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È possibile una fonologia cognitiva?

3.1 Natura di una fonologia cognitiva di seconda generazione

La CL ha prevalentemente rivolto la propria attenzione e le proprie indagini a livelli linguistici differenti da quello fonetico/fonologico. L’obiettivo di un programmatico cambiamento di paradigma che ponesse al centro una semantica concettuale, insieme agli assunti più generali che caratterizzano da tempo la linguistica cognitiva nei suoi tratti essenziali, ha reso naturale l’orientamento verso questioni non immediatamente connesse alla fonologia. Più precisamente, secondo Nesset (2008, 1) «phonology and morphology are underrepresented fields in cognitive linguistics», tra l’altro di non semplice ed immediata integrazione all’interno del quadro cognitivista. Del resto, «the bulk of the research in Cognitive Grammar (and cognitive linguistics in general) has been concerned with semantic matters» (Taylor 2002, 79).

La denominazione stessa “fonologia cognitiva” può generare una certa confusione, poiché anche il cognitivismo di prima generazione, ovvero quello di matrice generativa, ha più volte fatto uso del termine “cognitivo” per riferirsi alle proprie teorie. Infatti, ad esempio, Kaye (1989), che nel titolo promette «a cognitive view» sulla fonologia, non fa cenno alla concettualizzazione delle unità, presentate come matriciali. Piuttosto, definisce dei principi fonologici a carattere (almeno presunto) universale, che hanno una forte base a concezione segmentale per l’individuazione delle qualità distintive delle unità fonologiche. Ad esempio, per quanto riguarda la sillaba,

Phonological segments are grouped together in constituents called syllables. […] A syllable consists of two components. There are one or more consonants at the beginning. This is the onset of the syllable. The second component contains the vowel and possibly a following consonant, provided that the latter is part of the same syllable. A vowel with an optionally occurring consonant is called the rime of the syllable. The vowel itself, which is the main part of the syllable, is called the nucleus. […] Now, the question is, if we take all the languages in the world, how many syllable types must we allow for? The answer is surprising. Three parameters suffice to define every extant syllable type. Furthermore, there is a dependence among these three parameters. They are:

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1. Does the rime branch? [no/yes] 2. Does the nucleus branch? [no/yes] 3. Does the onset branch? [no/yes] A constituent that branches contains more than one member. […]

We are now in position to define […] the syllable systems of all human languages236.

Come si nota, nessuna motivazione concettuale è addotta a supporto di questo algoritmo universale della struttura sillabica, in un’ottica pienamente formalista. Ciò che viene considerato cognitivo in questo quadro risiederebbe nel fatto che la mente umana dispone specificamente di principi e parametri linguistici innati che delimitano il numero e i tipi possibili di combinazioni fonologiche per quanto riguarda la sillaba (e i fenomeni fonologici in genere), ma questo non investe minimamente l’aspetto semantico-concettuale né altri aspetti extralinguistici del linguaggio umano; per di più, la teoria della mente che sorregge l’approccio è quella attaccata dai cognitivisti di seconda generazione, ovvero quella che prevede una mente astratta e disincarnata che non ha alcun rapporto con l’ esperienza o con altri aspetti della cognizione umana non unicamente linguistici.

Nondimeno, il testo di Kaye solleva importanti questioni e temi fonologici. Uno dei più significativi consiste nel rilevare che le classi e i fenomeni fonetici non fondano direttamente il sistema fonologico, ma che quest’ultimo ha un ruolo fondamentale nella determinazione delle caratteristiche fonetiche, altrimenti sarebbe impossibile concepire variabili, ad esempio allofoniche, senza correlarle ad una realtà fonologica stabile nella mente. Inoltre, i fenomeni fonetici dipendenti dal contesto non sembrano motivare appieno i corrispondenti processi fonologici: fenomeni coarticolatori di assimilazione parziale (come l’assimilazione di in- davanti a labiale, ad es i[m]possibile), o di dissimilazione (come l’articolo inglese th[ə], th[i] davanti a vocale), tendono verso la semplificazione del gesto articolatorio, ma lo stesso non può dirsi per altri cambiamenti fonetici che invece mostrano di non semplificare affatto i segmenti, e ciò è ben visibile nel mutamento fonetico diacronico:

Consider Italian. In this language, sequences of stops have been simplified to geminates: a sequence of two identical stops. This is the extreme version of an assimilatory process. The

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kt sequence in a word such as doctor is dottore in Italian. The two ts are pronounced. […] The pt sequence becomes tt, as in adottare ‘adopt’, and so on. One could argue that sequences of stops involve a relatively large muscular effort; therefore, languages tend to produce processes that get rid of them. The pt sequence involves two articulatory gestures: a labial closure followed by a coronal closure. The result of the Italian change tt involves only a single gesture, the coronal one.

One would not expect that out there somewhere is another process whose effect is to produce sequences of this sort, but, of course, there are. In Moroccan Arabic, there is a process that deletes a vowel when followed by another vowel. The result is the creation of all kinds of sequences that are supposed more difficult to pronounce. In Classical Arabic, the presumed ancestor of Moroccan Arabic, the verbal form ‘he wrote’ is kataba. In Moroccan Arabic, the form is ktb237.

Dunque, la teoria del minimo sforzo articolatorio non sembra da sola sufficiente a motivare i fenomeni fonologici, così come la dimensione fonetica non orienta in modo meccanico i processi e le regolarità fonologiche nel sistema linguistico. Kaye suggerisce giustamente che i processi fonologici possono essere espressi foneticamente senza avere una causa strettamente fonetica che li motivi, e che, pertanto, esiste una dimensione cognitiva fondamentale in cui la fonologia si struttura e prende forma in maniera tale da produrre risultati fonetici.

Suppose we removed the effects of all phonological processes from a stretch of speech. This would mean that we would take some archetypical pronunciation for each segment. This pronunciation would remain invariant in all contexts. Boundary phenomena such as final devoicing would be turned off. Stress effects, a key to recognition of word divisions, would be levelled. It is my belief that such a stretch of speech would be incomprehensible if played back at a normal speed. If comprehensible at all, it would be necessary to slow down drastically the rate of transmission238.

Almeno in prospettiva ricettiva di uno stimolo, la presupposizione fonologica e la sua natura primariamente cognitiva hanno una certa priorità sulla sostanza fonica, anche se, dal canto nostro, crediamo che quest’ultima non possa essere esclusa dalla partecipazione ai processi di acquisizione fonologica, e che non sia inaccessibile agli

237 Ivi, 46. 238 Ivi, 50.

137 ascoltatori. Il problema risiede piuttosto nella conclusione che Kaye ricava dal suo stesso esempio, ovvero che i processi fonologici sono asserviti al compito di facilitare l’operazione di analisi e riconoscimento dei ruoli sintattici dell’enunciato (parsing)239

. Contrariamente a quest’ottica, pensiamo che nella fonologia risieda molto di più riguardo alla creazione e determinazione di senso, rispetto al semplice ruolo demarcativo (sostanzialmente segmentale in senso classico) ascrittole dalle correnti sintatticiste.

Per il cognitivismo di seconda generazione, fonologia e semantica sono sulla via di una ricongiunzione e di un’integrazione. Che tra i due livelli esista una forte relazione è insito nell’assunto di base della Cognitive Grammar di Langacker (2008, 15):

CG is natural by virtue of its psychological plausibility, as well as the central place accorded meaning. It is further natural in that its global organization directly reflects the basic semiological function of language – namely, permitting meanings to be symbolized phonologically. To serve this function, a language needs at least three kinds of structures: semantic, phonological, and symbolic. The pivotal and most distinctive claim of CG is that only these are needed. […] What makes it possible is the notion that lexicon, morphology, and syntax form a continuum fully reducible to assemblies of symbolic structures. […] Symbolic structures are not distinct from semantic and phonological structures, but rather incorporate them. […] I describe a symbolic structure as being bipolar: S is its semantic pole, and P is its phonological pole.

Una struttura simbolica esiste se, e solo se, sono dati due poli, uno semantico240, l’altro fonologico. Inoltre, nella grammatica cognitiva, il polo fonologico ha uno statuto particolarmente inclusivo, in quanto con esso si intendono anche le rappresentazioni ortografiche e gestuali (cinesiche e prossemiche, per meglio dire) che si correlano al polo semantico241. Questa inclusività può risultare troppo generica addirittura per i nostri scopi, ma ha l’indubbio merito di liberare la fonologia da restrizioni di studio troppo vincolanti, vale a dire da una concezione unicamente segmentale e binaristica degli elementi fonologici presunti minimi.

239 Cfr. Ibidem. 240

Ovviamente, in grammatica cognitiva è prevista la semantica concettuale di cui si è discusso, strutturata da schemi di immagini, metafore concettuali, concetti emergenti più o meno direttamente dall’esperienza, e dal resto delle nozioni di cui la CL si serve nella determinazione del significato.

138 Anche per Taylor semantica e fonologia sono strettamente unite, e proprio in esse risultano più evidenti gli effetti delle prospettive adottabili in merito alle possibili concezioni della linguistica stessa. Taylor ne fa una questione di mutato paradigma di categorizzazione, che passa da un modello classico e aristotelico ad uno cognitivista e direttamente debitore al già ricordato contributo scientifico di Eleanor Rosch242. Addirittura, secondo Taylor (1999b, 70), proprio la fonologia è stata il canale privilegiato per la penetrazione del modello categoriale aristotelico nell’approccio formalista in linguistica:

Forse è in fonologia che il modello aristotelico è stato più fruttuoso. Si potrebbe sostenere che la fortuna del modello aristotelico in sintassi e in semantica sia dovuta, in non poca misura, al successo da esso ottenuto in fonologia. Ed è in fonologia che sono stati introdotti i maggiori spunti di novità, in relazione alla natura dei tratti.

Il binarismo dei tratti è direttamente conseguente alla concezione della categoria lineare, in cui un insieme di tratti necessari e sufficienti determinano l’appartenenza alla (o l’esclusione dalla) categoria. Nel caso dei fonemi, il discriminante è la presenza o l’assenza di un determinato tratto, e tertium non datur. Questa visione persiste immutata nel testo fondativo della fonologia generativa, SPE, come ricorda esplicitamente Taylor, citando Chomsky-Halle (1968): «In considerazione del fatto che i tratti fonologici sono strumenti di classificazione, essi sono binari […] poiché il modo naturale di indicare se un elemento appartiene o no ad una particolare categoria è quello che utilizza i tratti binari»243. L’analisi componenziale condotta in semantica mostra propriamente di aver ereditato l’opposizione presenza/assenza di tratti peculiare della fonologia, così come è possibile vedere nella tesi dell’autonomia del linguaggio la filigrana dell’autonomia della fonologia244: già Saussure relega la fonologia ad un ruolo ancillare alla linguistica,

242 La psicologia cognitiva, che in un primo tempo ha fornito essenziali strumenti alla linguistica riguardo alla categorizzazione radiale/prototipica, sembra aver preso una direzione differente rispetto agli esordi. L’eredità della psicologia cognitivista delle origini è oggi rappresentata proprio dalla CL: «In contrast to the trend in cognitive linguistics, […] psychologists gradually moved away from, rather than toward, fully embracing the idea of concepts consisting of prototypes or family resemblance structures». (Malt B. C. 1995, 149).

243 Taylor 1999b, 71. Cfr. Chomsky-Halle 1968, 297. 244

Ivi, 74: «La considerazione della fonologia come disciplina autonoma trova, naturalmente, la sua collocazione all’interno della tesi più ampia dell’autonomia del linguaggio. Proprio come la linguistica autonoma distingue fra la conoscenza propriamente linguistica, determinata dalla facoltà del linguaggio e la conoscenza non-linguistica del parlante, derivata dalla sua conoscenza pragmatica e dal sistema

139 nella sua funzione descrittiva e puramente diacronica, influenzando così il pensiero strutturalista (autonomista) che a Saussure si richiama variamente nel corso del Novecento. In buona sostanza, la teoria dei tratti, relativamente intuitiva se applicata ad elementi microscopici come i fonemi, viene estesa anche alla semantica, ove mostra maggiori insufficienze euristiche di quante non se ne riscontrino a prima vista nella fonologia245. Un noto esempio è quello che critica l’analisi in tratti semantici di Katz e Postal246, condotta sul significato di “bachelor” (“scapolo”): secondo una semantica componenziale, il significato linguistico di scapolo è individuato dalla combinazione di quattro tratti, ovvero [+UMANO], [+MASCHIO], [+ADULTO], [-SPOSATO]; Fillmore (1975) nota che questi tratti, che hanno l’indubbio vantaggio dell’economia descrittiva, non sembrano potersi applicare chiaramente e senza un certo imbarazzo ad effettive realtà referenziali, che pure mostrano di possedere tali tratti semantici in qualche misura, rivelando così i vistosi limiti della concezione aristotelica delle categorie dai confini netti. In effetti, provando ad applicare i tratti a referenti come il papa, o un ragazzo adulto che vive con la sua fidanzata, o un omosessuale che vive con il suo compagno, e così via, si può notare come il solo possesso o non possesso di tali tratti non sia sufficiente per qualsivoglia parlante ad includere o escludere immediatamente questi referenti nella categoria semantica [SCAPOLO], ma ci si trovi piuttosto davanti ad un difficile compito di categorizzazione, tutt’altro che intuitivo. Il contributo teorico di Fillmore è consiste nell’elaborazione della nozione di frame(s) cognitivo, in cui l’esperienza concettualizzata fornisce un significato idealizzato e standardizzato (si badi, in positivo e non meramente differenziale e relazionale) che non coincide con il continuum della realtà . Lakoff (1987, 68-76; 118-135) chiama tale dispositivo cognitivo e categoriale Idealized Cognitive Model, o ICM (“modello cognitivo idealizzato”), il quale è strettamente dipendente dall’esposizione a situazioni (anche psicologico-ideologiche) particolarmente diffuse e ricorrenti, tali da costituire la

concettuale, così la fonologia autonoma stacca l’atto linguistico come un evento articolatorio, acustico e percettivo dal sistema linguistico astratto ritenuto soggiacente ai dati fisici».

245 Infatti, se sposiamo l’idea dell’universalità dei tratti, «il numero dei tratti fonologici universali necessari è […] molto contenuto (Chomsky e Halle ne suggeriscono circa venti). Al contrario, il numero delle categorie semantiche in qualunque lingua è non solo immenso, ma anche (come dimostrato dall’atto di continua creazione di termini nuovi) espandibile, e sembrerebbe non realistico a prima vista aspettarsi di poter ricondurre tutti i possibili significati lessicali presenti in tutte le lingue naturali ad un insieme circoscritto, definito di universali primitivi». (Ivi, 80-81).

140 norma idealizzata, come nel caso di “scapolo”, che si adatta pienamente solo ad un certo tipo di maschi adulti non sposati nella società occidentale.

Per riassumere: l’ipotesi dell’analogia strutturale stabilisce che un linguista debba prevedere di mettere a nudo gli stessi tipi di struttura ai diversi livelli della descrizione linguistica. Assumendo, ora, una prospettiva di osservazione della storia recente della linguistica molto più ampia, risponde a verità dire che soprattutto nello studio della fonologia la linguistica moderna ha raggiunto la maggiore età. Sono molte le ragioni per cui le cose sono andate in questo modo. I suoni di una lingua sono concreti e osservabili in un modo in cui non lo sono i significati e le strutture sintattiche; il numero delle entità (p.es. fonemi e tratti) che è necessario stabilire per ciascuna singola lingua è piccolo e governabile; e i linguisti hanno potuto utilizzare le scoperte di una tradizione di studi di fonetica articolatoria molto sofisticata. Sia come sia, l’apparato descrittivo che era stato applicato in un primo tempo in fonologia ha finito con l’essere trasferito in altre aree della descrizione linguistica247.