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Italiani all’estero e stranieri in Italia

• L’emigrazione italiana nel periodo 1947-1969. La ripresa dell’emigrazione Sino dalla sua costituzione in Repubblica, l’Italia trova nell’emigrazione un aspetto precipuo della sua economia e società civile. Terminato il secondo conflitto mondiale, nutrite correnti di emigrati si versano nuovamente oltre le frontiere nazionali, per tentare di trovare un lavoro, incrementando così le già considerevoli collettività presenti nel mondo.

Nell’Italia repubblicana, le peculiarità delle emigrazioni sono dissimili rispetto alle precedenti che caratterizzarono il Paese. In primo luogo esse si convogliano in prevalenza nei paesi dell’Europa, dapprima in Francia e in Belgio, poi, principalmente, in Svizzera e Germania, dove acquistano ampia diffusione schemi migratori contraddistinti dalla temporaneità delle partenze e degli arrivi.

In questi luoghi e nei tradizionali, Argentina e Stati Uniti, e nelle nuove destinazioni quali Australia, Venezuela e Canada, si foggiano e organizzano collettività che intrattengono interscambi economici e culturali stringenti con l’Italia, che si rafforzano nel tempo.

L’emigrazione all’estero, come dicevamo, è un elemento di struttura nel caso italiano e s’intreccia, negli anni analizzati, con l’altro fenomeno migratorio importante: le migrazioni interne.

Finita la seconda guerra mondiale si manifestano correnti di esodo già indicative numericamente, ingrandendosi negli anni seguenti. Ovviamente questa migrazione, a differenza delle precedenti, si caratterizza in un contesto internazionale meno permeabile a flussi di vasta portata. La necessità di ricostruire attira lavoro in tutta Europa, innanzitutto in

Francia, in Belgio e nel Regno Unito, poco dopo anche in Germania e Svizzera. Si delineano anche nuove frontiere, come Australia, Canada, Venezuela, mentre permangono tradizionali territori di emigrazione quali l’Argentina, Brasile e Stati Uniti, anche se in questi ultimi si verifica un certo rallentamento, per effetto della Quota Act del 1924, che ridusse drasticamente il numero di immigrati, particolarmente dal sud e dall’est Europa, incoraggiando invece i nord europei.

In tutta Italia si emigra da ogni zona del Paese, tanto che, nel primo dopoguerra, lo si farà prevalentemente dalle regioni centrali e settentrionali, solo alla fine degli anni Quaranta dal Mezzogiorno.

Nel 1955, firmato l’accordo di migrazione con la Germania, questa, insieme alla Svizzera, acquisisce il primato degli espatri italiani, mentre sono sempre più scarse le partenze extra europee. Ciò è determinato da un maggior coordinamento interstatale tra i paesi europei, quasi pianificatorio, il quale contempla gli arrivi di manodopera straniera, sempre meno lasciati al caso dei singoli e sempre più collegati ad un’assunzione certa. Comunque permane il flusso con l’Argentina che, tuttavia, intorno alla metà degli anni Cinquanta, evidenzia gravi segni di crisi economica, con la conseguente restrizione nelle politiche migratorie; addirittura per quasi tutti gli anni Sessanta l’Italia avrà un saldo positivo, rispetto all’Argentina, in termini di arrivi e partenze. (Tabelle 5 e 6).224 L’emigrazione rimane un evento importante in termini di quantità annuali, almeno fino agli inizi degli anni Settanta e sarà a lungo una fonte che stimola il mercato interno, con le rimesse degli emigranti, nonché valvola di sfogo per il mercato del lavoro, assumendo, quindi, un ruolo fondamentale nel miracolo economico e nelle fasi di modernizzazione ad esso collegate.

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Colucci Michele, La risorsa emigrazione. Gli italiani all’estero tra percorsi sociali e flussi economici, 1945-

2012, in “Approfondimenti. Rivista dell’ Istituto per gli Studi di Politica Internazionale”, 2012, 60, pp. 12-13, in

fonte internet Colucci Michele, La risorsa emigrazione. Gli italiani all’estero tra percorsi sociali e flussi

economici, 1945-2012, in “Approfondimenti. Rivista dell’ Istituto per gli Studi di Politica Internazionale”, 2012,

60, fonte internet http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-risorsa-emigrazione-gli-italiani-allestero-tra- percorsi-sociali-e-flussi-economici-1945-2012-approfondimenti.

Tabella 5 – Emigrazione italiana 1960-1970: espatri

Le risorse emigratorie che rientrano, hanno però costituito un po’ un’opportunità senza successo, poiché l’economia e il vivere sociale delle zone di distacco non mostrarono alcun cambiamento anche dopo la venuta delle rimesse , o il ritorno degli espatriati. Ma l’apporto dell’emigrazione va misurato non solo coi dati di politica economica, ma anche in riferimento alla politica estera, in quanto gli accordi bilaterali, per regolamentare i flussi, contribuirono a reintrodurre l’Italia nella diplomazia mondiale.225

La coordinazione degli espatri si unì al parto dell’Europa unita. La firma del Trattato di Roma, del 1957, cambiò giuridicamente la realtà dei lavoratori migranti, dando il via, nella pratica del governo comune, alla libera circolazione della forza lavoro, in quanto gli italiani divennero cittadini comunitari.

E’ al termine degli anni Cinquanta che l’esodo estero si qualifica professionalmente, in quanto i paesi richiedenti lavoro hanno necessità di una formazione di qualità garantita. I movimenti di manodopera, anche molto qualificata, iniziano a disegnare un capitolo molto rilevante e costituiranno uno dei caratteri precipui dell’apertura internazionale del paese, garantita anche con le leggi sull’”emigrazione assistita”226 fuori dal territorio nazionale.

Nei primi anni Sessanta la cornice dei raggruppamenti italiani all’estero subisce un’ampia metamorfosi, sia nelle realtà aggregative e del loro legame con l’Italia, sia dal punto di vista della compagine associativa. Nascono nuove strutture sociali e culturali che si accostano al consueto aiuto scambievole. Associazioni di categoria, raggruppamenti cattolici e laici, partiti politici sono sempre riferimenti rilevanti, ma si presentano sulla scena nuovi circoli, spesso regionali, o provinciali, che uniscono gli appartenenti in base al luogo d’origine geografico. Questa propensione si consoliderà molto negli anni a seguire, con la nascita delle

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Cfr. Bevilacqua Piero, De Clementi Andreina, Franzina Emilio (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana, vol. I, Partenze e vol. II, Arrivi, Donzelli, Roma 2001e 2002; Incisa Di Camerana Ludovico, Il grande esodo.

Storia delle migrazioni italiane nel mondo, Corbaccio, Milano 2003; F. Romero, Emigrazione e integrazione europea, 1945-73, Edizioni Lavoro, Roma 1991.

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Per un maggior dettaglio sui provvedimenti cfr. il decreto 381 del 15 aprile 1948, che razionalizza il ruolo del Ministero del Lavoro e Previdenza sociale, dal punto di vista delle competenze istituzionali, la legge 1115 del 27 luglio 1962, che concede ai lavoratori italiani colpiti da silicosi in Belgio una serie di indennizzi e la legge 302 del 10 marzo 1968, che garantisce l’assistenza di malattia ai lavoratori italiani in Svizzera, compresi i familiari e i frontalieri.

regioni, che avranno competenza considerevole in materia di cura agli emigranti e alla comunicazione con i gruppi in territorio straniero.

Infine, negli anni Sessanta, si annovera un nuovo tipo di emigrazione, quello dei giovani che si dirigono nelle capitali europee per ragioni di studio.227

• La risposta al vincolo di gruppo minoritario degli emigrati italiani

Lo stato delle ricerche per tale argomento è piuttosto insoddisfacente, in quanto le fonti a disposizione inclinano verso encomi stucchevoli, densi di sentimenti di rivalsa da parte degli emigrati di successo, spesso facendo ricorso ad accenti nazionalisti di tipo reazionario. Non è un caso che molte associazioni di italiani all’estero si siano prodigate considerevolmente nell’appoggiare partiti politici, in Italia, che si richiamavano ai valori più tradizionali e roboanti del nazionalismo.228 Inoltre, le fonti sono spesso caratterizzate da una visione querula della storia dell’emigrazione italiana, ma l’argomento assume una forte rilevanza per questo lavoro, pertanto, pur con tutte le ristrettezze, è necessario cercare di offrire un quadro d’insieme, il più razionale ed esauriente possibile.

Escludendo il crimine, si potrebbero distinguere, nell’imprenditorialità italiana, almeno quattro figure, nel periodo 1947-1969: “il principe mercante”, la nozione e la locuzione sono di Luigi Einaudi,229 gli avventurieri, i self made men ed i nuovi artigiani.

Il “principe mercante” è colui che parte con mezzi imprenditoriali solidi e ben strutturati, con una forte competenza imprenditoriale in Italia, una consolidata professionalità

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Colucci Michele, La risorsa emigrazione. Gli italiani all’estero tra percorsi sociali e flussi economici, cit., p. 10.

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Si vedano, ad esempio, lavori come A.F. Rolle, Gli emigranti vittoriosi, Milano, Arnoldo Mondadori, 1972; A.R. Stiassi, Gli italiani in Australia, Bologna, Patron, 1979; M. Vannini de Gerulewicz, Italia y los italianos en

la historia y en la cultura de Venezuela, Caracas, Universidad Central de Venezuela, 1980; G. D’Angelo, Il viaggio, il sogno, la realtà. Per un storia dell’emigrazione italiana in Venezuela, 1945-1990, Salerno, Ed. Il

Paguro, 1995. La nota è tratta dal cit. lavoro svolto presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM-Ancona), nell’ambito del progetto di ricerca europeo e network di eccellenza “Sustainable Development in a Diverse World” (www.susdiv.org).

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Fonte: Einaudi Luigi, Il principe mercante, Fonte: internet

https://archive.org/stream/unprincipemerca00einagoog#page/n151/mode/2up. La nozione è riferita all’esperienza e al successo di un singolo imprenditore lombardo, Enrico Dell’Acqua.

tecnica e soprattutto denaro. E’ il modello di borghese, sotto l’aspetto tecnico dotto e competente, in precisi campi di attività, che fa parte di una categoria sociale che esplora opportunità economiche più estese e in evoluzione e che, solitamente, raggiunge pregevoli traguardi economici.

In questa tipologia possono prevalere o le esperienze tecnico ingegneristiche, o quelle d’impresa, ambedue sorrette da capitali disponibili. Tali competenze e disponibilità creano fenomeni imitativi da parte di dipendenti, una sorta di spin off, nello stesso ambito produttivo, dando origine a nuove forme di indipendenza.

Accanto a competenze e capitale, si riscontrano altre situazioni ricorrenti, come carriere imprenditoriali che nascono dalle attività commerciali, o l’arrivare a organismi produttivi agenti in più settori, definibili quasi come conglomerali, cioè che ampliano le attività in direzione di aree totalmente nuove. Inoltre, certi profili professionali uniscono, alle due componenti essenziali, abilità specifiche sorte nei luoghi di origine, come ad esempio nei casi della nautica ligure, del tessile lombardo o pratese, oppure la tipica produzione agroalimentare italiana, (spaghetti, salse, prodotti alcolici derivanti dalla distillazione, ristorazione), o pratiche tra artigianato e industria, quali scarpe e cappelli.

Gli avventurieri sono soggetti, falliti economicamente, che espatriano cercando di dare una svolta al loro destino sociale. Tentano di rimontare la salita con rischiose attività economiche in altri paesi. Hanno una inclinazione per le attività di tipo speculativo, che estrinsecano con lo sviluppare piani, o intraprendere il business, basandosi su particolari relazioni sociali con i leader delle comunità italiane estere, o della locale classe dirigente. Piani e business una volta realizzati, devono fruttare velocemente una remunerazione adeguata, per riuscire a consolidare la stabilità cercata.230

I self made men sono scalatori sociali che, dal gradino più basso della scala sociale, danno la scalata, tappa dopo tappa, fino ad ottenere ruoli strategici di rilievo nelle nazioni ospitanti. Costituiscono la cosiddetta borghesia in creazione, l’humus da cui nascono le idee

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Cfr. Martellini Amoreno, I candidati al milione. Circoli affaristici ed emigrazione d’élite in America Latina

più ardite, una qualità che risalta moltissimo negli immigrati italiani, specialmente nei paesi ad economia più avanzata. Questa peculiarità si evidenzia nella loro massiccia presenza in attività economiche del paese che li ospita, concretizzatasi in piccole imprese, presenza che è assimilabile alla, ancor più spinta, pratica dei cinesi e degli ebrei.

Infatti, grandi quantità di italiani all’estero sono dedite al commercio di alimentari, di ortaggi, ad attività di ristoranti e bistrot, all’esecuzione di appalti, all’artigianato (sarti, calzolai, barbieri, muratori). Si tratta, spesso, di soluzioni lavorative di primo acchito, legate alle emergenze abitative, alla cultura, alla robustezza dei vincoli familiari e alla non conoscenza della lingua della nazione che li ospita.

Il genere può essere suddiviso in base al fatto che l’impresa mantenga o meno, un carattere etnico nel sentiero imprenditoriale, come nel caso del vino, o cibo italiani.231

Nelle avventure d’impresa dei self made men è individuabile la peculiarità etnica in tutte le variabili e sviluppi applicativi. Una mescolanza di conoscenze originarie e competenze, applicate a disponibilità estere, nonché la partenza dell’attività dai piccoli mercati razziali e il susseguente ampliamento nel mercato indistinto.

Infine la categoria dei neoartigiani è costituita da imprenditori che tramandano, o riprogettano, una abilità tecnica tradizionale, in una economia dove non è mai esistita, o superata, o dove è stata superata di impeto. Questi percorsi hanno cammini differenti, in termini di durata e punto d’arrivo: si possono fermare alla piccola impresa, o svilupparsi nelle medie e grandi imprese, o aggregati di imprese.

• Impresa e emigrati di ritorno

Alla fine degli anni Sessanta, quando si avrà l’inizio del ristagno economico che culmina con lo shok petrolifero del 1973, si hanno flussi migratori contrari rispetto al passato: da paesi europei, quali Svizzera, Francia, Belgio, Germania e da aree e in periodi specifici, caratterizzati da crisi cicliche, si ritorna nel Paese di origine.

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Cfr. Cinotto Simone, Una famiglia che mangia insieme:cibo ed etnicità nella comunità italoamericana di

In queste correnti di emigrati di ritorno, sono identificabili i nati in zone che nel passato avevano accolto una vigorosa emigrazione italiana.Non tutti fra di essi sono figli o discendenti di conterranei andati all’estero in precedenza, ma un gran numero di imprenditori venuti al mondo in queste nazioni ha un’origine italiana. 232

Tornare in Italia dà risposta a dialettiche affettive ed economiche e presuppone la volontà di sviluppare le relazioni con la comunità da cui si sono distaccati i loro parenti, che costituiscono la base su cui trapiantare le esperienze e le risorse economiche, conseguite nella località di nascita. L’imprenditorialità degli emigrati di ritorno è, dunque, connessa ad un’emotività tutta interiore, che trova, spesso, il modo di esprimersi fuori dal lavoro dipendente.

Questa energica predilezione al dinamismo indipendente ha collocato gli emigrati di ritorno agli apici dell’imprenditorialità estera in Italia. Essi “[…] operano in un contesto più maturo e articolato: hanno un’età media più elevata, un peso maggiore della componente femminile (1/3 del totale), presentano imprese con una struttura societaria più complessa e una maggiore diversificazione territoriale. Vi è anche un ampio spettro di settori interessati, con un settore manifatturiero che non si limita a poche branche labour intensive, ma si estende anche ad attività che richiedono una maggiore dotazione di capitale, come chimica, plastica, apparecchi di precisione. In queste industrie gli emigrati di ritorno trovano un ottimo terreno in cui combinare efficacemente le risorse finanziarie e le conoscenze apprese all’estero con le opportunità presenti sul territorio.”233

Infine si censisce una forte presenza degli emigrati di ritorno nel settore alberghiero, ristorativo e, nel Meridione, in quello agricolo; in molti casi l’insufficiente industrializzazione e la scarsa efficienza di quella esistente riduce le opzioni di investimento all’acquisizione di terreni agricoli e al rientro in vecchie proprietà rurali mai vendute.

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I paesi in esame sono: Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Svizzera, Libia, USA, Canada, Argentina, Uruguay, Venezuela, Australia.

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Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM-Ancona, Sustainable

Le ragioni affettive costituiscono la base per scegliere di insediarsi nelle aree di nascita dei propri avi, ma tale scelta è motivata anche dal poter sfruttare relazioni etno sociali, sperando di usufruire di una rete di difesa, sociale e familiare, che agevoli l’inclusione e la ripresa di legami patrimoniali mai lasciati, come case e terre.

Quindi si realizza una consistente presenza di abilità personali e collettive, che aiuta a considerare meno rischioso l’accesso al lavoro indipendente.

SEZIONE V

Impresa e centrosinistra: un rapporto difficile. 1962-1969