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Presupposti, metodologie e strumenti analitici di base

2.5 Motivazione della forma attraverso metafora

Il punto fondamentale che riguarda la linguistica più da vicino nella teoria della metafora è il suo ruolo di motivare il linguaggio e, variamente, le lingue.

Noi parliamo in ordine lineare; in una frase diciamo alcune parole prima di altre. Poiché il parlare è collegato con il tempo e il tempo è concettualizzato metaforicamente in termini di spazio, è per noi naturale concettualizzare metaforicamente il linguaggio in termini di spazio, e tale concettualizzazione è rafforzata anche dal nostro sistema di scrittura. […] Quindi i nostri concetti spaziali si applicano in modo naturale alle espressioni linguistiche: noi sappiamo quale parola occupa la prima posizione in una frase, se due parole sono vicine l’una all’altra o lontane, se una parola è relativamente lunga o corta227.

La relazione tra forma e contenuto perde molti gradi di arbitrarietà che le sono comunemente attribuiti, in quanto certe generali metafore spaziali (e non solo,

130 probabilmente) del nostro sistema concettuale si applicano direttamente sulla forma, conferendole un significato. In altre parole, «le forme linguistiche sono esse stesse dotate di contenuto in virtù delle metafore di spazializzazione»228.

Una prima metafora estremamente diffusa in molte culture linguistiche è certamente PIÙ FORMA È PIÙ CONTENUTO, emergente dalla nostra esperienza secondo cui la dimensione dei contenitori influenza direttamente la quantità del contenuto, vincolata alla capacità degli stessi. Alla base della mappatura si trova la metafora LE ESPRESSIONI LINGUISTICHE SONO CONTENITORI, in linea con la percezione largamente diffusa in molte comunità parlanti, se non in tutte, della scissione tra forma e contenuto dell’espressione. Esempi di questa metafora sono le iterazioni come egli corse e corse e corse, che indicherebbe una corsa molto lunga in maniera iconica, o le geminazioni aggettivali come molto molto alto per realizzare il valore superlativo concorrente ad altissimo (in ogni caso anch’esso quantitativamente maggiore rispetto al più breve alto). Analogamente, in molte lingue si assiste al meccanismo della duplicazione in ossequio di questa metafora, consistente nella ripetizione di una o due sillabe di una parola o della parola intera: generalmente, la duplicazione applicata ai nomi indica il plurale o il collettivo; nel caso dei verbi significa continuazione o completamento229; la duplicazione di aggettivi genera intensificazione o aumento; nel caso di termini per qualcosa di piccolo indica diminuzione. Non va trascurato, inoltre, l’aumento di forma relativo all’allungamento fonetico di una vocale di parola per indicare maggior quantità nel significato della stessa. In questo senso, potremmo categorizzare questo dispositivo come propriamente

fonologico, in quanto pienamente distintivo di significato: si pensi all’opposizione tra grande e gra-a-a-ande230.

Un’altra metafora spaziale fondamentale che motiva la forma linguistica è LA VICINANZA È POTENZA DI EFFETTO. Dal punto di vista della semantica lessicale, abbiamo l’uso di “vicino/lontano” ad indicare metaforicamente l’influenza esercitata su qualcuno, ad esempio in frasi come “È un uomo molto vicino al presidente”. Ma più

228 Ivi, 162.

229 Si vedano ad esempio i perfetti latini a raddoppiamento, che indicano il completamento dell’azione: cano-cecini, disco-didici, fallit-fefellit, tango-tetigi, e così via… Anche nel caso dei perfetti apofonici assistiamo ad un aumento di quantità vocalica, ad esempio in căpio-cēpi, făcio-fēci ed altri verbi. Non è secondario notare, in questo secondo caso, che l’aumento di quantità è anche collocato sulla vocale che porta l’accento di parola, maggiormente percepibile a livello acustico e cognitivamente saliente.

131 interessante ancora è riscontrare l’esistenza della metafora nella forma sintattica, in cui, attraverso differenti collocazioni nell’ordo verborum, si ottengono legami sintattici e semantici differenti: è il caso della negazione non in italiano e in inglese (not), che ha l’effetto di negare più specificamente la parola o il sintagma contiguo ad essa, piuttosto che altri elementi più distanti. Infatti, in “Maria non pensa che egli partirà” e “Maria

pensa che egli non partirà” si nota immediatamente che la forza di negazione è più

debole nella frase in cui il non è collocato più lontano dal verbo partire, in quanto ciò che viene primariamente negato per vicinanza è il verbo pensare, non l’espressione afferente alla possibile partenza. Anche l’opposizione tra “Harry non è felice” e “Harry

è infelice” rivela la maggior forza sintattica della negazione nel secondo caso, in cui il

prefisso negativo in- è più vicino della negazione non a felice, con conseguenze semantiche evidenti: nel secondo caso lo stato di infelicità è sancito in modo molto più forte e diretto. Analogamente, in due frasi del tipo sintattico “X ha ucciso Y” e “X ha

causato la morte di Y” notiamo come la distanza maggiore o minore di X e Y determini

anche la nostra comprensione della causalità dell’azione, più diretta se X e Y sono separati dal solo verbo, più indiretta se tra X e Y intercorrono altri sintagmi231.

Sulla base di una metafora strutturale molto diffusa, si motiva la forma preposizionale con ad indicare sia strumento che compagnia in italiano, (e anche in inglese, in cui si trova però anche by ad indicare sia strumento che prossimità, rispondente, tutto sommato, alla stessa metafora)232. La metafora UNO STRUMENTO È UN COMPAGNO motiva l’uso della stessa forma preposizionale per le due funzioni, dal momento che in tutte le azioni, concrete o metaforiche, che prevedono uno strumento, esso è prototipicamente vicino o contiguo alla persona che lo utilizza. Diversamente accade per il francese par o il latino classico per + ACC. (in caso di strumenti animati, ovvero persone) nell’indicazione dello strumento: in questi casi l’unificazione riguarda la preposizione di moto, poiché si attinge alla metafora LE AZIONI SONO PERCORSI, metafora emergente che risponde allo schema [SOURCE-

231

Cfr. ivi, 163-166.

232 Anche l’ablativo latino, del resto, eredita la funzione unificata del sociativo-strumentale indoeuropeo. Sulla non universalità della metafora UNO STRUMENTO È UN COMPAGNO, cfr. Stolz 2003, che ridimensiona la portata interlinguistica della fusione tra comitativo e strumentale, pur non intaccando la validità della metafora: stando ai suoi studi, sostanzialmente essa funziona bene nelle lingue romanze e germaniche moderne, mentre in altre lingue subisce la fortissima concorrenza di altre metafore per strutturare le due funzioni, e non dà luogo al sincretismo (ad esempio in basco COM. -ekin vs STRUM. - z); solo un quarto del campione globale (seppur significativo) sarebbe congruente con la metafora.

132 PATH-GOAL]. Lo strumento, in sostanza, è concettualizzato come il tramite spaziale per raggiungere la destinazione reale o metaforica, cioè lo scopo, mentre il soggetto dell’azione è un “viaggiatore” virtuale in movimento. In maniera analoga, l’uso di preposizioni come in e a, primariamente spaziali, per indicare il tempo (ad esempio, “in

un’ora”, “arriverò alle otto”) è motivato dalla già ricordata mappatura metaforica IL

TEMPO È UNO SPAZIO, attraverso le sue due metafore coerenti di TEMPO COME

SFONDO e TEMPO COME OGGETTO IN MOVIMENTO233.

Infine, in un contesto che non tratta specificamente di fonologia, una metafora in particolare (cfr. infra, § 4) si distingue nel testo di Lakoff e Johnson per le implicazioni fonologiche che porta con sé. Riportiamo cosa si dice a proposito della motivazione metaforica di certi tipi di prosodia intontiva:

Consideriamo […] che le domande, generalmente, terminano con un’intonazione che noi percepiamo come “ascendente”, mentre le affermazioni in genere terminano con un’intonazione che percepiamo “discendente”. Questo fenomeno è coerente con la metafora di orientamento L’IGNOTO È SU, IL NOTO È GIÙ. Questa metafora concettuale si può vedere in esempi come:

Ciò è ancora campato in aria.

Vorrei sollevare alcuni interrogativi a questo proposito. […]

Mettiamo giù una conclusione.

Generalmente, le domande indicano ciò che è sconosciuto, quindi l’uso dell’intonazione ascendente in esse è coerente con la metafora SCONOSCIUTO È SU. A sua volta l’uso dell’intonazione discendente nelle asserzioni è coerente con NOTO È GIÙ. Infatti le domande con intonazione discendente sono interpretate come domande retoriche che stanno per una affermazione, e non come domande reali. […] Analogamente, affermazioni con intonazione ascendente indicano incertezza o impossibilità di comprendere qualcosa. […] Incidentalmente, in inglese le WH-questions hanno intonazione discendente […]. La nostra ipotesi per spiegare tale fenomeno è che la maggior parte del contenuto delle WH-questions è noto, e solo una singola parte di informazione è considerata ignota. […] Come si poteva prevedere, le lingue tonali generalmente non usano affatto l’intonazione per marcare le domande, e fanno invece uso di particelle interrogative [contra, cfr. § 4]. Nel complesso, nei casi in cui l’intonazione serve a indicare la differenza tra domande e asserzioni,

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l’intonazione ascendente si accompagna alle domande di cui non si conosce la risposta (sì- no), l’intonazione discendente con ciò che già si conosce (asserzioni)234

.

Ciò ci suggerisce che, anche se in modi che ammettono più scelte metaforiche da lingua a lingua, «le regolarità della forma linguistica non possono essere spiegate nei soli termini formali, ma che molte di esse sono comprensibili solo quando vengono viste in termini di applicazione di metafore concettuali alla nostra concettualizzazione spaziale della forma linguistica»235. Crediamo che questo valga in particolare anche per la fonologia, e questo esempio di metafora concettuale di interesse fonetico/fonologico a cui accennano Lakoff e Johnson nel loro lavoro, suggerisce una strada verso una considerazione più attenta della fonologia cognitivamente motivata, che ripercorreremo in particolare al § 4.

234 Ivi, 171-172. 235 Ivi, 172.

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