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di scelta delle sanzioni interdittive. – 3. 2. Il commissariamento giudiziale. – 4. Le altre sanzioni. La pubblicazione della sentenza di condanna e la confisca.

1. L’apparato sanzionatorio del sistema 231.

La Sezione II del primo Capo del Decreto si occupa della disciplina generale delle sanzioni. Il sistema sanzionatorio, uno degli aspetti maggiormente innovativi della disciplina, si ispira all’esigenza, avvertita soprattutto in sede internazionale296, di prevedere misure che

fossero effettive, proporzionate e dissuasive nei confronti della persona giuridica, nonché differenziate in relazione al soggetto resosi responsabile del reato, apicale o sottoposto: la ratio alla base era quella di introdurre pene che fossero plasmabili in relazione alla gravità dell’illecito e in grado di produrre effetti reali sulla vita dell’ente.

La legge delega n. 300 ha recepito questo impianto, delineando un «sistema essenzialmente binario»297, che alla sanzione pecuniaria, tipica, affianca, solo nei casi di

particolare gravità, la sanzione interdittiva, particolarmente incisiva in quanto incapacitante per l’ente, la cui introduzione risponde allo scopo di evitare il persistere o il reiterarsi della condotta illecita e che ben si colloca nell’ambito della finalità special-preventiva del Decreto: pertanto, il sistema è stato definito «di natura plurigenetica»298, in quanto combina sanzioni di origine

diversa, formando un sistema misto.

Rispetto a quanto auspicato in sede internazionale, il Decreto tuttavia non ha introdotto la differenziazione tra sanzioni applicabili ai soggetti apicali e quelle applicabili ai soggetti loro

296 Sollecitazioni in tal senso si rinvengono, per esempio, nel secondo Protocollo della Convenzione PIF del 1997

– il quale invitava all'adozione di misure del genere sia in caso di reati commessi da soggetti in posizione apicale (in questo caso, irrogando anche altre sanzioni di tipo interdittivo), sia nel caso di reati posti in essere da persone loro sottoposte (senza ulteriori specifiche, lasciando discrezionalità ai legislatori nazionali) – nonché nella Convenzione OCSE.

297 Relazione accompagnatoria al Decreto, § 5.

298 DE MAGLIE C., In difesa della responsabilità penale delle persone giuridiche, in Legisl. pen.,2003, fasc. 2,

sottoposti, prevedendo invece cornici edittali unitarie299 non esattamente rispettose del criterio

di proporzionalità fra fatto e sanzione irrogata.

L’articolo 9 del Decreto, che apre la Sezione dedicata alle “Sanzioni in generale”, distingue le sanzioni in pecuniarie e interdittive e indica due altre sanzioni, la confisca e la pubblicazione della sentenza: in dottrina300, con riguardo alla sanzione pecuniaria e alla

confisca, si parla di sanzioni ‘finanziarie’, in quanto colpiscono il patrimonio dell’ente; di sanzioni ‘strutturali’ per indicare le sanzioni interdittive e il commissariamento giudiziale ex art. 15, in quanto condizionano la vita dell’ente, tanto da poter rappresentare anche una “pena capitale” per la persona giuridica; infine, la pubblicazione della sentenza di condanna è definita come ‘stigmatizzante’, in quanto mina la reputazione dell’ente sul mercato.

Quanto ai criteri adottati per stabilire le cornici edittali, la Relazione al Decreto illustra301 come, al fine di garantirne la coerenza e l’uniformità, siano state stabilite tre fasce

cui corrispondono tre differenti livelli di gravità in cui sono stati suddivisi i reati-presupposto della responsabilità amministrativa dell’ente. In particolare, vi è una prima fascia, comprendente delitti, di minor gravità, puniti con la reclusione fino a tre anni: in relazione ad essi, è prevista la sanzione pecuniaria fino a duecento quote; la seconda fascia invece concerne delitti per cui è prevista la pena della reclusione da tra tre e dieci anni, collocandosi pertanto in un livello di media gravità; per questi illeciti, la sanzione va di regola da duecento a seicento quote. Tuttavia, all’interno di questa tipologia è stata prevista una attenuazione (a cinquecento quote) per i delitti puniti con una pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione ma che non oltrepassa tendenzialmente i cinque anni, in considerazione dei minimi edittali non particolarmente gravi.

299 ROSSI A., Le sanzioni dell'ente, in S. VINCIGUERRA, M. CERESA- GASTALDO, A. ROSSI, La

responsabilità dell'ente per il reato commesso nel suo interesse (D.lgs. n. 231/2001), Cedam, Padova, 2004, p.63-

65 parla di «unitarietà delle cornici edittali» e auspica un intervento volto a differenziare qualitativamente e quantitativamente le sanzioni, in ossequio del principio di proporzione; anche DE VERO G., Struttura e natura

giuridica, cit., non condivide la scelta di configurare cornici edittali unitarie per le varie tipologie di reati

presupposto, stante la distinta portata di disvalore espressa dai momenti di collegamento 'soggettivo' del reato con l'ente. Occorre dare atto anche dell’orientamento dottrinario di segno opposto, in particolare PIERGALLINI C., I

reati presupposto della responsabilità degli enti e l'apparato sanzionatorio, in AA.VV., Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, a cura di G. LATTANZI, Giuffrè, Milano, 2010, sostiene la

mancata differenziazione in ottica di non sminuire il ruolo strategico-operativo assegnato alle sanzioni interdittive (p. 221).

300 DE MAGLIE C., La disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle associazioni

(I), in Dir. pen. e proc., 2001, fasc. 11, pp.1348 ss.

La terza ed ultima fascia comprende invece reati puniti con la reclusione da quattro o cinque anni nel minimo e superiore a dieci anni nel massimo: per questi illeciti, la sanzione pecuniaria va da trecento a ottocento quote, in modo da rispecchiare la loro gravità.

Per quel che concerne invece la previsione delle sanzioni interdittive, essa è stata calibrata sul tipo di reato da cui dipende l'illecito amministrativo dell'ente.302

2. La sanzione pecuniaria.

La sanzione pecuniaria, disciplinata dagli artt. 10-12, costituisce la sanzione-base indefettibile, che deve essere sempre applicata qualora sia accertata la responsabilità dell’ente in relazione alla commissione di un reato presupposto, di qualunque tipo esso sia e qualunque sia il soggetto che l'ha commesso, indipendentemente dall’irrogazione delle altre sanzioni.

L’obbligazione pecuniaria conseguente alla commissione di un illecito amministrativo presenta un carattere afflittivo e dissuasivo, che la rende pertanto non assimilabile a quella civile, con funzione risarcitoria, ma la avvicina piuttosto alla sanzione penale.

La delega si limitava a stabilire, l'ammontare minimo (non inferiore a lire cinquanta milioni, pari ad euro 25.822) e massimo (non oltre i tre miliardi di lire, pari ad euro 1.549.370) della sanzione pecuniaria e prevedeva che al momento della commisurazione da parte del giudice, si dovesse tenere conto anche «dell'ammontare dei proventi del reato e delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente»303; inoltre, individuava due ipotesi di riduzione della

sanzione pecuniaria: nei casi di particolare tenuità del fatto oppure qualora fossero poste in essere condotte di efficace riparazione o reintegrazione dell'offesa realizzata304.

Questa impostazione, particolarmente penalizzante soprattutto per le piccole imprese, dato l’elevato importo del limite minimo edittale, non è stata confermata in sede di approvazione del Decreto, in quanto, come rileva la stessa Relazione accompagnatoria, evidenti erano «i limiti insiti nel ricorso ad una clausola generale, tendenzialmente cieca rispetto

302 Così, per esempio, ai reati di reati di indebita percezione di erogazioni e di truffa in danno dello Stato ex art. 24

risulteranno applicabili, ove ricorrano le condizioni di cui all'art. 13, solo l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti o l'eventuale revoca di quelli già percepiti e il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

303 Art. 11, comma 1 lett. g) legge 300/2000. 304 Art. 11, comma 1, lett. n) legge 300/2000.

all'effettivo disvalore di ciascun illecito»305: il legislatore ha piuttosto inteso creare un sistema

di sanzioni pecuniarie più equilibrato e calibrato sulla effettiva capacità economica e patrimoniale degli enti, preferendo al tradizionale sistema «a somma complessiva», suggerito dalla delega, un sistema «per quote», che attribuisce un particolare rilievo, oltre alle condizioni economico-patrimoniali dell’ente, anche a indici commisurativi sostanzialmente coincidenti con quelli previsti all’art. 133-bis cod. pen. per le persone fisiche.

L’impianto mutua la ‘struttura bifasica’ della sanzione pecuniaria dal sistema cd. “dei tassi periodici”, che, come ricorda la Relazione, al momento dell’approvazione della disciplina era già applicato con successo in altri Paesi europei (e non solo)306. Infatti, l’art. 11 del Decreto,

indicando i criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria, statuisce che il giudice debba in primo luogo determinare il numero delle quote – non inferiore a cento né superiore a mille – tenendo conto di tre indici, posti su un piano di equivalenza: la gravità del fatto, il grado della responsabilità dell'ente e l'attività eventualmente svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e prevenire la commissione di ulteriori illeciti. Il riferimento al «grado di della responsabilità dell'ente» concerne la valutazione del coefficiente di colpevolezza dell’ente307 e rileva al momento dell’accertamento che il giudice deve compiere circa l’identità

del soggetto che ha realizzato il reato: infatti, qualora l’illecito sia stato posto in essere da un apicale, ne deriverebbe una maggiore gravità – e una sanzione più incisiva – in quanto riconducibile in modo diretto alla politica d'impresa dell'ente, salvo che l'ente non provi che il reato è stato commesso eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e gestione308;

305 Relazione al Decreto, § 5.1.

306 CERRETI A., Il sistema sanzionatorio del d.lgs. 231/2001: proporzionalità, adeguatezza e flessibilità, in Resp.

amm. soc. ent., 2007, n. 4, p. 53, dove in nt. 18 riporta l’elenco dei Paesi in cui era già stato adottato il sistema a

tassi periodici riportato da MANTOVANI V., Diritto penale, Parte generale, IV ed., Cedam, Padova, 2001, p. 784: trattasi di Austria, Brasile, Bolivia, Croazia, Danimarca, Finlandia, Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Slovenia, Perù, San Marino.

307 PIERGALLINI C., op. cit., p. 199, che pertanto esclude che tale valutazione rientri anche nel concetto di

“gravità del fatto”; sul punto la dottrina è divisa, in quanto vi è una parte (per tutti, DE VERO G., Il sistema

sanzionatorio di responsabilità ex crimine degli enti collettivi, in Resp. amm. soc. ent., Interventi, giugno 2006)

che interpreta invece che nella valutazione della gravità del fatto si debba fare riferimento al parametro del 133-

bis c.p., quindi ricomprendendo sia l’aspetto oggettivo che quello soggettivo (della colpevolezza dell’ente – non

della persona fisica, che in virtù dell’autonomia della responsabilità ex 231 di cui all’art. 8 del Decreto, deve essere tenuta distinta da quella della persona giuridica).

308 Esimente di all’art. 6 comma 1 lett. c) del decreto; sul punto, Cass. pen., sez. V, 18 dicembre 2013 – 20 gennaio

2014 n. 4677, Impregilo, ha chiarito che l’elusione dei modelli di organizzazione e gestione, per essere idonea a esentare la società dalla responsabilità, deve essere deve essere fraudolenta e consistere non nella mera violazione delle prescrizioni, ma in una «condotta ingannevole, falsificatrice, obliqua, subdola», pur non richiedendo la presenza di veri e propri artifici e raggiri, che renderebbero di fatto quasi impossibile predicare l’efficacia esimente del modello.

nel caso in cui l’autore sia un soggetto sottoposto, l’illecito è solitamente espressione invece di un deficit organizzativo e di controllo dell'ente. Qualora il reato non fosse ascrivibile a nessun soggetto fisico – configurando un modello “puro” di colpa di organizzazione – per la valutazione della responsabilità dell’ente assumeranno un ruolo dirimente gli altri due indici309.

Nella seconda fase, il giudice fissa l'ammontare della singola quota – che oscilla da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1549 euro – in relazione alle condizioni economico- patrimoniali dell'ente, allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione. Per quanto concerne l'accertamento delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, il giudice dovrà basarsi sui bilanci, sulle scritture contabili e, in generale, sulla documentazione riguardante la vita amministrativa dell'ente e la sua posizione sul mercato: si comprende che la valutazione possa risultare problematica qualora non sia possibile rinvenire questa documentazione oppure sia stata falsificata.

La moltiplicazione dell’importo della quota per il numero di quote stabilito con la prima operazione determina l’ammontare della sanzione complessiva da infliggere, che ovviamente deve rispettare il minimo e massimo edittale previsto dall’art. 10.

Il terzo comma dello stesso art. 11 stabilisce che in caso di danno patrimoniale di particolare tenuità o qualora l'autore-persona fisica abbia commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l'ente non ne abbia tratto alcun vantaggio o comunque un vantaggio minimo, l'importo della quota è sempre fissato a centotre euro: pertanto, in deroga ai criteri di commisurazione previsti dai due commi precedenti310, il giudice si occuperà soltanto della

prima fase, consistente nella determinazione del numero di quote della sanzione.

309 SARTARELLI S., Sub Art. 11 – I criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria, in A. PRESUTTI, A.

BERNASCONI, C. FIORIO, La responsabilità degli enti, cit., p.184.

310 Non è l’unico caso in cui si deroga al regime bifasico: un altro esempio, di cui si dirà oltre, si rinviene anche

nell'art. 25-septies, comma primo, laddove è previsto nel caso del delitto di cui all'art. 589 c.p., commesso con violazione delle norme di tipo antiinfortunistico, prevede l'applicazione di una sanzione pecuniaria in misura fissa pari a mille quote (cioè il massimo). In tal caso quindi la commisurazione del giudice attiene solo alla fase di valutazione delle condizioni economico-patrimoniali dell'ente per la determinazione dell'importo della singola quota, essendo invece vincolato ex lege il numero delle quote da comminare. Inoltre, la l. l. 27 maggio 2015, n. 69, modificando l’art. 25-ter, comma 1, lett. r), ha introdotto la possibilità di superamento del numero massimo di quote previste, aumentabili fino a un terzo nel caso in cui l’ente ricavi un profitto di rilevante entità dai delitti di aggiotaggio (art. 2637 cod. civ.) e di omessa comunicazione del conflitto d'interessi (art. 2629-bis cod. civ).

2. 1. I casi di riduzione della sanzione pecuniaria ex art. 12 del Decreto.

L'art. 12 del decreto 231/2001 elenca i casi di riduzione della sanzione pecuniaria, in attuazione di quanto previsto alle lettere g) e n) dell'art. 11 della legge delega.

Il primo comma prevede quindi una riduzione della sanzione qualora «l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi» e l’ente, sebbene ritenuto responsabile della commissione di uno dei reati-presupposto, «non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo» (lett. a), oppure quando il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità (lett. b): in tali ipotesi, la sanzione pecuniaria è ridotta della metà e non può in ogni caso essere superiore a 103.291 euro. Peraltro, al ricorrere di questi presupposti, l’ultimo comma dell’art. 13 afferma che non è possibile irrogare alcuna sanzione interdittiva, la cui applicazione – come si dirà oltre – è prevista in relazione a reati di particolare gravità e pertanto evidentemente incompatibile con la riduzione delle sanzioni dipendente dallo scarso disvalore del fatto commesso.

In merito alla disposizione del comma primo, disciplinante ipotesi in cui il disvalore del fatto è piuttosto ridotto, sono da evidenziare due aspetti: in primis, la prima parte della lett. a) parla di «interesse prevalente», in quanto la sussistenza di un interesse anche solo parziale dell’ente alla commissione dell’illecito non è sufficiente a escludere la sua responsabilità, cosa che avviene soltanto qualora l’interesse sia esclusivamente di terzi; in secondo luogo, la seconda parte della medesima lett. a) rende manifesto il fatto che il requisito del “vantaggio”, inteso come concreta acquisizione di una utilità economica, non sia indispensabile ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’ente, a differenza dell’interesse, che può comunque sussistere anche senza che, ex post, sia conseguito alcun vantaggio.

Il comma secondo invece prevede una riduzione della sanzione da un terzo alla metà qualora prima della apertura del dibattimento di primo grado, l’ente abbia posto in essere condotte riparatorie, quali il risarcimento integrale del danno cagionato e l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato – ma è sufficiente anche l'essersi efficacemente adoperato per farlo – (lett. a), oppure abbia adottato e reso operativo un modello organizzativo, sebbene post factum, idoneo a prevenire a prevenire reati della specie di quello già verificatosi (lett. b): la prima condizione richiede che l’ente dimostri di aver posto rimedio a quanto causato con la realizzazione dell’illecito, la seconda invece trova giustificazione nell’ottica di special- prevenzione che mira a stimolare una miglior gestione da parte della società, arrivando ad ammettere uno “sconto di pena” nel caso in cui l’ente dimostri il suo, pur tardivo, ravvedimento.

Chiudono l’articolo in commento le disposizioni del terzo comma, che prevede una riduzione dalla metà ai due terzi qualora ricorrano entrambe le condizioni di cui al comma secondo – condotte riparatorie ed efficace modello post delictum – e del quarto comma, che fissa il minimo edittale della sanzione pecuniaria “ricalcolata” sulla base delle riduzioni, a 10.329 euro.