• Un quadro generale
“Se il senno del poi non fosse comunque inutile e severamente vietato alle analisi economiche e sociali perché non assoggettabili a riscontri empirici, potremmo dire che gli anni Sessanta, in cui le distorsioni strutturali della nostra economia, sopravvissute e forse esaltate dalla velocità dell’industrializzazione e dall’irrompere della concorrenza sul mercato italiano, avrebbero potuto essere almeno parzialmente ricomposte.”234 Sono parole di Agostino Paci, negli anni Ottanta presidente dell’Intersind, l’associazione sindacale delle aziende pubbliche dell’Iri e dell’Efim, la cui istituzione nel 1962 ha raffigurato un’impronta di energica differenziazione delle imprese a partecipazione statale, riguardo alle imprese private riunite nella Confindustria, ritenute indisponibili ed antiquate nei rapporti sindacali.
C’è un generale giudizio negativo sull’esito di un’operazione politica, il centrosinistra, attorno a cui ha ruotato la politica italiana fino dal 1956 e che era nata con l’obiettivo di fare venire meno, alcune delle più negative caratteristiche del “caso italiano”, cioè far compiere dei passi significativi verso un maggiore allineamento dell’Italia, rispetto alla situazione delle altre grandi nazioni industrializzate dell’Occidente. Tutta la storia del centrosinistra è storia di un’opportunità perduta, di una strada lastricata da tante buone intenzioni, ma ostacolata da arretratezze culturali dei partiti della sinistra, da grandi interessi economici miopi, strettamente collegati con i partiti di destra e gran parte della DC, da raggruppamenti sociali con un’impostazione politica reazionaria, o fortemente conservatrice. Molte di quelle occasioni perdute non sono mai state recuperate, anzi si sono ossificate, hanno creato orribili
234
escrescenze che, pur mutandosi, sono arrivate fino ai giorni nostri. Chi furono i colpevoli? Qualcuno può dirsi esente da responsabilità?235
Costruire il contesto è necessario: il quadro internazionale in cui si inseriscono le vicende italiane, sia politiche sia economiche, a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta; la consistenza dell’economia italiana e le sue distorsioni; le scelte politiche dei partiti protagonisti in quegli anni, le filosofie, i timori, gli interessi, gli intrecci con i potentati economici.
Gli Stati Uniti erano usciti senza distruzioni dalla seconda guerra mondiale e fu l’unico paese a continuare a crescere anche negli anni successivi. Alla fine della guerra la loro produzione industriale raggiunse quasi i due terzi di quella mondiale. Dunque, l’America rappresentò il modello da imitare per tutti i paesi alleati, che avevano come unica preoccupazione quella di riprendersi dalla guerra. Ma non va né dimenticato, e neppure sottovalutato, il ruolo dell’Unione Sovietica sullo scacchiere mondiale. “Sembrò all’inizio che l’area socialista, da poco allargatasi, fosse in vantaggio. Il tasso di crescita dell’URSS negli anni Cinquanta era più veloce di quello di ogni altro paese occidentale e l’economia dell’Europa Orientale crebbe quasi con la stessa rapidità, più velocemente in paesi fino allora arretrati, più lentamente in quelli già industrializzati o parzialmente industrializzati. […] Tuttavia, negli anni Sessanta diviene chiaro che il capitalismo era passato in testa rispetto al socialismo e procedeva a ritmo velocissimo.”236
La fabbricazione di manufatti negli anni Sessanta quadruplicò.237 Lo sviluppo fu nutrito dalla rivoluzione tecnologica, grazie alle conseguenze della guerra che richiesero una consistente richiesta di tecnologia: radar, motore a reazione, transistor, creato nel 1947, i primi elaboratori di dati analogici civili, che sono del 1946; gli Usa avevano radunato le più alte intelligenze mondiali, in definitiva, la causa prima dell’esponenziale progresso
235
Cfr.: Amato Giuliano, Economia, politica e istituzioni in Italia, Il Mulino, Bologna 1976; Cafagna Luciano,
Una strana disfatta. La parabola dell’autonomismo socialista, Marsilio, Venezia 1996; Carocci Giampiero, Storia d’Italia dall’unità ad oggi, Feltrinelli, Milano 1989; Crainz Guido, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Donzelli, Roma 2003.
236
Hobsbawm Eric J., Il secolo breve, Rizzoli, Milano 1998, p. 305.
237
economico fu l’accresciuta ricerca tecnico scientifica più avanzata. Ma anche un altro fattore contribuì alla crescita “[…] una sostanziale ristrutturazione e riforma del capitalismo e una spettacolare mondializzazione e internazionalizzazione dell’economia”.238
Il capitalismo di quegli anni fu “[…] come un matrimonio fra il liberismo economico e la democrazia sociale (o, in termini americani, una politica roosveltiana di New Deal) con aspetti non secondari presi a prestito dalla politica economica dell’URSS, che per prima aveva praticato la pianificazione economica”.239 I paesi che si stavano rialzando dalle macerie della guerra abbandonarono molte delle teorie del libero mercato, non solo per ciò che era accaduto, ma anche per il terribile ricordo della grande depressione degli anni Trenta, che causò il drammatico avvento della dittatura nazifascista e della conseguente catastrofica guerra mondiale.240
Inoltre c’erano le sfide con l’URSS e i partiti comunisti in occidente, che enunciavano un modello economico e sociale di tipo sovietico. Poi, la memoria della grande crisi, quale causa di un mercato senza regole, muoveva gli Stati occidentali verso la creazione dell’integrazione dei mercati, entro perimetri interni predisposti dal coordinamento pubblico e dall’intervento degli Stati nell’economia. Infine, per la coesione sociale, i governi dovevano agire, col fine di evitare il rischio di nuova disoccupazione di massa241.
Tutto ciò costituiva la sfida alla riforma del capitalismo nel mondo: cementare le basi che, internazionalmente, lasciavano fuori i partiti comunisti che enunciavano la presa del potere, anche democraticamente, con l’intento di far sorgere il socialismo reale.
I partiti socialisti europei, non proponendo alternative se non quella di cancellare il capitalismo senza sapere come, si conformarono alla riorganizzazione capitalista, che creando ricchezza poteva essere più equamente distribuita: questo capitalismo trasformato era consono alle istanze sindacali e alle politiche socialdemocratiche. “Dunque s’impone l’economia mista 238 Ibid., p. 316. 239 Ibid., p. 318 240
Cfr.: Guanci Vincenzo, Santini Carla, Capire il Novecento. La storia e le altre discipline, Franco Angeli, Milano, 2008.
241
[…] Tutti volevano un mondo in cui vi fosse un aumento della produzione, crescita del commercio estero, piena occupazione, industrializzazione e modernizzazione, e tutti erano disposti ad ottenerlo, se necessario, attraverso un sistematico controllo governativo e una direzione pubblica delle economie miste e attraverso la collaborazione con i movimenti organizzati delle classi lavoratrici, purché non fossero di orientamento comunista. L’Età dell’oro del capitalismo sarebbe stata impossibile senza questo consenso sul fatto che l’economia dell’impresa privata aveva bisogno di essere salvata da se stessa se voleva sopravvivere.” 242
In Italia, come visto, nel 1960, l’industria contribuiva al reddito nazionale italiano per quasi la metà e considerando gli anni della guerra, che provocarono molte distruzioni infrastrutturali quali ponti, strade, case, ferrovie, porti, il complesso della struttura industriale, però, complessivamente si salvò; così, in soli quindici anni, si registra un vero e proprio boom industriale. Si comprende bene l’alto livello raggiunto dallo sviluppo industriale italiano enunciando i settori industriali che spinsero la crescita.
Innanzitutto le aziende che producevano gas naturali e petrolio, in modo particolare la raffinazione del petrolio e i suoi derivati chimici. In questo ambito settoriale va menzionato Giulio Natta, cui fu assegnato nel 1963 il premio Nobel per la chimica, per avere identificato il polipropilene isotattico, la materia plastica. La Montecatini e altre imprese del gruppo commercializzarono taluni di questi polimeri con il nome di Moplen, articoli in plastica, e Meraklon, fibra tessile.243
La meccanica fu il settore che cooperò più di ogni altro alla formazione del prodotto nazionale. L’indice salì a 189 nel 1961, facendo 100 il 1953. Ovviamente chi fece la parte del leone fu la Fiat che produsse l’89% delle automobili per uso civile e poi macchine agricole, materiale rotabile per le ferrovie, aeroplani, materiale elettrico ed energia nucleare. L’industria delle macchine calcolatrici ebbe, dopo il 1953, una forte crescita nel settore, con le
242
Ibid., p. 321
243
Per tutte le informazioni cfr. Clough Shepard B., Storia dell’economia italiana dal 1861 ad oggi, Cappelli editore, Bologna 1965.
macchine per ufficio e macchine per scrivere della Olivetti, IBM, Everest e della Remington Rand. A tale proposito va ricordato che, nel 1959, l’Olivetti diviene multinazionale acquisendo l’americana Underwood ed entra nel capitalismo internazionale. “L’apprezzamento per l’operazione è pressoché unanime; talvolta i giudizi in Italia sfiorarono l’epica, lo stupore all’estero per questa “italietta imprenditoriale” e già autarchica che si è fatta valere sul colosso statunitense.”244
Incrementò moltissimo la produzione di acciaio, nel 1938 da 2.376.099, a 9.124.000 tonnellate nel 1961. Ma un campo importantissimo e di punta fu l’energetico, tanto che l’Italia si proiettò nella produzione di energia atomica: nel 1963 a Latina si insedia la prima centrale elettronucleare e nel 1966 il Paese era il terzo imprenditore al mondo, dopo USA e Regno Unito. Sempre nell’ambito del nucleare dalla unione delle capacità finanziarie di Fiat e Montecatini nasce a Saluggia, nel 1956, la Società Ricerche Impianti Nucleari245, SORIN, per effettuare ricerche nel settore.
Connessa al settore energia c’era la fabbricazione delle attrezzature elettriche. L’Italia ormai fabbricava e inviava all’estero di tutto: generatori pesanti, dinamo, elettromotrici, tram, trasformatori, elettrodomestici, lampade. L’altro volano dello sviluppo fu l’affare dell’edilizia pubblica e privata col 38% degli investimenti lordi nei lavori pubblici e il 22% nell’edilizia abitativa privata.246
“ In realtà, quello che ci fu di veramente miracoloso non è stato tanto la comparsa di una serie di fattori produttivi prima inesistenti, quanto la loro felice combinazione in un circolo virtuoso permesso dal nuovo clima internazionale di pace e apertura di mercati, che spinse verso mete di produzione prima inimmaginabili.”247 L’economia italiana si riorganizzò, nel post bellico, su due sostegni: Il Piano Marshal che fornì grandi vantaggi, specialmente nella metallurgia, chimica, elettricità, petrolio, metano, meccanica “[…]
244
Ochetto Valerio, Adriano Olivetti, Marsilio, Venezia 2009, p. 276.
245
Dopo la nazionalizzazione del settore elettrico, Sorin, diversificandosi, inizia la produzione di valvole mitraliche e stimolatori cardiaci, prendendo il nome attuale di Sorin Biomedica S.p.A..
246
Cfr., Clough Shepard B., Storia dell’economia italiana dal 1861 ad oggi,cit..
247
spostando così definitivamente il suo fronte industriale da una prevalenza dell’industria tessile alimentare a una composizione tipica di un paese industriale avanzato, centrata sui comparti metalmeccanico, chimico, energetico.”248
Il secondo pilastro, come già detto in altra parte del lavoro, fu l’adesione consapevole dell’Italia, nell’aprile del 1951, alla fondazione della CECA. Le si dischiusero traffici vasti, che non aveva mai avuto. Le aziende atterrarono nella competizione dei mercati sopranazionali, si disposero sul modello americano per la produzione di massa e si diffuse il modello economico e sociale americano: il consumismo. I consumi americanizzati furono favoriti dall’arrivo delle multinazionali Coca Cola, Colgate, dai chewing-gum ai i blue jeans, ecc..249 L’Italia si cimentò a produrre ogni specie di prodotto, o servizio, giocando sui prezzi contenuti, il gradevole e creativo design.250
Come ricordato, essenziale per lo sviluppo fu l’impresa pubblica, la cui apologia si verificò con la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Nel 1962 nasce l’Enel: “[…] Le aziende di Stato vennero aumentate consistentemente con la nazionalizzazione dell’energia elettrica e con la creazione dell’Enel, un atto che suggellò l’unico mutamento politico importante subito dall’Italia nel periodo postbellico prima delle recenti vicende, ossia il passaggio da governi di centro destra a governi di centro sinistra, pur sempre egemonizzati dalla Democrazia Cristiana. Tale nazionalizzazione, che venne all’epoca salutata con favore dall’élite culturale del paese, indebolì il fronte della grande industria privata, con esiti di lungo periodo inaspettati e certo non soddisfacenti.”251
La richiesta dei beni di consumo extra alimentare spinse la formazione dei distretti industriali nel Nord Est e nel Centro Italia; sorse così un’imprenditorialità piccola e media, fortemente innovativa dal punto di vista tecnico e che possedeva solide radici valoriali, immerse come erano in una cultura artigiana e mezzadrile.252
248
Ibid., p. 87.
249
Il film di Stefano Vanzina, interpretato da Alberto Sordi, Un americano a Roma è la rappresentazione adeguata per comprendere come stavano cambiando cultura, modo di pensare, il consumo del popolo italiano.
250
Vedi ad esempio la “Vespa” e la “Lambretta”.
251
Cipolla Carlo M., Storia facile dell’economia italiana dal medioevo ad oggi, cit. p. 191.
252
• Un’altra faccia
Ma a questo volto splendente, ne faceva riscontro un altro esattamente opposto. La crescita capitalistica faceva emergere grandi contraddizioni. I mercati aperti spinsero l’industria, ma non tutti i balzelli furono tolti, ed inoltre, lo Stato finanziava occultamente l’industria e ultimo, ma non ultimo, c’erano salari molto bassi. “[…] L’industria in questo periodo ottiene profitti, come media e in rapporto al capitale impiegato, certamente più alti di quelli realizzati in altri paesi.”253 Componente basilare per la crescita era la stabilità monetaria, che si ottenne senza risolvere i problemi strutturali del Mezzogiorno, dell’agricoltura e dell’elevato numero di disoccupati. La divisione sindacale rese debole la forza contrattuale dei lavoratori, una delle cause dei salari bassissimi. “[…] Non solo il padronato, ma anche il governo intervenne, con discriminazioni di rappresentanza e licenziamenti politici, per indebolire ancora di più le organizzazioni economiche del lavoro.”254
Questa politica dei governi centristi fece aumentare l’occupazione industriale nelle zone a più alto sviluppo del paese, il triangolo industriale, aumentando differenze nel territorio e nei vari settori economici: Nord e Sud, industria e agricoltura. In breve si sottrae ricchezza dal Mezzogiorno e dall’agricoltura e si incrementano i capitali a Nord e nell’industria, in più Sud e agricoltura sono uno dei mercati di sfogo per i prodotti del settentrione. Nelle zone più deboli l’industria tradizionale si ridimensiona sempre più, mentre in quelle più avanzate e più moderne si rafforza (Figure 6 e 7)255. Tale modello di crescita si protrae fino all’ultimo quarto degli anni cinquanta e in questo periodo l’Italia s’immette, ancora di più, nel capitalismo mondiale, sfruttando le opportunità fornite dalla guerra fredda, favorendo le esportazioni grazie agli aiuti di Stato e al basso costo della manodopera.
253
Spesso Ruggero, L’economia italiana dal dopoguerra ad oggi, Editori Riuniti, Roma 1980.
254
Cfr, ibidem.
255
Cfr. Daniele Vittorio, Malanima Paolo, Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004), in “Rivista di Politica Economica”, 2007, III-IV, pp. 275-295.
“[…]Nello stesso periodo l’esportazione cresce del 52%, gli aumenti medi annui del reddito nazionale del 4,66%, i consumi del 3,46%, gli investimenti del 9,15%.
Figura 6 - Divari regionali nel 1891, 1911, 1951 e 1973.
L’indicatore utilizzato è la deviazione standard del Pil pro capite regionale rispetto all’indice nazionale
Fig. 7 - Pil pro capite del Mezzogiorno e del centro-nord1861-2004
Fonte: Daniele Vittorio, Malanima Paolo, Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004),
Dal 1951 al 1957 l’incidenza dei redditi di lavoro dipendente passò dal 47,1% al 50,2%, il costo della vita aumentò del 3,1%, a fronte della stabilità monetaria. Non ci si può stupire che i salari e gli stipendi aumentassero solo dell’1% annuo, mentre le merci italiane diventavano enormemente competitive sui mercati esteri. Nel decennio 1951-1960, nei confronti di quello anteguerra, 1931-1940, le retribuzioni reali erano aumentate nell’insieme del 15%, cioè di pochissimo, specie se teniamo conto del fatto che, anche prima, esse erano bassissime. La situazione era arrivata ad un punto tale, da richiedere nuovi modi di accumulazione e di mercato e anche, nuove alleanze sociali e politiche in seno ai ceti dominanti.”256
Quindi, l’alveo dell’Epoca d’oro fu l’export dei prodotti industriali. L’andamento è vertiginoso, l’incidenza delle esportazioni nel 1952, sul valore aggiunto dell’industria manifatturiera, passa dal 14,3%, al 23,4% del 1962, fino ad arrivare al 34,5% nel 1971 (Tabella 5)257.
Tabella 5 - Rapporto tra esportazioni e valore aggiunto dell’industria manifatturiera. Prezzi 2004
Fonte: Matteo Gomellini , Il commercio estero dell’Italia negli anni sessanta: specializzazione
internazionale e tecnologia, in “Quaderni dell’Ufficio Ricerche Storiche Banca D’Italia”, 2004, 7, p. 20.
256
Spesso Ruggero, L’economia italiana dal dopoguerra ad oggi, cit., p. 78.
257
Matteo Gomellini , Il commercio estero dell’Italia negli anni sessanta: specializzazione internazionale e
La produzione industriale italiana continua a fondarsi sull’esportazione soprattutto meccanica, mezzi di trasporto, nonché sul rinnovamento del processo di produzione attraverso investimenti intensivi soprattutto nella tecnologia. 258
Successivamente ci furono momenti decisivi: nel 1957 la formazione del MEC e nel 1958 la dichiarazione di piena convertibilità delle monete europee nelle altre monete forti. Con questa ultima si passa da un sistema di cambi fissi, ma aggiustabili, come inizialmente previsto, a cambi fissi de facto;259 inoltre la mobilità dei capitali è crescente. La convertibilità diventa una variante del gold exchange standard, nel quale inizialmente sterlina e dollaro, poi solo quest’ultimo, fungono da monete cardine: infatti il 50% del commercio internazionale è denominato in sterline nel 1945, il 30% nel 1967260. Ciò comportò che l’Italia cominciò ad approvvigionarsi di più dai paesi europei, a cominciare dalla Repubblica Federale tedesca, mentre i nostri prodotti si affermano sul mercato americano. Guido Carli nella Relazione annuale alla Banca D’Italia del 1960 chiarisce bene questo momento: “Anche in Italia si è assistito nel 1960 a una intensa espansione dell’economia. A differenza di quanto è avvenuto in altri paesi, essa ha potuto verificarsi senza dar origine a squilibri fra la domanda e l’offerta globali, in virtù dei margini di mano d’opera e di capacità produttiva ancora disponibili, nonché dello sviluppo delle importazioni, non condizionato da difficoltà di bilancia dei pagamenti e da scarsezza di disponibilità valutarie. L’andamento della domanda complessiva ha determinato, da un lato, un forte aumento della produzione e dell’occupazione, dall’altro, un incremento delle importazioni molto maggiore di quello delle esportazioni. Di
258
Cfr., ibidem.
259
B. Eichengreen, Global Imbalances and the Lessons of Bretton Woods, , in “Federal Reserve Bank of San Francisco (FRBSF) Economic Letter”, 2005, 32. Citazione: “The result was the awkwardly named “adjustable peg,” which was more adjustable in theory than in practice. Exchange rates could be changed, at least in principle, under carefully unspecified conditions. Namely, if the currency was in a position of fundame ntal disequilibrium. By “carefully unspecified conditions” I refer to the fact that a conscious decision was taken not to define the meaning of this term.”
260
K. Dam, The rules of the game: Reform and Evolution of the International monetary system, in M.D. Bordo e B. Eichengreen (a cura di), A Retrospective on Bretton Woods System, The University of Chicago Press, Chicago and London 1993, p. 52, cit. in fonte internet http://tesi.eprints.luiss.it/6072/1/di_vincenzo-tesi- 2011.pdf.
conseguenza è venuta praticamente ad annullarsi l’eccedenza attiva degli scambi con l’estero di merci e servizi, che aveva raggiunto nel 1959 l’importo di quasi 500 milioni di dollari, e il totale delle risorse assorbite per investimenti e consumi interni si è accresciuto in misura maggiore del reddito nazionale. Una causa importante dell’espansione dei nostri acquisti all’estero è costituita dal forte sviluppo degli investimenti in capitali fissi, specialmente da parte del settore privato. Ne segue che l’aumento delle importazioni si è concentrato principalmente nel settore dei prodotti finiti e in special modo in quello dei beni strumentali: mentre l’aumento generale delle importazioni è stato del 40 per cento, quello delle importazioni di beni strumentali è stato del 58 per cento. […] Il processo d’industrializzazione e di specializzazione in corso tende naturalmente anche a modificare la struttura delle nostre esportazioni allargando la quota parte dei prodotti manifatturati; nello stesso senso vengono ad operare i più ampi finanziamenti per forniture speciali in favore dei paesi meno sviluppati. Questa evoluzione si concreta, in sostanza, in un aumento relativamente maggiore delle esportazioni di prodotti che incorporano una più elevata quota di valore aggiunto, nella quale assume particolare rilievo il fattore lavoro.” 261
Il reddito nazionale si accresce in fretta, ma alcuni settori arretrano, come gli ambti alimentare e tessile che erano stati i settori di vertice, mentre industria metallurgica, chimica e meccanica s’incrementano notevolmente. Sviluppano il terziario, l’ambito dei servizi e la pubblica amministrazione. Cala, dal 1950 al 1962, il peso del settore agricolo sul prodotto interno netto, dal 33,1% al 19,8%, mentre gli investimenti balzano dall’1,7% al 12%. La crescita arriva all’11%262.
Un dato però era certo, mentre il Paese cresceva, lo stato dei lavoratori e dei piccoli ceti produttivi non faceva altrettanto, anzi peggiorava. Per tutto il decennio 1951-1961,