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Il nuovo welfare attivo ha nel lavoro il criterio di legittimazione per l’accesso ai benefici.427 Per altro verso il raggiungimento di questi benefici è condizionato al rispetto da parte del soggetto di partecipare al proprio obiettivo, che potrebbe essere l’occupabilità e/o il reinserimento lavorativo. Potremmo altresì dire che siamo di fronte ad un welfare attivo per un soggetto attivo, un lavoratore che partecipa al suo rientro nel mercato del lavoro. Nella fase empirica del nostro lavoro renderemo evidente i termini di quest’attivazione dal punto di visto soggettivo. Quest’obiettivo è fondamentale per la valutazione di una politica di welfare poiché spesso le politiche attive del lavoro assegnando priorità agli aspetti macroeconomici, trascurano del tutto le altre dimensioni che attengono alla sfera micro.428In altri termini potremmo chiederci qual è la relazione che esiste tra la sfera dell’attivazione e la dimensione individuale. Ponendoci la seguente domanda: l’attivazione è il welfare (quindi il welfare riempie lo spazio che l’attivazione lascia libero) oppure l’attivazione procede il welfare (ovvero è la condizione di, la necessaria premessa per entrare nel suo raggio d’azione) o ancora, l’attivazione è una conseguenza dell’esistenza di un welfare state che promuove e favorisce l’attivazione stessa?429 È chiaro che all’interno del nesso welfare attivo – lavoro le aporie di fondo sono molte e sono ancora tutte da esplorare. Come ha notato Daherendorf, assegnare questa centralità al lavoro produce una contraddizione di fondo, visto che l’accesso all’occupazione per essere considerata un’ opportunità e non un diritto, come postulava il vecchio                                                                                                                

426 M. La Rosa (a cura di), Sociologia dei lavori, FrancoAngeli, Milano, 2002. 427 Cfr. M. Colasanto, Lavoro, formazione e welfare, in G. Gosetti (a cura di), Lavoro e lavori. Strumenti per comprendere il cambiamento, FrancoAngeli,

Milano, 2011.

428 Cfr. G. Giaccardi 2001 in R. Lodigiani, Welfare attivo, Edizioni Erickson,

Trento, 2008.

welfare, è necessario che questa sia effettiva e praticabile. Concordiamo con Paci quando afferma che “è solo all’interno di un quadro di ammortizzatori sociali adeguati che è possibile sviluppare al meglio le politiche di attivazione”430. Le politiche attive non vanno considerate come un’alternativa o una sostituzione delle politiche passive, ma bisogna riconoscere l’idea di una complementarietà delle due forme di intervento, dove la concezione promozionale dell’intervento pubblico deve necessariamente mettere i soggetti coinvolti nelle condizioni di inserirsi nel mercato del lavoro, in modo da rendere realmente efficace il concetto di empowerment, che altrimenti rischia a nostro avviso di restare solo una condizione fattuale e non costituisce un reale percorso di attivazione soggettiva.

L’attivazione è pertanto una categoria tutt’altro che univoca. Essa si presta a più di un’interpretazione, tanto da ispirare prassi assai divergenti fra loro nella forma e nella sostanza. Si presenta quindi come «un comune processo di riforma, adattabile a contesti variabili e destinato a produrre risultati diversi»431. Gli interventi sono altrettanto molteplici, per comprendere in che modo questi favoriscono una reale attivazione individuale, è necessario valutare quanti sono i “tipi di attivazione” e la relazione che si stabilisce in ognuno di essi tra istituzioni e attori coinvolti. La prima strategia (autoritario-coercitiva) si fonda sulla differenza di potere e sull’incapacità presunta degli attori di saper prendere delle decisioni. La seconda (empirico razionale), si basa sul principio di razionalità degli attori. La relazione in questo caso è sempre unidirezionale e centrata sulla spiegazione che può essere veicolata attraverso procedure formali, insegnamenti, rituali. L’efficacia si basa sul presupposto che gli attori razionali accolgono le conoscenze adeguate alla situazione e apprendono le risposte più corrette rispetto ai problemi. La terza modalità (utilitaristico-competitiva) fa riferimento al principio dell’homo oeconomicus e poggia sulla convinzione che l’interesse ed il bisogno individuale spingono le persone ad attivarsi nella ricerca della massima utilità, dove il cambiamento deriva dalla spinta a migliorare le proprie prestazioni.

                                                                                                               

430 M. Paci, “Dopo il fordismo. Considerazioni sull'attivazione delle politiche sociali e del lavoro”,

Atti del forum di RPS “Welfare italiano - l’Europa nonostante tutto”, in La rivista delle politiche sociali, n.1, 2006.

431 Cfr. J.C.Barbier e H.Nadel, La flessibiltà del lavoro e dell’occupazione, Donzelli, Roma, 2002 in M. Paci Nuovi lavori, nuovo welfare: sicurezza e libertà nella società attiva, Il Mulino, Bologna, 2005

La quarta e ultima strategia, (normativo-educativa) considera legittimi i bisogni degli attori così come essi li percepiscono e definiscono e fa affidamento sulle loro potenzialità di cambiamento delle norme implicite ed esplicite, intendendo con queste ultime i modi consueti di soddisfare i bisogni e risolvere i problemi. La relazione è bidirezionale e centrata sulla partecipazione.432 Sulla base di queste considerazioni è possibile individuare tre tipi puri di attivazione433 : la prima è la

passive partecipation, intesa come partecipazione apparente, visto che i soggetti

coinvolti sono considerati degli “oggetti” dell’intervento. In questa categoria secondo questa classificazione rientra il welfare to work. La seconda è definita

problem solving participation, in questo tipo di attivazione rientrano quegli

interventi in cui i soggetti partecipano attivamente nel perseguimento di obiettivi pre-determinati e sono parzialmente coinvolti nei processi decisionali. La terza è la problem setting participation, in cui la partecipazione è intesa come un diritto ed i cittadini dei soggetti attivi nei confronti dei quali l’obiettivo dell’intervento è di promuovere in primo luogo le loro «capacità», riconoscendo il potere legittimo di interazione con i referenti politici ed i tecnici. Sulla base di queste premesse e anche alla luce di questa classificazione potremmo affermare che l’attivazione nei programmi di welfare to work è un’attivazione che definiremo top – down, dove i soggetti coinvolti nella partecipazione all’attivazione sono in sostanza solo una dimensione di apparente attivazione nella logica complessiva degli attori coinvolti. La loro capacità di essere attivi sul mercato del lavoro si valuta in una dimensione contestuale e di macro risultati, riducendo di fatto la logica di queste politiche ad una dimensione che si sposta dal collettivo all’individuale senza avvertire come questa impostazione possa pienamente trovare accoglimento nelle storie di vita e di carriera dei singoli soggetti investiti da questi percorsi. E inoltre non va trascurato che in questo modo è quasi come dire che il lavoro stesso divenendo la discriminante e il perno di una politica di active welfare state, assume il ruolo di fenomeno dimostrativo di una società che intanto si tutela rispetto alla sua diffusa vulnerabilità, e sui singoli la responsabilità di

                                                                                                               

432 M. Villa, Dalla protezione all’attivazione. Le politiche contro l’esclusione tra frammentazione istituzionale e nuovi bisogni, FrancoAngeli, Milano, 2007.

autotutelarsi, autopromuoversi e attivarsi.434

Pur nelle loro specificità le politiche si traducono in programmi di welfare to

work435, volti a sostenere l’occupazione e facilitare il re-ingresso nel mercato del lavoro. Sono volti a sostenere i soggetti nel passaggio dalla percezione passiva di un’indennità, al reinserimento lavorativo, con l’obiettivo di restituire loro la possibilità di guadagnarsi il proprio reddito e tornare a far parte della schiera degli attivi, nel rispetto della logica di accettazione di una proposta di formazione/ lavoro, pena l’esclusione da questi progetti.436

Nel nostro lavoro, per gli scopi della nostra ricerca, abbiamo preso in esame uno di questi programmi di welfare to work. Il progetto da noi analizzato prende il nome di welfarma437.

Il 19 Novembre del 2008 a Roma si è istituito un tavolo permanente per il settore farmaceutico presso il Ministero dello Sviluppo Economico438, l’obiettivo del tavolo era quello di valutare in uno scenario internazionale in forte mutamento, la situazione del settore dal punto di vista economico e facendo particolare attenzione ai riflessi occupazionali. Valutare la situazione del settore alla luce delle profonde trasformazioni che esso attraversa e individuare gli obiettivi e le azioni al suo sviluppo. Per rispondere alle esigenze è emersa dal tavolo d’incontro la necessità di creare un progetto sulla logica di campo delle politiche attive del lavoro, al fine di porre in atto delle azioni per il comparto dedicato all’informazione scientifica del farmaco, quello più colpito dalla crisi aziendale. Da questo incontro nasce Welfarma, uno strumento di Welfare to work frutto dell’accordo tra Farmindustria e Organizzazioni Sindacali per la riqualificazione e                                                                                                                

434 E. Riva, E. Zucchetti, La mobilità job to job, Ed FrancoAngeli, Milano, 2008. 435 In letteratura spesso i termini active welfare state e welfare to work sono usati

come sinonimi, “L’active welfare state è un welfare che interpreta l’attivazione prevalentemente in termini occupazionali attraverso le formule note del welfare to

work e workfare”. Cfr. M. Colasanto, in R. Lodigiani, L.Zanfrini (a cura di), Riconciliare lavoro, welfare e cittadinanza, FrancoAngeli, Milano, 2010.

436 R. Lodigiani, Welfare attivo, Edizioni Erickson, Trento, 2008.

437 In questa parte teorica della dissertazione ci limiteremo a presentare il

programma, senza entrare nel merito di questioni legate ad aspetti che hanno interessato il lavoro di ricerca empirico, dalla valutazione alla critica sull’efficacia.

438 Verbale di riunione, Roma, 19 Novembre 2008. Ministero dello Sviluppo

la ricollocazione sul mercato del lavoro del personale coinvolto in crisi aziendali legate alla trasformazione strutturale del settore. Le parti sociali settoriali, considerata la delicata situazione di riorganizzazione delle aziende e di ristrutturazione del mercato farmaceutico che stava producendo un grave impatto occupazionale, riflettono sull’opportunità di dotare il settore di uno strumento operativo, aggiuntivo rispetto agli strumenti contrattuali o ad altri programmi di intervento. Welfarma è stato pensato come uno strumento da inserire nelle logiche contrattuali, ha un carattere volontario che permette, in caso di riorganizzazione aziendale, di accedere a fondi nazionali e/o regionali per la formazione, la riqualificazione e il reinserimento lavorativo, verso settori affini sul territorio, altri settori merceologici o attività imprenditoriali.

Le principali caratteristiche, che si riassumono nelle linee guida del progetto sono: • Prevede la libertà delle aziende di aderire e di adattarlo alle loro necessità. • Richiede l’adesione esplicita dei lavoratori che sottoscrivono un Patto di

Servizio.

• Non comporta alcun onere aggiuntivo per l’azienda.

• Non determina alcun vincolo o indicazione di contributo all’esodo a livello nazionale per i lavoratori e può essere attivato sia in caso di procedura di mobilità sia che si usufruisca della cassa integrazione straordinaria.

• Permette di accedere a fondi per la formazione e la riqualificazione, già finanziati a livello nazionale e regionale, tramite la collaborazione con Italia Lavoro.439

Il programma è il risultato di una politica congiunta e concertata di gestione del problema occupazionale nel settore farmaceutico ed è stato finanziato e attuato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con il coinvolgimento di una serie di attori, in un mix che ha visto coinvolti il settore pubblico e quello privato. Le parti hanno articolato quest’intervento straordinario di politica attiva del lavoro per la riqualificazione attraverso il lavoro dei soggetti fuoriusciti dalle imprese del settore e la ricollocazione. Quest’ultima seguendo la logica di una sinergia che ha visto coinvolti, pubblico e privato, è stata affidata ad Agenzie per il lavoro selezionate a livello nazionale.

                                                                                                               

Gli attori interessati sono stati:

- Farmindustria, che è l’Associazione delle imprese del farmaco aderente a Confindustria. Fondata nel 1978, riunisce più di 200 aziende presenti sul tutto il territorio nazionale. Rappresenta le istanze delle aziende associate e segue gli aspetti legislativi, regolativi ed economici.

- Le Agenzie per il Lavoro e Italia lavoro S.p.A. Quest’ultima è un’agenzia del Ministero del welfare per le politiche attive del lavoro e lo sviluppo dell’occupazione si occupa in qualità di organismo di assistenza tecnica del Ministero si occupa di realizzare e seguire azioni e programmi di intervento per migliorare o arginare problemi di natura occupazionale.

- Le aziende del settore chimico farmaceutico che hanno espresso la loro intenzione di ricorrere a Welfarma

- Le organizzazioni sindacali di settore firmatarie dell’accordo, Filcem-Cgil, Femca-Cisl, Uilcem-Uil e Ugl Chimici.

- I lavoratori. Il progetto si rivolge agli informatori scientifici del farmaco, colpiti da procedure di mobilità sulla base delle leggi n. 223/91440 (CIGS) Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria e i lavoratori in (CIGS in deroga441) Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria in deroga, provenienti da aziende del settore farmaceutico che hanno sottoscritto il progetto Welfarma.

È d’obbligo a questo punto precisare chi sono i lavoratori in mobilità e più precisamente chi sono i lavoratori in mobilità coinvolti in procedure di CIGS? Sulla base della legge n. 223/91442, i lavoratori in mobilità sono i lavoratori licenziati a seguito di una specifica procedura di riduzione di personale che devono osservare le aziende ammesse al trattamento di CIGS che non siano in grado di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e che intendano licenziare anche un solo lavoratore e le imprese con più di 15 dipendenti che, per                                                                                                                

440 Legge 23 luglio 1991, n.223 “Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di

disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro.”

441Si rimanda agli Art. 1, comma 155 legge n 311/04; art. 1, comma 410, legge n.

266/05; art. 1, comma 1190, legge n. 296/06; art.1, comma 1, legge n. 291/04.

442 Per un’attenta e dettagliata consultazione della normativa in materia di

riduzione o trasformazione di attività o di lavoro intendono procedere ad almeno cinque licenziamenti, nell’arco di centoventi giorni.

I lavoratori in CIGS443 (Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria) sono lavoratori sospesi dal lavoro a causa di situazioni aziendali strutturali e durevoli. La CIGS è concessa per far fronte a situazioni aziendali strutturali e durevoli che determinano un’eccedenza di personale. Tali situazioni, dette “cause integrabili” e specificatamente individuate dalla legge n. 223/91, sono la ristrutturazione, riconversione o riorganizzazione aziendale, la crisi aziendale di particolare rilevanza sociale, le procedure concorsuali. Il datore di lavoro che intende richiedere la CIGS deve avviare una procedura articolata in varie fasi. 444Dalla procedura di consultazione aziendale alla successiva richiesta di CIGS, la terza fase è quell’istruttoria e infine l’ultima è la concessione da parte del Ministero. E ultima categoria di lavoratori sono colori interessati dalle procedure di CIGS in deroga445. Il Ministro del Lavoro, in deroga alla normativa vigente in materia di mobilità, può concedere trattamenti di mobilità, alla presenza di programmi finalizzati alla gestione di crisi occupazionali o miranti al reimpiego dei lavoratori coinvolti. La normativa “in deroga” supera i limiti dimensionali e temporali posti dalla normativa in materia di mobilità, per cui il Ministro del Lavoro può concedere trattamenti di mobilità anche a lavoratori licenziati da imprese con meno di 15 dipendenti o da privati datori di lavoro non imprenditori – per i periodi stabiliti con decreto – ed anche per periodi più lunghi rispetto a quelli previsti dalla legge. In quest’ultimo caso si parlerà di proroga del trattamento di mobilità. I lavoratori in mobilità “in deroga” sono i lavoratori beneficiari dei trattamenti di mobilità sulla base di specifici provvedimenti adottati dal Ministro del Lavoro in forza della normativa “in deroga”. Essi percepiscono l’indennità di mobilità per il periodo stabilito con il provvedimento di concessione o di proroga. Questo progetto è in linea dunque con le soluzioni proposte dalla commissione

                                                                                                               

443 Per la consultazione del testo della normativa si rimanda in materia si veda la

Legge 407/90 Art. 8 Comma 9.

444 Banca dati Italia Lavoro. www.Italialavoro.it

445 Per la consultazione del testo in materia di CIGS in deroga si veda l’Art. 24,

Europea446, la quale elenca quattro modalità di attivazione entro le quali questa si declina:

1. Contratti di lavoro flessibili e affidabili grazie a normative evolute in tema di lavoro;

2. Strategie integrate di apprendimento lungo tutto l’arco della vita; 3. Sistemi di sicurezza sociale moderni, in grado di fornire un supporto

adeguato al reddito, incoraggiando l’occupazione e la mobilità nel mercato del lavoro;

4. Politiche attive del lavoro, che aiutano le persone a fronteggiare i cambiamenti, le sostengono durante la transizione verso un nuovo lavoro, sviluppando la loro capacità di attivarsi, di modo da ridurre il tempo di permanenza entro una condizione di non lavoro.447

Quest’ultima modalità è quella entro la quale si pone il progetto Welfarma. Nella seconda parte di questo lavoro metteremo in evidenza le ambivalenze e le criticità che sono emerse da questo progetto attraverso una modalità di valutazione delle politiche che depone a favore di quella strategia di analisi delle politiche attive in grado di prendere in considerazione non solo le capacità individuali, ma anche quelle istituzionali.