ISTITUZIONI RAPPRESENTATIVE NELLA SARDEGNA ARAGONESE: IL PARLAMENTO DI PIETRO IV D’ARAGONA, I PARLAMENTI D
3. Le convocazioni e le adesioni.
Il 23 gennaio partiva da Cagliari una serie di carte reali convocatorie, che fissavano la data d'inizio delle prime riunioni parlamentari per il 15 di febbraio, nella stessa località. I dispacci dovevano raggiungere le sedi più lontane dell'Isola ed era necessario dare tempo ai destinatari perché si organizzassero per un trasferimento che, il più delle volte, presentava pericoli ed incognite, soprattutto negli spostamenti dal Nord. Le strade erano mal tenute ed insicure, visto che l'intera viabilità si basava ancora sui vecchi tracciati romani, in favore dei quali non era stato apportato, nel corso dei secoli, alcun sostanziale lavoro di manutenzione o miglioramento. Inoltre, per gli spostamenti dalle zone settentrionali, era necessario attraversare i territori del giudicato d'Arborea, per raggiungere Cagliari, all'estremità meridionale dell'isola274.
Si notificava ai destinatari l'obbligo di presentarsi a Cagliari per presenziare ai lavori dell'assemblea ad una data prefissata. In un primo tempo il giorno stabilito per
271 BOSCOLO A., Parlamento siciliano e Parlamento sardo (motivi per una ricerca comune), in <<Mélanges Antonio Marongiu>>, Palermo, 1967, p. 50, n. 3.
272 SOLMI A., Le Costituzioni del primo parlamento sardo del 1355…, p. 217. 273 IBIDEM, p. 54.
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l'incontro doveva essere antecedente al 15 febbraio; in seguito questa diventerà la data prescelta anche se il termine avrebbe subito uno slittamento a causa dell'impossibilità per alcuni convocati di raggiungere Cagliari entro la stessa scadenza; e questo soprattutto per le già ricordate difficoltà di spostamento o gli indugi temporeggiatori di numerosi esponenti275.
4. Le Costituzioni.
Le Costituzioni promulgate nelle Corti del 1355 sono cinque; l’ultima di queste fu emanata in un secondo tempo, rispetto alle prime quattro. Sulla base della ricostruzione fatta dal Meloni vediamo ora quali sono i loro contenuti ed anche le implicazioni che in esse sono contenute in ordine ad un controllo dell'Isola da parte dell'autorità iberica276.
In tal senso nella prima convocazione si constatava, ad esempio che la componente feudale, il nucleo del controllo catalano-aragonese del territorio sottoposto alla Corona, spesso trascurava una norma elementare che imponeva la residenza nell'isola. Nella Costituzione si lamentava il grave danno (“maximam lesionem”) che poteva derivare alla Corona da questo comportamento, so prattutto alla luce delle lotte passate, di fresca memoria. L'assenteismo degli intestatari dei rispettivi benefici feudali “qui in insula Sardinie habent castra, villas seu loca aut redditus”) dovuto alla ricerca di una vita più tranquilla nei territori iberici, lontano da quotidiane lotte e da fenomeni epidemici, consueti nell'isola in quanti vi giungevano dall'esterno, doveva cessare immediatamente. Si trattava, in sostanza di un esplicito richiamo ad una maggior presenza nel territorio onde esercitare un controllo più cogente, più di quanto non fosse avvenuto in passato e quindi prevenire con solerzia e determinazione eventuali insubordinazioni e rivolte da parte dell'elemento locale.
I feudatari in questione - si diceva nella prima Costituzione – “teneantur suum
perpetuum fovere et tenere domicilium”. Si poteva, in tal modo, attuare una più attenta
275 MELONI G., Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona…, p. 75, p.76. 276 IBIDEM, p. 141.
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sorveglianza militare del territorio e migliorare il rapporto con le popolazioni locali grazie ad una più accorta ed onesta amministrazione. Ricordando, però, che la norma secondo la quale i feudatari erano obbligati a risiedere nell'isola era già stata in vigore nei periodi passati, benché sia stata sempre disattesa, si decretava la creazione di un comitato di sei persone, scelte all'interno della stessa cerchia dei feudatari iberici, che vigilasse circa l'applicazione di questo principio. La commissione doveva prestare giuramento che avrebbe operato secondo una normativa stabilita, rispondendo al governatore delle proprie inadempienze. Ai feudatari assenti dall'isola si concedeva tempo fino a tutto il mese di maggio per regolarizzare la propria posizione e trasferirsi nei rispettivi possedimenti “sub pena amissionis
castrorum, villarum atque locorum et reddituum que habent in insula smemorata”. I
beni confiscati sarebbero stati annessi “nostro fisco regio”. Si manifestava il proposito di ridurre al minimo, per il futuro, le esenzioni dall'obbligo di residenza nell'isola, specificando che, qualora esse fossero state accordate, era necessario fare esplicito riferimento alla Costituzione in esame e dichiararla, nella particolare circostanza, “vacuam effectibus et inanem”277 .
A questo punto veniva previsto un meccanismo automatico di ridistribuzione dei benefici feudali, particolarmente riferiti ai possedimenti fondiari. La Corona doveva riassegnare automaticamente ad altri feudatari catalani o aragonesi, sempre obbligati a risiedere nell'isola, “castra, villas seu loca” dei quali fosse entrata in possesso per acquisto o per mancanza di eredi diretti e legittimi. Era ammessa la sostituzione dei feudi incamerati con altri di equivalente importanza. Il progetto avrebbe consentito, quindi, un rafforzamento dell'apparato feudale demandato “ad defensionem memorate
insule”278.
La prima Costituzione si chiudeva con una norma di valore pratico che regolamentava il servizio di cavalli armati, al quale i feudatari dovevano sottostare.
277 SOLMI A., Le Costituzioni del primo parlamento sardo del 1355…, p. 244; MELONI G., Il Parlamento di Pietro
IV d’Aragona…, p. 142.
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Accadeva spesso che questa prestazione fosse svolta in maniera inefficace perché gli
“equi ispani” molto spesso risentivano - al pari delle persone - delle intemperie e
della scarsa salubrità del clima isolano. Capitava - in pratica - che molti cavalli
“moriuntur in dicta insula”. La Costituzione in esame aggirava questo ostacolo
permettendo che ogni cavallo spagnolo che non fosse stato possibile reperire ed armare per il consueto servizio potesse essere sostituito “cum duobus roncinis sardis
vel aliis alforratis bonis et suficientibus”, guidati da “bonis equitatoribus bene munitis”279. Una norma, questa, che imponeva una maggior oculatezza e una migliore
amministrazione dei mezzi a disposizione al fine di non gravare l'erario di ulteriori pesi, in quanto già abbastanza esposto economicamente per il controllo di un territorio che necessitava di risorse pubbliche più di quanto non ne procurasse con le sue entrate al dominio iberico.
Nonostante i toni molto decisi e definitivi, la prima Costituzione non ebbe una completa attuazione pratica. Numerose furono le deroghe alla norma, dettate in primo luogo da opportunità di carattere politico e militare; questo principalmente in vista e in concomitanza con i conflitti continentali che la Corona avrebbe affrontato di lì a poco, soprattutto contro il confinante regno di Castiglia. In questa occasione si sarebbe rivelato sconsigliabile, infatti, sottrarre gran parte della feudalità iberica alla difesa dei territori di frontiera dell’Aaragona, della Valenza, o a quelli Costieri, ancora della Valenza e della Catalogna280.
Se la prima Costituzione era rivolta esclusivamente ai feudatari di provenienza iberica, asse portante dell'esercito ed elemento vitale per il controllo capillare del territorio, la seconda vedeva come destinatario principalmente l'elemento locale o, almeno, quella parte di esso che in precedenza aveva preso parte ad operazioni di ribellione o di guerra aperta contro l'autorità centrale. Questo comportamento era considerato con notevole rigidità alla corte iberica e, di conseguenza, le pene previste per
279 IBIDEM, p. 244 ss.
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chi ancora incorresse in azioni antigovernative erano particolarmente gravi281.
La seconda Costituzione generale è introdotta da un lungo preambolo nel quale il sovrano traccia un vasto quadro della situazione e dei precedenti che l'avevano determinata, teso a ricordare ai suoi sudditi l'affinità dell'osservanza dell'autorità regia con l'obbedienza alla volontà divina. Egli ricordava, poi, come l'infeudazione del regno di Sardegna e Corsica al suo predecessore, Giacomo II, fosse stata espressione del volere di Dio, manifestatosi tramite l'azione pontificia, e come questa fosse stata corroborata con gli sforzi compiuti nella campagna militare effettuata “per manum serenissimi domini
Alfonsi […] genitoris nostri”. Il sovrano evidenziava una prima fase di concordia tra
l'elemento catalano e l'elemento locale “omnes Sardi fidelitatis sacramentum et homagium
prestiterunt” e perciò metteva in luce il proprio diritto a regnare nell'isola proclamandosi,
non senza un evidente arbitrio, come principe naturale dei sardi, “Sardorum princeps verus
sumus”, per quanto contrastato dalla reiterata tendenza di vasti strati delle popolazioni
sarde ad opporsi a tale principio. Egli affermava, ancora, di aver concepito i1 disegno di convocare le Corti di Cagliari per discutere dei vari problemi, ottenere l'assenso « omnium
brachiorum utiqu et Sardorum» per ottenere che “Sardi deinceps sibi caveant ab errore et crimine”. Una evidente concezione paternalistica e salvivica caratterizzava la
conclusione di questa parte introduttiva, ove non di meno si ricordava che l'indirizzo seguito fino ad allora dalla politica catalana era stato diretto più al perdono ed al superamento non traumatico degli attriti, che alla punizione cruenta282.
In questa solenne occasione si ribadiva la pena di morte e la confisca dei beni per quanti si opponessero al volere regio, nonché a quello demandato agli ufficiali e ai feudatari, espressione periferica diretta del potere centrale. Nei prevedere la pena
“ultimo supplicio”, si faceva un esplicito riferimento alla legislazione vigente in
Sardegna e, soprattutto, nel Cagliaritano, fin dalla conquista aragonese, e particolarmente ad un capitolo della “carta de loco” dove, com'è noto, erano previste
281 SOLMI A., Le Costituzioni del primo parlamento sardo del 1355…, p. 245 ss.; MELONI G., Genova e Aragona
all’epoca di Pietro il Cerimonioso…, p. 52.
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sanzioni corporali, sino alla pena capitale, a seconda della gravità del reato283.
Chiunque fosse a conoscenza di un ribelle, doveva segnalare il caso agli ufficiali competenti; per i fiancheggiatori erano previste le stesse pene riservate ai traditori o ai ribelli. Per i collaboratori, invece, gratifiche patrimoniali estratte dai beni del presunto traditore e presenti nello stesso territorio nel quale il crimine era stato segnalato, con l'esclusione di quelli che il reo possedeva al di fuori dello stesso284.
Gravi pene erano previste per i suoi discendenti, “tam mares quam feminas” e nel caso che il colpevole fosse sfuggito alla giustizia anche dopo che il suo nome era stato segnalato e bandito per quattro consecutive domeniche, essi sarebbero diventati
“servos domini dicti castri”, perdendo, in tal modo, ogni diritto alla libertà. Si
minacciavano pene anche per chi avesse chiesto indulgenze per i rei di questo crimine285. Veniva stabilito, infine, l'obbligo per tutti i sudditi di segnalare alle autorità ogni “tractatum rebellionis et proditionis”, superando l'ostacolo dei giuramenti indebitamente estorti da coloro che fomentavano le stesse attività antigovernative286. Ciò che colpisce maggiormente, in questo punto, non è tanto l'irrigidimento delle pene quanto l'introduzione della legge del taglione fondata sul principio della delazione che oltre a facilitare, certamente, le operazioni di polizia, poteva incuneare tra le popolazioni la cultura del sospetto e conseguentemente la lacerazione del tessuto comunitario tradizionalmente coeso al suo interno ed omertoso.
A questa Costituzione, alla quale i Catalani ascrivevano un significato irrinunciabile per il buon andamento dei rapporti futuri con l'elemento locale, si intendeva dare la massima diffusione tramite quegli organismi di informazione che, nel periodo, avevano la più grande capacità di penetrare all'interno della società sarda. Il testo della legge si sarebbe dovuto illustrare, in lingua volgare, in ogni chiesa, durante le festività principali di Natale e Pasqua, durante la messa principale,
283 IBIDEM, p. 245. 284 IBIDEM, p. 246. 285 IBIDEM, p. 246. 286 IBIDEM, p. 246.
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ed ancora, in apertura di ogni assemblea a carattere giudiziario generale; questa pubblicità veniva fatta perché “nostra Constitutio omnibus patefiat, ne eam aliquis
valeat aut simulet ignorare”287.
L'attuazione pratica della Costituzione dovette essere immediata. Il 7 aprile veniva impartito l'ordine perché gli ufficiali regi facessero applicare la normativa dei bandi pubblici, il primo dei quali, anziché in occasione della Pasqua - ormai trascorsa, il 5 aprile -, veniva stabilito per la festività della Pentecoste, che nel 1355 cadeva il 24 maggio288.
Il problema delle ribellioni veniva ulteriormente affrontato, con intenti operativi, nella terza Costituzione. Ivi si proponeva l'attuazione di un sistema di controllo basato sull'affidamento di ostaggi da parte dei Sardi agli ufficiali regi. Il provvedimento era circoscritto alle aree di diretto controllo catalano, indicate in quel territorio che ancora veniva chiamato iudicatu di Cagliari, inglobante anche le regioni del Nord-est gallurese, oltre che nel Logudoro289.
Gli ostaggi dovevano essere reperiti tra i figli di sesso maschile, con l'esplicita esclusione, quindi di filias ed uxores. Solo in caso di pericolo proveniente dall'esterno, dal mare, si intimava che tutti i figli e le mogli dei Sardi, esposti nella nuova situazione, fossero condotti nei luoghi fortificati degli stessi territori di Cagliari e del Logudoro, secondo direttive ancora da stabilire da parte degli ufficiali regi290.
Nel giro di poche settimane si iniziò un tentativo di attuazione pratica della terza Costituzione. Il 17 aprile si intimava a Guillem Sala, castellano di Quirra, e al maiore della stessa località, di non lasciare per nessun motivo la fortezza ed il territorio che avevano in affidamento e di fare in modo che un gruppo di Sardi si recasse a Cagliari (probabilmente in qualità di ostaggi); tra essi figurano membri di casate conosciute:
287 IBIDEM, p. 246. 288 IBIDEM, p. 246.
289 MELONI G., Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona…, p. 146.
290 SOLMI A., Le Costituzioni del primo parlamento sardo del 1355…, p. 246; MELONI G., Genova e Aragona
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De Sori, De Aceni, De Coni, Marras, Jana, Dola, De Comes, De Sena, Pisano ed altri291. Anche durante la settimana successiva, altri ordini di reperimento e raccolta di ostaggi partirono da Cagliari con diverse destinazioni. Bernat Bru, procuratore del territorio iberico di Maurellans, doveva costringere gli abitanti delle ville da lui dipendenti, situati nella curatoria di Sarrabus, nel Sud-est, a rispettare il dettato della terza Costituzione, nonostante un precedente rifiuto.
Due giorni dopo, il 19, si ordinava al governatore del Capo di Cagliari, Artal de Pallars, di raggiungere Sanluri o altre località della frontiera settentrionale della stessa regione, confinanti con quelle dell'Arborea meridionale, e di prendervi ostaggi. Nello stesso dispaccio lo si informava che anche nei riguardi dei territori soggetti a Pisa - le curatorie di Gippi e di Trexenta - si doveva procedere con le stesse modalità.
Qualche giorno dopo, il 23, lo stesso governatore era destinatario di un ordine analogo relativo alla raccolta di ostaggi da effettuare nei territori del Sud ovest dell'isola, nella zona ad est di Villamassargia. Veniva specificato che questi dovevano essere scelti tra “fills e nebots o persones de gran parentiu” e si raccomandava l'esclusione di figlie o nipoti di sesso femminile al di sopra dei sette anni. Gli stessi dovevano essere condotti al castello di Acquafredda, presso Siliqua.
Dell'esecuzione di questa Costituzione nel Sulcis e nel Sigerro, ad occidente di Villamassargia - località divisoria scelta, evidentemente, per una certa sua centralità nel Sud-ovest isolano -, venivano interessati, lo stesso 23 aprile, Guillem Alio, capitano di Villa di Chiesa, e Mateu de Munt Palau. Gli individui prelevati dovevano essere divisi tra il castello di Villa di Chiesa e quello di Gioiosa Guardia, appunto presso Villamassargia292.
Si trattava, evidentemente, di un'azione punitiva con valore oltremodo intimidatorio diffusa capillarmente in quei territori che destavano maggiori
291 MELONI G., Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona…, p. 146. 292 MELONI G., Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona…, p. 147.
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preoccupazioni politiche. Colpire le famiglie e persino i parenti più prossimi serviva a scoraggiare azioni di solidarietà e di protezione nei confronti dei ribelli da parte del tessuto sociale e comunitario che, tradizionalmente, in Sardegna si reggeva e si regge tutt'ora sui legami di parentela.
Con la quarta Costituzione si completava l'attività legislativa svolta nell'ambito delle Corti di Cagliari, nelle sedute della prima metà del mese di marzo. Si trattava di una serie di provvedimenti con la cui emanazione si intendeva risolvere il problema degli approvvigionamenti dei principali centri abitati, soprattutto, e delle roccheforti più importanti per la difesa dei territorio. Nel Capo di Cagliari era previsto l'ammasso di cereali, grano ed orzo, nelle località a suo tempo individuate: Sanluri, Puig de Corones, e due non specificati nel Sulcis e nel Sarrabus. Nel Capo di Logudoro, operazioni analoghe dovevano essere fatte in vista della raccolta del prodotto in quattro principali centri: Sassari, Alghero, Osilo, Casteldoria.
Gli addetti alla custodia di queste partite di cereali erano tenuti a prestare giuramento, davanti a dieci testimoni scelti tra gli abitanti dei dintorni dei singoli luoghi di raccolta, di non disporre in alcun modo di queste riserve senza un consenso esplicito dei rispettivi produttori e proprietari; era eccettuato il caso d'assedio e di imminente pericolo di resa per fame delle singole postazioni fortificate293.
Le quattro Costituzioni fin qui esaminate costituiscono, quindi, l'ossatura dell’attività legislativa svolta nel Parlamento del 1355. Si trattava di una sostanziale azione di repressione e di controllo nascente dalla consapevolezza che la guerra vinta non era sufficiente a sedare gli aneliti d'indipendenza delle popolazioni sarde e che nel futuro non avrebbero evitato di manifestarsi. Le Costituzioni citate, per quanto la cultura giuridica del tempo, specialmente nella Spagna aragonese, potesse consentirlo, più che a ragioni di giustizia finalizzati al
Bonum Hominis appaiono ispirate dal principio della forza e dalla volontà di
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dominio in ossequio al quale la corona aragonese andava costituendo il suo ordine nella “città terrena”. Ordine che, nella fattispecie, venne sancito e reso autentico secondo i riti necessari nella seduta plenaria del 10 marzo.
Nella sala principale del palazzo regio di Cagliari, ultimata la pubblica lettura delle Costituzioni, alla presenza dei membri di tutti i bracci, si procedette nel rispetto del cerimoniale con il giuramento e la sottoscrizione delle quattro leggi. Il sovrano giurava, “ tactis per nos cruce et sacrosanctis quatuor evangeliis coram nobis positis”, di considerarle valide in perpetuo, e ne chiedeva la corroborazione al proprio protonotario e guardasigilli, Mateu Adria294.
Seguiva la promulgazione e l'ordine di rispettare e far rispettare, in futuro, le decisioni maturate nelle Corti, impartito a diversi destinatari. Fra questi venivano esplicitamente indicati l'erede al trono - il primogenito Giovanni, duca di Gerona e conte di Cervera -, tutti coloro che sarebbero succeduti sul trono reale, vari ufficiali come governatori, vicari, amministratori, giudici, armentari ed altri, tutti i rappresentanti dei braccio ecclesiastico, quelli del braccio feudale, i membri di quello reale e, in generale, i singoli abitanti dell'isola, i Sardi295.
Al documento, così emanato, veniva apposta, infine, una bolla plumbea, la data topica (“in palatio maiori dornorum nostrarum regiarum Castri Callari”) e quella cronica
(“die decima marcii anno a nativitate domini M° trecentesimo quinquagesimo quinto”)296.
Le sottoscrizioni agli atti dei lavori culminati nella seduta del 10 marzo furono aperte dallo stesso sovrano, conformemente alle usanze del diritto iberico. Egli corroborava ulteriormente le leggi promulgate tramite la specificazione che “predicta omnia facta et firmata de consilio et assensu brachiorum omnium dicte
Curie generalis”297.
Seguirono quelle dei rappresentanti dei tre bracci canonici, nell'ordine
294 MELONI G., Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona…, p. 148.
295 SOLMI A., Le Costituzioni del primo parlamento sardo del 1355…, p. 240. 296 MELONI G., Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona…, p. 148.
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ecclesiastico, feudale, reale e, per ultimo, dei cittadini presenti a titolo personale298. A garantire ulteriormente la validità delle firme di sottoscrizione, presenziarono agli atti diversi personaggi di spicco degli ambienti militari ed amministrativi o diplomatici della corte catalana. Pere de Exerica, certo l'uomo più vicino al sovrano in questo momento, profondo conoscitore delle regole della diplomazia e mediatore nelle difficili trattative di pace con l'Arborea; Bernat.de Cabrera, il personaggio più stimato nell'ambiente militare per le sue capacità; Artal de Pallars, da poco governatore del Capo di Cagliari e Gallura; Olfo de Proxida e Eximen Perez de Calatayud, i quali gli sarebbero succeduti nella carica; Pere Jordan de Urries e Francesch de Perellos, maggiordomi reali, tra i diplomatici più sensibili ed esperti della corte; ancora, Blasio Fernandez de Heredia, maggiordomo della regina299.
Altre firme di convalida furono apposte nei giorni successivi al 10 marzo; l'11 firmò il procuratore di Matteo Doria; tra i testimoni ne figura uno che non era presente i giorni precedenti: Berenguer de Ulms. Il 12 marzo firmavano il