È possibile una fonologia cognitiva?
3.3 Il modello “Bybee-Nesset”
3.4.5 Altri membri della famiglia
Non sarebbe sensato credere che questa rete di relazioni, per quanto strutturate in molteplici direzioni, esauriscano la complessità che soggiace al radicamento del significato di queste forme, così come alla motivazione del loro schema fonologico, che vediamo concorrere al significato proprio in base alla loro struttura, per via di più generali meccanismi cognitivi.
Nello schema di secondo ordine C non trovano pienamente posto alcune istanziazioni, piuttosto numerose per la verità. Pensiamo a forme come vegetàr[i.n],
barbàr[i.n], històr[i.n], pedèstr[i.n], antedilùv[i.n], che condividono davvero ben
poco nel polo semantico, tra loro o con i prototipi della famiglia con cui abbiamo avuto fin qui a che fare. Se guardiamo al loro polo fonologico, esse hanno nondimeno un effetto significativo, sebbene in quanto parenti decisamente lontani. I poli fonologici forniscono un consolidamento dello schema Ʃ-[i.n], cioè lo schema prototipico, con l’effetto indiretto di radicare i simboli interi che dispongano di tale polo fonologico. Per di più, alcuni di questi si saldano attraverso estensioni forti in uno schema molto specificato, cioè Ʃ-[…i.n], tranne antedilùv[i.n], che avevamo già incontrato per
166 casi come Gibraltà[i.n] e Libè[i.n] (cfr. supra, § 3.4.2), con i quali, a questo punto, questo gruppo si collega e concorre a determinare più indirettamente lo schema fonologico prototipico.
Altri parenti lontani sono da rinvenire nei tipi (x) Amèri[kn], Àngli[kn],
Lùthe[n], Petràr[kn], da un lato, e in (y) Chil[i.n], Europ [i.n], Kor[i.n],
dall’altro. In questi casi, come si nota, la via preferenziale di estensione dagli schemi di A, B e C è il polo semantico, perché tutti si istanziano nello schema generico C [relativo a + nome proprio], taluni specificamente in A, taluni in B. Data questa forte estensione come base del confronto, ai poli fonologici le estensioni deboli si configurano in maniera alquanto interessante rispetto al nostro prototipo Ʃ-[i.n].
Di fatto il tipo x, sebbene nessun /i/ abbia mai storicamente figurato nel suffisso di derivazione latina -an, ha la medesima struttura dello schema prototipico Ʃ-[i.n] quanto alla collocazione di apice sillabico in terzultima posizione e al numero di sillabe che seguono Ʃ, ma parte dello schema è più vicino al non prototipico Ʃ-[Cn] (eccettuata la posizione dell’accento, ma non così in Petràr[kn]), che in precedenza abbiamo detto dipendente dallo sviluppo diacronico in presenza di fricative o affricate (post)alveolari nei derivati -ian. Il tipo x ha complessi legami estensivi nel polo fonologico con A e B (oltre agli stretti rapporti semantici), che rafforzano contemporaneamente una struttura sillabico-accentuale […Ʃ.Ʃ.Ʃ#] (tonica seguita da due atone in fine di parola), comune al nostro prototipo, e, d’altro canto, una struttura “segmentale” [Cn#] parzialmente comune al non prototipico Ʃ-[Cn]; uno schema come Petràr[kn] fa invece un passo in più verso Ʃ-[Cn], sovrapponendosi ad esso. Non sappiamo a questo punto se soprattutto in forme come quest’ultima vi sia una realtà cognitiva esclusivamente morfologica che induca il parlante ad analizzare lo schema come Petràrch + suff. -[n], anziché a vedervi un’istanziazione di Ʃ-[Cn]. Dubitiamo però di questa ipotesi di una morfologia autonoma, rintracciando in diacronia esempi di mutamento linguistico che a motivo di opacità semantica hanno reinterpretato i morfemi271: come spiegare ad esempio casi eclatanti come il neologismo italiano
271 La questione della rianalisi dei morfemi in relazione al mutamento fonologico è alquanto complessa. In alcune prospettive è prima la ristrutturazione fonologica a portare ad una morfologizzazione delle forme, processo innescato dell’opacità semantica (Kiparsky 1971); d’altra parte, però, dal momento in cui
167 “obesiologo”272
, in cui sarebbe alquanto complesso, sic et simpliciter, separare il morfo suffissale semanticamente e fonologicamente autonomo (-logo? -ologo? -iologo?) da quello lessicale? Crediamo piuttosto che un approccio morfonologico e le relazioni
prototype-based tra schemi categoriali siano cognitivamente più plausibili per dare
conto di queste forme, che hanno la possibilità di entrare in molteplici connessioni con altri membri di famiglia: “biologo”, “fisiologo”, “epidemiologo”, “cardiologo”, “massmediologo”, “semiologo”, e forme derivate per prefissazione da queste, crediamo abbiano giocato un ruolo molto più determinante di qualsiasi regola di derivazione nella creazione della neoformazione in questione.
Il tipo y, da parte sua, non condivide con C e con i prototipi la posizione dell’apice sillabico. Sono a ben guardare forme derivate in maniera eterogenea:
Chil[i.n] da [tli] + -[n], Europ[i.n] da [jp] + -[i.n], Kor[i.n] da [ki] + -
[n] in cui sarebbe impresa ardua stabilire quale dei due [] abbia priorità cognitiva nel processo di derivazione (se vi sia un’elisione di quello radicale, oppure se sia da contemplare l’esistenza di un allomorfo -[n] nell’analisi del parlante). Nonostante le derivazioni, abbiamo già osservato che le uniche forme su cui operiamo sincronicamente sono quelle di superficie di contenuto positivo, secondo il content
requirement. In altre parole, sia come sia, le forme reali che i parlanti impiegano e
decodificano convergono pienamente in uno schema [i.n], a prescindere da fini interpretazioni morfologiche. Pertanto, gli effetti che ci riguardano sono da rintracciare nel contributo che il polo fonologico [i.n] porta, per estensione che procede dai prototipi, al radicamento della porzione segmentale dei simboli derivati che condividono stretta parentela al polo semantico con C anche in questo tipo y, pur rimanendo ai margini della famiglia.
Questi due tipi x e y ci sembrano interessanti in quanto forniscono coerenza a C dalla periferia dello schema categoriale, conservando ciascuno alcune caratteristiche
si ha opacità, la ristrutturazione deve aver già avuto luogo, cioè la rianalisi deve aver avuto effetto prima che affiori il mutamento fonologico (Andersen 1973; Booij 2008; Haiman 1995; Janda 1999). Con le parole di Bybee (2003, 57): «Cases in which morphological status interacts with variable phonetic processes constitute important evidence against modularization. Phonetic implementation cannot be relegated to a derivative role in which it has no access to the lexical or morphological status of the elements upon which it works».
272 Neologismo che in Treccani online (http://www.treccani.it), alla voce rispettiva, viene documentato in prima attestazione nel 2004, e che verrebbe fatto risalire ad «obesi(tà) con l’aggiunta del confisso - (o)logo».
168 fonologiche mutuamente esclusive tra i tipi, ma condividendo pienamente il polo semantico come forte base di confronto col prototipo: rispetto a Ʃ-[i.n], x tende a rafforzare lo schema sillabico [Ʃ.Ʃ.Ʃ], ma, molto fortemente in Petràr[kn], ricalca parzialmente lo schema segmentale non prototipico Ʃ-[Cn] a scansione monosillabica; laddove la posizione dell’apice sillabico non coincide con [Ʃ.Ʃ.Ʃ], interviene in y la totale sovrapponibilità segmentale e di scansione -[i.n] con il prototipo, mentre abbiamo visto x cedere verso lo schema non prototipico quanto a segmenti e scansione. In quest’ottica, questi due gruppi periferici alla grande famiglia -ian risultano fortemente complementari, al punto da suggerire che, idealmente, dovremmo riunire in una forma ciò che non condividono per ottenere il prototipo.