il ricorso a costrutti di senso impersonale con tu generico soggetto, atto a coinvolgere il destinatario (col quale si identifica anche il lettore)149. L’esempio più importante corrisponde al paragrafo III degli Antefatti, in cui è presente l’elenco dei motivi per i quali si veniva mandati al confino. Si veda un breve estratto esemplificativo:
146 Bonomi, Masini, Morgana, Piotti, Elementi di linguistica italiana, pp. 134-136, pp. 181-182. 147 Bonomi, Masini, Morgana, Piotti, Elementi di linguistica italiana, p. 135, p. 181.
148 Bonomi, Masini, Morgana, Piotti, Elementi di linguistica italiana, p. 134, p. 181. 149 Bonomi, Masini, Morgana, Piotti, Elementi di linguistica italiana, p. 109.
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«Ti mandavano al confino perché eri valdese, pentecostale, testimone di Geova… C’era il Concordato, papa Pio XI aveva chiamato il duce ‘uomo della Provvidenza’, ergo, caro il mio fanatico, tu preghi nel modo sbagliato e contrario allo stato, allora ti mandiamo a farlo (…) a casa del diavolo»150.
Altri esempi sono presenti alle pagine 22-24 («guardando diritto vedevi all’orizzonte il litorale laziale»; «Vedevi le pareti a strapiombo»; «Sull’isola avevi sempre quel blu nel campo visivo»), a pagina 34 («Non potevi dipingere (…), ma potevi copiare un dipinto») e a pagina 169 («Macché, potevi scrivere solo su un quaderno che ti dava la direzione (…). Il quaderno te lo davano la mattina»).
Ulteriori occorrenze di costruzioni sintattiche che infrangono lo standard riguardano un periodo anacolutico («I nemici del regime prima si facevano il carcere preventivo, poi subivano il processo-farsa davanti al Tribunale speciale, dopodiché erano anni di galera, e una volta scontata la pena… Tornare liberi?» 151 ), l’impiego analogico del che congiunzione, ossia un che polivalente col quale si costruisce una relativa impropria (con sfumatura causale)152, come spesso avviene nel parlato («Gli ultimi eravamo noi socialisti, che ci contavi sulle dita di due mani e ce n’era d’avanzo»153) e la mancata concordanza del verbo col soggetto («Longobucco era un paese tra boschi di querce e castagni, che prima della guerra contava quasi ottomila persone, ma adesso erano svariati di meno»154). In aggiunta, vi sono proposizioni in cui emerge un impiego semplificato, o divergente rispetto alla norma, dei tempi e dei modi verbali. Si veda il caso di «Se c’era un comunista facile che sbottava»155: ‘facile’ è predicato di una proposizione soggettiva introdotta dal che congiunzione con ellissi del verbo essere e ‘sbottava’, verbo al modo indicativo impiegato in luogo del congiuntivo. Un altro esempio si riscontra in un discorso indiretto libero nel quale è presente un particolare impiego del congiuntivo imperfetto con valore esortativo in luogo del congiuntivo presente156:
«(…) ma sì, se ne andasse pure al diavolo a Ventotene! Il Paese era in guerra, c’erano un sacco di rogne da grattare e si era già perso fin troppo tempo appresso a quello squinternato, che lo si
150 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 15. 151 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 15.
152 Bonomi, Masini, Morgana, Piotti, Elementi di linguistica italiana, pp. 105-106. 153 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 60.
154 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 210. 155 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 86. 156 Renzi, Come cambia la lingua, p. 52.
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mettesse sulla corriera, sul treno, sul piroscafo, sul carro funebre, amen, l’importante era toglierselo dai piedi»157
È possibile constatare che nel testo raccontato non è avvenuta una eccessiva semplificazione del comparto morfo-sintattico, dal momento che, fatta eccezione per le frasi scisse e di tipo impersonale, altri esempi di tratti che rispondono a criteri di semplificazione della lingua contemporanea sono limitati.
Una breve digressione è necessaria per esporre le funzioni d’uso del corsivo nel romanzo. Il corsivo è generalmente impiegato dall’autore per mettere in risalto un elemento testuale (una frase o una singola voce), ma sono in corsivo anche le espressioni in lingue diverse dall’italiano o in dialetto che compaiono nel narratum, le frasi o singoli parole di personaggi ripetute o riportate dal narratore e le interiezioni onomatopeiche. Queste ultime emulano i suoni che i confinati potevano sentire durante gli anni di reclusione e aggiungono la componente acustica a quella prettamente descrittiva del testo. Si riportano alcuni esempi significativi: «vrrrrrrrrrrr»158 per emulare il suono degli uccelli intrappolati dai bambini, «pè rè pè pè rè pè pè rè pè» e «parapànParapànParappaaaaan»159, per emulare la tromba; «zac! zac! zac!»160, per le forbici usate velocemente dal barbiere; «Coccodè!»161, per il verso delle galline; «clang! clang! clag!»162, per il clangore del metallo battuto sull’incudine; «Tac! Tac! Tac!»163, per emulare il suono prodotto durante il tentativo di produrre una fiamma con il metodo della miccia del galeotto.
Dal punto di vista lessicale, è necessario tenere conto nuovamente della soggettività del narratore, dal momento che l’autore ha immesso alcuni elementi che esulano dal complesso degli usi comuni: si tratta di scelte di tipo specialistico o letterario che afferiscono all’insieme delle competenze ed esperienze di Erminio Squarzanti e, dunque, è evidente la funzione mimetica e caratterizzante alla quale sono preposte.
Ne deriva una lingua generalmente media e standardizzata sulla quale si innestano termini letterari, al di fuori dell’uso comune oppure specialistici, con una rimarchevole presenza di parole del linguaggio medico, oltre a termini desunti da altre lingue.
157 Wu Ming 1, La macchina del vento, pp. 189-190. 158 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 24. 159 Wu Ming 1, La macchina del vento, pp. 35 e 290. 160 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 50. 161 Wu Ming 1, La macchina del vento, pp. 213-214. 162 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 252. 163 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 292.
43 Le voci derivate dal lessico medico sono presenti principalmente al fine di descrivere con accuratezza sintomi ed effetti di malattie e aggressioni. Si menzionano: ‘fleboclisi’164, ‘emottisi’165, ‘dispepsia’166, ‘sepsi’167, ‘perineo’168, ‘bacilli di Koch’169, ‘piorrea’170. Tra i forestierismi si rintracciano termini come ‘blasé’171 (in tondo), ‘ballons d’essay’172 (in corsivo), ‘rêveries’173 (in corsivo e in tondo), ‘trompe l’oeil’174 (in tondo, voce specialistica del linguaggio artistico), ed altri più comuni come ‘touché’ 175 (in tondo), ‘divertissement’176 (in tondo), ‘débâcle’177 (in tondo) ‘par excellence’178 (in corsivo) e ‘rendez-vous’179 (in tondo).
Interessante l’impiego del termine ‘argot’ nella sua accezione di lingua segreta («È vero, era proibito discutere di politica e ‘fare propaganda politica in modo anche occulto’(…). Per i casi di orecchie indiscrete, si erano formati argots, lingue segrete»180), nonostante il fatto che, nel romanzo, questi ‘argots’ si limitino ai pochi termini impiegati per riferirsi a Mussolini (‘Pasta-e-fagioli’ e ‘Andrea’) e ai confinati comuni (‘manciuriani’).
Si aggiunga che tra gli usi comuni emerge una serie di termini afferenti al turpiloquio e all’imprecazione.
Le occorrenze di ‘culo’ all’interno del testo raccontato sono sette, presenti in contesti differenti: per espressioni volgari («chiusi in un piroscafo che procedeva verso il buco del culo del mondo»181), per indicare semplicemente la parte anatomica («quando ti svanisce da sotto il culo – non esattamente: il culo era quello di Ettore»182) oppure in espressioni che denotano violenza («Eracle, che senza sudare una goccia aveva rotto il culo al gigante»183, «magari a spingere via i più lenti a pedate nel culo»184, «Si sentiva lo zerbino del mondo, il
164 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 101. 165 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 208. 166 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 221. 167 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 222. 168 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 233. 169 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 247. 170 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 292. 171 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 60. 172 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 67.
173 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 158, p. 166. 174 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 159. 175 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 74. 176 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 158. 177 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 279. 178 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 318. 179 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 181. 180 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 34. 181 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 20. 182 Wu Ming 1, La macchina del vento, pp. 20-21. 183 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 27. 184 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 170.
44 culo che tutti prendono a pedate»185) e anche nella forma composta ‘leccaculo’ («era teppa comune, feccia, accozzaglia di figuri ambigui e leccaculi»186). Si trova una occorrenza per il verbo ‘fottere’ con intento di esaltare la volgarità del desiderio della milizia fascista di possedere una persona («Ti mandavano al confino perché uno della milizia voleva fottersi tua moglie»187) e tre occorrenze per ‘merda’, in due delle quali il termine assume senso letterale («La stradina che passava lì accanto divenne ben presto un polesine di valli di piscio e dossi di merda»188), nell’altra senso figurato («Gli ufficiali via degli Olivi in rombanti sidecar (…) e venivano a fare lo struscio in paese (…) e l’aria di ritenere i locali (…) poco più che merda»189). Il sostantivo ‘piscio’ e il relativo verbo compaiono una volta («La stradina che passava lì accanto divenne ben presto un polesine di valli di piscio»190; «Ciondolavamo per strada e pisciavamo nelle vie!»191). Nessuna occorrenza per l’imprecazione ‘cazzo’.
Al turpiloquio si aggiungano i sopracitati eufemismi coi quali si attenuano le esplicite espressioni volgari, ma non si riduce il coefficiente di espressività del testo. Si noti il ricorso a locuzioni come: ‘pigliare per i fondelli’ («Mica ci voleva un genio per concludere che li pigliavate per i fondelli»192 ), ‘didietro’ («Ti mandavano al confino se (…) maschio, lo pigliavi nel didietro»193), ‘prenderlo in quel posto’ («Il fascismo era italianissimo (…) e dato che il maschio italiano vive nel perenne timore di prenderlo in quel posto»194), ‘i cosiddetti’ («Ai primi di dicembre, la radio continuava a martellarci i cosiddetti con la Germania»195).