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GLI STRUMENT

3.3 Una definizione gender-sensitive di rifugiato

3.3.1 Fondato timore di persecuzione

L’espressione “fondato timore” è uno degli snodi della definizione di rifugiato. L’handbook dell’Alto Commissariato sulle procedure e criteri per la determinazione dello status di rifugiato36 la scompone in due aspetti, oggettivo e soggettivo, entrambi da verificarsi nel corso dell’esame. Nel “timore” è identificato l’elemento soggettivo della domanda di asilo, da verificare considerando i fatti presentati alla luce della situazione personale del richiedente, compresi la sua personalità, il suo background individuale e familiare, la sua percezione degli eventi. La

social group calculus: recognizing women as a “particular social group” per se, The Committee on Immigration

and Nationality Law of Association of the Bar of the City of New York, New York, 2003.

35 Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati, art. 1A(2).

36 UNHCR, Handbook on procedures and criteria for determining refugee status under the 1952 convention and the

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“fondatezza” richiama invece l’esigenza di valutare gli aspetti oggettivi della domanda, come la situazione contestuale nel Paese di origine, la presenza di leggi che riguardano il tipo di violazioni subite e il grado di applicazione effettiva, e la situazione di amici, parenti, conoscenti, gruppo sociale e/o etnico di appartenenza, soprattutto se in situazione simile a quella del richiedente. Il “fondato timore” deve quindi riguardare una persecuzione individuale; eventuali violazioni subite da altre persone nella sua stessa condizione possono indicarne la probabilità, ma al tempo stesso non costituiscono una prova necessaria né sufficiente. D’altro canto non deve essere dimostrata la certezza che essa avrà luogo; ne dovrebbe piuttosto emergere una ragionevole possibilità.

Anche la “persecuzione” è un concetto centrale quanto controverso: essa non è definita chiaramente dalla Convenzione di Ginevra né da altri strumenti universalmente accettati. Facendo ancora riferimento all’handbook dell’Alto Commissariato, si potrebbe dedurre dall’art.33 della Convenzione stessa37 che una minaccia alla vita o alla libertà, o una seria violazione dei diritti umani fondamentali (diritto alla vita, libertà di pensiero, coscienza e religione, diritto alla personalità giuridica, divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti) sono sempre da ritenersi persecuzione, a condizione che siano compiute per una o più delle motivazioni enunciate nella definizione di rifugiato. I criteri sulla base dei quali valutare altri tipi di azioni o minacce sono invece meno chiari, e dipendono dalle circostanze specifiche oggettive e soggettive di ogni caso. In particolare, elementi che considerati singolarmente non sono persecutori possono nel loro insieme e all’interno di determinati contesti costituire persecuzione cumulativa38: può trattarsi ad esempio di eventi che hanno luogo in situazioni già caratterizzate dalla violazione di più diritti umani sociali ed economici, quali il diritto al lavoro, la libertà dalla fame, l’accesso ai servizi sociosanitari. Inoltre, possono essere ritenute persecutorie delle misure legislative discriminatorie, nel loro contenuto, nei loro effetti cumulativi nel tempo o insieme ad altri fattori contestuali, o delle pene che costituiscono violazione dei diritti umani fondamentali o che sono sproporzionatamente severe rispetto alla gravità del crimine commesso. Naturalmente non è sufficiente che esistano delle disposizioni, esse devono essere applicate in modo sostanziale. L’art.9 della Direttiva Qualifiche riprende questi concetti definendo la persecuzione come “atti sufficientemente gravi per loro natura e frequenza da rappresentare una violazione

37 “Divieto d’espulsione e di rinvio al confine”: 1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi

modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. 2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese.

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grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa a norma dell'articolo 15, paragrafo 2, della convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”39 oppure “la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo a quello di cui [sopra]”. Il secondo comma comprende una lista non esaustiva di atti che possono costituire persecuzione, tra cui rientrano atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale; provvedimenti discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio; azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie; atti specificamente diretti contro un sesso o contro l'infanzia.

Queste precisazioni rispetto al concetto di “persecuzione” risultano di particolare importanza in relazione alla violenza di genere. Atti quali le mutilazioni genitali o un omicidio d’onore costituiscono infatti chiare violazioni dei diritti umani fondamentali, mentre si fa più complesso valutare la gravità cumulativa del rischio di ostracismo da parte della comunità di origine o delle manifestazioni più sottili della violenza domestica. In casi di questo tipo è fondamentale verificare la presenza di norme sociali o statali che contribuiscano a creare uno “schema discriminatorio”40 su base cumulativa, sia nel contesto che come potenziale conseguenza della violenza subita. Ad esempio, una donna accusata di adulterio può rischiare una punizione sproporzionata sulla base del fatto che appartiene al genere femminile, in un contesto sociale nel quale è estremamente difficile allontanarsi dalle reti familiari o sociali di supporto poichè in quanto donna è ostacolata dalla legge o dalla consuetudine nella possibilità di esercitare una professione autonoma, essere economicamente indipendente, frequentare luoghi pubblici, accedere all’educazione e al welfare; oppure, la stigmatizzazione può aggravare tali limitazioni. Infine, nei casi fondati sul genere si corre il rischio che la discriminazione e violenza vengano sottovalutate nella loro gravità nel caso in cui siano diffuse nel Paese di origine, confondendone l’endemicità con la “normalità”.

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L’art.15 della Cedu non autorizza deroghe al diritto alla vita (art.2), alla proibizione della tortura e di altri trattamenti inumanie degradanti (art.3), alla proibizione di riduzione in schiavitù e servitù (art.4 comma 1) e al principio nulla poena sine lege, che proibisce la condanna per azioni o omissioni che, quando sono state commesse, non costituivano reato secondo il diritto interno o internazionale (art.7).

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