soggettiva ex artt. 6 e 7. – 3. Il ruolo esimente dei modelli di organizzazione all’interno della disciplina del Decreto. – 3. 1. La costruzione del modello: struttura e contenuti. – 3. 2. La recentissima introduzione del whistleblowing quale requisito di idoneità del modello. – 4. La fase di attuazione del modello. Funzioni e composizione dell’Organismo di vigilanza. – 5. Il sindacato giudiziale sull’idoneità del modello tra incertezze e prospettive di riforma.
1. Il criterio di imputazione oggettivo ai sensi dell’art. 5 del Decreto.
Il vero “cuore”181 della disciplina è rappresentato dagli articoli 5, 6 e 7 del d. lgs., che
illustrano i criteri oggettivi e soggettivi cui ancorare la responsabilità delle persone giuridiche: l’illecito amministrativo si caratterizza infatti per essere una fattispecie complessa e pertanto non è sufficiente la commissione di uno dei fatti reato contemplati dal Decreto agli artt. 24 ss., ma è necessario che a ciò si sommino ulteriori elementi costitutivi, necessari per imputare tale illecito all’ente.
L’articolo 5 individua, su un piano squisitamente oggettivo, il criterio di collegamento fra il reato realizzato dalla persona fisica e la responsabilità della persona giuridica, che sorge quindi per connessione tra la commissione di un illecito da parte di un soggetto legato all’ente da un rapporto qualificato182, che deve aver agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso.
La norma in commento è la traduzione a livello normativo della teoria dell’immedesimazione organica, in forza della quale gli effetti degli atti computi da un suo organo sono imputati direttamente alla società, che permette così di sostenere la piena compatibilità della responsabilità della societas con il principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., senza incorrere nelle resistenze avanzate dalla dottrina più irremovibile di cui si è già dato atto nel capitolo precedente. In tal senso, l’art. 5 del Decreto delinea un sistema articolato
181 Così afferma la Relazione al decreto 231/2001, § 3.2.
182 L’espressione è di LOTTINI R., Sub art. 8 d.lgs. 231/2001, in F. C. PALAZZO, C. E. PALIERO (a cura di),
Commentario breve, cit., p. 2302, il quale evidenzia come il legislatore delegato abbia preferito optare per un per
un «criterio oggettivo- funzionale» che considera la funzione in concreto svolta dal soggetto qualificato piuttosto che sul suo ruolo formale ricoperto all’interno della struttura organizzativa.
su due livelli, nel quale rilevano due tipologie di rapporti: il primo è quello di rappresentanza che caratterizza l’attività posta in essere dal soggetto che riveste una posizione apicale (comma primo, lett. a), il secondo è quello di subordinazione, che riguarda i soggetti sottoposti all’altrui direzione (comma primo, lett. b).
Nella prima categoria rientrano soggetti che, in quanto al vertice dell’organizzazione dell’ente, esprimono la volontà della societas in tutti i rapporti esterni e contribuiscono a definire le scelte di politica d’impresa: in particolare, coloro che svolgono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, ma anche coloro che esercitano di fatto la gestione e il controllo dello stesso – il legislatore ha optato per un criterio di tipo funzionale per individuare i soggetti il cui operato è riferibile all’ente, parificando i soggetti di fatto a quelli di diritto, preferendo una formula aperta ad una elencazione tassativa.183
Alla lett. a) del comma primo dell’art. 5 si fa riferimento alla rappresentanza organica, la quale comporta l’attribuzione a soggetti organi della società dei poteri tipici di manifestazione della volontà societaria verso l’esterno184; la funzione di direzione invece è
espletata tipicamente dal direttore generale, che possiede ampi poteri di gestione al pari di un amministratore e che pertanto si colloca in un rapporto di supremazia gerarchica rispetto ai dipendenti dell’impresa: poiché la norma parla anche dei soggetti che svolgono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione di una «unità organizzativa dell’ente dotata di autonomia finanziaria e funzionale», sono da ricomprendere anche i direttori di stabilimento, i quali, soprattutto nelle società non piccole, spesso godono di una autonomia gestionale tale da non essere sottoposti allo stretto controllo da parte della sede centrale. Infine, il riferimento ai soggetti che esercitano di fatto funzioni di gestione e controllo comporta la riferibilità della norma a coloro che sono in grado di esercitare un dominio sulla società, pur non possedendo formalmente alcuna qualifica che attribuisca loro tali poteri: è il caso, per esempio, del socio non amministratore ma detentore della quasi totalità delle azioni, che può dettare le linee di
183 E per questo motivo, DI GIOVINE O., Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in AA.VV., Reati e
responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n.231, a cura di G. LATTANZI, Giuffrè, Milano, 2010,
p. 57, rileva come «sarebbe stato forse opportuno riferire alle funzioni il verbo “svolgere”» dal momento che il verbo “rivestire” utilizzato dalla norma «evoca un’immagine di tipo statico e non invece dinamico, come invece nelle intenzioni della legge».
184 La rappresentanza volontaria, fondata su una procura in favore di un soggetto altrimenti estraneo alla compagine
organizzativa dell’ente, refluisce invece nella categoria dei sottoposti, in quanto comporta un obbligo di rendiconto che presuppone dunque la sottomissione all’altrui sfera di vigilanza e controllo.
politica aziendale pur non essendo interno all’organizzazione aziendale; sono invece comunque esclusi i sindaci, in quanto titolari di soli poteri di controllo.
La seconda categoria di persone fisiche la cui commissione di reati è suscettibile di impegnare la responsabilità dell'ente è, ai sensi della lett. b) del primo comma dell’articolo in commento, è rappresentata dalle «persone sottoposte alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale»: la Relazione al Decreto rileva come frequentemente i dipendenti agiscano nell’ambito dei compiti ad essi devoluti dalla società, pertanto non vi è alcuna ragione per escludere la responsabilità di questa per illeciti realizzati nell’ambito di attività che, di regola, sono destinate a riversarsi nella sfera giuridica dell’ente.
La differenziazione tra apicali e cd. sottoposti, peraltro caldeggiata anche da obblighi di natura internazionale185, è importante perché, come si vedrà nel paragrafo successivo, in base
alla persona fisica che realizza la condotta illecita si configurano due tipologie di responsabilità dell’ente sotto il profilo della colpevolezza: in altre parole, «il tipo di rapporto funzionale che lega l’autore del reato alla persona giuridica è determinante per individuare il criterio di imputazione soggettivo»186 di tale responsabilità.
1. 1. Le differenti concezioni di interesse e vantaggio all’interno del dibattito in dottrina. Quanto al requisito oggettivo dell’interesse o vantaggio dell’ente, la norma pone come condizione necessaria ai fini dell’ascrivibilità dell’illecito alla societas il fatto che tale reato sia commesso «nell’interesse o a vantaggio» dell’ente stesso.
La valenza da attribuire ai due criteri non è pacifica e ha dato origine a contrasti in dottrina circa quale fosse il significato dell’espressione e in particolare se si trattasse di due concetti sovrapponibili o separati: un primo orientamento187 ha ritenuto preferibile interpretare
185 In particolare, il Secondo Protocollo del 1997 alla Convenzione PIF del 1995 all’art. 3 comma primo affermava
che «Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili della frode, della corruzione attiva e del riciclaggio di denaro commessi a loro beneficio da qualsiasi persona che agisca individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica, che detenga un posto dominante», il secondo comma invece specifica che «ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili quando la carenza di sorveglianza o controllo da parte di uno dei soggetti di cui al paragrafo 1 abbia reso possibile la perpetrazione di una frode, di un atto di corruzione attiva o di riciclaggio di denaro a beneficio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità».
186 PALIERO C. E., Il d. lgs. 8 giugno 2001, cit., p. 845.
187 Propendono per una interpretazione unitaria dell’espressione PULITANÓ D., La responsabilità “da reato”
i due concetti in maniera unitaria, come un’endiadi riconducibile a un interesse obiettivo dell’ente, non essendo ragionevole «affidare il collegamento del reato con l’ente alle soggettive intenzioni o rappresentazioni dell’agente»188; secondo i sostenitori di questo orientamento, cd.
monistico, il “vero” criterio d’imputazione sarebbe l’interesse, mentre il vantaggio sarebbe soltanto «un semplice pleonasmo, privo di alcun valore denotativo ulteriore rispetto al criterio dell’interesse»189, se non quello di indice probatorio, ai fini di dimostrazione della sussistenza
di quest’ultimo190. A sostegno di questa interpretazione deporrebbero da un lato il fatto che la
responsabilità dell’ente può essere esclusa nonostante esso abbia beneficiato del vantaggio oggettivo derivante dalla commissione dell’illecito, dall’altro, dal fatto che, almeno secondo i fautori della tesi monistica, la valorizzazione autonoma del parametro del vantaggio comporterebbe il rischio di una dilatazione eccessiva dell’area di responsabilità dell’ente, in quanto si attribuirebbe rilevanza penale a tutti quei comportamenti delle singole persone fisiche che abbiano cagionato per l’ente conseguenze vantaggiose anche di tipo fortuito, a prescindere da una valutazione in merito all’orientamento finalistico della condotta dell’autore individuale, incorrendo in questo modo in una violazione del principio di personalità della responsabilità penale, pur inteso nella più contemporanea accezione di rimproverabilità per il fatto proprio colpevole.191
Altri autori192 invece, partendo dal dato letterale della norma, che prevede l’uso della
congiunzione disgiuntiva “o” con riferimento all’interesse e al vantaggio, che sembrerebbe confermare il carattere alternativo dei due requisiti, propende per un’interpretazione in chiave
giuridiche: il punto di vista del penalista, in Cass. pen., 2003, n. 6, p. 1114; DE MAGLIE C., L’etica e il mercato,
cit., p. 332, utilizza il termine vantaggio al posto di interesse, suggerendo quindi la loro sostanziale sovrapponibilità.
188 Così MEREU A., La responsabilità da reato, cit., p. 57.
189 AMARELLI G., I criteri oggettivi di ascrizione del reato all’ente collettivo ed i delitti colposi, in AA. VV.,
Infortuni sul lavoro e doveri di adeguata organizzazione: dalla responsabilità penale individuale alla «colpa» dell’ente, a cura di A. M. STILE – A. FIORELLA – V. MONGILLO), Jovene Editore, Napoli, 2014, p. 105.
190 DE SIMONE G., La responsabilità, cit., p. 34; POTETTI D., Interesse e vantaggio nella responsabilità degli
enti (art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2001), con particolare considerazione per l’infortunistica del lavoro, in Cass. Pen., 2013, fasc. 5, p. 2037, afferma che «l'esistenza di un vantaggio ex post servirebbe a dimostrare che ex ante
quel vantaggio è stato perseguito; il che, par di capire, consentirebbe di affermare nel processo che siccome è ravvisabile un vantaggio in capo all'ente (ex post), evidentemente ex ante si è agito per raggiungerlo, e quindi nell'interesse dell'ente medesimo».
191 SELVAGGI N., L'interesse dell'ente collettivo quale criterio di ascrizione della responsabilità da reato, Jovene
Editore, Napoli, 2006, pp. 82 e ss.
192 Di questa opinione, ASTROLOGO A., Interesse e vantaggio quali criteri di attribuzione della responsabilità
dell’ente nel D.lgs. 231/2001, in Ind. pen., 2003, fasc. 2, p. 656; MEREU A., op. e loc. ult. cit., riporta entrambi
dualistica; peraltro, ridurre la previsione a mera tautologia mal si concilierebbe con il criterio ermeneutico di conservazione delle norme e contrasterebbe, inoltre, con un’interpretazione sistematica della disciplina del Decreto, in quanto l’articolo 12 prevede una situazione in cui sussistono contestualmente i due requisiti193. La lettura disgiunta sembra trovare conferma
anche in quanto si legge nella Relazione al Decreto, la quale afferma che l’interesse connota in senso marcatamente soggettivo la condotta delittuosa della persona fisica e perciò rende necessaria una valutazione ex ante alla commissione del reato; al contrario, il requisito del vantaggio ha una connotazione oggettiva e implicando il suo effettivo conseguimento successivamente alla realizzazione del reato, è oggetto di una verifica ex post.194
Quanto al rischio di una indebita estensione dell’ambito applicativo della disciplina, esso non sembra rappresentare una obiezione decisiva, in quanto l’accertamento del giudice difficilmente potrà essere basato unicamente sul criterio oggettivo dell’interesse e del vantaggio, ma dovrà necessariamente investire anche la verifica dei criteri soggettivi di cui agli artt. 6 e 7, andando a valutare la sussistenza di quel deficit organizzativo che ha permesso la realizzazione della condotta illecita da parte della persona fisica195: il carattere fortuito del
beneficio conseguito dall’ente, che non sia dipeso dalle carenze organizzative di quest’ultimo, non si tradurrebbe pertanto nell’imputazione automatica dell’illecito nei confronti della società. Nel solco di questa interpretazione si colloca anche la giurisprudenza di legittimità, che si è espressa sul punto, affermando che l’espressione «‘nel suo interesse o a suo vantaggio’ non contiene una endiadi, perché i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi196»:
infatti, si può distinguere «un interesse 'a monte' per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito, da un vantaggio obiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato ex ante».
Considerando la lettura disgiunta dei requisiti, in ossequio all’interpretazione dualistica, l’interesse sarebbe da intendersi dunque come finalizzazione dell’illecito, volta a conseguire
193 L’art. 12 del d. lgs. 231/2001 al comma primo è stabilita una riduzione della sanzione pecuniaria qualora
l’autore del reato abbia commesso il fatto «nel prevalente interesse proprio o di terzi e l'ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo»; tuttavia, è da rilevare come la medesima disposizione sia utilizzata dai fautori della tesi monistica quale ulteriore conferma dell’irrilevanza del criterio del vantaggio, cfr. DE SIMONE G., La responsabilità, cit., p. 35.
194 Relazione al decreto 231/2001, § 3. 2.
195 AMARELLI G., I criteri oggettivi, cit., p. 110, sottolinea che ove si dovesse accertare che la commissione di
un reato abbia prodotto un vantaggio per l’ente, ma non sia stata originata da alcuna lacuna organizzativa, questo non sarà sufficiente per procedere all’ascrizione del reato nei confronti della persone giuridica.
196 Si vedano in merito Cass. pen., sez. II., 20 dicembre 2005, n. 3615 (Jolly Mediterraneo s.r.l. e D’Azzo) e Cass.
una certa utilità (e pertanto, è suscettibile di accertamento ex ante, al momento dell’azione): la tesi oggi prevalente in dottrina197 è quella secondo cui l’interesse andrebbe inteso non secondo
un’interpretazione finalistico-soggettiva – ossia, come un qualcosa che attiene alla sfera psicologica dell’autore del fatto e che spinge a realizzare il comportamento illecito – ma piuttosto in senso oggettivo, come proiezione finalistica della condotta, prescindendo dall’accertamento di un preciso momento finalistico in capo al soggetto individuale, interpretazione che peraltro si pone in contrasto, da un punto di vista sistematico, con la previsione dell’autonomia della responsabilità in capo all’ente di cui all’art. 8 del Decreto198.
Da ultimo, vi è anche chi ritiene che l’interesse andrebbe inteso nel senso di politica d’impresa non correttamente orientata, in quanto il fatto è materialmente eseguito dalla persona fisica, ma sostanzialmente rappresenta il risultato di una strategia dell’ente.199
Quanto al requisito del vantaggio, invece, esso si configurerebbe come la concreta acquisizione di una utilità che l’ente ha ricavato dal reato200 e pertanto deve essere accertato dal
giudice ex post, al fine di valutare gli effetti favorevoli e l’eventuale profitto201 conseguenti alla
realizzazione dell’illecito. A ben vedere, il legislatore in realtà non qualifica esplicitamente in termini patrimoniali il concetto di vantaggio, al cui interno sembrerebbero quindi poter essere ricomprese anche utilità di tipo non economico; tuttavia, anche a livello giurisprudenziale202,
197 Lo rileva DE SIMONE G., La responsabilità, cit., p. 36.
198 In questo senso, DE VERO G., La responsabilità, cit., p. 160, secondo cui «la pretesa necessità di riscontrare
una specifica finalità in senso marcatamente psicologico in capo all’autore individuale entrerebbe in totale rotta di collisione con quanto chiaramente enunciato nel comma 1 lett. a) [dell’art. 8 del Decreto, n.d.r], nel senso che la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato: come è possibile compiere un accertamento di tipo psicologico, di per sé notoriamente difficoltoso, quando addirittura manca la persona sulla quale tale accertamento dovrebbe essere condotto?».
199 Così, ASTROLOGO A., Interesse e vantaggio, cit., p. 657, la quale rileva che l’impresa è ormai configurabile
come un «organismo intenzionale», in grado di specificare un proprio indirizzo strategico e operativo, il cui risultato la politica cui la persona fisica operante all’interno di essa è tenuta ad ottemperare; anche BRICOLA F.,
Responsabilità penale per il tipo e il modo di produzione, in CANESTRARI S., MELCHIONDA A. (a cura di), Scritti di diritto penale, vol. I, tomo II, Giuffrè, Milano, 1997, p. 1253, rilevando la necessità di introdurre una
responsabilità delle persone giuridiche, parla di illeciti dipendenti da scelte di politica d’impresa.
200 BASSI A., EPIDENDIO T. E., Enti e responsabilità da reato, cit., pp. 165 ss.; si ritiene che il vantaggio possa
essere anche indiretto, cioè mediato da risultati fatti acquisire a terzi che abbiano ricadute positive per l’ente, ma non vi è concordia sul punto.
201 ASTROLOGO A., op. ult. cit., p. 658-659 sostiene l’identificazione fra vantaggio e profitto, in virtù di una
interpretazione sistematica della disciplina, in particolare con la condizione del «profitto di rilevante entità» di cui all’art. 13 comma 1 lett. a) per l’applicazione della sanzione interdittiva; nonché con la confisca del prezzo o del profitto del reato di cui all’art. 19.
202 La giurisprudenza è concorde nel far coincidere il termine “utilità” con un vantaggio oggettivamente
apprezzabile in senso economico; si veda, tra le altre, Cass. pen. sez. III, 15 ottobre 1999, n. 860 e Cass. pen., sez. VI, 3 marzo 1998 n. 4317.
l’interpretazione prevalente sembra ritenere che il vantaggio faccia riferimento a una concreta acquisizione di tipo economico, o quanto meno economicamente apprezzabile.
L’ancoraggio della responsabilità dell’ente alla ricorrenza dell’interesse o del vantaggio, pur necessario al fine di impedire che ogni fatto illecito commesso all’interno dell’ente sia di
default ad esso riferibile, anche in assenza di effettiva responsabilità, può tuttavia comportare
alcuni problemi dal punto di vista funzionale: come si avrà modo di osservare più approfonditamente nel capitolo finale di questa trattazione, particolari perplessità sono state sollevate quanto alla compatibilità con la nozione di interesse e vantaggio dell’inserimento all’interno del “codice 231” delle fattispecie colpose di cui all’art. 25-septies in materia di salute e sicurezza sul lavoro (nonché, all'art. 25-undecies per quanto attiene ai reati ambientali).
Un’ultima notazione riguarda il secondo comma dell’art. 5, il quale introduce una causa oggettiva di esclusione della responsabilità, stabilendo che l’ente non risponde qualora l’autore dell’illecito abbia agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, in quanto si interromperebbe il rapporto di immedesimazione organica e il prodursi di effetti nei confronti dell’ente sarebbe sostanzialmente casuale203: ne deriva che, affinché sorga la responsabilità della persona
giuridica, è indispensabile che vi sia quanto meno un interesse parziale dell’ente alla realizzazione del reato (cd. interesse misto). Ciò rende manifesto che il requisito del vantaggio per l’ente non sia indispensabile ai fini della sussistenza della responsabilità della società, in quanto può essere tratto dall'ente anche quando la persona fisica non abbia agito nel suo interesse; viceversa, la responsabilità sussiste qualora l’ente non abbia tratto alcun vantaggio dalla commissione di un reato, anche se realizzato nel suo interesse204, che deve essere sempre
concreto ed attuale, ma non necessariamente deve avere contenuto economico.