È possibile una fonologia cognitiva?
3.3 Il modello “Bybee-Nesset”
3.3.2 Estensione variabile delle unità fonologiche e content requirement
A partire da questa architettura generale, la considerazione delle unità fonologiche, problematica in sé soprattutto al livello segmentale, è quella di strutture
emergenti. Il paradigma impiegato nel modello non è strettamente segmentale, ma non
nega il segmento come unità fonologica, seppur essa non sia considerata un’unità minima. Piuttosto, in base alla natura del flusso fonatorio e delle esigenze cognitive specifiche, possono emergere unità schematiche di varia estensione: un esempio limitato ma significativo è rappresentato dai dittonghi o dalle affricate rispetto ad unità più semplici come una vocale pura (Bybee 2003, 31). Quanto all’emergere dei segmenti, ammettendo che la sillaba sia l’unità gestaltica di base, se controlli neuromotori identici sul piano anatomico e temporale vengono memorizzati e acquisiti una sola volta, dato un insieme di sillabe, ad esempio, CV, teste consonantiche e nuclei vocalici identici vengono associati in una rete concettuale tale che le unità corrispondenti ai segmenti risultano emergere naturalmente come parti della Gestalt sillabica (Lindblom 1992). Quanto alla vexata quaestio di una definizione del concetto di fonema, le sintetiche formulazioni alla base del modello mettono comprensibilmente in luce la similarità degli allofoni che strutturano la categoria fonematica (in linea con la teoria cognitivista dei prototipi, ad es. Rosch 1978):
(1) Many of the traditional questions of phonology […] can be answered in terms of categorization. Allophones are phonetically similar and thus are categorized as belonging to the same or related cognitive units, provided no contexts of contrast are present. (Bybee 2003, 33).
152
(2) The phoneme is a prototype-centered, gradient class of phonetically similar sounds which all serve the same distinctive function. (Välimaa-Blum 2005, 57).
(3) Phonemes are conceptual categories consisting of phonetically similar sounds that serve the same distinctive function. (Nesset 2008, 33).
La definizione indiretta (1) è la sola a non fare riferimento alla funzione distintiva: in essa si tratta esclusivamente di allofoni come elementi foneticamente simili che compongono “unità cognitive”, al di fuori di contesti contrastivi. In questa dimensione viene privilegiata la concezione cognitiva e categoriale del fonema, in modo forse non troppo originale rispetto alla tradizione, ma forse il pregio maggiore di tale forma risiede nell’enfasi sul contenuto positivo della categoria, piuttosto che sulla tradizionale rete di opposizioni differenziali in negativo. In (3) la funzione distintiva è riabilitata nella definizione, le categorie hanno contenuto positivo e la similarità è centrale, ma ci sembra ancora meno originale di (1). La definizione che ci sembra condensare al meglio il valore degli assunti fondamentali della CL è quella in (2): senza trascurare la funzione più o meno distintiva del fonema, esso è una categoria “centrata sul/i prototipo/i” nella determinazione della similarità dei membri allofonici, ed essi sono di appartenenza graduale alla classe cognitiva che chiamiamo fonema. La centralità o perifericità di un membro della categoria fonologica, vedremo, non è affatto irrilevante nella determinazione del significato.
Fondamentale nei processi cognitivi di categorizzazione radiale è un altro principio, il content requirement, sul quale le formulazioni appena viste si basano, in particolare (3). Il modello attinge molto dalla Cognitive Grammar langackeriana, e lo stesso Langacker (2008, 25) fornisce i dettagli di questo principio basilare, anche accennando specificamente alla fonologia:
Adopted as a strong working hypothesis, this requirement [il content requirement] states that the only elements ascribable to a linguistic system are (i) semantic, phonological, and symbolic structures that actually occur as part of expressions; (ii) schematizations of permitted structures; and (iii) categorizing relationships between permitted structures. […] Sounds and meanings […] are directly apprehended , in the sense that we hear or produce the sounds of a usage event and understand it in a certain way. They also have intrinsic content related to broader realms of experience – the sounds of speech represent a particular class of auditory phenomena, and linguistic meanings are special cases of
153
conceptualization. […] Provision (i) allows us to posit specific elements such as segments, syllables, and any larger sequence sufficiently frequent to become entrenched as units. […] Provision (ii) permits schematized segments and syllables. At different levels of abstraction, for instance, schemas can be posited representing what is in common to the high front vowels of a language, the front vowels, or the vowels in general. Each schema characterizes a natural class of segments. […] Similarly, the schematic template [CVC] embodies the abstract commonality of [hap], [liv], [mɛk], and many other syllables. Provision (iii) lets us posit categorizing relationships, such as those between schemas and their instantiations. Thus [[CVC] → [hap]] indicates that [hap] is categorized as an instance of the [CVC] syllable type.
Anche se la linguistica cognitiva non ha affinato i suoi strumenti specificamente in ambito fonologico, non è affatto casuale che per spiegare il principio in questione Langacker ricorra proprio ad esempi fonologici. Le uniche strutture linguistiche cognitivamente reali nella teoria sono (i) quelle semantiche e quelle fonologiche, e i simboli che risultano dall’associazione delle due. L’assunto centrale consiste nel sostenere che non vi sia differenza qualitativa tra strutture fonologiche e semantiche, in quanto entrambe concetti del pari, soggette ai medesimi meccanismi di concettualizzazione (ii) e (iii). Per di più, suoni e significati hanno entrambi «intrinsic content», hanno entrambi cioè una semantica concettuale che punta, per così dire, verso ben più ampi domini dell’esperienza non direttamente linguistica stricto sensu. Si noti, inoltre, che nella grammatica cognitiva non è una questione particolarmente rilevante stabilire se il primato cognitivo spetti alla tale o alla tal altra unità fonologica, o individuare un’unità minima: che si tratti della sillaba, del segmento, o di qualsiasi unità ancora più estesa, ogni struttura fonologica sufficientemente frequente per essere schematizzata può emergere come unità rilevante258. Anche sul primato cognitivo della sillaba come unità, in effetti, si sono fatte strada perplessità considerevoli. Ad esempio, Segui-Ferrand (2002, 156-159), pur illustrando il ruolo determinante della sillaba nella
258 Una prospettiva analoga si rintraccia ad esempio in Abry-Stefanuto-Vilain-Laboissière (2002, 228): «For us a rather new fundamental question about the organization of speech […] is to consider that basic phonological units, be they syllables, phonemes, or features/gestures, are by-products and not primes. This runs contrary to any of the phonological approaches, which all build syllables from smaller units […]». La posizione degli autori è motivata principalmente dalla loro considerazione neuromotoria delle articolazioni, che rintracciano in una «babble-syllable» emergente il precursore della sillaba fonologica (con la quale non coincide). I dati riportati riguardano per la maggior parte la produzione fonatoria (e non la plausibilità cognitiva), in casi di pazienti afasici; viene difeso un ruolo attivo della SMA (Supplementary Motor Area), non solo dell’area di Broca, nella determinazione della struttura della “protosillaba” da cui la sillaba fonologica emergerebbe successivamente.
154 produzione e percezione linguistica, suggeriscono che «the syllable is probably not a universal unit of speech processing» (ivi, 165). Essi, tra l’altro, mettono in luce la notevole problematicità della collocazione di netti confini sillabici in inglese, rispetto al francese e ad altre lingue romanze che avrebbero confini maggiormente netti: non è affatto infrequente che vi siano consonanti inglesi ambisillabiche all’interno di parola, segmenti che assolverebbero alla funzione di coda e testa sillabica contemporaneamente in due sillabe adiacenti.
For instance, in the word BALANCE, in which the primary stress is on the initial syllable, the syllable boundary falls neither clearly before not after the /l/, because this intervocalic consonant can be legal in both word-initial and word-final positions. For English, there is agreement to treat these intervocalic consonants as ambisyllabic […]. Phonologists represent the syllable structure of ambisyllabic English words such as BALANCE as [BA[L]ANCE], where the /l/ properly belongs to both first and second syllables. (ivi, 156).
Oltre a suggerire la problematicità di guardare alla sillaba come ad un primitivo fonologico, gli autori portano parimenti dati a sostegno della forte plausibilità cognitiva della natura schematica della struttura sillabica, indipendente (almeno al livello categoriale sovraordinato) dal contenuto fonologico della stessa (ivi, 159-164 e i riferimenti ivi citati; cfr. anche Abry-Stefanuto-Vilain-Laboissière 2002, 242; evidenze sperimentali in MacNeilage 1998), in una maniera particolarmente compatibile con il modello fonologico che abbiamo chiamato BN, sebbene il contributo propenda per una certa indipendenza anche degli effetti sillabici nella processazione linguistica rispetto al lessico (contrariamente al modello). In sostanza, si notano sperimentalmente evidenti effetti di priming nella scelta di parole o forme che condividano la medesima struttura sillabica, ma non il contenuto segmentale, della forma somministrata prima dello svolgimento dei tasks di volta in volta sottoposti ai candidati: nella pressoché totalità degli studi citati, i risultati indicano che la scelta degli esaminati ricade su forme orientate dallo schema della struttura sillabica degli input più o meno nascosti in fase di
priming.
155 3.4 Schemi fonologici di primo e secondo ordine
Proprio gli schemi cognitivi e le loro interazioni rappresentano la caratteristica saliente di questo modello di fonologia, oltre ad essere uno strumento descrittivo che tenta di rendere conto della realtà cognitiva di unità fonologiche più o meno estese e dei meccanismi che orientano la loro categorizzazione, i loro effetti prototipo o il loro radicamento in un sistema fonologico. In primo luogo, gli schemi hanno natura categoriale radiale, e formano “spontaneamente” reti categoriali sulla base, essenzialmente, del conceptual overlap259 (Langacker 1999, 106) («elaborative
distance» nella terminologia di Taylor 2002, 302) delle forme istanziate (token veri e
propri) con gli schemi cui meglio si attagliano. Gli schemi intessono relazioni categoriali in due modi: attraverso istanziazione ed estensione (Langacker 1987, 371). Nel primo caso, schemi di maggior grado di specificità vengono connessi a schemi maggiormente generici in un rapporto di inclusione categoriale; nel caso dell’estensione, la connessione è basata su rapporti di similarità sullo stesso livello di generalità tra schemi, di cui nessuno è istanziazione dell’altro. Va notato però che la similarità tra schemi non è per definizione bidirezionale, ma irradia a partire dallo schema prototipico (se presente) verso i non prototipici, e non viceversa. Inoltre, in linea con il content requirement, le relazioni di estensione tra schemi possono connettere strutture semantiche, fonologiche, o simboliche, le uniche strutture ammesse nella grammatica cognitiva. Cerchiamo di illustrare questi tipi di relazioni in un caso precedentemente evocato (cfr. supra, § 3.3.1), utilizzando il modello.