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La disciplina prevista dal nostro Codice Civile in tema di valutazio- ne dei crediti nel bilancio delle imprese risulta interamente contenuta all’interno di un sintetico comma, l’ottavo, dell’art. 2426, il quale recita: “i crediti devono essere iscritti secondo il valore presumibile di realizza-

zione”.

Va opportunamente sottolineato come tale criterio di valutazione ab- bia sempre rappresentato il riferimento normativo per le poste in esame, fin dalla prima versione del Codice Civile (1942), resistendo indenne alle successive modifiche subite nel tempo dal corpus normativo, la più im-

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Per approfondimenti, si rinvia a A.BROGLIA GUIGGI, Il bilancio di esercizio desti-

portante delle quali risale al 1991, anno di recepimento della Direttiva Comunitaria 78/660, avvenuta con l’emanazione del D.lgs 127/91.

Si giudica conveniente soffermarsi su tale aspetto, per rilevare come la scelta del legislatore, che ha dunque tenuto fede alle interpretazioni della dottrina aziendalistica, non si sia posta in contrasto con le previsioni comunitarie, sebbene sconti un approccio “formale” apparentemente di- verso.

Ciò in quanto il legislatore nazionale non opera alcuna distinzione per la valutazione dei crediti immobilizzati rispetto ai crediti afferenti l’area dell’attivo circolante: il criterio del presumibile valore di realizzo, infatti, viene riferito all’intera categoria dei crediti, senza prevedere alcuna ulte- riore distinzione, né all’interno dell’art. 2426, né in alcun altro articolo del Codice. Diversamente, com’è noto, il legislatore comunitario della Direttiva 78/660 dedica gli articoli dal 34 al 38 alla valutazione delle im- mobilizzazioni, mentre agli articoli dal 39 al 42 è demandato il compito di disciplinare la valutazione delle poste dell’attivo circolante; a ciò si aggiunga, inoltre, il fatto che in nessuno degli articoli citati il legislatore comunitario fa riferimento specifico ai crediti, né risulta possibile rinve- nire un apposito criterio di valutazione per la posta in oggetto.

In realtà va sottolineato come la scelta del legislatore civilistico di at- tribuire un unico criterio di valutazione ad un’intera categoria di attività, senza operare alcuna distinzione in ragione della differente destinazione delle poste ad essa riferite, trova la sua più naturale giustificazione nella considerazione che, a prescindere del tipo di legame che li vincola all’impresa, i crediti rappresentano in ogni caso investimenti la cui con- versione in moneta avviene sempre in via diretta (sia essa la negoziazione o il rimborso), sia pure in condizioni di maggiore o minore incertezza28: l’appartenenza al comparto immobilizzato piuttosto che all’attivo circo- lante non giustifica pertanto il ricorso a distinti criteri di valutazione ma,

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A supporto della tesi sposata dal legislatore civilistico, si richiama quanto previsto a livello comunitario dalla Direttiva 86/635, che disciplina i bilanci bancari, la quale stabi- lisce che ai crediti si applichino i criteri di valutazione previsti per gli elementi dell’attivo circolante. La citata Direttiva prevede, a beneficio dei crediti e delle attività finanziarie classificate nell’attivo circolante, la possibilità che venga applicato un trattamento alterna- tivo a quello previsto dalla Direttiva 78/660: nello specifico, il D.lgs 87/92, che ha recepi- to tale facoltà, ha sancito per i crediti la possibilità di fare riferimento alle quotazioni di

semmai, inciderà sulle modalità di determinazione del valore di presumi- bile realizzo29.

A questo proposito, inoltre, appare indubbiamente significativa la previsione del Codice Civile di classificare separatamente i crediti, all’interno di ciascun comparto, in funzione della durata residua, richie- dendo, per i crediti immobilizzati, la separata indicazione degli importi esigibili entro l’esercizio successivo, mentre, per i crediti dell’attivo cir- colante, imponendo la rappresentazione degli importi in scadenza oltre l’esercizio successivo: come si avrà modo di commentare nelle prossime pagine, si tratta di informazioni rilevanti anche e soprattutto ai fini della determinazione dei valori di bilancio, con particolare riferimento all’applicazione delle logiche di attualizzazione.

A ben vedere, quanto premesso non confligge affatto con il dettato normativo della Direttiva Comunitaria, la quale non a caso non provvede a disciplinare in maniera esplicita i crediti, indipendentemente dal loro comparto di afferenza. Piuttosto, il legislatore comunitario provvede ini- zialmente a fornire un criterio generale cui orientare le valutazioni, vale a dire il costo di produzione o, più indicato per le attività finanziarie, il

prezzo di acquisizione (art. 32)30, che infatti trova concreta applicazione sia per le immobilizzazioni finanziarie (art. 35) che per le attività del cir- colante (art. 39); in entrambi i casi, inoltre, è previsto l’obbligo di operare delle svalutazioni per adeguare il loro valore contabile ad un valore infe- riore alla data di bilancio31.

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Sostiene in proposito Di Carlo: “non si può non notare l’ampia latitudine della

norma, dalla quale deve farsi discendere più che la possibilità l’obbligo, se ne ricorrono i presupposti, di attribuire ai crediti un valore inferiore al nominale. Anche l’uso del gene- rico termine crediti, senza specificazione alcuna, rafforza il principio che va inteso riferi- to a tutti i crediti iscritti in bilancio”. Cfr. A.DI CARLO,I crediti di funzionamento nel bi- lancio di esercizio delle imprese, op. cit., pag. 84.

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Si noti come l’art. 8 del D.lgs 87/92 stabilisca che i crediti derivanti da contratti di finanziamento debbano essere contabilizzati all’importo erogato, diversamente dagli altri elementi dell’attivo per i quali si applica il costo di acquisto o di produzione, in conformi- tà a quanto previsto dalle Direttive.

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A tale proposito, l’art. 35 della Direttiva afferma, al comma 1, lettera c): “Le im-

mobilizzazioni finanziarie possono essere oggetto di rettifiche di valore, per dare a tali elementi il valore inferiore che deve essere ad essi attribuito alla data di chiusura del bi- lancio”; analogamente, per le attività del circolante l’art. 39 recita: “Gli elementi dell'atti- vo circolante sono oggetto di rettifiche di valore per dare a tali elementi il valore inferio- re del mercato o, in circostanze particolari, un altro valore inferiore che deve essere loro attribuito alla data di chiusura del bilancio”. Non si ravvedono ostacoli particolari nel

Non è dato ravvisare, dunque, sostanziale contrasto tra quanto dispo- sto negli articoli della Direttiva e quanto previsto dal legislatore naziona- le, poiché non vi è dubbio che il prezzo di acquisizione per la fattispecie creditizia sia assimilabile al valore nominale, per lo meno in tutti i casi in cui il credito origini in capo all’impresa: in tali circostanze, infatti, stanti le previsioni di recupero delle somme date a prestito (direttamente o indi- rettamente), il costo (valore nominale) rappresenterà il limite massimo attribuibile al credito32, da svalutare in tutti i casi in cui ciò si renda ne- cessario; diversamente, ma solo in apparenza, si sarebbe portati a ragio- nare laddove il credito, erogato originariamente da terzi, sia acquistato ad una data successiva e ad un prezzo inferiore rispetto al suo valore nomi- nale: in tali circostanze, tuttavia, occorre distinguere a seconda che il mi- nor prezzo di acquisizione sia giustificabile come sconto ottenuto per l’anticipazione delle somme al cedente, oppure includa delle previsioni di mancato recupero delle somme dovute dal debitore principale.

In quest’ultimo caso, la rappresentazione in bilancio di un valore in- feriore al nominale, oltre che trovare giustificazione nel prezzo effettiva- mente pagato per l’acquisto del credito, trova la sua giustificazione nelle effettive previsioni di recupero, al punto da considerare irragionevole l’attribuzione di valori superiori, quand’anche ancora inferiori al valore nominale dello stesso33; nel primo caso, invece, nell’ipotesi di ragionevo- le certezza di integrale recupero del valore nominale del credito, la rettifi- ca in aumento del prezzo di acquisizione dello stesso, inizialmente iscritto nell’attivo patrimoniale, potrebbe avvenire indirettamente attraverso la rilevazione di ratei attivi portati ad incremento del rendimento del credito negli esercizi futuri34.

crediti, stante l’assoluta mancanza di significatività per tali poste del richiamo al valore di mercato.

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In proposito si ricorda come nel modello di rilevazione contabile facente capo a Zappa e incentrato sulla contrapposizione tra settore numerario e settore economico, la rilevazione dei crediti di finanziamento portasse alla misurazione di un costo misurato dalla correlata uscita monetaria. In seguito alla rivisitazione di tale modello operata da Amaduzzi, l’inclusione dei crediti di finanziamento nel settore finanziario ha privato di significato il concetto di costo in riferimento a tali poste.

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Per approfondimenti sul principio della ragionevolezza, si rinvia, tra gli altri, a: E.CAVALIERI, Economia Aziendale, op. cit., pagg. 258-263.

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Trattamento contabile che solleva problematiche non indifferenti qualora non si sia in grado di stimare la durata residua del credito. In proposito, si rinvia a: M.BUSSO- LETTI (a cura di), La nuova disciplina dei bilanci di società, Giappichelli, Torino, 1995, pag. 109; G.E.COLOMBO, Trattato delle società per azioni, op. cit., pagg. 317.

Dopo aver chiarito le relazioni tra normativa civilistica e comunitaria, con riferimento specifico ai crediti, e prima ancora di entrare nel merito del criterio adottato dal legislatore nazionale, non si può fare a meno di notare come l’estrema sintesi della disposizione dell’art. 2426 confligga con la complessità della fattispecie oggetto di disciplina, attribuita princi- palmente alla sua eterogeneità ed anche, come si è cercato di evidenziare nel precedente commento alle interpretazioni fornite dalla dottrina, alle molteplici problematiche di carattere operativo che caratterizzano il pro- cesso di classificazione e valutazione di tali poste.

Tuttavia, si ritiene che tali motivazioni non siano sufficienti per attri- buire un facile quanto inopportuno giudizio negativo alla scelta effettuata dal legislatore civilistico: in linea generale, non si può, infatti, chiedere al Codice Civile di disciplinare nel dettaglio, vale a dire mediante la formu- lazione di dettati specifici e al contempo vincolanti, la materia delle valu- tazioni del bilancio, che presenta connotati difficilmente tipizzabili in ri- ferimento alla eterogeneità delle realtà economiche che i bilanci sono chiamati a rappresentare35. A questo proposito correttamente si osserva come l’articolo 2426 sopra citato, più che rappresentare un mero elenco di criteri di valutazione, si preoccupi di porre innanzitutto dei limiti alla valutazione, nel rispetto della clausola generale, entro i quali viene co- munque riconosciuto un certo margine di discrezionalità al redattore del bilancio36: tale discrezionalità, si tiene a ribadire, non investe la scelta di

quale valore iscrivere in bilancio (costo originario/valore nominale piut-

tosto che valore di realizzo o di estinzione), che risulta ancorata a rigidi vincoli prudenziali37, quanto la definizione delle opportune modalità di determinazione dei valori stimati e congetturati “che meglio si attaglino a

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Cfr. A.DI CARLO, I crediti di funzionamento nel bilancio di esercizio delle impre-

se, op. cit., pag. 85.

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Si ritiene opportuno sottolineare come questo aspetto fosse ancora più evidente nell’impianto civilistico antecedente la riforma operata dal D.lgs 127/91: il recepimento della IV Direttiva, infatti, ha portato con sé il definitivo riconoscimento del costo storico quale criterio di valutazione per la quasi totalità delle poste di bilancio, legittimando l’iscrizione in bilancio di valori diversi (inferiori) in circostanze che esulano dalla mera scelta del redattore del bilancio e si riconducono alla esigenza di fornire la misura del red- dito prodotto nell’esercizio. Per opportuni approfondimenti, si rinvia a G.E.COLOMBO,

Trattato delle società per azioni, op. cit., pagg. 197-198.

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Primo fra tutti, quello di impedire l’attribuzione al risultato dell’esercizio di utili non realizzati. Cfr. Codice Civile, art. 2423-bis, commi 1-2.

riprodurre l’economia delle varie situazioni38”, in merito ai quali il legi- slatore ha ritenuto opportuno lasciare libertà di azione al valutatore.

In questo contesto, si ha modo di apprezzare a maggior ragione il ruolo e l’importanza dei principi contabili di estrazione professionale, re- gole tecniche destinate ad integrare e risolvere i problemi applicativi delle norme sul bilancio39: da un lato, essi assurgono a chiave interpretativa dei principi e dei criteri generali dettati dalla legge, nei limiti in cui contribui- scono ad illustrarne i risvolti applicativi; dall’altro lato, essi intervengono secondo una logica integrativa, laddove le norme di legge risultano insuf- ficienti a coprire la vastità della materia oggetto di disciplina40. Il tutto nella sostanziale, oltre che formale, subordinazione del corpus di tali principi alle disposizioni normative, secondo il rigido schema gerarchico che caratterizza le fonti della disciplina della contabilità41.

Quanto appena osservato emerge in maniera evidente nella disciplina dei crediti, la cui analisi, a fronte della richiamata laconicità del legislato- re civilistico42, chiama necessariamente in causa il principio contabile di riferimento al fine di avere un quadro indubbiamente più esaustivo del procedimento valutativo finalizzato alla determinazione del valore pre-

sumibile di realizzazione, sancito dal dettato normativo: per questo moti-

vo, nella trattazione seguente, il contenuto del principio contabile n. 15

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Cfr. D.AMODEO, Alcune considerazioni sugli standards contabili generalmente

accettati, in AA.VV., Bilancio di esercizio e amministrazione delle imprese. Studi in ono-

re di Pietro Onida, Giuffrè, Milano, 1981, pag. 56.

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Fino alla riforma del Diritto Societario (D.lgs 6/2003), l’organismo incaricato di curare l’emanazione e la revisione dei principi contabili a livello nazionale era rappresen- tato da un’apposita commissione che riuniva esperti nominati in seno al Consiglio Nazio- nale dei Dottori Commercialisti e al Consiglio dei Ragionieri; in seguito alla riforma, l’Organismo Italiano di Contabilità si è assunto l’incarico di aggiornare i principi contabili esistenti in conformità alla nuova normativa, acquisendo dunque il diritto alla emanazione degli stessi.

40 Cfr. A.PROVASOLI, Management. Volume 2, Amministrazione e bilancio, op. cit., pagg. 46-47.

41

Sul tema si rinvia, tra gli altri, a: G.E.COLOMBO,Trattato delle società per azioni,

op. cit., pagg. 207-211. Sulle possibili interpretazioni del rapporto tra principi contabili e fonti normative del bilancio, secondo una chiave di lettura critica, si veda, invece, M.LAC- CHINI, Modelli teorico-contabili e principi di redazione del bilancio, op. cit., pagg. 66-73.

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Ben diverso appare il contesto normativo entro il quale risulta disciplinata la fatti- specie dei crediti per gli intermediari creditizi, com’è lecito attendersi data la maggiore rile- vanza che tali operazioni possiedono nell’economia e nella gestione bancaria: a questo pro- posito, tuttavia, si avrà modo di notare nel prosieguo del lavoro come il principio contabile richiamato nel testo, anche nella sua formulazione antecedente all’ultima versione emanata dall’OIC, risulti allineato in diversi aspetti al dettato normativo del D.lgs 87/92, come nel caso delle valutazioni analitiche e forfettarie nell’ambito dei crediti problematici.

dedicato, per l’appunto, ai crediti, sarà oggetto di frequenti rimandi e ci- tazioni, com’è peraltro già avvenuto in sede di approfondimento degli a- spetti definitori.

3.3 Il valore di presumibile realizzazione dei crediti nel dettato del