ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA
2.3 L’iconografia del diritto e della giustizia come percepiti dal mondo contemporaneo
Le forme satiriche di rappresentazione del diritto e della giustizia sopra esposte hanno determinato e veicolato alcuni significati simbolici – discendenti da una diffusa percezione sociale dell’ingiustizia –, che, nel tempo, si sono consolidati nel senso comune ed hanno continuato a caratterizzare le produzioni artistiche del XX secolo. Basti pensare allo scandalo suscitato dall’allegoria della Giurisprudenza (Fig. 28), una delle tre tele – insieme a La
Filosofia e La Medicina115 – commissionate nel 1893 a Klimt dal ministero per la Cultura e l’Istruzione austrico, al fine di ornare il soffitto dell’aula magna dell’Università di Vienna con lavori
114 J. P. RIBNER, Law and Justice in England and France. The view from Victorian London in C. DOUZINAS, L. NEAD (a cura di), Law and the Image. The autority of Art and the aesthetics of Law, The University of Chicago Press, Chicago and London 1999, p. 198.
115 Tutto il complesso allegorico andò distrutto nel 1945, nell’incendio del castello di Immendorf.
rappresentanti la celebrazione delle scienze razionali. La composizione, terminata nel 1903 – quando Klimt, già inserito nelle istanze artistiche della Secessione viennese116, era ben lontano dal fornire una visione razionale dei soggetti rappresentati –, non fu accolta di buon grado. Fra polemiche e pesanti critiche della stampa venne rifiutata dalle autorità ufficiali, le quali auspicavano invece «un’immagine più solenne, ma soprattutto più ottimistica e rasserenante»117, che raffigurasse la scienza del diritto e non la pena118, generando un acceso dibattito pubblico circa la libertà di espressione degli artisti nei confronti dello Stato. La scena di giudizio dipinta da Klimt mostra un tribunale governato da «una legge severa e di astratte moralità»119, dove la giustizia è presentata come una forza punitrice e vendicatrice. Al centro dell’opera, infatti, sta un nudo corpo di vecchio indifeso, «vittima della sua colpa, della legge, dei giudici e
116 La Wiener Secession è stata un movimento artistico d’avanguardia che ha dato vita ad una tra le più importanti correnti europee di rinnovamento delle arti grafiche e decorative: lo Jugendstil o Art Nouveau. Il movimento è stato fondato da 19 importanti pittori, scultori e architetti austriaci, tra cui Klimt che ne divenne presidente, con l’intento di prendere le distanze dagli ideali accademici dalla Künstlerhaus – l’Associazione degli artisti di Vienna, la cui politica tendeva a difendere gli interessi dei propri membri più affermati ed assecondare il gusto di un pubblico tradizionalista – ed estendere la propria attività al di là della pittura, sostenendo l’integrazione di quest’ultima con le arti decorative, l’architettura, la musica e la letteratura, e diffondendone i principi attraverso la rivista ufficiale “Ver Sacrum”: cfr. A. DE PAZ, Dal Realismo al Simbolismo: vicende e figure dell’arte postromantica europea, Clueb, Bologna 2000, p. 250.
117 G. CREPALDI, La storia dell’arte. Le Avanguardie, a cura di S. Zuffi, vol. 17, Electa, Milano 2006, p. 66.
118 Lo scrittore Karl Kraus affermerà che la nozione di giurisprudenza per Klimt si legga a quella di delitto e castigo. Cfr. M. CHINI, Klimt. Vita d'artista, Giunti, Firenze-Milano 2007, p. 72; infatti, nell’opera predomina l’immagine di una vittima affranta, preda del terrore della punizione. Cfr. G. ALESSI, Il soggetto e l’ordine. Percorsi storici dell’individuo nell’Europa moderna, Giappichelli, Torino 2006, p. 139.
dell’opinione pubblica»120, avviluppato tra le spire di un mostro tentacolare, circondato da lascive figure femminili – le Erinni in qualità di «esecutrici ufficiali»121 della giustizia – e sovrastato dalle tre allegorie della Verità, della Iustitia – munita del consueto attributo simbolico della spada – e della Legge, che, impassibili, osservano dall’alto il dramma dell’umanità.
Un altro interessante esempio di come la rappresentazione del diritto e della giustizia siano sempre più legate alla percezione che la società ha del loro ruolo122, e sempre meno orientata ai solenni archetipi del passato, compare nel capitolo settimo del Processo − scritto nel 1914 dal laureato in legge Franz Kafka −, in cui vi è un’emblematica raffigurazione della giustizia realizzata da Titorelli, il pittore del tribunale di fronte al quale si presenterà l’accusato Josef K. proclamando la sua tanto agognata innocenza. Il protagonista, osservando nello studio dell’artista il ritratto, ancora non ultimato, di un giudice nell’atto di sollevarsi da un’alta poltrona con fare minaccioso, intravede sullo sfondo «una grande figura in piedi nel mezzo della spalliera»123 e non riuscendo a capire con certezza cosa raffiguri, chiede chiarimento al pittore. Titorelli, dopo aver ritoccato i contorni della figura, senza per questo averla resa più intelligibile, afferma che quella rappresentata è la giustizia; al che K., pur
120 F. COLAO, Il ”dolente regno dello pene”. Storie della “varietà della idea fondamentale del giure punitivo” tra Ottocento e Novecento, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, n. 1, giugno 2010, p. 143.
121 Cfr. G. FLIEDL, Gustav Klimt 1862–1918. Il mondo al femminile, Taschen, Hohenzollernring 1994, p. 82.
122 Cosicché si assiste al superamento del confine tra arte e giudizio politico: «l’arte sconfina nel sociale e diventa politica rivoluzionaria […] quell’idea di un’osmosi “totale” tra vita, arte e politica». In questi termini, T. MARCI, Codificazione artistica e figurazione giuridica, cit., p. 424.
riconoscendone gli attributi della benda e della bilancia, osserva come essa abbia le ali ai piedi e sia in procinto di correre. Alla risposta del pittore − il quale rivela che su commissione ha dovuto illustrare insieme la giustizia e la dea della vittoria −, K. obietta come questa non sia un’unione riuscita, in quanto «la Giustizia deve star ferma, altrimenti la bilancia dondola, e non è possibile pronunciare una sentenza giusta»124.
Analizzando i principali simboli di questa imago Iustitiae kafkiana, emerge una vera e propria novità ideologica e iconografica: il tema dell’”ibrido”125. Prendendo in considerazione l’attributo della benda, è possibile affermare che questa dovrebbe essere posta non sul volto della giustizia, ma su quello del giudice in primo piano, di modo che egli − privato di ogni distrazione − rivolga la sua attenzione alla giustizia medesima, la quale dovrebbe «perfettamente vedere per misurare-giudicare, e dunque mantenere in equilibrio la sua bilancia»126. Invece Titorelli, dipingendo una giustizia bendata alle spalle di un giudice dallo sguardo minaccioso, inscena un rovesciamento delirante di quella che dovrebbe essere la realtà, contravvenendo alla pretesa secondo cui «come l’imago Iustitiae indica quale deve essere l’atteggiamento del giudice, così l’atteggiamento di questi è simbolo dell’essenza della Giustizia»127. K., però, comprende la verità celata non dal posizionamento della benda ma dal simbolo delle ali ai piedi della giustizia, poiché turbato
124 Ibidem.
125Discendente con tutta probabilità dalle contaminazioni che investono i nuovi mondi del diritto: cfr. M. CACCIARI, Icone della legge, Adelphi, Milano 1985, p. 130.
126 Ibidem.
127 R.V. CRISTALDI, La benda della giustizia, in “Quaderni catanesi di Studi classici e medievali”, vol. III, n. 6, 1981, p. 365.
dal fatto che il movimento di questa possa rompere l’equilibrio dei piatti della bilancia128. La giustizia infatti, sul punto di spiccare il volo, rappresenta un ibrido: appare come un momento fugace ma decisivo, è al tempo stesso il «rapido Kairos, […] fuso ormai con la figura della Fortuna e dell'Occasio»129, e Nike, la quale è incapace di «porre fine all'ondeggiante, imprevedibile dominio della Fortuna»130 e perciò non sarà mai una vittoria definitiva. In riferimento a ciò si spiega la benda: essa non è più semplice emblema di cecità propria del “caso”, ma è motivo di occultamento − «la benda impedisce di vedere ma anche di essere visti»131 − di un volto terribile132, quello della necessità e dell' inflessibilità di Tyche, di colei «che non può provare pietà»133. Nondimeno, tali osservazioni sono strettamente legate alla percezione finale che K. ha della figura. Infatti, nella parte conclusiva del dialogo, quando l’artista si rimette all’opera, egli ha modo di rilevare un’impercettibile sfumatura attorno alla figura, tale per cui essa sembra acquistare un risalto particolare «senza che rammentasse ormai la dea della Giustizia, ma neanche quella della Vittoria, anzi ora sembrava in maniera perfetta la dea della Caccia»134. Ma, a differenza
128 Ciò richiama l’affermazione di M. Sbriccoli sul rapporto di interdipendenza fra gli attributi con cui la giustizia è raffigurata: «la benda valorizza la bilancia e dal verdetto della bilancia dipende l’azione della spada» (M. SBRICCOLI, La benda della giustizia, cit., p. 207).
129 M. CACCIARI, Icone della legge, cit., p. 131. 130 Ibidem.
131 R.V. CRISTALDI, La benda della giustizia, cit., p. 377.
132 H. Kelsen non ha esitato nel preferire la benda della giustizia al terrore dello svelamento: «il problema del diritto naturale è l’eterno problema di ciò che sta dietro il diritto positivo. E chi cerca una risposta, troverà – temo – non la verità assoluta d’una metafisica né la giustizia assoluta d’un diritto naturale. Chi alza quel velo senza chiudere gli occhi si vede fissare dallo sguardo sbarrato della Gorgone del potere» (H. KELSEN, Il problema della giustizia, a cura di M.G. Losano, Einaudi, Torino 1975, p. XXII) .
133 M. CACCIARI, Icone della legge, cit., p. 132. 134 F. KAFKA, Il processo, cit., p. 122.
di quella, non munita di spada, la quale non può «valere per distinguere bene e male, ragione e torto»135.
Nell’ambito dell’evoluzione artistica successiva, non si riscontrano incisivi cambiamenti nelle raffigurazioni del diritto e della giustizia, le quali anzi diventano sempre più sporadiche, poste prevalentemente ad ornare i Palazzi di Giustizia in cui si può osservare che la triade simbolica − bilancia, spada e benda −, ha perso la sua caratteristica eloquenza esortativa o ammonitiva, cadendo in una «ripetitività senza vitalità»136. Per tale motivo, anche nel XXI secolo, come accaduto in precedenza con le illustrazioni satiriche, sono comparse rappresentazioni iconografiche dell’ “ingiustizia”, finalizzate a provocare nello spettatore un sentimento contrario; in altri termini, posto innanzi ad una scena di chiara ingiustizia, l’osservatore è spinto a riflettere sull’idea di giustizia in quanto tale137.
Da questo punto di vista, è emblematica l’istallazione temporanea, posta nel quartiere londinese di Clerkenwell Green,
135 M. CACCIARI, Icone della legge, cit., p. 134. Kafka, trasfigurando la dea della caccia in quella della giustizia, rappresenta l’idea di quest’ultima come colei che va a caccia di colpevoli perché sostanzialmente attratta dalle colpe. Non è un caso se per tutto il corso del romanzo, Leni – segretaria e infermiera dell’avvocato Huld, amico dello zio del protagonista – avverte K. circa un costante e imminente pericolo, ripetendogli più volte «ti danno la caccia»; cosicché lo sventurato protagonista prenderà coscienza della sua condizione: cfr. S. PASQUINI, Indagine sul processo di Kafka: la separazione e la colpa, M. Pagliai, Firenze 2011, p. 156 ss.
136 A. M. CAMPANALE, Nuovi simboli per il diritto?, in “Diritto e narrazioni: temi di diritto, letteratura e altre arti. Atti del secondo convegno della Italian Society for Law and Literature, Bologna, 3-4 giugno 2010”, a cura di M. P. Mittica, LED, Milano 2011, p. 69.
137 Sulla raffigurazione della giustizia a partire dall’ingiustizia si vedano A. SIMONE, F. ZAPPINO, Fare giustizia. Neoliberismo e diseguaglianze, Mimesis, Milano-Udine 2016. In questi saggi si offre una una visione globale – sia dal punto di vista filosofico che da quello sociologico – di tutte le situazioni in cui è in primo piano il ruolo svolto dalla giustizia, prediligendo obiettivi polemici quali la corruzione della sovranità e del sistema giuridico delle democrazie occidentali e la giustificazione strumentale delle disuguaglianze sociali.
realizzata nel 2004 dal guerrilla artist britannico Banksy138. Si tratta di una statua in bronzo alta sei metri (Fig. 29) che replica nelle fattezze la famosa giustizia dell’Old Bailey (Fig. 30) realizzata da Pomeroy139: vi ritroviamo la posizione allargata delle braccia allineate in orizzontale recanti i simboli della bilancia in una mano e della spada nell’altra, il volto incorniciato da un copricapo appuntito e lo sguardo inamovibile libero dalla benda accecante. Ma nell’opera di Banksy è la tunica indossata dalla figura a denunciarne il lato nascosto; difatti, la veste maliziosamente aperta sui fianchi rende visibili un paio di alti stivali neri ed una giarrettiera dalla quale fuoriescono delle banconote, rivelando una somiglianza della Iustitia non tanto alla nobile dea
138 Artista dall’identità ancora sconosciuta e considerato uno dei maggiori esponenti della street art, Banksy, alla fine degli anni ’90 del Novecento, iniziò a diffondere le sue opere – prevalentemente graffiti, stencil, tag e installazioni – illegalmente apposte su muri, ponti, facciate di case popolari e strade di Londra. In seguito, divenne famoso a livello mondiale per le sue azioni di guerrilla art – pratica contemporanea di performace artistiche rapide e improvvise in spazi pubblici – strettamente legate ad una dimensione di protesta civile. Alcune tematiche affrontate nelle sue opere riguardano infatti le atrocità della guerra, la corruzione, l’inquinamento, il maltrattamento degli animali e il consumismo. Banksy, grazie alla sua sensibilità morale, è stato in grado di mettere in stretta correlazione la sua azione artistica con le problematiche politiche e sociali del mondo contemporaneo, «configurandosi così come un attento e spietato interprete della società occidentale»: cfr. G. BOERO, Banksy e l’immagine di Londra: breve analisi dell’opera dello street artist britannico e delle sue conseguenze socio-culturali nella capitale del Regno Unito, in “Altre Modernità: Rivista di studi letterari e culturali”, n. 20, 2018, p. 82.
139 Collocata sulla sommità della Central Criminal Court – il Tribunale penale centrale di Londra – anche conosciuto come Old Bailey, la giustizia creata dal prolifico scultore britannico Frederick William Pomeroy su commissione dell’architetto Edward Mountford è una statua di bronzo decorata in foglia d’oro alta tre metri che, in posizione eretta con le braccia aperte perfettamente allineate in orizzontale, regge in un palmo la bilancia dai lances in equilibrio e nell’altro la spada sguainata verticalmente, simboli che, immobili pur nella loro dinamicità, richiamano il carattere retto ed eterno della giustizia. Così, J. RESNIK, D. CURTIS, Representing Justice: invention, controversy and rights in city-states and democratic courtrooms, Yale University press, New Haven 2011, p. 87.
decantata da Kantorowicz140, quanto ad una più discutibile meretrice. Banksy ha reso noto, tramite un portavoce, che il monumento in questione è dedicato a «criminali, ladri, bulli, bugiardi, corrotti, arroganti e stupidi», descrivendolo come «la più onesta raffigurazione della Giustizia britannica», dal momento che è necessario «imparare che le persone alle quali con fiducia rimettiamo la nostra libertà, non sono affidabili»141; ciò sottolinea appunto la targa in metallo alla base dell’opera recante la scritta trust no one.
In conclusione, attualmente appare evidente come le immagini prese al mondo delle leggi e dei tribunali, così come dai costumi sociali e dall’opinione pubblica, abbiano sostituito le statue e le pitture142 di un tempo, influenzando sempre più le raffigurazioni iconografiche del diritto e della giustizia, fino a svuotarle della gravitas e del carattere solenne che le animava. Il che forse rende
auspicabile un recupero della dimensione originaria di tali immagini quali «veicolo di quei significati che fanno parte del corredo simbolico della scena del giudizio»143, in modo che autorevolezza della Iustitia e la sua riproduzione iconografica vadano di pari passo.
140 Cfr. supra, p. 9.
141 Banksy stesso afferma di aver volutamente fatto coincidere questo atto di guerrilla art col primo anniversario della morte di Kevin Callan, camionista incensurato vittima di un errore giudiziario a causa del quale fu condannato nel 1991 per la morte di una bambina di quattro anni. Il caso destò una diffusa attenzione mediatica che portò alla revoca della sentenza nel 1995. L’articolo del 2004 contenente le dichiarazioni dell’artista è consultabile al seguente indirizzo http://news.bbc.co.uk/2/hi/entertainment/3537136.stm .
142 Cfr. A. PROSPERI, Giustizia bendata, cit. p. 235.
143 A. M. CAMPANALE, La funzione di pedagogia pubblica dell'iconografia giudiziaria, in “Sociologia del diritto”, n. 3, 2014, p. 109.