particolare la pubblicazione della sentenza di condanna e la confisca del prezzo o del profitto del reato.
La prima, mutata dal sistema penale, risulta essere una sanzione accessoria, in quanto ha come presupposto l’applicazione di una sanzione interdittiva e dunque, si applica quando ricorrono le ipotesi di reato più gravi, che perciò possono implicare l’esistenza di un interesse del pubblico alla conoscenza della condanna. In questo senso, la pubblicazione della sentenza assolve anche a una funzione general-preventiva, nonché di tutela per i terzi, che sono così informati del reato di cui l’ente si è reso responsabile e delle sanzioni inflitte allo stesso: per questo motivo, essa è qualificata come sanzione ‘stigmatizzante’321.
Inoltre, la sanzione qui in commento, presenta anche un carattere di discrezionalità, in quanto, stando al dettato dell’art. 18, il giudice può applicarla, ma non è vincolato a farlo.
La pubblicazione deve avere come oggetto la sentenza di condanna; quanto alle modalità applicative, il secondo comma espressamente fa riferimento a quanto previsto all’art. 36 cod. pen. – che prevede l’omologa pena accessoria – il cui secondo comma, in seguito alla riforma del 2011322, prevede la pubblicazione debba avvenire per estratto, salvo che il giudice
non disponga la pubblicazione per intero – sul sito internet del Ministero della Giustizia, per un
320 Sul punto, VIGANÒ F., in La responsabilità degli enti”, PRESUTTI A., BERNASCONI A., FIORIO C., La
responsabilità degli enti, cit., p. 211, che rileva inoltre il rischio di incorrere nella violazione del principio di
proporzione fra illecito e sanzione.
321 Sul punto, si veda quanto affermato al § 1 di questa Sez. III di questo Capitolo.
322 Il testo del secondo comma dell’art. 36 cod. pen. di tale articolo ha subito delle modifiche ad opera della legge
dell'articolo 37, comma 18, lett. a), n. 1) del d. l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111. Il testo originale affermava che la pubblicazione doveva avvenire «per una sola volta, in uno o più giornali designati dal giudice». e dall' articolo 67, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha aggiunto le parole “e nel sito internet del Ministero della giustizia. La durata della pubblicazione nel sito è stabilita dal giudice in misura non superiore a trenta giorni. In mancanza, la durata è di quindici giorni.”
periodo non superiore a trenta giorni – di regola, quindici. A tal proposito, la dottrina non ha mancato di rilevare che tale previsione abbia di fatto invalidato la finalità della sanzione, sotto un duplice profilo: quello della tutela della collettività, in quanto una siffatta pubblicazione, effettuata peraltro per un periodo di tempo così ridotto e su una piattaforma non accessibile a tutti, difficilmente raggiungerà un vasto numero di destinatari323; inoltre, a rischio è anche la
finalità special-preventiva, in quanto l’ente non trarrà particolare incentivi ad adottare comportamenti virtuosi dal rischio di incorrere in un danno di immagine di rilevanza piuttosto ridotta.
La pubblicazione, inoltre, - prosegue il comma secondo dell’art. 18 del decreto 231 – deve avvenire anche mediante affissione nel comune ove l'ente ha la sede principale, ed è eseguita, ai sensi del comma terzo, a cura della cancelleria del giudice e a spese dell’ente condannato.
Quanto alla confisca, nel decreto 231 essa assume quattro differenti configurazioni324:
all’art. 19, con funzione sanzionatoria; all’art. 6, comma quinto, ove – qualora l’ente abbia dimostrato la sua estraneità in relazione a reati commessi dagli apicali, si sostanzia nella sottrazione del profitto dell’illecito, divenendo quindi uno strumento per ristabilire l’equilibrio economico violato dall’illecito, in una veste simile a quella che si rinviene art. 15 comma quarto, come sottrazione del profitto conseguito nel periodo di commissariamento giudiziale; infine, all’art. 23 comma secondo, in cui la confisca riassume la configurazione di sanzione, in questo caso contro le violazioni dei divieti imposti con le misure interdittive ed il profitto che ne è derivato.
Soffermandoci sulla prima di queste accezioni, la confisca all’art. 19 è prevista sia nella forma più tradizionale, che va a colpire il prezzo o il profitto dell’illecito (comma primo), sia nella forma per equivalente (comma secondo), ricadendo invece su somme di denaro, beni o altre utilità, purché di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato: quest’ultima, permette di evitare che l’ente possa comunque beneficiare dei proventi del reato, «ormai indisponibili per un’apprensione con le forme della confisca ordinaria325».
La confisca del prezzo o del profitto del reato nel caso di emissione di una sentenza di condanna ha carattere di obbligatorietà – il giudice deve disporla «sempre»; essa incontra limiti
323 BERNASCONI A., L'apparato sanzionatorio, in A. PRESUTTI, A. BERNASCONI, Manuale della
responsabilità, cit., p. 199.
324 ID., Confisca e sequestro preventivo: vecchi arnesi interpretativi e nuove frontiere di legalità, in Resp. amm.
soc. ent., 2011, n. 3, p. 206.
soltanto nella porzione suscettibile di essere restituita al danneggiato e nei diritti acquisiti dai terzi in buona fede.
Un’ultima notazione in merito riguarda l’oggetto della confisca: con riguardo a quella “tradizionale”, il legislatore ha omesso di specificare cosa si intenda per ‘prezzo’ e cosa per ‘profitto’ derivante dall’illecito. Pertanto, giurisprudenza e dottrina ne hanno in più occasioni precisato le nozioni: il prezzo consta dei beni, del denaro e altre utilità, date o promesse per determinare o istigare il soggetto a realizzare la condotta illecita – una sorta di “corrispettivo” per la commissione del reato – mentre il profitto è definito come l’arricchimento o il vantaggio economico immediatamente derivante dal reato326. È da rilevarsi in proposito come, sebbene
l’articolo parli di confisca del prezzo «o» del profitto, la disgiuntiva non pare doversi interpretare come «un’alternatività secca fra le due nozioni, bensì solo come “endiadi” esemplificativa di due possibili articolazioni di ingiusti vantaggi economici o utilità conseguiti dalla commissione di differenti titoli di reato»327: in questo senso, occorre pertanto considerare
la natura del reato-presupposto che l’ente ha realizzato. Per quel che concerne invece la confisca per equivalente, essa può operare solo nei confronti dei beni di appartenenza dell’ente, mentre non può produrre effetti su beni appartenenti al patrimonio personale dei soci328.
326 Non è questa la sede per approfondire la complessità delle nozioni in esame; con specifico riguardo al concetto
di profitto, occorre dare atto che la Cassazione in più sentenze, a partire dalla Cass. SS. UU. pen., 27 marzo 2008, n. 26654, ha introdotto una distinzione fondamentale ai fini della corretta applicazione dell’istituto, quella fra ‘reati-contratto’, che si sostanziano in una attività integralmente illecita ab origine e ‘reati in contratto’, ossia condotte illecite che si collocano nell’ambito di un contesto lecito. Nel primo caso, la confisca coinvolge l’intero vantaggio patrimoniale conseguito, nel secondo caso invece, occorre separare il vantaggio economico direttamente derivato dal reato, che deve essere sottoposto a confisca, dai vantaggi eventualmente conseguiti dall’ente in conseguenza delle prestazioni lecite realizzate.
327 MEZZETTI E., Profitto e prezzo confiscabili e confisca per equivalente nei reati contro la pubblica
amministrazione, in penalecontemporaneo.it, 21 febbraio 2014, p. 4.
328 Infatti, l’art. 27 del Decreto, in tema di responsabilità patrimoniale, statuisce che l’ente risponde soltanto con il
SEZIONE IV
I REATI PRESUPPOSTO E IL PROCEDIMENTO DI ACCERTAMENTO DELL’ILLECITO
SOMMARIO: 1. Alla ricerca di una «razionalità inesistente»: il discusso catalogo dei reati presupposto. – 1. 1. Le numerose (e, talvolta, problematiche) integrazioni al Decreto. – 1. 2. La disciplina del tentativo. – 2. Lineamenti del “processo 231”. La partecipazione al procedimento e l’esercizio del diritto di difesa dell’ente. – 2. 1. Il procedimento di accertamento dell’illecito e le sue peculiarità.
1. Alla ricerca di una «razionalità inesistente»329: il discusso catalogo dei reati
presupposto.
Il legislatore, tramite la legge delega n. 300 del 2000, aveva puntualmente stabilito all’articolo 11 i «principi e criteri direttivi» che avrebbero dovuto ispirare la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, prevedendo anche che questa dovesse essere individuata in relazione alla commissione di specifici reati, disciplinati dal codice penale o dalle leggi speciali, adottando quindi il criterio dell’elencazione tassativa dei cd. “reati presupposto”330 – a differenza di quanto era stato previsto nel progetto Grosso, ove non era
previsto un elenco specifico e tassativo di illeciti331 – costruendo quindi un catalogo “chiuso”,
ma ampliabile, delle fattispecie. Il Governo, tuttavia, aveva rispettato solo in parte le prescrizioni della delega, limitandosi a disciplinare i reati contro la pubblica amministrazione
329 Cito il titolo di un articolo di AMARELLI G., Il catalogo dei reati presupposto del d.lgs. n. 231/2001 quindici
anni dopo. Tracce di una razionalità inesistente in www.lalegislazionepenale.eu, 23 maggio 2016, per evidenziare
sin da ora uno degli aspetti che ha suscitato maggiori critiche del sistema di responsabilità del decreto 231: la costruzione di un catalogo di reati estremamente eterogeneo, privo di qualsivoglia coerenza interna, comprendente al suo interno fattispecie talvolta superflue ai fini dell’implementazione della responsabilità degli enti o di difficile coordinamento con il nucleo orinario del Decreto; analoga riflessione è svolta da BARTOLI R., Alla ricerca di
una coerenza perduta… o forse mai esistita. Riflessioni preliminari (a posteriori) sul “sistema 231”, in
www.penalecontemporaneo.it, 10 marzo 2016.
330 AMARELLI G., ivi, p. 2, ricorda come al momento dell’approvazione del decreto, il legislatore potesse
scegliere, ai fini dell’individuazione dell’ambito oggettivo di operatività della norma, tra due «distinte alternative politico-criminali»: quella c.d. della Natur der Sache, adottata per esempio nel sistema francese – in base alla quale l’ambito di applicazione si determina, tralasciando alcune esclusioni previste dal legislatore, in concreto ed ex post – e quella, opposta, che poi è stata la prescelta, dell’elencazione tassativa dei reati-presupposto.
331 Come rilevato nel capitolo precedente, il comma primo dell’art. 121 dell’articolato del progetto Grosso per la
riforma del codice penale stabiliva soltanto che la persona giuridica potesse essere chiamata a rispondere «a. per delitti dolosi commessi per conto o comunque nell'interesse specifico della persona giuridica, da persona che aveva il potere di agire per la persona giuridica stessa; b. per i reati realizzati nello svolgimento dell'attività della persona giuridica, con inosservanza di disposizioni pertinenti a tale attività, da persone che ricoprono una posizione di garanzia ai sensi dell'art. 22, comma 2 [c.p., n.d.r]. Sono esclusi i reati commessi in danno della persona giuridica».
– in sostanza, solo quanto prescritto alla lett. a della legge – collocandoli in sole due norme, gli artt. 24 e 25332.
La delega mirava ad affermare la responsabilità degli enti colpendo due categorie di crimini: la prima, tipicamente espressiva della cosiddetta illegalità d’impresa, cioè legata ai rischi derivanti dall’esercizio di un’attività produttiva; la seconda, connessa agli illeciti posti in essere allo scopo di conseguire profitti ingiustificati; la dottrina ritiene che il d.lgs. 231/2001 abbia privilegiato la tipologia legata alla criminalità economica e alla cd. “illegalità del profitto”333.
Nel testo originario del Decreto mancava totalmente il riferimento ai delitti di omicidio colposo e di lesioni personali colpose commessi “con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative alla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro”, previsti dalla lett. c) del primo comma dell’articolo 11 della delega, e ai reati ambientali, richiamati dalla lett. d). A tal proposito, si osserva come il legislatore delegato abbia ritenuto preferibile optare per una posizione cd. “minimalista”, in quanto più rispondente all’ordine del giorno del 27 luglio 2000 votato dalla Camera che obbligava il Governo a prevedere nella disciplina i soli reati di concussione, corruzione e frode, ossia degli illeciti penali indicati nelle Convezioni PIF e OCSE ratificate dallo Stato italiano proprio con la legge 300. La Relazione accompagnatoria al Decreto dà atto334 delle posizioni contrastanti in cui si trovarono Camera e Senato, nel corso
degli ultimi passaggi parlamentari necessari all’approvazione della legge, proprio con riguardo all'ampiezza del catalogo dei reati a cui collegare la responsabilità amministrativa degli enti, adducendo ragioni di opportunità quale giustificazione dell’atteggiamento prudente del legislatore, volto a contenere la sfera di operatività del Decreto335, già fortemente innovativo
per il nostro ordinamento.
332 Rispettivamente rubricati “Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico
o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico” e “Corruzione e concussione”.
333 Per un esame più approfondito delle posizioni in dottrina qui citate, si veda PIERGALLINI C., I reati
presupposto della responsabilità dell’ente e l’apparato sanzionatorio, in G. LATTANZI (a cura di), Reati e responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro interesse e a loro vantaggio, Giuffrè, Milano, II ed. 2010,
pp. 211 ss.; PRESUTTI A. – BERNASCONI A., Manuale della responsabilità, cit., pp. 47 ss.
334 Relazione ministeriale al Decreto 231, § 12.
335 PIERGALLINI C., Sistema sanzionatorio e reati previsti dal codice penale, in Dir. pen. proc., 2011, pp. 1353
ss. non dimentica di evidenziare che «lo schema di decreto legislativo, elaborato in larga parte da una Commissione ministeriale, fu varato (e diramato) dal Ministero della Giustizia nel marzo 2001, vale a dire alle porte della campagna elettorale. Il Consiglio dei Ministri ne rinviò tuttavia l’esame più volte, a causa delle resistenze manifestate dal Ministero dell’industria e, soprattutto, da Confindustria. Sta di fatto che dal testo approvato nella seduta del 2.5.2001 furono espunti i reati in materia di tutela dell’ambiente e del territorio, quelli legati
Più in generale, si può affermare che il Decreto rappresenti una delle cd. ‘legge compromesso’, risultato del bilanciamento tra gli interessi politico-criminali della collettività e i contrapposti interessi delle lobbies economiche336, che senza dubbio hanno impattato sulla
scelta ‘minimalista’ operata dal legislatore in sede di attuazione della delega, portando quindi al ragguardevole ridimensionamento del catalogo.
1. 1. Le numerose (e, talvolta, problematiche) integrazioni al Decreto.
Stante l’evidente insufficienza delle fattispecie introdotte, già a partire dal settembre 2001 si sono succeduti interventi di modifica e aggiornamento al testo del Decreto e il catalogo di reati presupposto di cui alla sezione III del Capo I del decreto è stato via via integrato con nuove fattispecie rilevanti. In ordine cronologico, la disciplina è stata estesa: ai reati di falsità in monete, in carte di pubblico credito e in valori da bollo di cui all'articolo 25-bis con il d. l. 350/2001; ai reati societari di cui all'art. 25-ter con il d. l. 61/2002; ai delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico di cui all'art. 25-quater con la l. 7/2003; ai delitti contro la personalità individuale, previsti all'art. 25-quinquies con l. 228/2003; agli abusi di mercato di cui all'art. 25-sexies con l. 62/2005; alle pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili di cui all'art. 25-quater.1 con l. 7/2006; all'omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro di cui all'art. 25-septies con l. 123/2007 – di cui si tratterà diffusamente nella seconda parte di questa ricerca; alla ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita di cui all'art. 25-octies con d. l. 231/2007; ai delitti informatici e trattamento illecito di dati di cui all'art.24-bis con l. 48/2008; ai delitti di criminalità organizzata di cui all'art. 24-ter con l. 94/2009; ai delitti contro l'industria e il commercio di cui all'art 25-bis.1 con l. 99/2009; ai delitti in materia di violazione del diritto d'autore di cui all'art 25-novies con l. 99/2009; alla induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria di cui all'art. 25-decies con d. l. 121/2011; finalmente ai reati ambientali di cui all'art. 25-undecies con d. l. 121/2011; ai delitti di impiego
all’infortunistica del lavoro, nonché la disciplina relativa agli effetti civili conseguenti alla responsabilità degli enti».
di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare di cui all'art. 25-duodecies con d. l. 109/2012.
Altre novità di recentissima introduzione sono da rilevare: la prima, nel 2017 con l’inserimento, ad opera dell'articolo 30 della l. 17 ottobre, n. 161 (riforma del Codice Antimafia), dei tre nuovi commi 1-bis, 1-ter e 1-quater all’art. 25-duodecies, riferiti ai delitti di procurato ingresso illecito e favoreggiamento della permanenza clandestina di cui all’articolo 12 commi 3, 3-bis, 3-ter e 5 del Testo unico sull’Immigrazione (d.lgs. n. 286/1998); inoltre, l’introduzione del nuovo art. 25-terdecies in materia di lotta al razzismo e alla xenofobia, così come disposto dalla Legge europea 2017, in attuazione della Decisione Quadro 2008/913/GAI. Da ultimo, il legislatore con la legge 9 gennaio 2019 n. 3, recante “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”, ha inserito all’interno dell’art. 25 del Decreto il richiamo al reato di il traffico di influenze illecite di cui all’art 346-bis cod. pen., così come modificato dalla medesima legge.337
Le integrazioni apportate dal legislatore derivano in gran parte dalla necessità di ottemperare ad obblighi internazionali: ad ogni modo, la formazione progressiva del catalogo dei reati presupposto ha comportato l’estensione della sua portata in modo disorganico e sostanzialmente legato alle contingenti esigenze di politica criminale338, portando a un risultato
carente di razionalità e coerenza interna.
Ciò ha finito per ingenerare incertezze sia sul piano della riconducibilità di alcune fattispecie – prima fra tutte, quella concernente le pratiche di mutilazione degli organi genitali
337 All’art. 1, comma 9, la l. 9 gennaio 2019, n. 3, pubblicata in G.U. il 16 gennaio 2019 elenca le modifiche da
apportare al d. lgs 231/2001, e in particolare: «a) all'articolo 13, comma 2, le parole: «Le sanzioni interdittive» sono sostituite dalle seguenti: «Fermo restando quanto previsto dall'articolo 25, comma 5, le sanzioni interdittive»; b) all'articolo 25: 1) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 318, 321, 322, commi primo e terzo, e 346-bis del codice penale, si applica la sanzione pecuniaria fino a duecento quote»; 2) il comma 5 è sostituito dal seguente: «5. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 2 e 3, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a quattro anni e non superiore a sette anni, se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), e per una durata non inferiore a due anni e non superiore a quattro, se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b)»; 3) dopo il comma 5 è aggiunto il seguente: «5-bis. Se prima della sentenza di primo grado l'ente si è efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, le sanzioni interdittive hanno la durata stabilita dall'articolo 13, comma 2»; c) all'articolo 51: 1) al comma 1, le parole: «la metà del termine massimo indicato dall'articolo 13, comma 2» sono sostituite dalle seguenti: «un anno»; 2) al comma 2, secondo periodo, le parole: «i due terzi del termine massimo indicato dall'articolo 13, comma 2» sono sostituite dalle seguenti: «un anno e quattro mesi».
338 AMARELLI G., Il catalogo, cit.., p. 6; DE SIMONE G., La responsabilità da reato degli enti nel sistema
femminili di cui all’art. 25-quater.1 – nell’ambito della criminalità d’impresa, sia dal punto di vista di alcuni inspiegabili vuoti di tutela, tra cui, la grande assenza dei reati tributari339 e
fallimentari. Sul punto, è da rilevare come la (mai definitivamente) risolta questione dell’opportunità dell’inserimento del comparto penal-tributario all’interno della responsabilità degli enti sia destinata a riaprirsi in sede di recepimento della recente Direttiva 2017/1371 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale, la quale fa esplicita menzione dei reati gravi contro il sistema comune dell’IVA quali fattispecie da introdurre nel catalogo dei reati-presupposto della responsabilità dell’ente.
Altri dubbi sono stati sollevati con riguardo ai delitti di criminalità organizzata340:
sebbene la previsione della loro punibilità era parsa necessaria341, essa poteva comportare in
primo luogo il rischio di rendere più complicato distinguere fra associazione che commette un illecito nell’ambito della sua attività lecita e associazione di per sé illecita – nei confronti della