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Le trasformazioni del mercato del lavoro negli ultimi due decenni hanno reso sempre più impellente una ridefinizione complessiva e un’articolazione delle politiche di welfare.354 Secondo le tesi di Harvey, la crisi del fordismo e del suo

modo di regolazione e la transizione verso ciò che chiama regime flessibile di accumulazione è databile dagli inizi degli anni settanta.355 È da allora che nelle economie occidentali si ha una modificazione strutturale della società e della composizione sociale del lavoro.356 Un periodo in cui il modello di produzione fordista ha conosciuto la sua massima espansione e crescita sia in termini di produttività sia in quanto il ruolo dello stato sociale riuscì a darsi quella che Habermas357 ha definito un’autolimitazione intelligente. Il modello produttivo subisce dunque un’accelerazione, tanto da essere centrale per comprendere lo sviluppo della società moderna, la società industriale e il ruolo della professione che da questa derivavano diventano il motore di una radicale trasformazione che arriva fino alla metà degli anni settanta, periodo definito appunto: l’età dell’oro del secolo breve.358 Le ragioni di fondo attorno alle quali cresceva l’economia in quegli anni furono essenzialmente due: la prima, l’idea che il mercato fosse in grado da solo di assorbire tutta la produzione industriale e quindi consumare senza nessun tipo di restrizione, e la seconda che questa assenza di limiti derivasse dalla possibilità di mettere in atto un processo a due velocità, da un lato l’ aumento dei livelli di produzione e dell’altro una decrescita dei costi dei prodotti.359 Questo processo messo in moto dalla grande industria, riuscì a creare                                                                                                                

354 A. Fumagalli, Trasformazione del lavoro e trasformazioni del welfare: precarietà e welfare del

comune (commonfare) in Europa, in Saggi Uninomade.it, 15/11/11.

355 D. Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano, 1993.

356 E. Armano, Precarietà e innovazione nel postfordismo. Una ricerca qualitativa sui lavoratori

della conoscenza a Torino, Ed. Emil di Odoya, Bologna, 2010.

357 Cit. in Habermas, Storia e critica dell’Opinione pubblica, Liguori editore,

Napoli, 1990.

358 La definizione passata alla storia come old age, è di Eric Hobsbawm, in The Age of Revolution, 1789-1898, First Vintage Books Edition, New York, 1996. 359 F. Chicchi, Derive Sociali Precarizzazione del lavoro,crisi dellegame sociale ed egemonia culturale del rischio”, Franco Angeli, Milano, 2001.

volumi di prodotti dalle proporzioni enormi, nacque la mass production, è l’era della produzione su larga scala, della massificazione dei consumi e della nascita della figura del male breadwinner, un’epoca che dal punto di vista industriale è passata alla storia come fordista.360

Gli aggettivi "fordista" e "postfordista" sono ormai entrati nella lingua parlata, dopo essere stati ampiamente usati nelle scienze sociali. Eppure, anche fra gli studiosi, sono pochi quelli che ne conoscono la provenienza teorica. Si deve, infatti, agli economisti francesi della Scuola della Regolazione361 l'elaborazione, a

partire dagli anni Ottanta, dei concetti di fordismo e postfordismo per descrivere le diverse modalità di crescita delle principali economie occidentali prima e dopo la crisi degli anni Settanta. Sono dunque i primi anni del Novecento quelli in cui Henry Ford, razionalizzò e realizzò, fino alle applicazioni pratiche della catena di montaggio nelle sue fabbriche i principi delle teorizzazioni tayloriste. Tale teoria, si propone e viene assunta a razionalizzazione del sottosistema economico caratteristico di quella prima fase di sviluppo che vede l’impresa al centro sia del sopra citato sottosistema sia del sistema sociale complessivo.362 Tale modello di regolazione fondato sulla società industriale e sulla fortuna della produzione di massa conosce dopo un trentennio glorioso di crescita delle crisi che mettono in luce la fragilità del patto tra Stato e mercato. Dopo la prima pesante crisi degli anni trenta, i primi indizi di una radicale trasformazione e di una saturazione iniziano sul finire degli anni settanta. In quegli anni come fanno notare studiosi

                                                                                                               

360 L’importante e vasta questione della nascita del fordismo e l’influenza che

questo modello ha avuto sull’organizzazione industriale e sull’intero assetto socio economico vanta una ricca produzione scientifica, per questo si veda ad esempio gli studi che a vario titolo hanno approfondito questa tematica come: M. La Rosa; Bonazzi; Borghi; Gallino; Coriat; Ohno;

361 Per teoria della regolzione si intende un programma di ricerca nel campo della

tori economica, sorto in Francia a metà degli anni ’70, fu allora che alcuni economisti come Aglietta, Coriat, osservarono la rottura delle principali regolarità riguradanti le tendenze di lungo periodo del sistema economico. Il modo di regolazione è il concetto cardine di questo programa di ricerca. L’attenzione è focalizzata sull’insieme delle regole e delle procedure (norme, consuetudini, leggi), che assicurano il funzionamento e la capacità di durare del processo di accumulazione in un sistema capitalistico di produzione. S. Lucarelli, Lezione

sulla toria della regolazione e si veda anche R. Boyer, Fordismo e postfordismo. Il pensiero regolazionista,Ed Università Bocconi, Milano, 2007.

come Harvey o Jameson, la politica del long term employ, della stabilità entro un contesto di sviluppo potenzialmente illimitato caratteristica dello sviluppo capitalista della fase fordista, cede il passo all’instabilità dei mercati azionari, all’oscillazione del ciclo economico, alle crisi finanziare ed economiche che con periodicità accelerata investono intere zone del pianeta.363Da un punto di vista economico il mercato dei prodotti di massa, che hanno fatto la storia del fordismo, entrò in una fase di stagnazione della crescita economica, dal punto di vista politico aumentava l’insofferenza della forza lavoro per le condizioni imposte dalla regolazione del regime fordista e i bilanci di Stato entrarono in crisi per sostenere le spese dei sistemi di welfare.364 Una crisi dunque, che affonda le sue radici in una serie di mutamenti nella struttura economica, tecnologico produttiva e demografica che erodono le politiche di welfare. La presenza simultanea di stagnazione e inflazione vanificarono il tradizionale intervento dello Stato come motore per rilanciare l’economia. Fino a quel momento, infatti, le politiche anticrisi erano ispirate all’approccio keynesiano, che era il risultato della crisi del ’29. Tali politiche di intervento statale nelle economie prevedono fini congiunturali, per cui lo Stato deve intervenire per sostenere una domanda troppo debole mediante spesa aggiuntiva della quale il deficit di bilancio fungerà da moltiplicatore. Il fine sarà la risoluzione della congiuntura negativa, la piena occupazione ed il ripristino dell’equilibrio. Da intervento congiunturale, ciò assunse, durante e dopo il secondo dopoguerra, un carattere stabile. La crisi del compromesso tra capitale e lavoro ha svelato l’inadeguatezza delle politiche di intervento statale. Il sistema di welfare fordista perde in tal modo il carattere di stabilità che aveva contraddistinto la metà degli anni novanta. Questo sistema rifacendoci ad una tripartizione formulata da Esping Andersen e successivamente modificata da Massimo Paci negli anni ottanta, era basata dalla compresenza di tre istituzioni che ne hanno garantito la stabilità.365

Le tre istituzioni sociali principali sono: il mercato del lavoro, dominato dalla grande industria fordista, la famiglia nella sua composizione, solida e moderna, di                                                                                                                

363 E. Armano, Precarietà e innovazione nel postfordismo. Una ricerca qualitativa sui lavoratori

della conoscenza a Torino, Ed. Emil di Odoya, Bologna, 2010.

364 F. Chicchi, Derive Sociali Precarizzazione del lavoro,crisi dellegame sociale ed egemonia culturale del rischio”, Franco Angeli, Milano, 2001.

famiglia nucleare (rispetto alla formulazione proposta da Esping Andersen, la tripartizione a cui ci stiamo rifacendo differenzia in questo punto, perché Paci considera accanto alla famiglia anche le agenzie di welfare ispirate alla stessa logica altruista e solidaristica, come le associazioni di volontariato o le organizzazioni no profit); e il welfare state assicurativo, fondato, appunto, sulle grandi assicurazioni sociali obbligatorie (contro rischi della vecchiaia, della malattia, degli infortuni e della disoccupazione).366Questo modello è fortemente

integrato nelle sue parti, ciascuna delle componenti è funzionale alle altre, il mercato del lavoro tende a privilegiare l’occupazione a tempo pieno dei maschi capifamiglia, la famiglia è fondata su una divisone di genere dei ruoli, (…) e il welfare state si rivolge in primis al lavoratore dipendente, occupato con una certa continuità del percorso di vita.367 È stato grazie alla stabilità congiunta di queste tre istituzioni che il welfare ha potuto garantire livelli di sicurezza che non erano mai stati raggiunti. La logica assicurativa del welfare fordista schiacciava la dimensione individuale a favore di una collettiva basata sull’egemonia delle classi sociali. Non si può negare che tale sistema intervenne a spezzare dall’alto un sistema di mutuo soccorso, fatto di società operaie e cooperative che era andato crescendo ad opera dei sindacati e dei partiti operai in molte parti d’Europa. L’introduzione delle assicurazioni sociali, da parte della Germania di Bismark e poi degli altri paesi Europei, mise nelle mani dello Stato centrale la gestione dell’intero sistema previdenziale.368

La logica assicurativa come osserva Rosanvallon, ha un limite e un’aporia di fondo, riposa su un approccio alla popolazione di tipo statico, che elimina il dato individuale, per fondere gli individui entro categorie rigide sia demograficamente sia lavorativamente.369 Caratterizzato dunque, da applicazioni su larga scala, obbligatorietà e condivisione di oneri contributivi tra lavoratori, datori di lavoro e stato, nato come abbiamo fino ad ora descritto sulla definizione di                                                                                                                

366 M. Paci, Nuovi lavori, nuovo welfare: sicurezza e libertà nella società attiva, Il

Mulino, Bologna, 2005

367 Ibidem

368 M.Paci, Il sistema di welfare fordista, in Le ragioni per un nuovo assetto del welfare in Europa, La rivista delle politiche sociali, N1, 2004.

369 P. Rosanvallon, La nuova questione sociale. Ripensare lo Stato assistenziale, Edizioni lavoro,

rischi di infortunio, malattia e disoccupazione, finisce per scontrarsi con il rallentato processo di invecchiamento della popolazione, il calo della natalità, l’aumento della precarizzazione e della disoccupazione unito allo sviluppo postindustriale.

Il dilagare della crisi - accentuata dalle trasformazioni in atto nel sistema di produzione, avviato a grandi passi sulla via del postfordismo – fece però sì che si delineasse una netta divisione tra coloro che intendevano proseguire la strada delle politiche di welfare state fino a quel momento vigenti, e coloro che, viceversa iniziavano già a paventare aria di rinnovamento.370 Come aveva già

osservato Titmuss, il ruolo crescente dell’intervento dello Stato e l’intreccio che ne conseguì, tra assistenza e previdenza allentò il rapporto tra contributi versati e trattamenti ottenuti e finì per indebolire e porre in secondo piano ogni legame diretto tra il singolo lavoratore e il sistema assicurativo.371 Se da un lato crebbe la sicurezza dei lavoratori, dall’altro sul piano dell’autonomia e della libertà del singolo tale modello è destinato alla dissoluzione, in vista di un processo d’individualizzazione che da li a poco ne mostrerà i limiti.