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L’amministrazione della giustizia in Cagliari dal 1340 al 1380.

L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA NELLA SARDEGNA ARAGONESE NEI CENTRI DI SASSARI, ALGHERO,CAGLIAR

3. L’amministrazione della giustizia in Cagliari dal 1340 al 1380.

Chiunque commetta un reato a Cagliari – sia maschio o femmina, catalano, sardo, ebreo o straniero – è sottomesso ad una sola giustizia, quella del re, esercitata dal suo rappresentante, il veguer.

Tuttavia, la popolazione di Cagliari - o, meglio, quella del Castello – fa sentire la sua voce attraverso dei probiuomini o consiglieri (o ancora, più semplicemente, “buoni

629 A.C.A., sez. R.P., reg. 2063, tomo I, f. 27 v. (1°). 630 A.C.A., sez. R.P., reg. 2063, tomo I, f. 20 v. (3°). 631 A.C.A., sez. R.P., reg. 2063, tomo I, f. 4 (1°). 632 A.C.A., sez. R.P., reg. 2063, tomo I, f. 31 v. (8°). 633 A.C.A., sez. R.P., reg. 2063, tomo I, f. 38 v. (4°).

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uomini”), emanazione degli interessi comunali e con i quali il veguer deve concertarsi prima di emettere la sentenza. Da questa limitazione comunale al potere del veguer nascono, nel corso del XIV secolo, le “Ordinazioni dei Consiglieri del Castello di Cagliari”634, raccolta di disposizioni occasionali, periodicamente arricchite e modificate sino a costituire un veri e proprio statuto della città, che fissa il quadro e la modalità del funzionamento del suo meccanismo sociale. Una buona parte di queste disposizioni si riferiscono alle proibizioni e ai reati e indicano le pene da comminare ai contravventori635.

Anche per un esame dell'esercizio della giustizia a Cagliari i materiali sono costituiti dai rendiconti dell’amministrazione di diversi veguer, i vicari, che comprendono, come negli stessi documenti esaminati per Sassari ed Alghero, la descrizione delle ammende imposte per i delitti commessi durante gli anni 1342-43 (12 mesi, che d’ora in avanti chiameremo periodo C), 1355-68 (21 mesi e mezzo, d’ora in poi periodo Ca) e 1376-79 (44 mesi, d’ora in poi periodo Cg)636.

Nessuna parola potrebbe definire la realtà di questa giustizia meglio di quelle che lo stesso veguer impiega dopo la descrizione di ciascun delitto. Quello del periodo C scrive: “Fu fatta la composizione. [il condannato] ha pagato netta alla Corte la somma di…”; quelli del periodo Ca e Cg: il condannato “ha fatto composizione col detto

veguer. Ha pagato netta alla Corte la somma di…”. La giustizia del veguer è dunque una

giustizia di “composizione”, cioè di accomodamento637, e potrebbe essere paragonata all'odierno istituto della “mediazione” rispondente al principio giuridico della “transazione”. Se la questione da transare non è di estrema gravità e non raggiunge un determinato importo, le parti in causa dinanzi ad un giudice o ad un magistrato, o ad una figura abilitata, anche senza l'assistenza di un legale, se non lo ritengono opportuno,

634 PINNA M., Le Ordinazioni dei Consiglieri del Castello di Cagliari del secolo XIV, in <<Archivio Storico Sardo>>, XVII, pp. I-XXV, pp. 1-272.

635 ROQUÈ FERRER P., L’infrazione della legge a Cagliari dal 1340 al 1380…, in Quaderni sardi di storia, n. 5, Sassari, 1986, p. 6.

636 ARCHIVIO DE LA CORONA DE ARAGÒN, Real Patrimonio, Maestro Racional, registro n. 2063, tomo 2 (1342- 43), tomo 3 (1366-68) e tomo 4 (1376-79).

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raggiungono un accordo che poi viene siglato dal giudice o dalla figura abilitata.

La “composizione” nel diritto aragonese consiste sempre in un’ammenda che il funzionario regio decide sulla base delle reali disponibilità economiche delle parti in causa. Le “Ordinazioni” prevedono tutta una gamma di pene nei confronti dei condannati, anche se poi, nella pratica, queste sono di tipo esclusivamente economico, o almeno hanno una netta tendenza ad esserlo, perché, anche ammettendo che siano state applicate pene diverse dall’ammenda (le ordinazioni considerano pene afflittive l’imprigionamento e anche la pena capitale), bisogna riconoscere che esse provengono soltanto dalla concomitanza fra reato e impossibilità del condannato a pagare. Vediamo, infatti, casi, come per esempio l’omicidio o la bigamia, risolversi con ammende più o meno forti, invece della morte o del supplizio con cui dovrebbero rispettivamente essere punite in base alle “Ordinazioni.”

Si tratta anche qui come nei casi precedenti di una giustizia “tariffaria” in cui il punto di riferimento è costituito dalla capacità di solvenza del reo e dal fatto che lo Stato deve comunque incassare quanto più è possibile in base alla disponibilità di ciascuno. Nella sua strumentalità si ravvisa, paradossalmente, anche una certa equità, per quanto arbitraria. La fissazione dell’ammontare di questo pagamento è soggetta a circostanze molteplici che possono far variare l’ammenda da una a tre volte o in certi casi anche di più, e che, attraverso dei reati standardizzati e tariffati dai testi, ci permette di osservare degli sconti che arrivano sino all’80% e anche più della pena e perfino a degli abbuoni totali di essa. La filosofia della “composizione” si regge a a ben vedere sul confronto della legge con le diverse circostanze e sulle condizioni economiche dell'individuo sottoposto a giudizio, senza trascurare, però, il fine dello Stato che nell'attuazione pratica della norma rivolge a proprio vantaggio la propensione dei cittadini ad infrangere la legge.

L’OMICIDIO. Curiosamente, nelle Ordinazioni, l’omicidio non è preso in

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ferimento, lasciando ai probiuomini e al veguer piena libertà di fissare la pena.

Di omicidi il corpus preso in esame ne comprende tre, che si risolvono con ammende fortissime.

Il periodo C comprende uno di questi omicidi. Gli imputati, otto individui – la maggior parte dei quali ha uno stesso cognome – accusati d’essere implicati nella morte di un sardo, sono condannati a pagare, a titolo collettivo, 110 lire.

Gli altri due omicidi sono compresi nel periodo Ca. Un uomo che ha ucciso la propria moglie con l’aiuto di sua madre e del cognato è condannato ad un’ammenda di 100 fiorini d’Aragona, cioè 82 lire e 10 soldi. L’ultimo, è il più interessante, è commesso da tre fratelli di Gerona nei confronti di un connestabile (un militare graduato di rango inferiore, una specie di caporale). Compiuto il fatto, i tre gironesi si sono dati alla fuga. Un quarto fratello, che ha dichiarato alla giustizia di non sapere nulla del delitto, è condannato a pagare 4 lire, 3 soldi e 6 denari perché in seguito è stata trovata in suo possesso una veste del morto trapassata dalle pugnalate.

La giustizia fa anche vedere due piccole imbarcazioni appartenenti ai contumaci, che fruttano 6 lire e 12 soldi. Infine, 14 mesi dopo il delitto i gironesi sono catturati e condannati a pagare, sorprendentemente, solo 50 lire d’ammenda in totale. A loro favore sono invocate due attenuanti: primo, sono giovani e atti alle armi in un momento in cui la guerra ha bisogno di forza viva; secondo, si tiene conto che durante tutto il tempo in cui li si ricercava essi sarebbero potuti andare ad ingrossare le file del Giudice d’Arborea ed invece non lo hanno fatto638.

INFRAZIONI CONTRO LE PERSONE. Il furto e i reati che gli sono connessi costituiscono

l’infrazione dominante, se non per la loro importanza numerica, certo per la loro ripercussione sull’ammontare globale delle ammende.

I furti vanno dal piccolo borseggio sino al commercio di oggetti rubati, passando per la ricettazione e la rapina stradale. Le pene vanno da 5 soldi (per un carrettiere che beve

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il vino che trasporta) sino a 100 lire per un ebreo che smercia oggetti rubati. E’ evidente che esiste una volontà di graduare l’ammenda in base all’importanza del furto.

Nello stesso periodo Cg si vedono due ammende d’un uguale ammontare (8 lire e 5 soldi) per dei furti la cui importanza non è invece paragonabile: ma la persona che ha commesso il furto poco importante dispone del denaro per pagare l’ammenda, mentre la coppia che ha rubato 20 lire, vestiti e altra roba è così povera che l’ammenda deve essere pagata da una terza persona (a titolo, probabilmente, di prestito)639.

Che non sia il furto in sé che si cerca di punire ma piuttosto ogni caso di furto con le sue circostanze particolari lo si vede anche da questo: per un furto importante come quello di una vacca, un sardo è condannato soltanto con l’ammenda, particolarmente lieve, di 15 soldi (Ca). Il fatto è che la vacca è un alimento e che egli non è andato a rubarla in un posto qualunque, ma nella macelleria di Oristano, capitale dell’Arborea, cioè in casa del nemico640.

Tre altri delitti sono, in realtà, dei furti sotto altra forma: truffa (in Ca, 12 lire d’ammenda), svaligiamento di un magazzino di grano (C, 2 lire e 2 soldi, provenienti dalla vendita di vestiti appartenenti al condannato, latitante) e 8 lire e 8 soldi d’ammenda per quattro uomini che hanno scuoiato una vacca della mandria di un ebreo (C)641.

La maggior parte degli altri delitti possono essere raggruppati in tre categorie:

a) scambi d’ingiurie e principi di rissa, così come la responsabilità di una lite tra terzi. L’ammenda arriva, al massimo, a 3 lire;

b) atti di villania commessi contro delle donne (1 lira a condannato o poco più);

c) pascolo abusivo di bestiame, per carenza di custodia o per cattiva fede del loro proprietario. Salvo un caso in cui (periodo C) il reato costa 5 lire ad un sardo, gli altri vengono regolati con ammende di 2 lire al massimo, ma spesso anche di 4-6 soldi. L’esistenza di questo delitto, che non è un delitto urbano, ci dice che al di fuori del Castello, vi si svolge una certa attività agraria, anche se non in maniera così diffusa

639 IBIDEM, p. 18, p. 19. 640 IBIDEM, p. 19. 641 IBIDEM, p. 19.