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Com’è noto, i crediti possono non essere interamente realizzati non soltanto per cause legate all’insolvenza dei debitori, ma anche per ragioni differenti, che richiedono in ogni caso l’imputazione di opportune rettifi- che volte ad adeguare il valore degli stessi al loro valore di presumibile realizzo.

A questo proposito, il principio contabile nazionale OIC 15 prende in considerazione due fattispecie particolari, vale a dire il caso dei resi e del- le rettifiche di fatturazione connesse a contestazioni da parte della cliente- la (per merci difettose, ritardi di consegna, errori di conteggio, ecc…), nonché l’eventualità di sconti e abbuoni che si presume saranno concessi all’atto dell’incasso; mentre nel primo caso l’impresa dovrà presumibil- mente far ricorso alla propria esperienza per stimare l’entità della svalu- tazione, tenendo cioè conto dell’andamento fatto registrare in passato da eventi simili, per ciò che attiene agli abbuoni e agli sconti, si tratta di fat- tispecie che rientrano solitamente nelle politiche di vendita predefinite dall’impresa e la cui entità può dunque essere stimata con minore appros- simazione.

Un caso particolare, per certi versi riconducibile a quelli appena ana- lizzati, riguarda i crediti concessi dall’impresa ed incassabili con attività diverse dai fondi liquidi: per tali fattispecie occorre innanzitutto verificare

fatto che è destinato ad accogliere delle stime, sia avvertita anche dal principio contabile OIC 15: “L'incertezza nella determinazione di tali perdite deve fare applicare criteri di

svalutazione prudenziali, da cui dovranno scaturire valori adeguati ma non eccessivi, ma non è accettabile che tramite il fondo si miri a distribuire le perdite sui crediti nei vari esercizi al fine di stabilizzare i risultati di esercizio”.

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se tale modalità di estinzione fa parte dell’accordo iniziale tra le parti, o se rappresenta una facoltà concessa al debitore. Nel primo caso, il credito andrà valutato al valore corrente dell’attività e, in assenza di qualsiasi ul- teriore indicazione in merito, ma guidati dal principio della prudenza, è lecito ritenere che ciò comporti l’obbligo di operare una rettifica di valore (svalutazione) qualora il valore corrente dell’attività diminuisca.

Non va neppure presa in considerazione, invece, la possibilità di riva-

lutare il credito a fronte di eventuali incrementi nel valore corrente

dell’attività: appare evidente come la soluzione opposta comporterebbe l’attribuzione al reddito di componenti positive non ancora realizzate (pe- raltro scaturenti da attività non ancora entrate a far parte del patrimonio aziendale65); alla scadenza del credito, pertanto, l’attività ottenuta in cambio dei fondi liquidi sarà iscritta nel bilancio del creditore, ormai soddisfatto nel suo diritto, al valore inizialmente attribuito alla stessa (al netto di eventuali svalutazioni nel frattempo imputate) e qualsiasi mag- gior valore che il mercato dovesse eventualmente riconoscere all’attività avrebbe ragione di partecipare ai risultati aziendali solo ed esclusivamen- te nei limiti in cui venisse concretamente realizzato attraverso la dismis- sione dell’attività sul mercato.

A supporto di questa lettura, il principio OIC 15 sancisce che, qualora l’estinzione tramite attività diversa dai fondi liquidi originariamente pre- visti rappresenti una facoltà concessa al debitore, l’impresa creditrice è tenuta a valutare il proprio credito al minore tra l’importo incassabile in contanti ed il valore corrente dell’attività eventualmente ricevuta in pa- gamento: in questo modo risulta prudentemente garantita la partecipazio- ne ai risultati economici delle sole componenti negative riconducibili alla diminuzione del valore corrente dell’attività stessa, rispetto al valore ori- ginario del credito.

Accanto alle fattispecie appena analizzate, si rende opportuno com- mentare anche il richiamo fatto dal principio contabile OIC 15 al tema dell’attualizzazione dei crediti: l’assimilazione alle altre cause di rettifica del valore nominale dei crediti deriva, infatti, dalla possibilità − in verità esplicitamente avversata dal citato principio contabile − di optare in de- terminate circostanze per la rappresentazione in bilancio delle suddette poste a valori attuali in luogo dei valori nominali, con conseguente impu-

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Proprio per questo motivo non appare praticabile neppure la soluzione alternativa di imputare la rilevazione direttamente a patrimonio netto ad apposita riserva di rivaluta- zione (rivalutazione economica): non si ravvedono, infatti, in questa fattispecie gli estremi per giustificare una deroga alle regole civilistiche, ai sensi del 4° comma dell’art. 2423.

tazione per competenza delle relative componenti economiche, in base ai tassi impiegati per l’attualizzazione.

Come si è già avuto modo di commentare, d’altronde, anche la prassi ha mostrato di preferire una rettifica indiretta del valore nominale dei crediti, mediante il ricorso a ratei e risconti, facendo con ciò prevalere il rispetto del principio di competenza all’attenzione verso una rappresenta- zione delle suddette poste dell’attivo che risulti più rispondente alla loro realtà economica, che si ritiene meglio espressa da un valore attuale ri- spetto ad un valore nominale. Tale scelta risulta indubbiamente prediletta anche dal principio contabile OIC 15 il quale, addirittura, raccomanda di imputare, ove rilevanti, gli interessi impliciti derivanti dalla differenza tra il valore nominale ed il valore attuale a diretta riduzione dei ricavi che hanno originato il credito ed in contropartita tra i risconti passivi, piutto- sto che in diminuzione del credito stesso, giudicando questa alternativa meno agevole ai fini della comprensione del bilancio66, a conferma che l’obiettivo dell’attualizzazione consiste esclusivamente nella determina- zione del corrispettivo finanziario per tutto il periodo di indisponibilità del denaro67.

Il trattamento descritto è riservato, in particolare, sia ai crediti a me- dia e lunga scadenza per i quali gli interessi non sono esplicitati, sia ai crediti con interessi espliciti sebbene notevolmente inferiori a quelli che dovrebbero ritenersi appropriati; sono tuttavia previste delle eccezioni, rappresentate dai crediti a breve termine, ossia esigibili entro l’esercizio successivo, per i quali l’attualizzazione non produce effetti economici ri- levanti; dagli acconti, in quanto crediti a fronte dei quali non è prevista la restituzione di una somma di denaro, bensì la corresponsione di un servi- zio o la cessione di un bene; dai crediti rappresentativi di cauzioni o ga- ranzie concesse alla controparte e, infine, dai crediti concessi a condizioni fuori mercato in ragione di specifiche norme di legge (cosiddetti crediti agevolati)68.

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Cfr. OIC, Principi contabili. I crediti, op. cit., pag. 12. 67

Cfr. M.LACCHINI, Modelli teorico-contabili e principi di redazione del bilancio, op. cit., pagg. 233. Per un’esemplificazione del procedimento raccomandato dal principio, si rinvia a: E.SANTESSO,U.SOSTERO,I principi contabili per il bilancio d’esercizio, op.

cit., pagg. 480-482. 68

Sulla base di quanto osservato, si comprende come il concetto di attualizzazione acquisti una rilevanza particolare con riferimento ai crediti finanziari, che generalmente presentano una durata che eccede il breve termine e sono spesso erogati a condizioni non allineate ai tassi di mercato (specialmente quando negoziati tra imprese appartenenti al medesimo gruppo, o a beneficio di dipendenti e soci dell’impresa erogante). Alla luce del- la centralità dell’operatività in crediti nell’ambito bancario e finanziario, inoltre, non stu-

Come già a suo tempo osservato, un elemento critico ai fini dell’attualizzazione dei crediti è rappresentato dal tasso di sconto impie- gato69: secondo l’OIC 15, da un punto di vista teorico, occorre fare rife- rimento al tasso che due parti consapevoli e disponibili avrebbero con- cordato per un’operazione similare, vale a dire un tasso di mercato: tutta- via, sul piano concreto, l’assenza di un mercato che accolga con regolari- tà, sufficiente trasparenza e regole comuni tali transazioni, nonché, l’elevata asimmetria informativa che caratterizza le operazioni creditizie e che rende assai difficoltosa l’individuazione stessa di operazioni simila- ri − soprattutto a causa della presenza di elementi che risultano condizio- nati dallo specifico rapporto tra le parti − costituiscono seri ostacoli alla definizione di tassi di mercato di riferimento per l’attualizzazione.

Come soluzione empirica, il principio contabile suggerisce di consi- derare il costo medio del finanziamento esterno dell’impresa (esclusi, pe- rò, i prestiti per il finanziamento delle immobilizzazioni tecniche70), ov- viamente determinato con riferimento alla data dell’operazione oggetto di valutazione. A questo proposito, si sottolinea come tanto il tasso, quanto il valore attuale del credito per il suo tramite ottenuto, entrambi determi- nati in sede di prima rilevazione del credito stesso, debbano rimanere co- stanti fino alla scadenza di quest’ultimo, a meno di rettifiche dovute ad inesigibilità che, in base a quanto stabilisce il principio, vanno a ridurre il valore del credito agendo sui flussi attesi, senza modificare il tasso di at- tualizzazione71.

pisce che la prassi di attualizzare crediti finanziari a medio e lungo termine sia risultata molto diffusa presso numerosi intermediari creditizi e finanziari, non soltanto ai fini di bilancio, ma anche a supporto delle politiche di pianificazione e controllo di gestione.

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“La scelta del tasso d'interesse da compararsi con il tasso d'interesse esplicito per

accertarne la ragionevolezza o per scorporare l'interesse implicito nel ricavo richiede appropriata valutazione”. Ibidem, pag. 12.

70 In linea generale, nella misura in cui si abbia a che fare con crediti commerciali destinati a sostenere la produzione, la scelta del tasso di attualizzazione dovrebbe essere indirizzata a salvaguardare un equilibrio economico rispetto al costo dei prestiti attinti per finanziare tale produzione ed il conseguente immobilizzo di risorse. Coerentemente, seb- bene il principio contabile non sia esplicito su tale aspetto, laddove dai crediti commercia- li si passi a finanziamenti concessi a condizioni fuori mercato, il termine di riferimento per l’individuazione del tasso di attualizzazione dovrebbe coerentemente mutare.

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Rimane il dubbio circa l’opportunità di mantenere inalterato il tasso di attualizza- zione applicato in sede di rilevazione iniziale anche nell’ipotesi di finanziamenti a tasso variabile fuori mercato (come nel caso di prestiti indicizzati a parametri non coerenti con le caratteristiche del finanziamento stesso e privi di spread per il rischio): in tali circostan- ze l’adozione di un tasso e di un valore attuale costanti altererebbe la misura delle compo- nenti finanziarie imputate al reddito lungo la vita del prestito, specialmente in presenza di

Nel definire l’intervallo temporale per l’attualizzazione che, come detto, investe l’intera durata del credito, il principio contabile presta mol- ta attenzione alle situazioni di temporanea difficoltà del debitore che por- tino l’impresa a rinegoziare le condizioni originarie dell’operazione, ad esempio trasformando un credito a breve termine in un credito a me- dio/lungo termine, postergando in sostanza la scadenza dello stesso, al fine di consentire un più agevole rimborso al debitore.

Nella misura in cui tale rinegoziazione avvenga senza il contempora- neo addebitamento alla controparte di congrui interessi a remunerazione dell’ulteriore dilazione concessa (o con l’imputazione di interessi in mi- sura palesemente inferiore a quella che il mercato avrebbe quantificato), il principio contabile richiede che si proceda, anche in questo caso, all’attualizzazione del credito, seguendo le modalità precedentemente de- scritte, e al riconoscimento del minor valore come perdita dell’esercizio, piuttosto che come rettifica di ricavo72. In assenza di previsioni di manca-

un andamento volatile dei parametri cui è indicizzato il tasso contrattuale. Non va inoltre dimenticata la componente di rischio legata all’oscillazione dei tassi di interesse: a questo proposito, sebbene oggetto di esame fossero i prestiti bancari, si ritiene che la seguente osservazione del Giordano possa essere condivisa ed estesa anche all’ambito delle impre- se non finanziarie: “cercare di misurare le fluttuazioni di valore registrate dai prestiti

bancari in dipendenza dei movimenti dei tassi di interesse può però condurre a risultati arbitrari perché, in assenza di mercati e quotazioni ufficiali, non è agevole identificare per le diverse categorie di operazioni i tassi correnti di interesse più appropriati per l’attualizzazione dei flussi di cassa attesi. Questo esercizio può rivelarsi inoltre di scarsa utilità per i crediti di breve o di brevissima durata e per quelli che posseggono clausole di indicizzazione dell’interesse, vista la bassa sensibilità del loro valore alle variazioni dei tassi di mercato”. Cfr. E.CAVALIERI (a cura di), Il bilancio di esercizio degli enti creditizi, op. cit., pag. 276.

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Tale aspetto è stato adeguatamente approfondito da Di Carlo, secondo il quale “in

tale ipotesi evidentemente non può parlarsi di rinvio al futuro di ricavi”, come nel caso

dei crediti commerciali con interessi impliciti o fuori mercato: richiamando Azzini ed il concetto di conservazione del capitale, l’Autore osserva come, in tali circostanze, “si è di

fronte ad un capitale investito dal quale non si attende reddito per il periodo di investi- mento. E guardato nel suo complesso detto investimento, non può dirsi che non produca reddito. Non può, cioè, sostenersi che il capitale, per effetto del credito concesso e per il periodo di tempo di durata di questo, resta, limitatamente all’aspetto qui osservato, inva- riato”. Infatti, “il capitale di impresa per effetto della concessione di un credito privo, in tutto o in parte, di una adeguata componente finanziaria, non risulta invariato, ma inde- bolito. E a parità di ogni altra condizione questi effetti negativi avranno i loro riflessi in futuro”; quanto detto giustifica, secondo l’Autore, la mancata rettifica diretta del credito,

dal momento che “non si sta discorrendo della perdita su un credito, ma della perdita, in

termini economici, di rendimento del capitale d’impresa”: tale minor rendimento non ori-

to recupero dell’importo nominale connesse all’insolvenza del debitore, la perdita inizialmente imputata al risultato economico dell’esercizio nel quale il credito è concesso verrà successivamente neutralizzata dai com- ponenti positivi corrispondenti agli interessi, determinati in base al tasso di attualizzazione scelto, che il credito avrebbe dovuto fruttare fino alla sua scadenza.