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Altri strumenti comunitari rilevanti nel riconoscimento della persecuzione di genere

2.2 Strumenti regionali: l’Unione Europea

2.2.4 Altri strumenti comunitari rilevanti nel riconoscimento della persecuzione di genere

Prima di tirare le fila di questo capitolo, mi dedicherò brevemente ad alcuni strumenti europei rilevanti dal punto di vista dei diritti delle donne e della violenza di genere. Essendo l’asilo il nostro interesse centrale, essi possono essere visti al tempo stesso come integrazione e sostegno degli sforzi interpretativi che permettono il riconoscimento della persecuzione di genere come tale, e come elementi indicativi del suo più ampio contesto normativo.

Se guardiamo agli strumenti più consolidati, è necessario menzionare innanzitutto la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) del 1950, ratificata da tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, che all’art.14 proibisce la discriminazione nel godimenti di diritti e libertà sanciti dalla Convenzione, “in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”. Il suo Protocollo n.7 ha inoltre sancito il principio dell’eguaglianza tra sposi riguardo ai loro diritti e responsabilità nel matrimonio, e il Protocollo n.12 ha ribadito il divieto di discriminazione per motivi tra cui è compreso il sesso da parte di qualunque autorità pubblica, per tutti i diritti riconosciuti dalla legge. La Corte Edu si è occupata e si occupa di svariati casi connessi alla discriminazione di genere.

A supporto della Cedu è poi stata adottata nel 1961 e riveduta nel 1996 la carta sociale europea sui diritti umani. Essa enuncia una serie di diritti specifici per le donne, tra cui equa remunerazione, protezione delle madri e delle donne lavoratrici, protezione sociale ed economica di donne e bambini. Il suo protocollo aggiuntivo del 1988 include inoltre il diritto alla parità di opportunità e trattamento riguardo all’impiego senza discriminazione basata sul sesso.

Per quanto riguarda gli strumenti più recenti, essi si dedicano prevalentemente a singole manifestazioni della violenza di genere. Rilevante è innanzitutto la risoluzione del Parlamento Europeo57 che nel 2001 si è appellata agli Stati membri per collaborare nella creazione ed armonizzazione della legislazione contro alle mutilazioni genitali femminili, e ha richiesto alla Commissione Europea di creare una campagna di sensibilizzazione diretta ai legislatori in modo da massimizzare la possibilità di una normazione informata ed efficace. In particolare si è espressa riguardo alla necessità di considerarle reato, perseguendo i residenti che pratichino

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Risoluzione del Parlamento europeo sulle mutilazioni genitali femminili (2001/2035(INI)), GU C77E/127 del

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mutilazioni genitali anche al di fuori del territorio dello Stato. Il Parlamento ha inoltre richiesto che vengano adottate misure di protezione, sostegno e integrazione delle vittime, e di formazione di funzionari di giustizia, polizia, giudici e pubblici ministeri riguardo a questa forma di violenza, alle sue conseguenze e alle esigenze delle donne ad essa soggette. Tale protezione dovrebbe includere la concessione di permessi di soggiorno e protezione internazionale a bambine e donne che ne corrano il rischio.

La Convenzione di Varsavia 2005 sull’Azione contro la Tratta di esseri umani si occupa appunto di tratta, con misure di criminalizzazione in una cornice di diritti umani. Particolarmente attenta ai diritti e bisogni delle vittime, è stata considerata innovativa per il suo approccio generalizzato alla tratta, che non distingue tra tratta internazionale e nazionale, affiliata o meno al crimine organizzato. La Convenzione ha stabilito un meccanismo di monitoraggio per valutare l’implementazione da parte degli Stati di misure pratiche di protezione, risarcimento delle vittime, prosecuzione dei responsabili.

Nel 2006 una risoluzione del Parlamento europeo sull’immigrazione femminile nell’Unione europea58 si è appellata agli Stati membri perchè implementassero politiche di eguaglianza che favorissero un’applicazione delle norme contro l’immigrazione illegale compatibile con i principi di non discriminazione. Negli ultimi anni la voce del Parlamento europeo si è manifestata anche attraverso i lavori di un’Assemblea Parlamentare dedicata alla stesura di una convenzione sulla violenza domestica: nel 2008, con la Dichiarazione di Vienna l’assemblea si è appellata al Consiglio d’Europa perchè venisse elaborata una convenzione incentrata sulla lotta alla violenza contro le donne. Tale appello si è sommato a varie risoluzioni e raccomandazioni59 della stessa assemblea, inclusive di indicazioni riguardo alla stesura, fino a che nel 2011 non è stata approvata la Convenzione sulla prevenzione e lotta della violenza contro le donne e la violenza domestica, o Convenzione di Istambul. La Convenzione mira a prevenire la violenza e la discriminazione contro donne e bambine, a proteggerne le vittime e a punirne i responsabili, prevedendo che gli Stati parte mettano in atto a questi fini norme e politiche gender-sensitive, ricerca e analisi, iniziative di informazione e sensibilizzazione, forme di cooperazione internazionale e con organizzazioni non governative e società civile, meccanismi e organi di coordinamento, monitoraggio e valutazione. Istituisce a questo scopo un gruppo di esperti sulla violenza contro le donne e domestica, incaricato di monitorare l’implementazione della Convenzione negli Stati

58 Risoluzione del Parlamento europeo sull'immigrazione femminile: ruolo e condizione delle donne immigrate

nell'Unione europea (2006/2010(INI)), GU C 313E del 20.12.2006.

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parte attraverso un report iniziale seguito da cicli di valutazione continua ed eventuali visite in loco. Le forme di violenza menzionate comprendono la violenza sessuale e le molestie, il matrimonio forzato, la violenza fisica e psicologica, lo stalking, le mutilazioni genitali, l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata, i crimini d’onore. La Convenzione risulta di particolare interesse per questo lavoro nel suo dedicare due articoli alle domande di asilo fondate sul genere e al non refoulement. L’art.60 prevede infatti che gli Stati parte prendano le misure necessarie perchè la violenza di genere venga riconosciuta come forma di persecuzione e danno grave, e che ognuno dei cinque motivi di persecuzione enunciati dall’art.1 della Convenzione venga interpretato in modo gender-sensitive permettendo così la protezione a coloro che ne nutrono il fondato timore60; anche le procedure dovranno essere gender-sensitive, sia nella prima accoglienza e nei servizi di assistenza e supporto che per quanto riguarda le varie fasi dell’istanza di protezione internazionale. L’art.61 riprende l’obbligo degli Stati di applicare e implementare il principio di non refoulement, enfatizzandone la necessità per le donne vittime di violenza di genere, a prescindere dal loro status di residenza. Queste indicazioni colpiscono favorevolmente per la chiarezza con cui sono enunciate, ma la loro applicazione dovrà aspettare: in primo luogo, perchè al momento della stesura di questo capitolo (agosto 2013) solo cinque Stati (tra cui l’Italia) hanno ratificato la Convenzione, e per la sua entrata in vigore il numero minimo è di dieci di cui otto membri del Consiglio d’Europa. Smorza inoltre gli entusiasmi il fatto che l’organismo di monitoraggio sia di tipo non giuridico, correndo quindi il rischio concreto che la sua azione, fondata su questionari e report, rimanga fondamentalmente ininfluente rispetto alle prassi degli Stati europei.

D’altro canto, è invece vincolante la Direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato61. Essa si inscrive nel processo di progressiva attenzione a diritti ed esigenze delle donne vittime di violenza di genere, nel suo fare riferimento alla violenza contro ai minori e alle donne nelle sue varie forme62, alle esigenze delle stesse e al particolare rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta e di ritorsioni, ed è interessante per il suo affrontare questioni come la tratta e la schiavizzazione dal punto di vista

60 Il prossimo capitolo sarà dedicato proprio a strumenti, problematiche e questioni interpretative che hanno reso

questi passi particolarmente complessi e controversi.

61 Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in

materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI, disponibile su http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2012:315:0057:0073:IT:PDF [consultato il 23 settembre].

62 I recital 17 e 18 fanno riferimento a violenza nelle relazioni strette, violenza sessuale, tratta di esseri umani,

schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti “reati d’onore”).

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dei diritti e delle esigenze delle vittime, integrando l’approccio punitivo ad esempio prevalente nella Convenzione di Palermo e nei suoi protocolli e collocandosi nella scia della Convenzione di Varsavia. Prevede ad esempio il diritto all’informazione sul proprio caso, interpetazione e traduzione adeguata, assistenza, protezione, denuncia e risarcimento, nonchè di una valutazione individuale delle esigenze specifiche e della formazione adeguata di tutti gli operatori che a vari livelli entrano in contatto con vittime di reati. In particolare, il diritto all’informazione sulle possibilità di assistenza e protezione e l’attenzione alle esigenze e vulnerabilità specifiche delle vittime di violenza di genere possono aprire uno spazio di accresciuta comunicazione tra i servizi che si occupano della presa in carico e dei procedimenti penali, e la eventuale possibilità di richiesta di asilo. Questo aspetto risulta particolarmente interessante, come vedremo, per quanto riguarda l’identificazione, informazione e tutela delle vittime di tratta. La direttiva dovrà essere recepita entro il novembre 2015.

2.3 Conclusioni

In questo capitolo abbiamo ripercorso le fasi più significative attraverso le quali si è giunti ad un mainstreaming, almeno di principio, del punto di vista di genere nella creazione di strumenti giuridici internazionali, e alla formulazione di strumenti mirati al riconoscimento e tutela dei diritti delle donne e alla lotta di varie forme di violenza di genere e protezione delle vittime. In tale processo si innesta il progressivo riconoscimento, nel campo dell’asilo, delle specifiche esigenze delle richiedenti di sesso femminile, del fatto che le manifestazioni della discriminazione e della violenza di genere possono arrivare a costituire atti persecutori, e il conseguente lavoro sull’interpretazione della normativa in modo che renda possibile la protezione di coloro che ne nutrono fondato timore. Nell’Unione europea il fondamento giuridico della legislazione sull’asilo attuale rimangono la Convenzione di Ginevra del 1951 e il suo Protocollo, la cui applicazione in Europa è declinata attraverso un sistema di norme (“minime” fino al 2007 con il Trattato di Lisbona) adottate a livello comunitario, e la Direttiva Qualifiche (e in parte minore la Direttiva Procedure) costituiscono gli strumenti principali a cui attingere per il riconoscimento della persecuzione di genere. Nel sistema comunitario dell’asilo essa rimane però ostacolata da vari aspetti.

Innanzitutto, nonostante il processo di armonizzazione stia migliorando in modo uniforme campi quali le condizioni di accoglienza e il diritto al ricorso, esso presenta alcuni punti critici. Il

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primo riguarda il rischio che la parificazione delle norme consista in una “corsa al ribasso” verso il minimo comun denominatore di protezione. Questa tendenza era più evidente quando la legislazione europea si fondava su norme “minime” che gli Stati parte erano liberi di recepire ed applicare in maniera più favorevole, ad esempio per mantenere gli standard introdotti da disposizioni preesistenti, ma negli ultimi anni non si è risolta. Una stima del 200963 trovava esempio lampante delle discrepanze ancora esistenti tra gli Stati membri nelle forti differenze tra i tassi di riconoscimento di varie cittadinanze a seconda del Paese ospite, come i Russi ceceni (63% di decisioni positive in Austria, 0% in Slovacchia) o i cittadini Somali (98% a Malta, 55% nel Regno unito, 0% in Grecia). Dati più precisi sul tipo di domande presentate e sulle motivazioni delle decisioni dimostrerebbero probabilmente che sussistono ancora differenze nel modo in cui ciascun Paese membro applica gli strumenti a sua disposizione, rafforzando così le basi empiriche del concetto di “asylum lottery”64. A questo si somma il fatto che l’approccio comune rispetto all’asilo all’interno dell’Unione risulta comunque restrittivo e sicuritario, al punto da portare all’espressione “Fortezza Europa”. Trovo che un’analisi dell’Unhcr del 2000 costituisca una perfetta sintesi di questo fenomeno: in “The state of the world’s refugees 2000: fifty years of humanitarian action” l’Alto Commissariato osservava come l’immigrazione verso l’Europa fosse in aumento, e i cosiddetti “flussi” fossero sempre di tipo misto, nel senso sia che le stesse rotte venivano percorse da “migranti economici” e da “(futuri) richiedenti asilo”, sia che queste categorizzazioni si rivelavano sempre più artificiali, in contrasto con la complessità e molteplicità di motivazioni economiche, sociali e politiche che stanno alla base della decisione di emigrare. La conseguente decisione di gestire la situazione per via comuntaria avrebbe portato a un comune approccio progressivamente restrittivo, che “sposta l’equilibrio tra protezione dei rifugiati e regolamentazione dell’immigrazione” a favore della seconda attraverso quattro tipi di politiche: politiche del non arrivo (contrastando l’immigrazione irregolare e cercando di esternalizzare i controlli di frontiera, aumentando però il rischio di respingimento di potenziali richiedenti asilo); politiche di dirottamento dei richiedenti asilo verso i “Paesi terzi sicuri”, formando una zona cuscinetto formalmente sicura ma alla base di una catena di respingimenti senza garanzia di esame della domanda di asilo; interpretazione restrittiva della Convenzione, a

63 European Parliament and of the Council on minimum standards for the qualification and status of third country

nationals or stateless persons as beneficiaries of international protection and the content of the protection granted (Recast) – Impact Assessment, SEC (2009) 1371, 21.10.2009.

64 Il concetto di “asylum lottery” fa riferimento principalmente alle differenze tra gli atteggiamenti dei Paesi europei;

negli Stati Uniti è stato invece proposto quello di “asylum roulette”, riferito alla disomogeneità riscontrabile nell’applicazione degli strumenti sulla protezione internazionale tra casi e tribunali differenti. Si veda a riguardo RAMJI-NOGALES Jaya, Refugee Roulette: Disparities in Asylum Adjudication, in Stanford Law Review, 60, 2007, p.295.

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cui sarebbe strumentale la creazione della protezione sussidiaria come forma di protezione che presenta obblighi minori per lo Stato ospite; misure deterrenti alla richiesta di asilo (centri chiusi e detenzione, limitazioni all’accesso ai servizi sociosanitari, lavoro ed istruzione, rappresentazione criminalizzante di richiedenti asilo e rifugiati)65. A tutto questo si aggiungono gli svariati punti deboli nell’applicazione della legislazione, che andrebbero supportati di pari passo con l’armonizzazione normativa.

Se collochiamo la questione di nostro interesse in questo contesto possiamo coglierne la complessità. Non solo gli strumenti del sistema comune europeo dell’asilo sono ancora deboli per quanto riguarda il riconoscimento e la comprensione delle domande di asilo basate sul genere, ma perchè questo obiettivo venga raggiunto è necessario un atteggiamento contrario a quello restrittivo che sembra predominante. Il programma di Stoccolma non presenta riferimenti al genere; un report del 2012 sostiene che che nonostante la guida dell’Unhcr, e la presenza di riferimenti nella legislazione europea che potrebbero essere interpretati favorevolmente rispetto alle questioni di genere, sussistono disparità tra gli Stati membri rispetto al modo in cui le forme di protezione sono concepite ed applicate, e in alcuni di essi ancora manca la diffusa consapevolezza che il genere può essere l’elemento fondante di una domanda di asilo66. Nel corso del prossimo capitolo approfondirò cosa intendiamo per persecuzione di genere, e quali sono gli strumenti fondamentali sull’asilo che ne permettono il riconoscimento; quindi, dopo alcune osservazioni procedurali, porterò nel quinto capitolo degli esempi di tale disparità, al fine di fotografare la situazione esistente sottolineandone punti critici e potenzialità.

65 UNHCR, The state of the world’s refugees 2000: fifty years of humanitarian action, Oxford University Press,

Oxford, 2000, pag.160.

66 CHEIKH ALI, Hana, QUERTON, Christel, SOULARD, Elodie, Gender-related Asylum Claims in Europe. A

comparative analysis of law policies and practice focusing on women in nine EU Member States, Asylum Aid,

CEAR, CIR, France Terre d’Asile, Hungarian Helsinki Committee, 2012, disponibile su http://helsinki.hu/wp- content/uploads/GENSEN-Report-FINAL.pdf [consultato il 30 settembre 2013].

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3. VIOLENZA DI GENERE COME PERSECUZIONE: