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È possibile una fonologia cognitiva?

3.2 Una fonologia cognitiva schematica

Nesset (2008) propone uno tra i pochi modelli (e studi) di fonologia cognitiva reperibili248, caratterizzato principalmente da due aspetti: i) un approccio cognitivista

usage-based su base essenzialmente langackeriana; ii) un trattamento della materia in

prospettiva morfonologica, privilegiando l’interfaccia a scapito della modularità dei livelli (in uno spirito proprio della CL in genere). La domanda fondamentale cui tenta di rispondere, in linea con la forte tendenza semantico-centrica, è se le alternanze morfo- fonologiche abbiano un significato249, dal momento che appare evidente che i parlanti tollerano tali alternanze; altrimenti esse non sarebbero altro che semplici complicazioni di una grammatica, se prese all’interno di un’analisi basata esclusivamente su un modello a regole. Lo studio in questione si concentra su un singolo sistema-lingua, cioè il russo, specificamente riguardo alle alternanze radicali, nella persuasione dell’autore che la descrizione delle complessità di un sistema intero in particolare sia un buon

247 Taylor 1999b. 307.

248 Gli altri soli due lavori di fonologia cognitiva che Nesset indica sono Bybee (2003) e Välimaa-Blum (2005).

249 Nesset (2008, 11-12) è esplicito sul «very broad sense» in cui sono intesi la semantica e il significato in CL, e mette in guardia il lettore sul fatto, dipendente dall’intera riflessione cognitivista, che altri indirizzi teorici parlerebbero piuttosto di fatti linguistici pragmatici, non strettamente semantici.

141 banco di prova per una teoria. Va tenuto ben presente che, così come il significato è concettuale, anche le forme fonetico-fonologiche sono concetti (Langacker 1987, 78-79; Taylor 2002, 79-80), potenzialmente suscettibili pertanto di tutti i processi cognitivi non esclusivamente linguistici e rispondenti ad un «parsimonious set of cognitively motivated concepts» (Nesset 2008, 233).

Alcuni punti messi a fuoco risultano di particolare interesse, al di là degli obiettivi specifici a cui il lavoro mira. Anzitutto gli schemi in alternativa alle regole ed alle strutture profonde o soggiacenti, in modo particolare quelli che vengono chiamati

second order schemas (cfr. infra, § 3.6, che renderebbero ragione delle relazioni tra

forme superficiali dello stesso schema gestaltico, senza la necessità di postulare le strutture profonde). Al livello segmentale, ad esempio, viene fornita la struttura del fonema /a/ in russo, che assumerebbe la natura di una rete categoriale e schematica, il cui centro prototipico è l’allofono di default [a] non anteriorizzato. Lo schema inclusivo sovraordinato nasce dalla generalizzazione dei parlanti su tutti gli schemi (di primo ordine) che contengono un allofono [a] non anteriorizzato. Lo schema cognitivo (la cui forma grafica ha scopi meramente illustrativi, come accade per tutti gli schemi nella

Cognitive Grammar) sarebbe il seguente (Nesset 2008, 32).

3.1

(Phoneme schema)

(Default allophone schema)

(Allophone schemas)

[low]

…a…

a CaC CaCj CjaC Cja̟Cj

BUT MATE MOTHER CRUMPLED CRUMPLE

142 In figura viene rappresentata la situazione dell’alternanza di una [a̟] anteriorizzata in contesto di consonanti palatali ([Cj]), con una [a] centrale bassa in altri contesti. Come si vede, le due realizzazioni sono in distribuzione complementare, dunque allofoni in quanto compaiono esclusivamente in contesti differenti. Poiché [a] ricorre in tutti i contesti fuorché tra consonanti palatalizzate, esso rappresenta l’allofono di default, e ciò spiega il motivo per cui lo schema contiene solo la vocale preceduta e seguita da puntini di sospensione, ad indicare che non può esserne specificato un particolare contesto. Questa rete categoriale che contiene schemi a vari gradi di generalità dà conto della differenza tra fonema e allofono nella Cognitive Grammar: il fonema, segmento con funzione contrastiva, ha la natura di uno schema cognitivo libero (context-free); gli allofoni, non contrastivi, hanno invece natura di schemi cognitivi che specificano un certo contesto fonetico (context-specific)250. Bisogna notare che in questa visione delle cose, il concetto di fonema si avvicina molto a quello di default allophone, coerentemente con il fatto che le categorie hanno membri centrali e prototipici, e dunque un contenuto positivo, cognitivamente accessibile e reale. Inoltre, fonetica e fonologia tendono, come si vede, a rappresentare, se non proprio un continuum, due ambiti che sfumano i loro contorni l’uno nell’altro in CL. Lo schema di secondo ordine [low] che include le alternanze, le quali si raggruppano e si richiamano a loro volta categorialmente, è emergente dal dato fonetico, non il frutto di regole sottintese che producono certe forme in output. Siamo piuttosto in presenza di un’organizzazione dell’esperienza fonetica in schemi di vario grado di generalità (fino al secondo ordine). Già Lakoff (1993) suggeriva una radicale alternativa ai sistemi di regole di matrice generativa in fonologia, sostituendo le costruzioni alle regole, con la conseguenza di rendere molto meno necessario postulare forme profonde che non affiorerebbero in superficie. Riguardo alle forme di superficie, scriveva piuttosto:

Those of us working in cognitive grammar have found that really complex syntax (of the “non-core” variety, which is most of syntax) becomes tractable if it is formulated in terms of direct correlations –called grammatical constructions– between semantics/pragmatics and surface forms. I would like to suggest that phonology works in the same way cognitive

250 L’unico tipo di allofonia considerata in Nesset (2008). Allofoni liberi, come il caso italiano di [ʋ] o [ʀ] per /r/, non hanno trattazione nel lavoro. Del valore di quest’ultimo tipo di allofoni, tratta invece Kristiansen (2003).

143

grammar does, in terms of cross-dimensional correlations, where the relevant dimensions are levels of phonological representation. (Ivi, 117-118).

Le correlazioni dirette a cui Lakoff si riferisce rendono piuttosto indispensabile che il livello fonetico, ovvero i dettagli strettamente fonetici, venga preso in seria considerazione nella sua realtà psicologica. Per la precisione, tre sono i livelli schematici in cui le costruzioni fonologiche hanno sede, tutti egualmente cognitivamente reali, le cui combinazioni avvengono per “sovrimposizione” (superposition).

Cognitive phonology characterizes correspondences between morphemes (as stored in the mind) and phonetic sequences. We will refer to these as the morphemic and phonetic “levels” –M-level and P-level, respectively. In addition, we posit one intermediate level, the phonemic level, at which, among other things, constraints on word-level phonology are stated; we shall call this the W-level. I take these to be a minimal collection of necessary dimensions of phonological structure; I also think that they are all that is necessary. […] In the default case, there is identity across levels. […] Cross-level constructions are direction neutral, and are intended to be used directly in either production or recognition. Constructions combine by superposition. That is, each construction imposes a set of constraints, and the constraints of the various constructions are simultaneously satisfied. (Ivi, 118).

Dunque gli schemi di vario grado di generalità, che si formerebbero come organizzazione dell’esperienza fonetica, avrebbero ciascuno nei tre livelli la loro well-

formedness che interagisce in modo multidirezionale con gli altri livelli, determinando

le costruzioni risultantisulla base della sovrapponibilità degli schemi (che, come citato, tendono all’identità nei vari livelli, come situazione di default). Per spiegarci meglio, facciamo riferimento ad uno degli esempi riportati da Lakoff251 dalla lingua Mohawk (esempio discusso a partire da Halle-Clements 1983252). Una regola fonetica concernente l’epentesi di [e] si applica tra consonante e occlusiva glottidale in fine di parola, all’interno di un presunto ordine di successione di regole che prevedrebbe la priorità di questa regola su quella di sonorizzazione di consonanti occlusive

251 Lakoff 1993 , 121.

252 La forma discussa è Mohawk “ykrege”, che risulterebbe in superficie dall’applicazione di sei regole fonologiche rigorosamente in ordine, cfr. ivi, 120.

144 intervocaliche. In realtà, nel quadro cognitivista in questione ciascuna delle due “regole” è il risultato dell’interazione di schemi differenti. Nel primo caso, in W (livello morfologico) abbiamo uno schema libero (default), che rappresentiamo come […Cʔ…], mentre al livello P (fonetico) la successione è specificata come […Ceʔ#]. La sonorizzazione di occlusive intervocaliche è specificata nel livello P come […VC+sonV…]. Dunque, in alternativa a regole generative applicate una alla volta in

ordine di successione, che vedrebbero l’epentesi precedere la sonorizzazione, abbiamo un modello in cui simultaneamente avviene il conceptual overlap di schemi cognitivi. In altri termini, vi è una interazione tra schemi253.

3.2

Sono a disposizione due candidati, ciascuno rispondente a schemi differenti. Lo schema W e quelli P sono stati posti sullo stesso livello, ad indicare che, eccettuato il grado di generalità, sono schemi cognitivi che non differiscono sul piano qualitativo, manipolabili secondo gli stessi principi che regolano ed orientano tutta la semantica concettuale. Si nota immediatamente che negli schemi P il contesto fonetico è dettagliato in larga misura rispetto al livello W: è indicata la posizione di pausa (#) e il contesto intervocalico di C+son (occlusiva sonora), laddove in […Cʔ…] non sono

specificati contesti per la successione Cʔ (come nel caso del default allophone di cui sopra). Pertanto, ciò che si verificherebbe sarebbe la compatibilità simultanea molto più alta del candidato […regeʔ#] con gli schemi P a disposizione, rispetto a quanto non accadrebbe all’altro candidato […rekʔ#] sprovvisto di contesto, senza la necessità di dover postulare un ordine di apparizione di fenomeni regolati del tipo

253 Adottiamo la forma schematica di Nesset (2008) per rendere le interazioni e le correlazioni lakoviane riportate.

…Cʔ… …Ceʔ# …VC+sonV…

W P

145 “epentesi>sonorizzazione”, men che meno in sincronia. Va aggiunto che opera in questo caso, come in molti altri, un principio cognitivo molto generale, che Lakoff (1987, 147) ha battezzato “Legge di Wilensky", in onore di Robert Wilensky, studioso cognitivista che formulò la seguente regola tendenziale (Wilensky 1983, 128): «Always apply the most specific pieces of knowledge available». Vale a dire che i candidati linguistico- cognitivi in potenziale competizione nell’interazione tra schemi vengono scelti con un certo grado di automatismo, rispondente al principio secondo cui le conoscenze più specifiche (gli schemi context-specific nel nostro caso) hanno la precedenza su quelle generiche, di conseguenza più alte nella gerarchia di inclusione categoriale (gli schemi

context-free). Nei modelli a regole a base generativa si parla piuttosto di precedenza di

applicazione di regole specifiche rispetto a regole generali, e il principio è chiamato “Elsewhere Condition” (Kiparsky, 1982). Sebbene prima facie possano sembrare formulazioni di poco differenti, l’esempio riportato mette in luce la difficoltà di operare con un sistema a regole in alcuni casi, almeno di fonologia cognitiva: cosa rende più generica la regola Mohawk 1) “se una consonante occlusiva si trova in posizione intervocalica viene sonorizzata” e invece più specifica la regola 2) “se una consonante precede [ʔ#], allora viene inserita [e] epentetica”? Anche se, si potrebbe osservare, un concetto come vocale/consonante è più generico rispetto a un concetto come /ʔ/ o /e/, non va dimenticato che si discute di regole, o meglio della generalità/specificità della forma logica delle regole, non della gerarchia di generalità delle categorie segmentali (fonemi o combinazioni ricorrenti di fonemi). Anzitutto, se tentiamo di ricavare indizi di maggior o minor generalità, dobbiamo notare che queste due regole non sono in relazione di inclusione 1) ⊂ 2), in quanto due ipotetiche regole in rapporto inclusivo (generale include specifico) avrebbero piuttosto la forma, ad esempio, di una celebre legge diacronica: “le occlusive sorde diventano fricative sorde”; “se le occlusive sorde sono precedute da /s/, restano occlusive sorde”. Parte della legge di Grimm enunciata ha qui il solo scopo di illustrare la forma prototipica di due regole evidentemente diverse quanto a grado di generalità, differenza garantita anche dall’inclusione della regola specifica (blocco della rotazione a motivo di /s/) nella regola generica (che prevede la rotazione in contesto non specificato). In secondo luogo, le presunte regole 1) e 2) non differiscono in modo sensibile quanto al grado di complessità, né di specificazione del contesto, in quanto in entrambe si presenta alquanto dettagliato (come si è notato nello

146 schema). Pertanto, non sembra un terreno molto sicuro stabilire la priorità dell’applicazione della regola 2) dopo la regola 1) sulla base della precedenza della regola specifica su quella generica. Piuttosto, pare preferibile l’alternativa del simultaneo conceptual overlap con gli schemi più dettagliati a disposizione, non secondo un rigido ordine di apparizione in cui le regole si manifesterebbero nelle forme di superficie. Si badi che ad essere più o meno generali sono gli schemi, dal contenuto concettuale positivo, non le regole, a differenza (fondamentale) del modello generativo. Va sottolineato che in questo modello i segmenti, sebbene presentati isolati negli schemi, sono chiaramente considerati idealizzazioni: «Schemas are generalizations over structures recurring in utterances, so if features [o i segmenti stessi] are schemas it follows that they are grounded in phonetics» (Nesset 2008, 36).

Questa considerazione del fonema come schema dal contenuto positivo (l’allofono di default) risulta un paradigma di una certa utilità quando ci si trova a rendere conto di fatti empirici che metterebbero in seria discussione una tradizionale concezione di fonema che riposasse prevalentemente sulla pratica delle coppie minime. Come nota Albano Leoni (2009, 148-154) (e si veda anche Delattre et al., 1955, ivi citati), risultano del tutto irrilevanti ai percipienti alcune commutazioni che avrebbero valore fonologico in teoria, ma non in pratica. Vi sono coppie come pane/cane in cui il taglio artificiale di /p/ risulta del tutto irrilevante per l’ascoltatore, che continua a percepire /pane/ a motivo della distribuzione dell’energia acustica sulla vocale adiacente (fenomeno di transizione), una caratteristica specificamente “materiale” e fonetica. Oppure il caso di /vini/ e /vidi/ in cui lo scambio dei singoli segmenti /n/ e /d/ non compromette l’identificazione dei due significati iniziali, poiché è la qualità nasale della/e vocale/i l’informazione fortemente determinante per il riconoscimento. O ancora Bybee (2003, 44-45) ricorda che la nasalizzazione delle vocali in inglese viene effettivamente trattata dei parlanti come fosse pertinente e fonologica (tradizionalmente non trattata come tale), in casi analoghi al precedente: in coppie come ample/amble (dati ricavati da Malécot, 1960), quando [ã] di amble viene denasalizzata nella maggior parte dei casi gli ascoltatori identificano la produzione come ample; questa situazione rivela che la distinzione tra V͂ e VN, sebbene sia fonetica e predicibile, viene utilizzata con funzione contrastiva in inglese, ed è dunque coinvolta nel processo di determinazione del significato al pari di ben più canoniche opposizioni fonologiche. In più, al livello

147 acquisizionale, vengono portate interessanti evidenze di come bambini inglesi (tra i due e i tre anni) trattino VN davanti ad occlusiva sorda come se fosse una vocale nasale fonemica: in breve, pur disponendo di consonanti nasali, in forme come can’t la consonante nasale non compare affatto, dando luogo a realizzazioni del tipo [kæt], con vocale orale; forme con occlusiva sonora invece esibiscono chiaramente [n] (come in

mend [mɛn], round [daun]), e lo stesso dicasi per parole terminanti in consonante nasale

(come in spoon [fun], one [wan]). Questa realizzazione di vocale orale e nessuna consonante nasale (davanti a occlusiva sorda in inglese) è la situazione normale nell’acquisizione di lingue che hanno vocali nasali fonemiche: in francese, ad esempio, i bambini acquisiscono prima le vocali orali e in un secondo momento le sostituiscono con le corrispondenti nasali. Ciò significa che i bambini inglesi in questione non analizzano queste successioni come VN + C (sorda o sonora), ma dispongono piuttosto di un’opposizione V/VN, fin quando non sono in grado di produrre V͂, conformando agli schemi fonetico-fonologici dell’adulto, di cui sopra, i propri. Altri importanti indizi provengono dal vincolo fonotattico di quantità per le vocali inglesi, che prevede l’allungamento della vocale nucleare nei monosillabi accentati davanti a consonante sonora, mentre ciò non accade davanti a consonante sorda (Bybee, 2003, 43-44): [bɛt] rispetto a [bɛːd], o [kɑp] rispetto a [kɑːb], casi nei quali la lunghezza è altamente predicibile in base alla sonorità o meno della consonante seguente e in cui tradizionalmente la contrastività fonologica è riconosciuta al solo segmento consonantico, nonostante vi siano evidenze che la lunghezza vocalica rappresenti un indizio fondamentale nei test di riconoscimento della parola sul modello di quelli menzionati.