• Non ci sono risultati.

Ambiente politico culturale e considerazioni storiografiche

Luigi Einaudi, Presidente della Repubblica, garante della cosiddetta “linea Einaudi”, che impone stabilità dei prezzi, pareggio di bilancio e riduzione progressiva delle restrizioni alle importazioni, Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio, fautore della sintesi tra solidarismo e libero mercato e Giuseppe Pella, Ministro del Tesoro, sono le figure di riferimento più significative della politica economica del primo dopoguerra.

Il successo dell’128economia italiana, negli anni analizzati, va cercato, anche, nella riapertura dei mercati esteri, fortemente voluta da Einaudi. Durante il fascismo, l’impresa italiana era rimasta molto arretrata, rispetto al resto dell'Europa, a causa della politica autarchica. In breve tempo, però, il sistema produttivo italiano può disporre di nuovi processi industriali, importati dall'estero che, associati ad una lunga tradizione di capacità artigianali specializzate e alla sovrabbondanza di manodopera a basso costo, consentono, alle imprese, prodigiosi recuperi di produttività.

La prima metà degli anni Cinquanta è ricordata, peraltro, dal movimento sindacale, come quella degli “anni duri”. La Cgil vede limitata la propria libertà di organizzazione e di riunione, mentre gli imprenditori approfittano della debolezza del sindacato, per procedere a drastiche riorganizzazioni. Il sindacato riesce a catalizzare la classe operaia sui grandi temi politici, ma resta, per anni, debole all'interno della fabbrica e sul piano della politica economica.

Gli anni Cinquanta vedono, all'interno della Dc, contrapporsi due anime, quella che abbraccia la causa della modernizzazione e del liberismo e quella dell'integralismo cattolico, secondo cui la società deve modellarsi sui valori cristiani e rifletterli. Se, a parole, quasi tutti i democristiani affermano di ispirarsi a questi ultimi principi, nella realtà, essi, inizialmente, non si oppongono alla politica liberista di Einaudi e Pella. Tale politica ha successo, nei primissimi anni del dopoguerra, grazie al concorrere di tre elementi: 1) in tutti i partiti

128

Cfr. Lanaro Silvio, Storia dell’Italia repubblicana. L’economia, la politica, la cultura, la società dal

dopoguerra agli anni ’90, Marsilio, Venezia 1997; Castronovo Valerio (a cura di), L’Italia contemporanea 1945-1975, Einaudi, Torino 1976; Ginsborg Paul, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino 2006;

serpeggia il timore inconscio che tutto ciò che sa di dirigismo e di interventi statali odori ancora di regime fascista; 2) dagli stessi liberisti non viene negata quella dose di intervento pubblico, di cui l’economia italiana ha sempre goduto;129 3) l'European Recovery program consente la ripresa dell'industria pesante e la diffusione di tecniche e modelli organizzativi americani.

L’orientamento dei primissimi anni del dopoguerra è destinato a fallire per la crisi dell'industria bellica, che accentua la dipendenza di tali aziende dall’Iri, perché le imprese del settore bellico privato chiedono il salvataggio e vengono trasferite nel Fim, il Fondo per l'industria meccanica, creato nel 1947 e trasformato in Efim nel 1962. Inoltre lo sviluppo industriale del Mezzogiorno appare improbabile con le sole forze del mercato, e la presenza di leader carismatici e capaci, nel settore pubblico, come Enrico Mattei e Oscar Sinigaglia, sono elementi di persuasione per privilegiare la strada dell’intervento pubblico, cosicché nessuno si pone seriamente l’obiettivo di privatizzare le imprese in mano allo stato.

Gli economisti dell’epoca teorizzano un sistema di economia mista, in cui le imprese pubbliche operano sul mercato in concorrenza con le imprese private, o in quei settori strategici nei quali i privati non avrebbero la forza per operare; poi, secondo le teorie del periodo, le imprese pubbliche dovrebbero competere sul libero mercato, facendo profitti e assumendo in più l’onere di obiettivi di pubblico interesse.130

Nella realtà l’impegno di dover far fronte a obiettivi di pubblico interesse è, secondo i manager delle imprese di Stato, oneroso, al punto tale che viene attivato, per esse, il fondo di dotazione, cioè un conferimento di capitale per coprire le perdite di gestione; questo modello di assistenzialismo imprenditoriale sarà una delle cause del degrado delle imprese pubbliche.

129

L'esempio più clamoroso è costituito da Mediobanca, controllata da tre banche dell'Iri, che accettano di essere controbilanciate da un esiguo numero di azioni di privati che, in realtà, fanno la politica della banca

130

Cfr. Giuliano Amato, Il governo dell’industria, Il Mulino, Bologna 1972; Amato Giuliano, Economia,

politica e istituzioni in Italia, Il Mulino, Bologna 1976; Castronovo Valerio, Storia economica, cit.; Nardozzi

Nel sistema produttivo italiano si innesca un circolo perverso: le imprese private, obsolete e fuori mercato, vengono acquistate dallo Stato, che le tiene in vita con l'ossigeno dei fondi di dotazione.

Il sistema politico riesce in tal modo a conseguire due risultati: l’imposizione del modello programmatico, su quello liberista, e la costituzione di un canale diretto di trasmissione delle decisioni politiche verso il sistema economico. Nel 1956 viene istituito il Ministero delle Partecipazioni Statali, che sancisce il modello dell'economia mista, con la presenza di un ampio spettro di imprese, stabilmente sotto il controllo dello Stato.

Il punto di riferimento, per giustificare la nascita dello stato imprenditore, era anche la compromissione degli imprenditori italiani col regime fascista, ma alla fine della guerra tutto nel Paese era debole e arretrato e a tutti vennero date opportunità di ripresa.

All’amministrazione pubblica, imbevuta della cultura corporativa, vennero date ampie possibilità di riscatto e ancora oggi soffriamo per quella fiducia; all’impresa di stato, drogata da anni di autarchia e protezionismo, vennero firmate cambiali in bianco, creando mostruosità economiche; all’impresa privata fu offerto meno, sicuramente per sfiducia, ma anche per ideologismi. Infatti i partiti egemoni Dc, Pci e Psi erano tutti contrari a un rafforzamento del capitale privato e tutti contrari a una privatizzazione dell’eredità economica lasciata dal fascismo. I marxisti per problemi ideologici, i cattolici per un’antica avversione nei riguardi del capitale privato, simbolo dei peggiori istinti dell’uomo, quali l’avidità del guadagno, l’egoismo, lo sfruttamento, la mancanza di ispirazione etica.131

L’azione dei governi è condizionata dalla sinistra e da ampi settori della Dc, i quali ultimi tendono a indirizzare la condotta dell’esecutivo, verso una composizione di questioni economiche e di questioni politiche, in un unico quadro programmatico.132

Alla borghesia industriale viene aperta, di nuovo, la porta di un rapporto intimo con il potere politico; questa operazione consentirà alla Dc mezzo secolo di non belligeranza con il capitale privato. Al riparo dello scudo crociato la borghesia capitalista trova l’opportunità per

131

Cfr. Caruso Eugenio, L’economia italiana negli anni ‘50-‘60. Le imprese italiane iniziano a correre, in “Impresa Oggi”, fonte internet http://www.impresaoggi.com/it/d_ec.asp?cacod=23&offset=1.

132

serrare le fila a protezione di posizioni monopoliste. La creazione dello Stato imprenditore e la commistione tra politica ed economia portano a due risultati negativi: tarpare le ali ad una crescita fisiologica, sia dell’impresa privata, che di quella pubblica e mantenere in vita il capitalismo familiare, modello di archeologia economica nei paesi più avanzati.

Inoltre, i capitani d’industria e i grandi manager del 1945, come detto, Donegani, Olivetti, Valletta, Pirelli, Marzotto, ecc.., fisiologicamente, scompaiono e con essi declinerà la grande impresa, lasciata alle sole cure di Mediobanca, capace di arditi progetti di ingegneria finanziaria, pur disponendo di una modesta potenza monetaria, ma non in grado di formulare piani di rinnovamento industriale.133

Su Mediobanca e su Cuccia è stata scritta una biblioteca di letteratura economica, ma forse la sintesi più vera e insieme caustica sull’istituto e il suo creatore è quella che lo stesso, arguto banchiere siciliano, dava di se stesso: “Ho fatto le nozze con i fichi secchi” 134. I fichi secchi, ovvero le carenze strutturali di un capitalismo ipertrofico per le radici rurali del Paese, che miracolosamente lo aveva visto esplodere in vent’anni, nei decenni Cinquanta e Sessanta. Ovvero, ancora, la pervasiva presenza di un Paese statalista, connotato fin dal dopoguerra dalla presenza del più forte partito comunista filosovietico dell’occidente americanizzato.

Una presenza statalista che, peraltro, era impressa nel dna della stessa Mediobanca, tanto che Cuccia, rispondendo in Parlamento ad un’interrogazione del senatore comunista Napoleone Colajanni, aveva potuto coniare per se stesso un’altra, ancor più famosa, definizione: “[…] Sono, per così dire, un centauro: metà uomo e metà cavallo. Scelga lei qual è il pubblico e qual è il privato”135. Molti anni dopo, Colajanni avrebbe sintetizzato così il suo giudizio su Cuccia e sulla sua epopea: “È riuscito a salvare le famiglie e la banca, ma ha smarrito molto spesso le aziende”136. Capire Cuccia, il suo ruolo nell’evoluzione del capitalismo italiano nel dopoguerra e capire com’è stato colmato il vuoto lasciato dall'uscita

133

Cfr. Caruso Eugenio, L’economia italiana negli anni ‘50-’60, cit..

134

Fusco Francesco, Luciano Sergio, La febbre del toro, saggio sulle criticità dei mercati finanziari, , Pironti Editore, Napoli 2008, p. 117.

135

Ivi.

136

di scena del mitico banchiere e dal declino della sua creatura, Mediobanca, è la premessa per capire anche come l’Italia ha vissuto la globalizzazione dei mercati.

Il boom del capitalismo italiano si esprime, dunque, in un angusto ambito: da una parte lo Stato ubiquitario e interventista e dall’altra poche famiglie di magnati, tutte coordinate da Cuccia. Un’efficace descrizione di ciò, sono le parole di Luigi Zingales: “[…] le aziende affermate anziché affrontare la concorrenza cercavano di combatterla. Restando intrappolate in una rete di cartelli difensivi e crediti basati sulle conoscenze, rendendo l’intero sistema ottuso, inflessibile, e soprattutto soggetto a shock economici sfavorevoli»”137.

D’altra parte, tra nuovo e vecchio continente esistevano differenze culturali di fondo: per gli americani non c’era libertà senza proprietà, per molti europei, negli anni cinquanta, non esisteva libertà se c'era proprietà.

Il Pci, che subisce l’emarginazione politica a livello centrale, governa incontrastato nella cintura rossa d’Italia, l’Emilia Romagna. Nella regione che aveva fatto parte dello Stato pontificio, anticlericalismo e radicalismo trovano una valvola di sfogo in un legame stretto e fedele con il Pci; il partito conduce una politica saggia, evita la contrapposizione degli anni Venti e Ventuno, tra braccianti e piccoli proprietari e riesce a controllare e a pilotare il movimento cooperativistico, una forte tradizione della regione, come già visto. Alla fine degli anni Cinquanta, le cooperative diventano uno dei pilastri del potere comunista in Emilia e costituiranno, per il Pci, una sperimentazione di un capitalismo più umano.138

Come è stato detto, sottolineandone nuovamente l’importanza, tra il 1956 e il 1963 l’Italia compie, in campo economico, un balzo in avanti senza precedenti. Col Mercato Comune Europeo, da Paese tradizionalmente esportatore di prodotti agricoli e tessili, diventa importatore di prodotti agricoli, i ministri italiani dell'agricoltura iniziano a la dipendere dalle potenti lobby agricole di Germania e Francia, in cambio di aiuti sostanziosi al Mezzogiorno del Paese, inoltre, il Paese diviene anche esportatore di prodotti elettromeccanici. Protagonista di questa prima fase espansiva è la grande impresa: l’industria automobilistica entra nello

137

Raghuram G. Rajan, Luigi Zingales, Salvare il capitalismo dai capitalisti, Einuadi, Torino 2008, p. 148.

138

stadio della produzione di massa, nascono grandi imprese per la produzione di elettrodomestici, il Paese è uno dei maggiori produttori di semilavorati d’acciaio, si consolida l’industria dei prodotti chimici e petroliferi. La piccola e media impresa iniziano la loro ascesa, specie in Lombardia e in Emilia Romagna; esse, peraltro, devono affrontare il problema della scarsità di capitale e non sono ancora in grado di affrontare l’esportazione.139

L’innovazione e lo sviluppo tecnico penetrano e si diramano nell’economia di un paese, tramite l’agire imprenditoriale. Questo è in funzione del regime tecnologico predominante, della funzionalità e accessibilità delle tecnologie, dei requisiti di insieme dell’ambiente, come l’appropriatezza tecnologica, il capitale finanziario ed umano, gli equilibri proprietari e il governo societario, le capacità manageriali, la cultura d’impresa e le competenze professionali. La combinazione di queste multivariabili definisce l’evoluzione macroeconomica del paese in cui si estrinsecano.

Nella storiografia, il parere sugli anni dell’Età dell’oro è molto controverso, relativamente al ruolo delle imprese nel generare e utilizzare le tecnologie. Generalmente, si dà atto delle capacità di adattamento dell’impresa italiana nell’utilizzazione delle tecnologie per la produzione di massa e dei beni durevoli, come automobili ed elettrodomestici.

Il punto centrale è se, politiche economico industriali ed un’imprenditorialità diverse hanno mancato alcune occasioni, di fronte alle quali sia stata percorsa la strada sbagliata. Una parte della storiografia, quella meno recente,140 esprime un parere, in genere, negativo sia sulle politiche economiche, sia sulle strategie delle imprese. Le prime sono considerate confuse, le seconde poco coraggiose ed imprecise.

Le politiche economiche, particolarmente, non avrebbero sostenuto l’innovazione, dando, comparativamente, poche risorse e scarsamente selettive al sostegno della R.&.S, non sostenendo, ad esempio, lo sforzo della Olivetti, nel campo della nascente industria elettronica141. Le imprese, invece, non avrebbero colto circostanze favorevoli, quali la

139

Ibid..

140

Cfr. Salvati Michele, Economia e politica in Italia dal dopoguerra ad oggi, Garzanti, Milano 1984.

141

Cfr. Berta Giuseppe, Michelson Angelo, Il caso Olivetti, in, Regini Marino, Sabel Charles (a cura di),

nazionalizzazione dell’energia elettrica nel 1962, per far crescere l’industria chimica, ricca di grandi potenzialità.

Più recentemente la storiografia formula giudizi meno critici, su imprese ed imprenditori. Ritardi ed errori vengono considerati come processi di adattamento che non hanno condizionato, in senso negativo, lo sviluppo economico. Ad esempio, il ritardo della Fiat nell’automazione, per la produzione di auto, sarebbe stato un processo di adeguamento di strategie da parte della proprietà, il lavoro, il management, la cultura d’impresa, la dimensione del mercato; processo, tutto sommato, razionale e complessivamente soddisfacente142.

Gli imprenditori della produzione meccanica e dei beni di consumo domestico, come Borghi, Zanussi e altri, sono stati descritti da questa storiografia, come soggetti di piglio schumpeteriano, piuttosto che, abili e spigliati finanzieri capaci di prendere al volo occasioni speculative e che, allo stesso tempo, si fanno indietro, innanzi alle difficoltà create da una più complessa gestione delle loro imprese, dovuta alla crescita.143

Messo al centro di una riflessione storiografica, che è andata amplificandosi negli ultimi quindici anni e soprattutto rivolta ai cambiamenti sociali e del costume, manifestatisi al suo avvio, il periodo 1947-1969 italiano è stato oggetto delle analisi presentate da un nutrito gruppo di storici dell’età contemporanea. Si è trattato di un dibattito importante, per la pluralità e l’ottica interpretativa sull’intensa modernizzazione del secondo dopoguerra.144

Le dinamiche politiche, la crescita del sistema industriale, il ruolo della classe dirigente e dell'amministrazione pubblica, lo sviluppo dei trasporti, il tramonto della società rurale e l’avvento del consumismo e della televisione, ne sono stati alcuni dei maggiori

142

Fonte: Indirizzo http://www.rivistameridiana.it/files/Cersosimo,-Da-Torino-a-Melfi.pdf: Cersosimo Domenico, Da Torino a Melfi. Ragioni e percorsi della meridionalizzazione, in «Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali», 1994, 21, pp. 35-68.

143

Cfr. Amatori Franco, Colli Andrea, Impresa e industria in Italia dall’Unità ad oggi, cit.

144

Cfr. Lanaro Silvio, Storia dell’Italia repubblicana. L’economia, la politica, la cultura, la società dal

dopoguerra agli anni ’90, cit.; Castronovo Valerio (a cura di), L’Italia contemporanea 1945-1975, cit.; Ginsborg

Paul, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, cit.; Carocci Giampero, Storia d’Italia dall’Unità a oggi, cit.; Giuliano Amato, Il governo dell’industria, cit.; Amato Giuliano, Economia, politica e istituzioni in Italia, cit.; Castronovo Valerio, Storia economica, cit.; Nardozzi Giangiacomo, Miracolo e declino. L’Italia tra concorrenza

e protezione, cit.; Crainz Guido, Il Paese mancato, Donzelli, Roma 2005; Bocca Giorgio, Storia della Repubblica italiana dalla caduta del fascismo a oggi, Rizzoli, Milano 1982.

contenuti. Ne è sorto, così, un quadro particolareggiato, da cui sono sorti molti nodi interpretativi forti.

Tale discussione parte dal porre l’accento sull’ampia resistenza culturale, sviluppatasi allora, contro i mutamenti portati dalla modernizzazione: una resistenza che, partendo dalla critica verso i nuovi stili di vita e sistema di valori che si stavano affermando, fece seguire l’ideale di un ritorno ad una società contadina, oramai tramontata, ma pur ancora molto idealizzata.

Altro elemento posto al centro della discussione è stata la mancata, o tardiva, programmazione, che la classe dirigente mise in campo per incoraggiare uno sviluppo economico capace di trasformare, in evoluzione civile, la crescita della produzione industriale.

Dal punto di vista della metodica per lo studio di quel periodo, è stata sottolineata l’esigenza di ricercare nuovi indirizzi nell'analisi della politica estera, che incise

profondamente nel riassetto economico dell’Italia di quegli anni e si è trovato accordo sulla necessità di una comparazione, tra il contesto nazionale e il contesto internazionale, al fine di mettere in risalto le peculiarità che caratterizzarono il caso italiano.145

145

Si fa riferimento al paradigma defeliciano della “doppia lealtà”, intesa come contemporanea lealtà allo stato nazionale e alla alleanza politico-economica di riferimento, o al suo stato egemone, in forme di “sovranità limitata”. Oppure, ci si vuol riferire al concetto di “stato parallelo”. A tal proposito cfr. De Felice Franco, Doppia

lealtà e doppio Stato , “Studi Storici”, 1989, 3, pp. 493-564 e Cucchiarelli Paolo, Aldo Giannuli, Lo Stato parallelo. L’Italia “Oscura” nei documenti e nelle relazioni della Commissione stragi, Gamberetti, Roma 1997.

SEZIONE II

Strategia pubblica per l’impresa e lo sviluppo