LINGUISTIC TURN E ICONIC TURN
1.6 Altri approdi all’iconic turn
Abbiamo dimostrato che il logos deve necessariamente comprendere le immagini, le quali sono in grado di esprimere un significato. Tale consapevolezza, saldamente presente nel pensiero di Boehm, può essere rintracciata ben prima della stessa teorizzazione del linguistic turn da parte di Rorty. Già a partire dagli anni Venti del secolo scorso, infatti, alcuni Autori ipotizzano l’esistenza di fonti produttive di significato-senso diverse dal linguaggio. Così, il filosofo,
285 Ibidem, cit., p. 56. 286 Ibidem, cit., p. 57.
matematico e teologo russo P. Florenskij, soffermandosi sulle icone sacre, in un saggio del 1922, afferma: «l’icona evoca un archetipo, cioè desta nella coscienza una visione spirituale: per chi ha contemplato nitidamente e coscientemente questa visione, questa nuova, secondaria visione per mezzo dell’icona è anch’essa nitida e cosciente»288. Da queste parole emerge chiaramente come, sebbene in un ambito specifico come quello sacro, l’immagine sia capace di evocare nello spettatore qualcosa di altro, da guardare «con gli occhi dello spirito»289; ciò vuol dire che la visione fenomenica offerta abitualmente dall’immagine ai nostri occhi, può essere elevata ad una visione più alta – una visione intellettuale –290 che dà luogo ad un conoscenza vicina alla rivelazione291. In altre parole, l’immagine è testimonianza, segno visibile, che non dimostra ma mostra e rivela l’invisibile292. Allo stesso modo Boehm, nel riferirsi alla differenza
288 P. FLORENSKIJ, Le porte regali. Saggio sull’icona, a cura e tr. it. di E. Zolla, Adelphi, Milano 1977, p. 69. A testimonianza della contemporanea ricezione teoretica del pensiero dell’Autore russo in Occidente vi è il saggio di M. Cacciari, in cui, similmente, si afferma che l’icona, non avendo equivalente logico-discorsivo, si manifesta come luogo visibile di ciò che, paradossalmente, rimane invisibile: «l’icona è chiamata ad aprire gli occhi, a togliere il velo che li ricopre e impedisce di vedere» (M. CACCIARI, Tre icone, Adelphi, Milano 2007, p. 14).
289 A. GRABAR, Le origini dell’estetica medievale, Jaca Book, Milano 2001, p. 21.
290 Ibidem. Qui Grabar rinvia, a titolo esemplificativo, alle idee di Plotino, in base alle quali l’immagine riflette la realtà noumenica, ovvero, il Noûs neoplatonico (l’Intelligenza superiore).
291 In tal senso Florenskij afferma che ogni icona è una rivelazione in quanto le immagini possono essere contemplate «in un’ascensione della coscienza» (P. FLORENSKIJ, Le porte regali. Saggio sull’icona, cit., p. 74).
292 Così, P. EVDOKIMOV, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, tr. it. di G. da Vetralla, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, p. 185. Allo stesso modo, la “prospettiva rovesciata o inversa” – che Florenskij definisce come «uno spazio che si dà al di là del sensibile» (P. FLORENSKIJ, La prospettiva rovesciata e altri scritti, N. Misler (a cura di), Gangemi, Roma-Reggio Calabria 2003, p. 76) – non è che il segno del passaggio dal visibile all’invisibile e l’icona è il medium che ci permette di varcare «le porte regali
iconica, afferma che il contenuto visibile in essa evocato rimanda a qualcosa di assente293: l’immagine opera mediante un contrasto, che da un elemento presente, quello raffigurato, rimanda a qualcosa di assente, ossia il significato profondo della raffigurazione. Anche in Wittgenstein, del resto, è possibile ritrovare, nella nozione sopra esposta di rappresentazione perspicua294– strettamente connessa a quella di vedere come295 – quella capacità di cogliere, nella visibilità dell’immagine, ciò che in essa resta non visibile, per cui possiamo affermare che nell’immagine si mostra «quell’unità di senso che tuttavia rimane sempre “altra”, vale a dire eccedente, rispetto all’immagine stessa»296; si tratta sempre – ritornando alle riflessioni di Boehm – «di produrre, nell'ambito confinato della materia, un'eccedenza di senso»297.
Il fatto che alcune riflessioni tipiche dell’iconic turn possano essere rintracciate in un periodo antecedente la svolta linguistica, rappresenta l’ulteriore conferma di come il linguaggio non debba
[…] confine fra il mondo visibile e il mondo invisibile» (E. ZOLLA, Prefazione, a P. FLORENSKIJ, Le porte regali, cit.). E’ interessante evidenziare che il richiamo alla porta come soglia tra due mondi è presente anche nelle riflessioni sociologiche ed estetiche di Georg Simmel, il quale, in un saggio del 1909, attribuiva alla porta la capacità di annullare «la separazione tra interno ed esterno»: essa è da concepire «non nella morta forma geometrica di una parete divisoria, ma come la possibilità di uno scambio continuo» (G. SIMMEL, Ponte e porta: saggi di estetica, A. Borsari e C. Bronzino (a cura di), Archetipolibri, Bologna 2011, p. 3 s).
293 Cfr. G. BOEHM, La svolta iconica, cit., p. 110. 294 Cfr. supra, p. 67.
295 Wittgenstein interpreta il vedere-come alla stregua di un concetto intermedio tra il vedere e il pensare, dal momento che in esso coesistono un fattore volontaristico e un elemento genuinamente percettivo: «il balenare improvviso dell’aspetto ci appare metà come un’esperienza vissuta del vedere, metà come un pensiero» (L. WITTGENSTEN, Ricerche filosofiche, cit., p. 231).
296G. DI GIACOMO, Arte, linguaggio e rappresentazione nella riflessione filosofica di Wittgenstein, cit., p. 29.
essere l’unico oggetto della riflessione relativa alla conoscenza e alle sue fonti; occorre infatti allargare il campo di indagine anche alle immagini. In ambito giuridico, siffatta impostazione è idonea a rimediare ad uno dei principali problemi del diritto, vale a dire la sua autoreferenzialità: il diritto spesso si risolve in uno strumento di mera tecnica amministrativa, che finisce per legittimare se stesso attraverso la legalità delle sue procedure e che rischia troppo spesso di allontanarsi dai bisogni della società ai quali dovrebbe dare risposta. La causa di questa deriva risiede nel fatto che il diritto si appiattisce sulle parole in cui è espresso, sulla loro efficacia linguistica e razionalità comunicativa298.
D’altra parte, nella prassi non si assiste ad una mera applicazione asettica dei testi normativi, ma agli operatori del diritto è richiesto qualcosa in più che esula dall’interpretazione della legge: si prenda ad esempio il processo penale italiano, interamente fondato sull’assunto che la decisione più affidabile e che più si avvicina alla verità storica sia quella adottata non già sulla base della mera lettura delle carte processuali, ma a seguito dell’assunzione delle prove nel contraddittorio tra le parti, dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale, il quale, partecipando con attenzione all’attività istruttoria sì da cogliere i gesti, le esitazioni e l’atteggiamento delle fonti dichiarative, al momento dell’adozione della sentenza avrà a disposizione elementi ulteriori rispetto alle sole parole che risultano dal verbale299. Per tale ragione, la preparazione del giurista non deve essere limitata allo
298 In questo senso, T. MARCI, Codificazione artistica e figurazione giuridica. Dallo spazio prospettico allo spazio reticolare, cit., p. 23. 299 Per un approfondimento del tema del contraddittorio nel processo penale, si veda O. MAZZA, voce contraddittorio (principio del) (diritto processuale penale), in Enc. Dir., Annali VII, Giuffrè, Milano 2014, p. 247 ss.
studio delle fonti del diritto, ma deve avere ad oggetto anche altri campi, dal momento che i problemi che si presentano quotidianamente dinanzi al giurista impongono il possesso di uno strumentario più variegato.
CAPITOLO 2
UN ESPERIMENTO