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Alla luce delle domande di ricerca e degli obiettivi conoscitivi dell’indagine empirica appena esposti, ci soffermiamo ora sul percorso seguito nella definizione e realizzazione della ricerca empirica e sulla metodologia impiegata.

La ricerca empirica è stata impostata in due principali fasi, a loro volta poi articolate in più sottofasi o livelli.

La prima fase di attività è stata dedicata all’analisi di sfondo, un primo livello di conoscenza è stato acquisito grazie all’analisi della documentazione concernente le caratteristiche salienti del mercato del lavoro e dell’industria farmaceutica nel nostro Paese, con particolare riferimento alla condizione degli Informatori. In seguito abbiamo ottenuto una preliminare fotografia del contesto socio economico entro il quale i lavoratori della nostra ricerca muovono le loro traiettorie occupazionali attraverso testimonianze qualificate. L’intento è stato quello di conoscere chi sono i lavoratori che hanno costituito la nostra base empirica, cogliendo i cambiamenti che questa professione ha avuto negli anni, quali sono stati gli effetti della crisi economica per la categoria e non ultimo l’analisi delle implicazioni soggettive che questa crisi ha prodotto.

In questa fase i livelli di conoscenza sono stati diversi, l’analisi secondo l’obiettivo conoscitivo che ci eravamo prefissati ha visto coinvolti differenti testimoni privilegiati, che a vario titolo hanno fornito un quadro esaustivo del

contesto e della figura professionale dell’informatore. Per questo si è provveduto, alla realizzazione di una serie di interviste semi-strutturate (allegato n.1 in appendice metodologica) con attori istituzionali operanti sul territorio nazionale ed esperti dei temi ad oggetto con l’intento di delineare, mediante il loro “potenziale informativo”, una fotografia generale della situazione che contraddistingue l’informatore scientifico del farmaco nel nostro Paese.

I testimoni ascoltati sono stati: i segretari nazionali delle Organizzazioni sindacali del settore (Filcem-Cgil, Femca-Cisl, Uilcem-Uil), il direttore generale dell’area relazioni industriali di Farmindustria. Le agenzie per il lavoro inserite nel progetto di ricollocazione di welfare to work (welfarma), nello specifico il direttore di un’agenzia di outplacement (DBM Roma), due responsabili di un’altra agenzia per il lavoro coinvolta (Adecco) e un lavoratore in qualità di rappresentante della RSU degli informatori. Le aziende farmaceutiche hanno più volte confermato dopo le nostre sollecitazioni, la volontà di non partecipare, il loro coinvolgimento sarebbe stato un tassello importante per la costruzione completa del nostro contesto di ricerca, infatti, come (si veda in allegato n.2- questionario per le aziende), non è stato possibile somministrare la nostra indagine. Abbiamo provato a prendere contatto e a trasmettere il questionario alle aziende tramite Farmindustria, e nei vari incontri con i responsabili dell’area Centro Studi e l’area Relazioni Istituzionali abbiamo ulteriormente preso atto che le aziende e l’associazione che le rappresenta non hanno voluto offrire la loro opinione in merito alla condizione occupazionale degli Informatori.

La seconda fase si è indirizzata alla realizzazione di un approfondimento empirico di tipo qualitativo, attraverso l’uso d’interviste semi strutturate, sono state ascoltate le storie di 31 Informatori Scientifici del Farmaco. Ci soffermeremo in seguito su una dettagliata presentazione degli strumenti e degli ambiti problematici indagati nel corso delle interviste. In questa parte di descrizione delle fasi salienti della ricerca ci sembra necessario fare alcune precisazioni riguardo alla scelta del contesto territoriale entro il quale il nostro campione di lavoratori è stato scelto.

Costruzione della base empirica:

Figura 1: Rappresentazione grafica della presenza industriale sul territorio. Elaborazione su dati Farmindustria.

Come si evince dalla rappresentazione grafica della distribuzione di aziende presenti nel nostro Paese, Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Veneto sono quelli dove è maggiore la presenza farmaceutica.

La Lombardia è la prima regione farmaceutica e specializzata in biotecnologia in Italia, con metà circa degli addetti sul totale nazionale. Vi hanno sede circa 100 aziende farmaceutiche, oltre 30 centri di Ricerca aziendali e quasi 100 imprese nelle biotecnologie per la Salute. Conta 31 mila addetti diretti, ai quali si aggiungono i 16 mila dell’indotto. In Europa la Lombardia è tra le prime tre grandi Regioni farmaceutiche. L’Emilia Romagna conta 3.500 addetti, soprattutto a Parma, Bologna e Modena, con una presenza produttiva e di Ricerca legata a importanti aziende italiane, sempre più internazionalizzate, e a grandi imprese a capitale estero.

Il Lazio è la seconda regione farmaceutica per numero di addetti, ma la prima per export, a testimonianza di una forte specializzazione produttiva. Nella farmaceutica laziale lavorano 15 mila addetti, con altri 5 mila nell’indotto. Roma e Latina sono la seconda e la terza provincia farmaceutica in Italia, con il settore

da 75 a 100 da 33 a 75 meno di 33

rispettivamente al secondo e al primo posto per fatturato. La farmaceutica è centrale nella produzione industriale in Toscana, è la terza regione in Italia con più di 7 mila addetti diretti e 4 mila nell’indotto. Il Veneto conta circa 3.000 addetti farmaceutici, concentrati soprattutto a Verona e a Vicenza, grazie a gruppi a capitale estero e italiano fortemente internazionalizzati. Insediamenti significativi si trovano anche nelle Regioni del Sud, in particolare A partire dall’Abruzzo, in particolare l’Aquila, tra le prime 15 province per l’industria farmaceutica, che rappresenta il 28% dell’export totale e vede una rilevante presenza di Ricerca, con il 22% degli investimenti totali dell’industria e Pescara, con una significativa presenza produttiva. In Sicilia la farmaceutica determina il 23% dell’export a Catania. Bari è la quinta provincia esportatrice di prodotti farmaceutici e, insieme a Brindisi, il settore determina il 28% dell’export totale delle due province. Il panorama, oltre a una presenza in Basilicata, si completa in Campania, sede di diverse piccole e medie imprese ma soprattutto di un importante centro produttivo a capitale estero, che contribuisce fortemente allo sviluppo del territorio.

Nel settore del farmaco a livello internazionale a seguito della grave crisi economica degli ultimi anni è in atto una rivoluzione strutturale che ne sta modificando il profilo e l’organizzazione. Le aziende farmaceutiche sono sottoposte a forti ristrutturazioni e lo spostamento della domanda a favore delle economie emergenti determina la rilocalizzazione a livello globale della capacità produttiva. Da un lato i nuovi investimenti si spostano verso le aree di più recente industrializzazione, dall’altro cresce la competizione tra le economie avanzate per consolidare i siti sui propri territori e attrarne di nuovi. È una situazione che ha già determinato in Italia il rallentamento degli investimenti (con il calo degli studi clinici) e una forte riduzione dell’occupazione, 10 mila addetti dal 2006 al 2011, principalmente concentrata nella rete esterna (ovvero gli Informatori scientifici del farmaco) ma che sempre più tende a coinvolgere anche le altre funzioni aziendali468.

                                                                                                               

468 I dati sono frutto di diverse elaborazioni di ricerca prodotte da Farmindustria su dati Istat.

Elaborazioni prodotte nel biennio 2010/2012 e presentate negli anni a differenti convegni ai quali abbiamo partecipato per conoscere il quadro territoriale ed economico dei lavoratori oggetto della nostra ricerca.

Le imprese del settore farmaceutico operanti in Italia sono complessivamente 333, per la grande maggioranza delle imprese italiane, specie per quelle che operano su mercati altamente competitivi, la costante possibilità di ristrutturarsi, cioè di adattare tempestivamente il mix di fattori produttivi in relazione all’evoluzione del mercato e al mutare delle condizioni competitive, si configura come condizione imprescindibile di sopravvivenza. Oggi questo fenomeno è molto accentuato dagli effetti della globalizzazione sulla redistribuzione delle risorse all’interno delle aziende che seguono logiche di mercato concorrenziale su scala globale. Le trasformazioni del settore farmaceutico hanno investito in maniera dirompente soprattutto i lavoratori che hanno la funzione di fare da ponte tra l’azienda e il mercato, gli informatori scientifici appunto.

Sono 20.000 gli informatori scientifici del farmaco (ISF) in Italia, ma 5 anni fa erano 35.000 e nel 2011 il calo è stato dell’1,7%469. Svolgono la loro attività sul territorio per conto delle aziende farmaceutiche e sono una fonte importante di aggiornamento periodico per medici, farmacisti e veterinari per una serie di notizie tecnico scientifiche che su farmaci. Anche secondo il Servizio Sanitario Nazionale l’isf ha il compito di raccogliere in modo capillare elementi sugli effetti terapeutici e collaterali nell’impiego delle specialità stesse al fine di promuoverne un costante miglioramento. "Sono stati tagliati 15.000 ISF in 5 anni, eppure, il settore farmaceutico vanta fi or di bilanci finanziari, ha denunciato Carmelo Carnovale, Presidente nazionale di Federaisf, Federazione delle associazioni di informatori al Congresso nazionale del Novembre del 2011. Per Carnovale il problema del taglio occupazionale iniziato nel 2000 si affianca ad esempio a quello legato ai contratti atipici alla mobilità: "Ci sono aziende che chiudono intere linee di informazione scientifici privando concretamente i medici e soprattutto i cittadini di un servizio che è previsto per legge e che contribuisce alla                                                                                                                

469 I dati si riferiscono ad un report di Cegedim Strategic Data, e presentato in Italia da un’indagine

di AboutPharma and Medical Devices. I dati precisi sugli ISF di quesata ricerca di settore sono cosi riassunti: se nel 2010 erano 421.223 in tutto il mondo, l’anno successivo sono scesi a 413.565. Gli Usa rimangono il Paese con più informatori scientifici (73.762), seguiti dalla Cina (65.827) e dal Giappone (54.236). Ma Oltreoceano si è avuto un calo del 7% del numero di questi lavoratori di settore nel 2011 rispetto al 2010, e del 10% in Giappone.In contrasto, la Cina ha registrato un +18,6% e il Brasile +3,5%, piazzandosi in quinta posizione mondiale. Per quanto riguarda i Paesi europei, nella ‘top five’ delle Nazioni dove gli ISF sono più numerosi la Spagna e il Regno Unito risultano stabili, mentre in Italia e in Germania c’è stato un calo rispettivamente dell’1,7% e del 2%. In Francia, invece, la diminuzione è del 12%.

farmacovigilanza". Fino alla prima metà degli anni 2000 l’equazione aziendale era "più ISF, più contatti con il medico prescrittore e più vendite". Con questo assioma le farmaceutiche hanno formato strutture commerciali sovradimensionate rispetto al mercato che, nel frattempo, iniziava a dare i primi segnali di crisi e andava via via saturandosi sempre più. Dalla seconda metà degli anni 2000 quasi tutte le farmaceutiche, anche in virtù delle continue fusioni tra big pharma, si sono trovate a dover ristrutturare il proprio organico sulla base di un nuovo scenario: scadenza dei brevetti dei medicinali, continue contrazioni della spesa sanitaria decise dai vari Governi e nuove e più rigide regolamentazioni regionali sull’accesso ai medici da parte degli ISF. Se a questo si aggiunge la recessione globale iniziata nel 2008, diventa evidente che il settore, e conseguentemente anche l’ISF ha visto un forte ridimensionamento nei numeri.

Come confermano anche i dati presentati da Farmindustria, dal 2006 al 2011 c’è stato un calo del 13%, circa 10mila addetti, nello specifico sul totale (-13%) le percentuali sono cosi divise: -3% addetti nella Ricerca e Sviluppo, -5% produzione e staff e la maggioranza, il 28% sono informatori scientifici. 470

Le interviste agli Informatori sono state condotte in due regioni, l’Emilia Romagna e la Campania che a nostro avviso per caratteristiche diverse alla luce di quanto sopra esposto, offrono la possibilità di cogliere eventuali differenze e similitudini nelle storie dei lavoratori. Nel primo caso sono appartenenti ad aziende a capitale estero, nel secondo a piccole e medie imprese. Questo dato è a nostro avviso rilevante poiché la profonda differenza del contesto economico e aziendale ci consente di evidenziare da un lato le similitudini e dall’altro le differenze tra questi lavoratori rispetto alla costruzione delle loro biografie, per la definizione di un profilo occupazionale e di carriera che nasce e si sviluppa in uno scenario completamente differente. Anche se è bene precisare che ciò non significa utilizzare nell’analisi un approccio di tipo comparativo, poiché ogni storia e ogni evento raccontato dai soggetti narranti è in un certo qual modo unico e “incomparabile” con un qualsiasi altro. 471

                                                                                                               

470 I dati sono stati pubblicati da Farmindustria nel Luglio del 2012.

471 J.F. Lyotard, The Differend Phrases in Dispute, University of Minnesota, ed.Press Minneapolis,

Sulla base dell’interpretazione delle interviste svolte in questa fase del percorso di ricerca abbiamo avanzato l’ipotesi circa la costruzioni di tipi ideali472 di Informatori, che andremo nel dettaglio ad esporre nella parte seguente dedicata alla metodologia degli strumenti impiegati.

La terza fase di tipo quantitativo è stata svolta mediante l’utilizzo di un questionario, come per l’intervista, entreremo nel dettaglio nel paragrafo seguente.

La domanda che a questo punto sorge è: come si sono combinati questi diversi metodi di analisi dal punto di vista della scelta metodologica?

Sviluppando l’idea secondo cui, nell’affrontare il singolo problema d’indagine “con lo/gli strumenti di volta in volta più adatto/i, senza mai pensare che uno solo, come un passerpartout, consenta l’accesso privilegiato alla conoscenza dei fenomeni oggetto di studio”473 E attribuendo pari dignità a ciascuno strumento scientifico senza stabilire una gerarchia, sarebbe opportuno prediligere la disponibilità ad abbinarli in base ai bisogni emergenti.474 Per queste ragioni la nostra riflessione ha portato all’adozione di un approccio definito di Mixed

Methods.

Le varie discipline e le scienze sociali in genere si sono a lungo interrogate e confrontate sull’uso che il ricercatore fa degli strumenti di indagine e ancor prima sulla scelta del tipo di ricerca che intende mettere in atto per produrre risposte alle domande che muovono l’indagine. La ricerca quantitativa si caratterizza per alcuni aspetti che sono comuni e trasversali alle differenti discipline, i requisiti                                                                                                                

472 Per la nostra analisi ci rifacciamo al concetto di tipo ideale inteso come costruzione empirica e

sintetica di tipo concettuale che consente di mettere in evidenza un insieme di caratteristiche comuni, in questo caso lavorative e identitarie che consentono di trarre degli ipotetici profili di Informatori scientifici del farmaco. La strumento della tipologia ha avuto fin dai tempi di Max Weber un ruolo significativo nelle scienze sociali: il tipo ideale di Weber rappresenta un quadro concettuale, il quale non è la realtà storica, e neppure la realtà sociale vera e propria (…): ha il significato di un puro concetto-limite ideale, a cui la realtà deve essere commisurata e comparata, al fine di illustrare determinati elementi significativi del suo contenuto empirico. Mira al tipico, all’essenziale. Il tipo ideale resta una ricostruzione parziale: il sociologo sceglie nell’insieme storico un certo numero di caratteristiche per ricostruire un tutto intelligibile, che è solo una delle diverse ricostruzioni possibili. M. Weber, Il metodo delle scienze storico sociali, ed. Einaudi, 2003.

473 M.P. Faggiano, Gli usi della tipologia nella ricerca sociale empirica, Franco Angeli, Milano,

2012.

fondamentali che la contraddistinguono sono essenzialmente due: l’organizzazione dei dati in matrice e il ricorso non marginale alla statistica e all’analisi dei dati.475La ricerca qualitativa invece, evoca a seconda dei contesti definizioni non univoche tra gli studiosi, poiché ad esempio per i sociologi o gli psicologi, ricerca qualitativa significa essenzialmente ricerca che non fa uso della statistica, per gli antropologi una ricerca è qualitativa e gli economisti per ragioni opposte non fanno ricerche qualitative.476Dietro l’alternativa tra ricerca quanti o

qualitativa si celano numerose critiche e un dibattito che ha radici lontane, la cosiddetta “disputa sul metodo” è iniziata alla fine del secolo scorso e ha avuto una vigorosa ripresa di interesse intorno agli anni sessanta, sia in ambito americano477, sia in ambito tedesco478.

Due modi di fare ricerca divisi dal primato del metodo contro il primato dell’oggetto, una sfida che la comunità scientifica in epoche diverse ha sempre accettato, e vede da una parte schierati gli ammiratori delle scienze “dure” portatori dell’oggettività e dall’altra i sostenitori della ricerca sul campo. Per gli uni il problema centrale era spiegare nel senso di produrre resoconti pubblici e controllabili, per gli altri il problema centrale era comprendere, nel senso di saper entrare in determinate forme di vita479.

Il dibattito sociologico sulla dicotomia tra validità e/o forza dei metodi quantitativi e qualitativi non è per nulla concluso e si tende nelle scienze sociali a perpetuarlo. Dalla fine degli anni ’90 si fa strada l’idea che il “conflitto” tra qualitativisti e quantitativisti sia prevalentemente di ordine ideologico e che, nella pratica della ricerca, il confine tra ricerca qualitativa e ricerca quantitativa sia tutt’altro che definito. Peraltro gli stessi ricercatori della scuola più prestigiosa della sociologia “qualitativa”, la scuola di Chicago, non disdegnavano gli aspetti quantitativi: per esempio, per valutare il livello di osservanza delle leggi nel periodo del proibizionismo, si istruivano i giovani ricercatori a contare il numero                                                                                                                

475 Cfr. A. Marradi, Due famiglie e un insieme, in C. Cipolla, A. de Lillo ( a cura di), Il sociologo e

le sirene. La sfida dei metodi qualitativi, Angeli, Milano, 1996.

476 L.Ricolfi, La ricerca qualitativa, Carocci, 2001.

477 H. Blumer, Sociological Analysis and the variable, in “American Sociological

Review”,XXI,1956.

478 T. Adorno, Dialettica e positivismo in sociologia, Einaudi, Torino, 1972.

479 A.Pizzorno, Spiegazione come re identificazione, in L.Sciolla, L. Ricolfi, Il soggetto

di bottiglie vuote di birra gettate nei sacchi della spazzatura480.Questa compenetrazione è ciò che in effetti avviene molto spesso, poiché “ le tecniche

che i teorici della sociologia qualitativa rivendicano spesso come proprie di quest’ultima, dall’osservazione alle interviste libere, all’approccio biografico, trovano tutte utilizzazione anche nel campo dell’analisi quantitativa”481. Sul mix degli aspetti, Montesperelli sottolinea un caso tutt’altro che raro: se in un sondaggio dovessimo classificare le opinioni politiche, la nostra ricerca sarebbe “ quantitativa” perché le domande sono in gran parte chiuse e bisognerebbe conteggiare le frequenze, ma sarebbe anche “qualitativa”, poiché la ricerca si interessa di opinioni e le classifica482.

Il concetto di mix di metodi nasce nel 1959 quando Campbell e

Fiske483usarono metodi multipli per studiare la validità di alcuni strumenti nel rilevare determinati tratti psicologici. In ciò aprono la strada a molti ricercatori e allo sviluppo di un nuovo campo di interesse. Si comincia, difatti, a parlare di tre distinti approcci alla ricerca: quantitativa, qualitativa, e ciò che è variamente chiamato multi-methods 484, multi-strategy485 , mixed methods 486, o mix

metodology487 soprattutto inerente la ricerca valutativa 488. Questa scelta metodologica consente di integrare diversi approcci e, con essi, diversi metodi d’analisi, non creando una semplice somma o un uso separato e non comunicante tra gli stessi, ma un approccio integrato che consenta di utilizzare aspetti qualitativi e quantitativi in una logica unitaria, un racconto dei dati che superi i confini in un rapporto dinamico e dialogico. L’efficacia di tale integrazione si basa sulla premessa che le debolezze di ogni singolo metodo possano essere                                                                                                                

480 A. Marradi, Metodologia delle scienze sociali, Il Mulino, 2007. 481 E. Campelli, Il metodo e il suo contrario, Franco Angeli, Milano, 1995.

482 Per una rassegna di ricerche che hanno combinato diverse tecniche, cfr. Montesperelli,

L’intervista ermeneutica, Franco Angeli, Milano, 1998.

483 D.T. Campbell, D.W. Fiske, Convergent and discriminant validation by the multitrait-

multimethod matrix. Psychological Bulletin, 1959, 2, p. 56.

484 N. Brenner, New State Spaces. Urban Governance and the Rescaling of Statehood, Oxford

University Press, Oxford, 2004.

485 A. Bryman, Social Research Methods, Oxford, Oxford University Press, 2004.

486 J.W. Cresswell, Research Design: Qualitative, Quantitative and Mixed Method Approaches,

London, Sage, 2003.

487 A. Tashakkori, C. Teddlie, Handbook of Mixed Methods in Social and Behavioral Research,

London, Sage, 2003.

488 A. Bryman, Barriers to integrating quantitative and qualitative research. Journal of Mixed

respinte, compensate o controbilanciate dalla forza di un altro489, portando a maggiore fiducia e in ogni caso fornendo lenti differenti per focalizzare le medesime dimensioni ed oggetti di ricerca.490 I mixed methods si fondano sul principio di nuova struttura non per forza convergente ma necessariamente integrata.491 L’integrazione che abbiamo utilizzato nella nostra prospettiva di ricerca non è stata discriminante ma ha fornito piuttosto forza all’uno e all’altro metodo, non solo in una prospettiva riduttiva che intende la complementarietà come validazione o conferma degli approcci micro e macro, ma ha agito all’interno di un processo che ha lasciato la possibilità di produrre risultati diversi poiché ad ogni fase della ricerca ci siamo posti domande differenti utili a comprendere il fenomeno e inoltre grazie all’implementazione è stato possibile l’apertura all’interno della stessa ricerca di punti di vista molteplici. Lavorare con una strategia mix vuol dire, infatti, lavorare con dati diversi, ma anche con interrogativi diversi, poiché il tutto è basato sull’applicazione di una serie di strategie di ricerca riguardanti questioni complesse dalle quali deriva un disegno