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6.4   L’informatore scientifico del farmaco 192

6.4.1   Il rapporto con il sindacato Alleato o colpevole della loro condizione?

messo in luce uno degli aspetti più rilevanti della caratterizzazione di questa figura professionale. La debolezza o l’assenza in taluni casi di una presa di coscienza collettiva da parte di questi lavoratori è strettamente legata a ciò che fino a questo punto abbiamo descritto come la crisi di un modello di welfare to work, poiché è interessante notare come la mancanza di un’informazione corretta sul progetto welfarma sia imputabile da parte dei sindacati e anche dai lavoratori ad una distanza che intercorre tra loro e il sindacato, incapace di intercettare le loro richieste, spesso definito assente o lontano, considerato responsabile della mancanza di diffusione di informazioni circa welfarma. Ciò che è interessante

comprendere sono le ragioni di questa distanza, le cause che a loro avviso hanno creato un vuoto istituzionale, che ha contribuito ad una dispersione di informatori e ad una sfiducia nei confronti dei sindacati.

D: secondo lei perché siete poco sindacalizzati?

R: noi siamo isolati sul territorio e questo ha fatto si che non nascesse una coscienza di categoria, è difficile che i soggetti si inscrivano al sindacato, quando ci si inscrive ci sono degli scandali o delle situazioni talmente gravi che ormai è troppo tardi, se l’avessimo fatto prima ora avremmo costruito negli anni un potere anche a livello contrattuale

D: come associazione, visto quello che lei ha appena definito come mancanza di una coscienza di categoria, come operate per gli informatori? R: l’aiisf da sempre informa e fa un lavoro prezioso per quanto riguarda la protezione e la salvaguardia dei diritti che è bene che noi segnaliamo sempre, il nostro problema maggiore è che non siamo sindacalizzati, la nostra associazione si comporta come un ordine professionale, visto che non ce l’abbiamo, facciamo molte iniziative perché cosi gli informatori sappiano scegliere, avere consapevolezza di quello che sta succedendo. D: quanti iscritti conta l’associazione?

R: adesso circa sui 3,4 mila, siamo arrivati ad averne anche 13mila. D: perché proprio in momenti di crisi non sono aumentati gli iscritti? R: invece di unirsi, di fare fronte comune, le sezioni si sono dimezzate, questo è un dato preoccupante perché se non è stato fato fronte comune è perché sono licenziati, semplicemente non ci sono più.

Se manca un punto di aggregazione molti si sono dispersi. Noi abbiamo sempre provato ad ottenere un albo professionale ma non ci siamo mai riusciti perché le aziende farmaceutiche non vogliono un contro potere. Il presidente dell’associazione degli informatori segnala un vuoto istituzionale, non solo alla luce di una mancata sindacalizzazione, quella che egli stesso ha definito coscienza di categoria ma segnala una distanza degli informatori anche rispetto all’unica categoria che li rappresenta, da anni si battono per ottenere l’iscrizione all’albo, in assenza di questo l’unica associazione che esiste da venticinque anni ed opera in assenza di altre istituzioni è in crisi. Questa situazione è stata anche confermata dalla maggioranza del nostro campione di intervistati che non ritiene di doversi inscrivere e non sente l’esigenza di far parte di un’associazione. Questa condizione che definiremo di individualismo istituzionale è stata confermata analizzando il rapporto col sindacato, come esemplificato dagli stralci di intervista che riportiamo.

“gli informatori non sono sindacalizzati per nulla. Questo fa parte un po’ della natura nostra, perché è difficile sindacalizzare un lavoratore esterno, perché non hai la fabbrica dove fare gruppo, sei isolato. Il rapporto a livello contrattuale è singolo, in altre parole c’è un rapporto diretto con l’azienda da parte del singolo. Molte aziende non hanno rappresentanza sindacale oppure quando qualcosa si muove, è perché succede qualcosa.” (int. n. 20 ISF m. 37 anni Emilia Romagna)

R: non avverto la presenza del sindacato e sento di non essere tutelata. Siamo cosi poco sindacalizzati perché alleggia una certa superficialità nel nostro settore nei rapporti col sindacato, si tende a creare delle persone sempre più isolate. C’è una mancanza di coesione.

D: cosa ha portato secondo te gli informatori ad isolarsi?

R: c’è sempre stato il mito dell’informatore che lavorava per le big pharma, abbiamo contribuito ammaliati dalle grandi multinazionali a sviluppare un individualismo esasperato e poi quando le stesse big pharma si sono rivelate un fallimento, perché sono state le prime a mandare a casa, eravamo e siamo soli e senza forza di coesione.” (int. n. 12 ISF f. 36 anni Emilia Romagna)

“non siamo sindacalizzati perché non conosciamo come altri lavoratori l’unione e la vicinanza, lo scambio sul posto di lavoro, la capacità di creare un’alleanza, siamo sparsi e isolati e questo negli anni ha portato a non credere mai che avessimo bisogno di unirci e di inscriverci” (int. n. 27 ISF f. 45 anni Campania)

L’assenza del sindacato che è stato fino a ora descritto da questi informatori è stato ascritto a ragioni intrinseche alla loro natura di lavoratori individualisti, pertanto, secondo la maggioranza del campione che è stata rappresentata dagli stralci di intervista appena riportati, loro non hanno sviluppato una coscienza di classe che gli ha permesso di unirsi ad una qualche associazione sindacale che li tutelasse soprattutto in questa difficile situazione che ha colpito migliaia di informatori. È altresì vero che sono delle nomadi per il sindacato che non è riuscito ad intercettarli e a raccogliere consensi. Sarebbe forse più giusto parlare della necessità di ripensare la rappresentanza per alcune categorie lavorative, come nel caso degli informatori, infatti, molti di loro attribuiscono le ragioni di questa distanza che c’è tra loro e il sindacato non solo alla loro natura di lavoratori individualisti ma anche a responsabilità che sono da attribuire al sindacato stesso.

“siamo una delle categorie meno sindacalizzate in assoluto ma c’è da dire che è vero che noi non abbiamo mai avuto una motivazione forte a legarci ad una classe sindacale, una coscienza collettiva, però mi permetto di dire che anche quando c’è stato il procedimento di mobilità hanno fatto due riunioni, presero 1200 tessere e poi non fecero nulla per noi, qualcosa fu fatto due anni dopo, forse perché la nostra esperienza è servita a loro per costituire una rappresentanza sindacale interna, per quelli che sono venuti dopo. I sindacalisti più di tanto non hanno mai destato un grande interesse, se noi incrociamo le braccia non facciamo mica come quelli della Fiat” (int. n. 10 ISF 45 anni Emilia Romagna)

“siamo poco sindacalizzati, perché siamo molto individualisti, non si può certo fare il discorso è successo ad uno ma a me non succederà, la situazione oggi è complessiva e quando mandano fuori, è una ruota che tocca tutti. Poi il fatto che non ci riuniamo come gli operai in una fabbrica, non conosciamo il corporativismo. A fronte di una responsabilità nostra lascio comunque colpa ai sindacati che non si sono mai avvicinati alla nostra professione, non si sono mai interessati. Quando c’era bisogno di far rispettare le regole non si sono mai visti, ora che c’è la decimazione iniziano a farsi vedere. E ora che i 2/3 sono fuori cosa hanno fatto?

Se noi incrociamo le braccia di fronte ad una procedura di mobilità, i farmaci sono comunque venduti e l’azienda va avanti, se incrociano le braccia, gli operai si ferma la produzione. A chi da fastidio? A nessuno, non per loro non siamo un problema, come altre categorie” (int. n. 9 ISF M. 44 anni Emilia Romagna)

R: i sindacati non ci hanno mai visto di buon occhio, perché eravamo sparsi per tutta italia e lo siamo ancora, non potevano fare un’assemblea come fanno per altre categorie di lavoratori, non sono stati capaci di rappresentarci.

D: questa secondo te è la ragione per cui voi siete poco sindacalizzati? R: io, personalmente sono sempre stato iscritto alla cgil, sono da sempre sindacalizzato, ma in generale c’è una scarsa sindacalizzazione per noi, perché secondo me si è scarsamente uniti e un po perché ognuno lavora da solo, il nostro è un lavoro in completa autonomia, questo ci porta ad una certa dose di individualismo, e un po’ perché i sindacati ci hanno sempre snobbato, ci hanno sempre visto come dei privilegiati. Io ho fatto anche il rappresentante sindacale RSU, e vedevo che da parte del sindacato la visione che avevano era questa, noi siamo all’interno del contratto dei chimici ma c’è un capitolo a parte per noi, per cui chiaramente noi non lavoriamo in azienda e questo chiaramente alle Rsu che fino a poco tempo fa era praticamente formata solo da interni, anche se noi eravamo il gruppo più numeroso. I sindacati si sono iniziati ad interessare a noi quando ci sono stati tutti i casi di passaggi, di transizioni, perché su ogni transizione ovviamente anche loro prendevano la loro parte. Il sindacato ha avvallato queste false cessioni di ramo d’azienda, anche nel mio caso, quando noi abbiamo chiesto, perchè le avete firmate? ha detto ai lavoratori che hanno firmato perché altrimenti sareste stati tutti in mezzo alla strada. Certo, ma

non è detto, perché altre strade non sono proprio state considerate. (int. n. 22 ISF m. 46 anni Emilia Romagna)

Alcuni, anche se solo una piccola parte del nostro campione empirico nelle interviste ha dichiarato che tutte le ragioni di una mancata sindacalizzazione sono da attribuirsi al sindacato, incapace di rappresentare gli informatori, di fare forza all’interno delle aziende con la presenza delle RSU. Queste situazioni sono state così descritte:

“non c’è nessuna legge dello stato che identifica il nostro lavoro quindi non essendoci un riconoscimento giuridico del mio lavoro il sindacato fa fatica a rappresentarci e non ha mai fatto nulla per tutelare i nostri diritti per far rispettare le regole, facciamo cosa al limite della legalità ma che fai denunci e perdi il lavoro? Se non c’è un sindacato che salvaguarda il nostro lavoro, è da folli farlo da soli senza le spalle coperte.” (int. 29 ISF m. 46 anni Campania)

“siamo una delle categorie meno sindacalizzate in assoluto ma c’è da dire che non abbiamo mai avuto una motivazione forte a legarci ad una classe sindacale, una coscienza collettiva, però mi permetto di dire che anche quando c’è stato il procedimento di mobilità hanno fatto due riunioni, presero 1200 tessere e poi non fecero nulla per noi, qualcosa fu fatto due anni dopo, forse perché la nostra esperienza è servita a loro per costituire una rappresentanza sindacale interna, per quelli che sono venuti dopo. I sindacalisti più di tanto non hanno mai destato un grande interesse, se noi incrociamo le braccia non facciamo mica come quelli della Fiat” (int. n. 10 ISF m. 45 anni Emilia Romagna)

“noi siamo allo sbando, a livello di confederali siamo pochi iscritti, io sono iscritto ma abbiamo perso forza, il danno è che se non ci sono delle rsu forti in azienda questo non può fare altro che peggiorare le condizioni dei rapporti tra noi e il sindacato”( int.n. 17 ISF m. 55 anni Emilia Romagna) Gli informatori sono privi di una coscienza sindacale, potremmo dire di una coscienza collettiva ma in sintesi le ragioni di questa crisi nei rapporti tra lavoratori e sindacato potrebbero essere descritte da un lato come la naturale conseguenza di una condizione d’individualismo che abbiamo descritto come istituzionale e non solo lavorativo, dall’altro è attribuibile anche a un’incapacità del sindacato di intercettare nuove categorie lavorative e di ripensare ad inedite forme di rappresentanza.