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Il bilancio di esercizio destinato a pubblicazione è regolamentato nel nostro ordinamento da un insieme articolato di norme, a sua volta integra- to da un corpus di principi di generale accettazione, che, come noto, rap- presentano il frutto di un lento e continuo percorso evolutivo che si è snodato nel tempo, spinto dall’esigenza di adeguamento della normativa ai sempre più frequenti cambiamenti dell’economia delle imprese e dell’ambiente in cui le stesse operano, di volta in volta evidenziati con maggiore o minore forza dalla dottrina economico-aziendale, e sempre sottoposti all’imprescindibile vaglio delle istanze di matrice giuridica1.

Nella consapevolezza dell’impossibilità di ripercorrere dettagliata- mente in questa sede, per ovvi motivi, tutte le fasi del suddetto percorso evolutivo, si ritiene tuttavia opportuno sottolineare come l’emanazione delle Direttive Contabili, avvenuta a cavallo degli anni settanta ed ottanta del secolo scorso, come conseguenza della spinta del processo di armo- nizzazione delle legislazioni e delle prassi contabili a livello di Comunità Economica Europea, abbia segnato un punto di svolta importante2, san- cendo il definitivo riconoscimento del bilancio pubblico quale strumento

1

Cfr. S.MARASCA, Le valutazioni nel bilancio d’esercizio, op. cit. pagg. 65 e segg.. Con particolare riferimento alle relazioni intercorse tra dottrina economico-aziendale e precetti giuridici, l’Autore sottolinea come “la dottrina aziendalistica abbia raggiunto

una convergenza unanime su aspetti del fenomeno pressoché incompatibili con le tradi- zionali finalità del legislatore e, quindi, con il profilo giuridico degli studi sul bilancio”: a

detta dell’Autore ciò è ravvisabile soprattutto nel processo valutativo proprio dell’approccio legislativo, orientato alla ricerca del vero e finalizzato alla rappresentazione del capitale a- ziendale quale aggregato di beni, piuttosto che sistema di valori.

2

Cfr. B.CAMPEDELLI BERTACCHE, I principi di bilancio in Europa, Giappichelli, To- rino, 1990, pagg. 23-24.

di informazione rivolto a tutti i soggetti direttamente ed indirettamente interessati all’attività dell’impresa3.

Si assiste, pertanto, alla piena consacrazione dei caratteri della utilità (conoscitiva e decisionale4) e della neutralità (nei termini della mancanza di interlocutori privilegiati) dell’informativa di bilancio, già oggetto di ampio dibattito in dottrina5, a tutela dei molteplici interessi di cui i desti- natari si fanno portatori: tutto ciò viene racchiuso nella innovativa e di- scussa formula della true and fair view6, adottata dal legislatore comuni- tario e tradotta nel nostro Codice Civile nell’espressione rappresentazio-

ne veritiera e corretta7, che assurge a clausola generale dell’intero mo- dello teorico, alla quale risultano informati non soltanto i principi generali di redazione del bilancio (cosiddetti postulati), ma anche i principi parti- colari di valutazione riferiti alle singole categorie di beni che compongo- no il bilancio stesso.

3

“La scelta effettuata attribuisce al rendiconto d’esercizio un ruolo chiave per la

sussistenza dell’impresa: esso viene a costituire un insostituibile mezzo d’informazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa in funzionamento, indispensabile per le decisioni non solo dei responsabili, ma anche dei rimanenti soggetti partecipi della sua esistenza”. Cfr. M.FANNI, Introduzione, in AA.VV.,La contabilità delle imprese e la IV Direttiva CEE, Etas, Milano, 1980, pag. 12.

4

Le due espressioni sono tratte da S.MARASCA, Le valutazioni nel bilancio d’esercizio, op. cit., pag. 140, e saranno oggetto di approfondimento nel successivo capitolo.

5

Sul tema si rinvia, tra gli altri, a F. DEZZANI, La certificazione del bilancio

d’esercizio, Giuffrè, Milano, 1974, pagg. 18 e segg.; F.RANALLI,Il bilancio di esercizio. Caratteristiche e postulati, op. cit., pagg. 5-20. Sul concetto di neutralità del bilancio, si

richiama in particolare il noto dibattito tra Onida e Chambers, rinvenibile nelle seguenti opere dei due Autori: P. ONIDA, I moderni sviluppi della dottrina contabile nord-

americana e gli studi di economia aziendale, Giuffrè, Milano, 1970 e Alcuni punti di dis- senso col pensiero di R. J. Chambers, in Rivista dei Dottori Commercialisti, n. 6, 1973,

pagg. 995 e segg.; R.J.CHAMBERS, Misurazioni, stime e valutazioni nelle decisioni finan-

ziarie, in Rivista dei Dottori Commercialisti, n.6, 1973, pagg. 1001 e segg. e Financial statements, asset valuation and the neutrality principle, in AA.VV., Bilancio di esercizio e

amministrazione delle imprese. Studi in Onore di Pietro Onida, op. cit., pagg. 131 e segg..

6

L’art. 2, comma 3 della IV Direttiva (78/660), riporta infatti tale locuzione che, nel- la versione italiana, è stata così tradotta: “I conti annuali devono dare un quadro fedele

della situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico della società”.

7

Il dettato del secondo comma dell’art. 2423 è il seguente: “Il bilancio deve essere

redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione pa- trimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio”. Per tutti, cfr.

G.FERRERO,I complementari principi della “chiarezza”, della “verità” e della “corret- tezza” nella redazione del bilancio d’esercizio, op. cit..

Un siffatto modello assiomatico, o deduttivo che dir si voglia8, nella misura in cui risulti privo della chiara identificazione dei fini che intende perseguire, appare indubbiamente debole ed erratico: istruire infatti un sistema di regole generali e particolari scaturenti da una clausola genera- le, a tutela della funzione informativa del bilancio, senza tuttavia identifi- care in maniera esplicita i soggetti nei confronti dei quali tale tutela debba essere esercitata, equivale, da un lato, ad alimentare il vano convincimen- to che l’attitudine informativa del bilancio possa considerarsi illimitata e capace di soddisfare indistintamente esigenze informative tra loro etero- genee e spesso confliggenti9; dall’altro lato, solleva concrete difficoltà nella corretta individuazione ed interpretazione del significato dei princi- pi e dei criteri ai quali il processo estimativo deve soggiacere, giacché non prevede la chiara definizione della configurazione di reddito e capita- le che deve risultare dal bilancio10.

Parte della dottrina ha ampiamente sottolineato e criticato questa ca-

renza teleologica11, evidenziando come il riferimento ai concetti di rap- presentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanzia-

8

Per approfondimenti, si rinvia a: G.GALASSI, Sistemi contabili assiomatici e siste-

mi teorici deduttivi. Prime proposizioni per una teoria generale della ragioneria, Patron,

Bologna, 1978. 9

Afferma in proposito Broglia Guiggi: “è infatti erroneo credere che sia possibile

trarre dal bilancio di esercizio ogni sorta di informazione, comunque composta”. Cfr.

A.BROGLIA GUIGGI,Il bilancio di esercizio destinato a pubblicazione, Cedam, Padova,

1990, pag. 11. 10

“Le conoscenze che dal bilancio si possono trarre dipendono dal fine che presiede

alla sua redazione e, nello specifico, dalla particolare configurazione di reddito d’esercizio e di capitale di funzionamento che viene fatta oggetto di determinazione. I fini perseguiti, infatti, definiscono le modalità in base alle quali viene condotto il processo di astrazione strumentale alla misurazione del reddito e del capitale e condizionano la for- mazione dei valori esposti nei prospetti di stato patrimoniale e di conto economico” Cfr.

G.ROSSI,Il principio di prudenza nel bilancio d’esercizio, Aracne, Roma, 2006, pag. 150.

In questo senso anche M.LACCHINI, Modelli teorico-contabili e principi di redazione del

bilancio, op. cit., pag. 84.

11

L’espressione è di Lacchini: Ibidem, pag. 48. Tra gli altri Autori che hanno soste- nuto la medesima posizione, si rinvia a: G. ZANDA, Bilancio d’esercizio e qualità

dell’informazione esterna d’impresa, in Atti della tavola rotonda “Contabilità e bilancio: uno schema concettuale, Luiss, Roma, 1977, pag. 4; P.CAPALDO, Gli obiettivi del bilan-

cio d’esercizio e la IV Direttiva CEE, in AA.VV., La contabilità delle imprese e la IV Di-

rettiva CEE, Etas, Milano, 1981, pag. 263; G.BRUNI, I principi contabili generalmente

accettati, in E.ARDEMANI (a cura di), L’impresa. Economia, controllo, bilancio, vol. III, Giuffrè, Milano, 1984, pag. 423; M.PINI, Il bilancio d’esercizio e l’introduzione della IV

Direttiva CEE: i postulati ed i principi di redazione, in AA.VV., Contabilità, bilancio e

ria e del risultato economico dell’esercizio non valga a definire alcun fi- ne, quanto piuttosto a porre dei vincoli all’operato del redattore del bilan- cio nell’espletamento del contenuto dello stesso12.

Pur condividendo in linea di massima tali osservazioni, la dottrina prevalente ha tuttavia sottolineato come l’individuazione dei fini del bi- lancio e la definizione del suo contenuto, nei termini della configurazione di reddito e di capitale ai suddetti fini asservita, emerga abbastanza chia- ramente dall’analisi delle disposizioni civilistiche13: dal combinato dispo- sto degli articoli 2423, 2423bis e 2217 – nella sua formulazione poco “aggiornata” – si desume, infatti, che dal bilancio destinato a pubblica- zione devono risultare la misura del reddito prodotto nell’esercizio ed il connesso capitale di funzionamento14.

Anche alla luce delle considerazioni svolte nel precedente capitolo, non vi è dubbio che l’orientamento alla determinazione del reddito pro- dotto sia del tutto coerente con la funzione informativa attribuita al bilan-

12

In questo senso la clausola generale espleta il suo ruolo di overriding rule rispetto ai postulati ed ai criteri di valutazione, obbligando il redattore sia a predisporre un’informativa complementare, in tutti i casi in cui le informazioni richieste dalle disposi- zioni di legge non sono sufficienti a fornire una rappresentazione veritiera e corretta, ma anche a derogare alle suddette disposizioni laddove queste ultime contrastino con il ri- chiamato fine. In questo contesto, come si avrà modo di ribadire nel seguito, trovano e- splicito riconoscimento i principi contabili di estrazione professionale. Cfr. OIC, Principi

contabili. Bilancio di esercizio. Finalità e postulati, op. cit., pag. 5.

13

Ferrero, ad esempio, ritiene che “la pluralità di obiettivi che la legge persegue, in-

fatti, essendo impliciti nel contesto degli statuiti requisiti e principi di redazione del bi- lancio, dovrà emergere dalla corretta interpretazione dei medesimi, il cui congiunto con- dizionamento è peraltro chiaramente proteso a realizzare una compiuta intellegibilità del bilancio d’esercizio”. Cfr. G.FERRERO, I complementari principi della chiarezza, della veri-

tà e della correttezza nella redazione del bilancio d’esercizio, op. cit., pag. 3. In questo sen-

so anche S.MARASCA, Le valutazioni nel bilancio d’esercizio, op. cit., pag. 88; G.ROSSI, Il

principio di prudenza nel bilancio di esercizio, op. cit., pag. 152. Lo stesso Lacchini, in con-

clusione alla sua critica sull’impianto concettuale alla base del sistema di regole civilisti- co, osserva: “Questo impianto si rivela, tuttavia, acefalo poiché l’omessa indicazione del

fine priva il costrutto dell’orientamento di fondo alla stregua del quale parametrare e valutare principi e criteri; questa funzione è surrogata in parte dalla «rappresentazione veritiera e corretta» (con tutte le aporie che ciò comporta e di cui si è detto) e in parte dalla possibilità che il fine sia enucleabile mediante i principi stessi”. L’Autore non man-

ca, tuttavia, di ribadire l’intrinseca debolezza dei principi di redazione e valutazione, stan- te la loro derogabilità per ottemperare alla clausola generale. Cfr. M.LACCHINI, Modelli

teorico-contabili e principi di redazione del bilancio, op. cit., pag. 84.

14

“Il reddito di esercizio che scaturisce dal procedimento di formazione del bilancio

deve costituire il «reddito prodotto» cioè conseguito dall'impresa nel periodo amministrati- vo”. Cfr. OIC, Principi contabili. Bilancio di esercizio. Finalità e postulati, op. cit., pag. 13.

cio15: in quanto avulsa “dai condizionamenti e dalle distorsioni ricondu-

cibili a politiche di bilancio tese a favorire finalità conoscitive particolari non generalizzabili16”, tale configurazione di reddito riesce nell’intento di rappresentare una base, seppur minima, di conoscenza comune e condivi- sa tra le varie categorie di destinatari dell’informazione societaria, le cui esigenze informative trovano contemperamento in un’unica visione di sin- tesi, espressione del grado di efficacia e di efficienza della gestione azien- dale17. L’utilità del bilancio, precedentemente richiamata, trova quindi concreta realizzazione in questo insieme minimo di informazioni qua- li/quantitative che l’impresa mette a disposizione dei suoi interlocutori, al fine di consentire loro di verificare l’esistenza attuale e prospettica, nei limiti dell’attendibilità delle stime operate, delle condizioni di economici- tà che permetteranno all’impresa stessa di permanere nel tempo. A prima vista, si tratta di un oggetto conoscitivo che opera in modo indistinto ed imparziale nei confronti della molteplicità dei destinatari del bilancio e per ciò stesso risulta neutrale, ossia non asservito agli interessi di una particolare categoria di soggetti a discapito di altre.

La neutralità, come noto, pur informando l’intero processo di forma- zione del bilancio, acquista particolare rilievo con riferimento all’area degli elementi soggettivi: in presenza di procedimenti di stima che impli- cano un certo grado di discrezionalità nell’attribuzione dei valori, sono infatti richieste oculatezza, competenza e giudizio a garanzia dell’imparzialità dell’informazione prodotta18. Ciò che a livello teorico

15

A questo proposito risultano chiare le parole del Fanni che, sebbene riferite alla scelta del legislatore comunitario, si riflettono inevitabilmente sul coerente orientamento del legislatore civilistico: “il legislatore europeo non concorda, perciò con l’opinione se-

condo cui la conoscenza del reddito servirebbe ai fini della consumabilità, nel senso che il rendiconto dovrebbe chiudersi con un risultato idoneo a esprimere solo la misura dell’utile convenientemente erogabile agli aventi diritto, in conformità alle cosiddette politiche di bilancio (di stabilizzazione dei redditi, di risparmio d’impresa, ecc.)”. Cfr. M.FANNI, Intro-

duzione, op. cit., pag. 12. Un’identica chiave di lettura è rintracciabile in F.RANALLI, Il bi-

lancio di esercizio. Caratteristiche e postulati, op. cit., pag. 343.

16

Cfr. G.ROSSI, Il principio di prudenza nel bilancio d’esercizio, op. cit., pag. 156. 17

“Evidenziare in bilancio il reddito che razionalmente può ritenersi prodotto nel pe-

riodo, vuol dire fornire un indice dell’efficacia con cui l’impresa sta realizzando le proprie combinazioni produttive”. Cfr. F.RANALLI, Il bilancio di esercizio. Caratteristiche e postu-

lati, op. cit., pag. 15. Matacena parla in proposito di reddito prodotto come segnalatore della

“legittimità all’esistenza economica dell’impresa”. Cfr. A.MATACENA, Il bilancio di eserci-

zio. Strutture formali, logiche sostanziali e principi generali, op. cit., pag. 94.

18

In proposito, si rinvia alle considerazioni svolte dal principio contabile nazionale: “La neutralità o imparzialità deve essere presente in tutto il procedimento formativo del

appare incontrovertibile e necessario per tutelare la funzione informativa del bilancio, incontra sul piano concreto della formazione del bilancio un contemperamento operato dal combinato disposto delle disposizioni nor- mative riconducibili ai postulati e ai criteri di valutazione, che vale a de- finirne in maniera più netta i limiti ed il contenuto.

Il riferimento riguarda, in particolare, la scelta del legislatore di col- locare il principio di prudenza in una posizione sovraordinata rispetto ai criteri di valutazione19, quale assunto contabile fondamentale avente la funzione di condizionare la scelta stessa dei criteri attraverso i quali pro- cedere alla determinazione dei valori di bilancio: esso non si limita, per- tanto, a mero “precetto volto a contenere la discrezionalità degli ammini-

stratori facendo loro obbligo di porre in essere tutti comportamenti ne- cessari a preservare l’efficacia e la significatività delle informazioni di- vulgate ai terzi20”, ma si traduce in specifica regola di comportamento sul piano estimativo, le cui implicazioni operative riguardano il divieto di in- cludere nel reddito dell’esercizio gli utili non ancora realizzati e l’obbligo di rilevare le perdite presunte21.

L’impatto di tale principio sul processo di formazione del bilancio è significativo.

Il modello contabile civilistico, finalizzato alla determinazione del reddito prodotto nel corso dell’esercizio, riconosce la pregnanza dei valo-

tabile va intesa come l'applicazione competente ed onesta del procedimento di formazione del bilancio, che richiede discernimento, oculatezza e giudizio per quanto concerne gli elementi soggettivi”. Cfr. OIC, Principi contabili. Bilancio di esercizio. Finalità e postula-

ti, op. cit., pagg. 12-13.

19

Così recita il punto 1) dell’art. 2423bis, che elenca i principi di redazione del bilan- cio: “la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della

continuazione dell'attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell'elemento dell'attivo o del passivo considerato”.

20 Cfr. G.ROSSI, Il principio di prudenza nel bilancio di esercizio, op. cit., pagg. 162-263.

21

“Il principio della prudenza si estrinseca essenzialmente nella regola secondo la

quale profitti non realizzati non devono essere contabilizzati, mentre tutte le perdite an- che se non definitivamente realizzate devono essere riflesse in bilancio”. Cfr. OIC, Princi-

pi contabili. Bilancio di esercizio. Finalità e postulati, op. cit., pag. 13. Sulla distinzione

tra prudenza amministrativa ed estimativa, si vedano, tra gli altri: G.FERRERO, I comple-

mentari principi della chiarezza, della verità e della correttezza nella redazione del bi- lancio d’esercizio, op. cit., pagg. 28-33; M.CATTANEO,P.MANZONETTO, Il bilancio di

esercizio. Profili teorici e istituzionali negli anni Novanta, Etas, Milano, 1992, pagg. 182-

183; L.D’ALESSIO, Il bilancio d’esercizio nelle imprese. Finalità e principi, Giappichelli, Torino, 1992, pagg. 195-196; E. PERRONE, Il linguaggio internazionale dei bilanci

ri di scambio originari per la rappresentazione di tutte le operazioni che al termine dell’esercizio stesso non sono state ancora completate dall’impresa: la competenza dei ricavi e dei costi in seno al risultato eco- nomico del periodo risulta, pertanto, assoggettata ai vincoli della realizza- zione dei primi e dell’inerenza dei secondi, vale a dire a criteri operativi che consentono di interrompere la circolarità tipica della dinamica azienda- le e delle sue manifestazioni economiche, attraverso il riferimento alle so- le coordinazioni produttive che hanno trovato compimento nell’esercizio22. La simmetria insita in un simile approccio, risulta tuttavia compro- messa, come detto, dall’agire della prudenza, che modifica la correlazio- ne individuata tra ricavi e costi in considerazione dell’incertezza che in- forma il processo valutativo avente ad oggetto operazioni che troveranno completamento in periodi futuri23: da ciò scaturisce, infatti, l’obbligo di scegliere il più basso tra i possibili valori delle attività e dei ricavi e quel- lo più alto tra i possibili valori attribuibili alle passività e ai costi24. Ana-

22

Scrive, in proposito Gaetano: “In base all’accezione attualmente seguita, che ri-

flette il modello di riferimento e l’impostazione della vigente normativa di bilancio, un processo produttivo – che normalmente ha inizio con il sostenimento dei costi di acquisi- zione dei fattori derivanti dagli atti di scambio originari – termina, e contribuisce al pro- cesso di creazione della ricchezza aziendale, con il conseguimento dei ricavi realizzati a seguito del perfezionamento delle relative transazioni sul mercato e/o all’espletamento delle relative prestazioni; in tal modo gli utili realizzati, evidenziati nel bilancio, nascono come differenza tra costi sostenuti per realizzare la produzione venduta e ricavi consegui- ti a seguito della conclusione dei relativi atti di scambio”. Cfr. A.GAETANO, Il principio

della prudenza negli IAS/IFRS. Considerazioni critiche, op. cit., pag. 17. Per approfondi-

menti sulle relazioni tra competenza e prudenza, anche alla luce dei notevoli contributi della dottrina internazionale, si rinvia all’opera già citata di M.PIZZO,L’iscrizione dei ri- cavi tra realizzazione e recognition, op. cit., pagg. 113 e segg.; U.SOSTERO, Il postulato

della competenza economica nel bilancio di esercizio, Giuffrè, Milano, 1998. Sulle impli-

cazioni operative dei criteri di realizzazione dei ricavi e di inerenza dei costi, si rinvia, tra gli altri, a: F.RANALLI, Il bilancio d’esercizio. Caratteristiche e postulati, op. cit., pagg. 32-51.

23

Cfr. A.LIONZO, Il sistema dei valori di bilancio nella prospettiva dei principi con-

tabili internazionali, op. cit., pag. 77.

24

In tal senso si esprime Lacchini, il quale richiama un contributo di Hendriksen. Cfr. M.LACCHINI, Modelli teorico-contabili e principi di redazione del bilancio, op. cit., pag. 91; E.S.HENDRIKSEN, Accounting Theory, R. D. Irwin, Homewood, 1982, pag. 81. In proposito, si fa notare come autorevole dottrina approcci alle relazioni tra competenza e prudenza mediante una differente chiave di lettura, che fa leva sul principio cardine della

ragionevolezza, sul quale la prudenza stessa fonda la sua ragione di esistere: ciò comporta

una rivisitazione in chiave operativa del campo di azione della prudenza, che risulta infatti relegato alla scelta, operata all’interno di un intervallo di valori ragionevoli, di quelli che presentano la maggiore probabilità di essere realizzati; in mancanza di tale spazio di alter- native ragionevoli, la prudenza viene invece a perdere qualsiasi utilità nei confronti del

loga origine ha inoltre l’obbligo di far concorrere al reddito di periodo anche costi e perdite future presunte connesse a rischi in essere al termine dell’esercizio.

Quanto appena osservato evidenzia abbastanza chiaramente la stenta- ta coerenza tra un sistema valutativo orientato ai valori di scambio origi- nari, finalizzato alla determinazione della misura del reddito prodotto e