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L’art. 13 del decreto 231/2001 detta le condizioni per l'applicabilità delle sanzioni interdittive, il cui catalogo, al comma secondo dell’articolo 9, ricalca sostanzialmente quanto previsto dalla lettera l), comma primo, dell’art. 11 della legge delega, con l’unica esclusione della chiusura dello stabilimento o della sede commerciale, in quanto più rispondente a sanzionare forme di illeciti connessi al rischio di impresa – quelli di cui alle lettere b), c) e d) dell'articolo 11 delle delega, che, al momento dell’approvazione del Decreto, non erano stati ricompresi nel novero dei reati-presupposto311.

Si tratta di sanzioni particolarmente invasive che possono condizionare – fino a paralizzare – l’attività dell’ente, attraverso la limitazione della sua capacità giuridica o con la sottrazione di risorse finanziarie e che, proprio per questo, la legge impone di applicare solo nei casi più gravi.

La sanzione interdittive pertanto sono irrogate unitamente alla sanzione pecuniaria, soltanto in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste e al ricorrere delle condizioni indicate dall’art. 13. In particolare, deve ricorrere almeno una delle due condizioni indicate dal comma primo: l’ente deve aver tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato deve essere stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all'altrui direzione – in questo caso, la commissione del reato deve essere stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative; oppure, in caso di reiterazione degli illeciti, che si configura, ai sensi dell’art. 20 del decreto, quando l'ente, già condannato in via definitiva almeno una volta per un illecito dipendente da reato, ne commette un altro nei cinque anni successivi alla condanna definitiva.

311 Peraltro, si rileva come la recente Direttiva 2017/1371 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio

2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale, che l’Italia sarà chiamata a recepire entro il 6 luglio 2019, nel prevedere le misure sanzionatorie da applicare all’ente, menzioni anche la chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti che sono stati usati per commettere il reato.

La previsione di questo tipo di sanzione, a livello politica criminale, è resa necessaria dal fatto che la sanzione pecuniaria, per quanto elevata, potrebbe non essere sufficiente a arginare la criminalità d’impresa, poiché l’ente potrebbe in qualche modo preventivarla e considerarla un “costo” inerente all’attività di gestione dell'ente da scaricare sui terzi312: in

questo senso, la minaccia di una sanzione dalla portata estremamente incapacitante come quella interdittiva risulta sicuramente più efficace rispetto all’effetto intimidatorio conseguente al rischio di una multa.

Quanto alla durata, il comma secondo dell’articolo 13 prevede un minimo non inferiore a tre mesi e un massimo di due anni. Il carattere di temporaneità delle sanzioni interdittive ben rispecchia la finalità special-preventiva, già più volte menzionata, che ispira il Decreto, finalità che verrebbe meno nel caso in cui la misura fosse sempre definitiva; inoltre, si vuole evitare che l’applicazione di una sanzione interdittiva si traduca in una “pena capitale” per l’ente. Ciò nonostante, alcune di queste misure – e in particolare, l’interdizione dall'esercizio di attività, il divieto di contrattare con le P. A. ed il divieto di pubblicizzare beni o servizi – possono essere applicate anche in via definitiva, qualora ricorrano le condizioni indicate all’art. 16.313

3. 1. Tipologie e criteri di scelta e applicazione delle sanzioni interdittive.

Ai sensi del secondo comma dell’art. 9, le sanzioni interdittive applicabili sono, indicate in odine di gravità in senso decrescente, a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività; b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

312 BRICOLA F., Luci ed ombre nella prospettiva di una responsabilità penale degli enti (nei Paesi della C.E.E.),

in CANESTRARI S., MELCHIONDA A (a cura di), Scritti di diritto penale (II), Giuffrè, Milano, 1997, p. 3083, afferma: «la sanzione pecuniaria per quanto elevata [...] viene scontata tra i costi di gestione e smaltita con maggior facilità rispetto a misure che si ripercuoterebbero, per contro, sull'organizzazione e sulle dimensioni d'impresa».

313 Il cui testo recita: «Può essere disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività se l'ente ha tratto dal

reato un profitto di rilevante entità ed è già stato condannato, almeno tre volte negli ultimi sette anni, alla interdizione temporanea dall'esercizio dell'attività. 2. Il giudice può applicare all'ente, in via definitiva, la sanzione del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione ovvero del divieto di pubblicizzare beni o servizi quando è già stato condannato alla stessa sanzione almeno tre volte negli ultimi sette anni. 3. Se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità è sempre disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività e non si applicano le disposizioni previste dall'articolo 17».

L’articolo 14 stabilisce invece i criteri in base ai quali sono scelte le misure interdittive da applicare: in particolare, vi si legge che esse «hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l'illecito dell'ente»: le sanzioni dunque, per quanto possibile, devono colpire il ramo di attività da cui è scaturito l’illecito, in ossequio al principio di economicità e di proporzione della sanzione314. Il giudice, qui, non decide se irrogare la misura, la cui applicazione è prevista

dalla legge, ma si limita a determinarne il tipo e la durata, facendo riferimento ai già noti criteri

ex art. 11 – ossia gravità del fatto, grado di responsabilità dell’ente e l’eventuale attività

riparatoria. Inoltre, il giudice deve valutare e tener conto dell’idoneità delle singole sanzioni a prevenire illeciti del tipo di quello commesso: ove risulti necessario, è possibile ricorrere all’applicazione congiunta di più sanzioni interdittive, ai sensi del comma terzo dell’art. 14, per garantire una maggiore efficacia sanzionatoria.

È prevista inoltre, all’articolo 16, la possibilità, per l’ente, di evitare l’irrogazione delle sanzioni interdittive temporanee, qualora ponga in essere condotte di riparazione delle conseguenze derivanti dalla commissione dell’illecito: la norma si colloca sempre nell’ottica della special-prevenzione, in questo caso in funzione premiale per un «comportamento che integra un "controvalore" rispetto all'offesa realizzata»315. Affinché l’ente sia esonerato

dall’applicazione della misura interdittiva, occorre che prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, esso abbia risarcito integralmente il danno ed eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato (ovvero si sia quantomeno adoperato in tal senso)316; l’ente deve inoltre

predisporre un modello post factum idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi, dimostrando di aver colmato le lacune organizzative che hanno consentito la realizzazione dell’illecito; da ultimo, deve aver messo a disposizione il profitto derivante dal reato per la confisca.

Venendo all’esame delle singole misure, l’interdizione dall’esercizio dell’attività è quella che presenta carattere maggiormente afflittivo e pertanto è applicabile solo come extrema

ratio, quando le altre misure risultino inadeguate (art. 14 comma quarto): essa comporta anche

la sospensione ovvero la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali allo svolgimento dell'attività e pertanto risulta particolarmente incisiva sullo svolgimento dell’attività dell’ente, al quale può derivarne un non trascurabile pregiudizio, tanto che l’art. 74,

314 Relazione al Decreto, § 6. 315 Relazione al Decreto, § 6. 1.

316 Come si ricorderà, questa condizione ricorre anche all’art. 12, comma secondo, lett. a) in tema di riduzione da

comma quarto del Decreto prevede la possibilità che il giudice autorizzi l’ente al compimento di atti di gestione ordinaria, a condizione che ciò non comporti la prosecuzione dell’attività interdetta.

Quanto alla sospensione o alla revoca – previste in modo alternativo – delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito, si tratta di provvedimenti di tipo ablativo che comportano l’impossibilità, per l’ente, di svolgere l’attività – pur autorizzata dallo Stato – nell’ambito della quale si è consumato il reato; il divieto di contrattare con la Pubblica amministrazione di cui alla lett. c) invece risponde alla volontà di togliere alla societas alcune fonti di reddito: l’impossibilità a contrattare può essere limitata a specifici contratti o a determinate amministrazioni, al fine di evitare la completa inattività dell'ente e non si applica ai contratti di erogazione di un pubblico servizio funzionali allo svolgimento dell’attività e da cui non derivi un profitto317.

La persona giuridica inoltre può incorrere nell’esclusione da agevolazioni, contributi, finanziamenti, sussidi – futuri – o nella loro revoca, qualora fossero già stati concessi: questa misura, anch’essa ablativa, coniuga la volontà di imporre significative limitazioni alle possibilità di investimento da parte dell’ente con la finalità di prevenire la commissione di illeciti connessi all'ottenimento indebito di erogazioni e finanziamenti pubblici; da ultimo, il divieto di pubblicizzare beni o servizi implica ricadute sulla posizione dell’ente sul mercato, stante il ruolo sempre più importante che hanno assunto le attività di promozione e marketing nella moderna economia di mercato.

3. 2. Il commissariamento giudiziale.

L’articolo 15 stabilisce infine i casi in cui la sanzione interdittiva è sostituita con la nomina di un commissario giudiziale, affinché prosegua l’attività dell’ente responsabile ex decreto 231, in linea con la disposizione di cui all’art. 11, comma primo, lett. l), n. 3 della legge delega, che dopo aver previsto come sanzione interdittiva quella dell'interdizione anche temporanea dall'esercizio dell'attività, prescrive l'eventuale nomina di un altro soggetto per l'esercizio vicario della medesima quando la sua interruzione potrebbe causare pregiudizio a terzi.

317 DE MARZO G., Le sanzioni amministrative: pene pecuniarie e sanzioni interdittive, in Le soc., 2001, n. 11,

La norma dunque è posta a tutela degli interessi della collettività: infatti, la sostituzione della pena interdittiva con il commissariamento giudiziale è prevista, stando al primo comma dell’articolo in commento, solo nel caso in cui l'ente svolga un servizio pubblico o di pubblica necessità318 (lett. a) e qualora l'interruzione dell'attività potrebbe provocare rilevanti

ripercussioni sull’occupazione, considerando le dimensioni dell’attività svolta dall’ente e le condizioni economiche del territorio in cui esso presta il suo operato (lett. b).

Il ricorso a questo istituto tuttavia non esonera in toto l’ente dall’applicazione della sanzione: infatti, il comma quarto dell’art. 15 prevede la confisca del profitto derivante dalla prosecuzione dell’attività, al fine di evitare che l’ente possa lucrare da un’attività che sarebbe stata interrotta se non vi fosse un interesse collettivo da tutelare.

Peraltro, tra i compiti del commissario giudiziale – indicati dal giudice con la medesima sentenza che dispone la sostituzione, che devono essere calibrati tenendo conto del tipo di attività nell’ambito della quale si è prodotto l’illecito – vi è anche l’obbligo di occuparsi del risanamento dell'ente attraverso la predisposizione e adozione di modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire i reati della stessa specie di quello che si è verificato: non viene dunque vanificata la fondamentale finalità special-preventiva alla base del Decreto. Il commissario può inoltre compiere autonomamente atti di ordinaria amministrazione, mentre per quelli di straordinaria amministrazione occorre la previa autorizzazione del giudice – analogamente a quanto è previsto per il commissario giudiziale dalla legge fallimentare319.

La continuazione dell’attività dell’ente attraverso il commissariamento può essere stabilita dal giudice in sostituzione di qualunque misura interdittiva, ad esclusione delle ipotesi in cui l’applicazione della sanzione interdittiva non produrrebbe alcun effetto sulla prosecuzione dell'attività dell'ente – come in caso di divieto di pubblicizzare beni o servizi prevista alla lett. e) del secondo comma dell’art. 9.

318 Con riguardo alle nozioni di pubblico servizio e servizio di pubblica necessità, esse si rinvengono all'interno

degli artt. 358 e 359 cod. pen.: l’art. 358, comma 2 recita che «per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima», l’art. 359 invece afferma che le persone che esercitano un servizio di pubblica necessità sono “1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell'opera di essi il pubblico sia obbligato ad avvalersi; 2) i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione»; tuttavia non sono mancati i dubbi circa la possibilità di applicare queste definizioni anche con riguardo alla responsabilità degli enti, non essendo il Decreto una legge penale in senso stretto.

319 Si veda quanto previsto agli artt. 165 della procedura di concordato preventivo e 191 della procedura di

Per quel che concerne la durata del commissariamento, essa di regola è pari alla durata della misura interdittiva che avrebbe dovuto essere stata irrogata: tuttavia, si ritiene che il giudice debba tener conto anche delle tempistiche necessarie per ottemperare all’obbligo di predisposizione e attuazione del modello post delictum: pertanto, necessariamente la durata del commissariamento sarà superiore al minimo di tre mesi stabilito per la sanzione interdittiva320.

4. Le altre sanzioni. La pubblicazione della sentenza di condanna e la confisca.