Ai sensi del Principio Contabile OIC 15, la valutazione di un credito origina in prima approssimazione dal valore nominale dello stesso, al quale dovranno in seconda battuta essere imputate le necessarie rettifiche per tenere conto delle eventuali cause di mancato recupero, parziale o to- tale, degli importi dovuti. A questo proposito, lo standard nazionale indi- vidua le seguenti cause di minor realizzo di un credito:
- perdite per inesigibilità - resi e rettifiche di fatturazione - sconti ed abbuoni
- interessi non maturati
Con riferimento alle perdite per inesigibilità, le rettifiche di valore devono includere “sia le perdite connesse a situazioni di inesigibilità già
manifestatesi, sia quelle per altre inesigibilità non ancora manifestatesi, ma temute o latenti”; il procedimento di determinazione delle rettifiche
anzidette deve inoltre avvenire attraverso:
- “analisi dei singoli crediti e determinazione delle perdite
presunte per ciascuna situazione di inesigibilità già manife- statasi;
- stima, in base all'esperienza ed ad ogni altro elemento utile, delle ulteriori perdite che si presume si dovranno subire sui crediti in essere alla data di bilancio;
- valutazione dell'andamento degli indici di anzianità dei cre- diti scaduti rispetto a quelli degli esercizi precedenti;
- condizioni economiche generali, di settore e di rischio paese”
Per meglio comprendere il significato delle distinzioni operate dal principio, si ritiene innanzitutto opportuno sottolineare come il riferimen- to al concetto di manifestazione riferito alle perdite non vada inteso in chiave prettamente monetaria, vale a dire con riferimento al mancato in- casso di parte o di tutte le somme attese, quanto, piuttosto, nei termini dell’esistenza di evidenze oggettive che pregiudichino la possibilità di re- cuperare integralmente il credito vantato. A titolo meramente esemplifi-
cativo, senza alcuna pretesa di esaustività, rientrano in tale casistica le eventuali liti giudiziarie e contestazioni in corso con la controparte, diffi- coltà finanziarie del debitore, fallimenti e, più in generale, tutti gli eventi noti alla data di riferimento del bilancio che riguardino i singoli debitori e rendano incerta la realizzazione delle relative esposizioni.
Appare evidente come, per tali specifiche fattispecie (che la dottrina definisce crediti dubbi43, come si è avuto modo di commentare), svincola- re la perdita (e la connessa rettifica di valore) dal mancato incasso, anco- randola piuttosto alla rilevazione degli indizi di futura inadempienza del debitore, equivale ad anticipare il riconoscimento in bilancio della svalu- tazione del credito e a predisporre tempestivamente le opportune forme di copertura (accantonamenti al fondo svalutazione). Ciò risponde sicura- mente meglio al dettato normativo che richiede, in ottemperanza ai prin- cipi di prudenza e competenza, che le perdite gravino sul risultato eco- nomico dell’esercizio nel quale le stesse sono ragionevolmente prevedibi- li, piuttosto che sui periodi in cui le stesse incontreranno l’effettiva mani-
festazione monetaria.
Alla luce di quanto appena osservato, sembrerebbe inopportuna la ri- chiesta del principio di predisporre la copertura anche per le perdite non ancora manifestatesi, ma soltanto temute dall’impresa (“sia quelle per al-
tre inesigibilità non ancora manifestatesi, ma temute o latenti”), in quan-
to rischierebbe di rendere ancor più discrezionale ed aleatoria di quanto
già non sia44 la stima del valore di bilancio dei crediti, mediante
l’imputazione di svalutazioni apparentemente ingiustificate e pertanto ec-
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In proposito, si fa presente come la normativa che disciplina il bilancio delle ban- che classifichi le esposizioni dubbie (cosiddetti non performing loans) in funzione della gravità dell’inadempienza del debitore: si va, così, dai crediti scaduti, per i quali il debito- re risulta insolvente da almeno 180 giorni, alle posizioni ristrutturate o in corso di ristrut-
turazione, per le quali la banca ha posto in essere (o è in procinto di farlo), apposite rine-
goziazioni di termini originari del contratto per agevolare il recupero delle somme dal cli- ente in difficoltà; ad un maggiore livello di inadempienza si collocano invece gli incagli, che rappresentano esposizioni nei confronti di soggetti in temporanea situazione di ogget- tiva difficoltà, che tuttavia la banca ritiene possa essere rimossa in un congruo periodo di tempo; da ultimo, le sofferenze rappresentano esposizioni nei confronti di un soggetto che versa in uno stato di insolvenza (o equiparabile) di gravità tale da pregiudicare il recupero integrale delle somme dovute. Cfr. BANCA D’ITALIA, Manuale per la compilazione della
matrice dei conti, Circolare n. 49, 1999.
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Afferma, in proposito, Colombo: “La determinazione del valore presumibile
di realizzo è talora tanto ardua e dipendente da tanti elementi, da dar luogo ad un’ampia discrezionalità degli amministratori, o almeno ad una seria difficoltà di con- trollo dell’applicazione del criterio”. Cfr. G.E.COLOMBO, Trattato delle società per azioni, op. cit., pagg. 317.
cessive; in queste circostanze, l’impossibilità di attribuire le rettifiche di valore ad eventi negativi già occorsi e noti alla data del bilancio, chiama piuttosto in causa l’esperienza del valutatore e la sua capacità di individu- are e quantificare le perdite che si presume si dovranno subire sui crediti in essere, in base alla “conoscenza dei fatti di gestione” e a tutte le ulte- riori informazioni a sua disposizione in sede di valutazione (cosiddette
perdite attese).
Per poter esprimere un giudizio compiuto sull’approccio adottato dal principio, si rendono peraltro necessarie alcune puntualizzazioni.
Innanzitutto, si tiene a ribadire come, alla luce del dettato normativo sopra riportato, questa seconda fase valutativa appena descritta rappresen- ti un’indagine autonoma e distinta rispetto alla valutazione condotta in prima istanza nei riguardi dei singoli debitori che già presentano situazio- ni accertate di inesigibilità (cosiddetta valutazione analitica), ma non per questo sostitutiva rispetto ad essa45: lo dimostrerebbe il riferimento del principio alle ulteriori perdite che tale indagine dovrebbe eventualmente far emergere sui crediti in essere, rispetto a quelle evidenziate in sede di valutazione analitica.
Se con riferimento all’aspetto ora preso in considerazione non sembra potersi sollevare alcun dubbio, va altresì osservato come maggiori perples- sità sorgano, invece, relativamente alla corretta definizione dell’oggetto dell’indagine, nonché delle modalità attraverso le quali la stessa deve esse- re effettuata.
Per ciò che attiene all’oggetto, alla luce delle affermazioni sopra ri- portate (in particolare il concetto di perdita ulteriore), sembrerebbe am- missibile che l’indagine possa essere rivolta innanzitutto ai crediti prece- dentemente sottoposti a valutazione analitica a causa di perdite già mani- festatesi (crediti dubbi): ciò lascerebbe presupporre che, sulla base della attenta ponderazione delle condizioni di solvibilità dei singoli debitori, l’impresa sia già pervenuta ad una prima stima del valore recuperabile del credito; il ricorso ad una ulteriore fase valutativa, strumentale alla deter- minazione di una eventuale componente di rettifica aggiuntiva, potrebbe
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In questo senso, dunque, l’approccio adottato dall’OIC sembrerebbe allineato a quello previsto dal legislatore all’interno del D.lgs 87/92, all’art. 20, ai fini della discipli- na delle valutazioni dei crediti nei bilanci delle banche, ove appare esplicitata la distinzio- ne tra valutazioni analitiche, vale a dire condotte con riferimento ai singoli debitori e/o esposizioni, e valutazioni collettive, mediante le quali si stimano gli effetti economici ne- gativi riguardanti categorie omogenee di crediti. Tale approccio, inoltre, come si avrà mo- do di analizzare nel prosieguo del lavoro, presenta anche elementi di comunanza con la disciplina prevista dallo IAS 39.
dunque giustificarsi soltanto nella misura in cui venissero presi in consi- derazione aspetti che non sono stati considerati nella valutazione analiti- ca, in quanto non direttamente connessi agli eventi di perdita occorsi in passato e dei quali si ha notizia alla data di bilancio, ma che si ritiene possano comunque influenzare il pieno realizzo del credito. In caso con- trario, la valutazione si tradurrebbe in una inutile, quanto onerosa, dupli- cazione procedurale.
Ad ogni buon conto, il procedimento di valutazione analitica, proprio in ragione dei presupposti sui quali si sviluppa − vale a dire la disponibili- tà di informazioni e notizie specifiche, aggiornate ed attendibili, sullo sta- to di solvibilità presumibilmente già compromesso dei singoli debitori − dovrebbe garantire la miglior stima possibile degli importi realizzabili su ogni singolo credito, tenuto anche conto delle eventuali garanzie, nonché dei presunti oneri che dovranno essere sostenuti per il recupero, in ragio- ne delle soluzioni transattive che saranno adottate46. Tra l’altro, in questo senso sembra esprimersi anche il principio contabile OIC 15, per il quale il procedimento analitico, in ragione della qualità delle stime prodotte, appare sovraordinato a qualsiasi altra metodologia di calcolo adottabile per la determinazione del valore di presumibile realizzo dei crediti, risul- tando derogabile solo ed esclusivamente per limiti di natura pratica ed operativa47.
Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, si giungerebbe dunque ad affermare che l’ulteriore fase valutativa prevista dal principio contabi- le debba essere riservata in via esclusiva ai crediti che non presentano al- cuna evidenza obiettiva di perdita alla data di bilancio (crediti sani o, nel linguaggio bancario, in bonis): effettivamente, si tratta di una posizione che si è visto essere risultata prevalente in dottrina e che, si afferma ora, ha incontrato parecchi consensi anche nella prassi contabile.
Pertanto, per le posizioni in esame, l’estraneità ad eventi di perdita già occorsi non risulta elemento probativo sufficiente ad escludere l’imputazione di rettifiche di valore, laddove si ritiene che possano co-
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Cfr. M.CARATOZZOLO, Il bilancio d’esercizio negli aspetti contabili e civilistici, op. cit., pag. 166.
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Quanto affermato nel testo con riferimento al principio contabile OIC 15 si desu- me dalla assenza pressoché totale di riferimenti espliciti a procedimenti di valutazione alternativi a quello analitico, con la sola eccezione (che sarà commentata in questo stesso paragrafo), del ricorso a procedimenti sintetici di calcolo: a questo proposito, però, a con- ferma di quanto sostenuto in precedenza, nel principio si afferma che “tali formule sono
accettabili soltanto se si raggiungono sostanzialmente gli stessi risultati del procedimento analitico descritto in precedenza”. Cfr. OIC, Principi contabili. I crediti, op. cit., pag. 10.
munque esistere ulteriori e differenti fattori di rischio in grado di pregiu- dicare il realizzo delle stesse.
In concreto, gli aspetti cui si fa riferimento vanno innanzitutto ricer- cati nella passata esperienza dell’impresa, riassunta periodicamente in statistiche che evidenzino, ad esempio, l’andamento delle perdite (da sva- lutazione, ma anche da realizzo48) subite dai propri crediti aventi caratte- ristiche di rischio similari e consentano di estrapolare percentuali di sva- lutazione da applicare alle esposizioni in essere alla data di bilancio. Alla stessa sfera appartengono, inoltre, i fattori di rischio connessi alla situazio-
ne economico-generale, nonché all’area geografica o al settore merceolo- gico nel quale il debitore opera: per tali fattispecie, più che l’esperienza
storica dell’impresa, rilevano dati e statistiche aggiornate relative ai trend attuali e tutte le informazioni disponibili sulle quali fondare le previsioni in merito a quelli futuri.
Appare evidente come un’analisi di questo tipo, per risultare efficace e consentire la determinazione di stime il più possibile attendibili, debba essere necessariamente condotta con riferimento a posizioni creditizie che condividano i medesimi fattori di rischio e possano, quindi, essere ogget- to di indagine collettiva: quanto appena osservato vale sia nella fase di costruzione delle serie storiche per l’estrapolazione delle percentuali di rettifica, sia nella fase di imputazione di tali rettifiche ai crediti in essere.
Ad esempio, laddove si voglia analizzare l’andamento delle perdite che si sono abbattute sul portafoglio dei crediti commerciali di un’impresa, po- trebbe risultare efficace predisporre le serie storiche in relazione a gruppi di crediti omogenei per controparte, scadenza, settore merceologico di appartenenza, area geografica servita, e così via, ossia in considerazione dei fattori di rischio effettivamente in grado di spiegare la distribuzione nel tempo delle perdite49: così operando, infatti, sarebbe possibile estra- polare percentuali di perdita attesa che, applicate successivamente al por- tafoglio di crediti in bonis in essere, a sua volta coerentemente segmenta- to in base ai medesimi criteri impiegati per la costruzione delle serie sto-
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A fini di chiarezza, si rammenta che le perdite da svalutazione sono quelle accan- tonate ad ogni esercizio, mentre quelle da realizzo rappresentano eventuali perdite che all’atto dell’incasso dei relativi crediti risultano eccedenti rispetto agli importi preceden- temente accantonati.
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A tale proposito, si legge nel principio, a pag. 10: “uno strumento efficace per la
stima delle perdite su crediti è la tenuta di un'aggiornata evidenza dell'anzianità dei cre- diti divisi per classi temporali di scaduto, nonché un'adeguata procedura di indagine cir- ca le motivazioni della mancata regolarizzazione dello scaduto stesso”.
riche, consentirebbero di giungere ad una stima collettiva dell’importo delle svalutazioni da imputare a ciascun gruppo di crediti.
Di questi aspetti il principio contabile OIC 15 non fornisce alcuna e- splicita menzione, né sul piano della legittimità del procedimento valuta- tivo, né su quello più specificatamente operativo50 (con l’eccezione che sarà tra poco esaminata); va però osservato come, nel far intendere la sua
implicita preferenza per la valutazione analitica, il principio non impon-
ga, tuttavia, alcun divieto al ricorso a procedimenti di tipo collettivo; d’altronde, come si era già avuto modo di osservare, la valutazione collet- tiva nasce piuttosto come soluzione operativa predisposta dalla prassi con- tabile in risposta alle concrete difficoltà di natura operativa nell’applicare una valutazione analitica all’intero portafoglio crediti.
In realtà, a voler essere più precisi, un formale, seppure alquanto par- ziale, riconoscimento all’adozione di logiche di tipo collettivo è contenu- to all’interno del principio contabile, dal momento che viene concessa la facoltà di applicare in sede valutativa un procedimento definito sintetico, consistente nell’applicazione di formule empiriche (quali, ad esempio, percentuali delle vendite del periodo o dei crediti a fine esercizio), al fine di determinare la quota di svalutazione da imputare al portafoglio crediti: la distanza di tale approccio rispetto alla metodologia descritta in prece- denza risulta, però, ad avviso di chi scrive, fin troppo evidente, solo che si ragioni sulle modalità di estrapolazione delle percentuali richiamate, ne- cessariamente avulse dalla concreta analisi sulla dinamica degli specifici rischi (rischio di insolvenza, rischio-settore, rischio-paese, ecc…) che ca- ratterizzano il portafoglio crediti. A questo proposito, parafrasando la normativa e la prassi bancaria, si potrebbe affermare che tale procedimen- to sintetico sia rivolto ad evidenziare il cosiddetto rischio fisiologico, che si manifesta attraverso le perdite naturali che colpiscono nel tempo i cre- diti vivi, indipendentemente dall’incidenza degli altri fattori di rischio ri- chiamati.
Si fa notare come lo stesso principio contabile, consapevole della parzialità di un simile approccio nei termini della attendibilità delle stime di perdita attesa prodotte, ne raccomandi l’utilizzo soltanto in casi parti- colari (ad esempio per portafogli molto frazionati e, si aggiunge, non
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Come peraltro anticipato, di diverso tono è invece il dettato normativo dell’art. 20 del D.lgs 87/92, che disciplina la redazione del bilancio delle banche, il quale recita al comma 5: “Nel calcolo del valore presumibile di realizzazione di cui al comma preceden-
te può inoltre tenersi conto di andamenti economici negativi riguardanti categorie omo- genee di crediti. Le relative svalutazioni possono essere determinate […] anche in modo forfettario”.
molto omogenei per caratteristiche di rischio), con la esplicita richiesta di testarne periodicamente la validità, presumibilmente sia in relazione alle ipotesi poste alla base delle formule impiegate, sia con riferimento alla corrispondenza tra le perdite stimate e quelle effettivamente conseguite (attività di backtesting)51.
Più in generale, la preoccupazione del principio contabile circa la correttezza delle valutazioni effettuate, che per i valori stimati si traduce nella attenta ponderazione e comunicazione delle ipotesi poste alla base delle formule e delle procedure applicate, riguarda per l’appunto l’intero procedimento valutativo e si traduce nell’esplicita raccomandazione che l’applicazione dei criteri e delle metodologie indicate non sia sorretta da presupposti difformi rispetto alla clausola generale del bilancio e ai corre- lati postulati di redazione, come nel caso in cui si cerchi di utilizzare la valutazione dei crediti per distribuire le perdite nei vari esercizi al fine di stabilizzare i risultati economici dell’impresa52.
3.4 La contabilizzazione delle svalutazioni analitiche e collettive: il