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ISTITUZIONI RAPPRESENTATIVE NELLA SARDEGNA ARAGONESE: IL PARLAMENTO DI PIETRO IV D’ARAGONA, I PARLAMENTI D

6. Convocazione del Parlamento del 1421.

Nel corso dell'assedio di Bonifacio, nel gennaio del 1421, il re, vista anche l'inutilità della campagna di Corsica, ruppe ogni indugio e stabilì di convocare a Cagliari il Parlamento. Già un anno prima, a Maiorca, aveva espresso il desiderio di convocarlo, ma l'accordo ancora in corso con il visconte gliene aveva

325 BOSCOLO A., I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo (1421-1452)…, p. 20. 326 IBIDEM,p.21.

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impedito l'attuazione. D'altra parte aveva prima mirato a risolvere le cose di Corsica e aveva teso al completo recupero della Sardegna e, poiché questo, ora, con l'accordo era stato pressoché attuato, il Parlamento poteva essere convocato.

In una lettera, da lui indirizzata alla regina, che era a conoscenza dei suoi disegni, il 21 gennaio egli annunziava così “di esser partito da Bonifacio e di essere giunto a Cagliari per mettere in ordine in brevissimo tempo il regno di Sardegna”. Contava di poter attuare il suo programma in pochi giorni, quattro o cinque al massimo. Aveva già in precedenza disposto la convocazione dei tre bracci mediante alcune lettere, indirizzate per il braccio reale ai consiglieri delle città e ai sindaci delle ville più importanti; per il braccio militare ad alcuni feudatari; per il braccio ecclesiastico, infine, ai rappresentanti più autorevoli del clero327. E, altresì, aveva dato le disposizioni necessarie al viceré Bernardo de Centelles328.

Se è pur vero che gli interessava il ritorno della tranquillità nell’isola, gli interessavano altresì con una certa urgenza il donativo, dovutogli dai bracci per le richieste che nel Parlamento sarebbero state da lui accettate, e la completa sicurezza di lasciare alle sue spalle, diretto in Sicilia, la Sardegna completamente sottomessa. Così mentre da una parte scriveva alla regina che sarebbe rimasto nel castello di Cagliari soltanto per un breve spazio di tempo, necessario a disporre e a trattare gli affari dell’isola, dall’altra scriveva al viceré di Sicilia e al capitano delle galee, residente nel golfo di Napoli al servizio della regina Giovanna, che avrebbe fatto di tutto per por termine al Parlamento sardo in pochi giorni e che avrebbe raggiunto subito la Sicilia, dove affari più importanti lo attendevano. In realtà i piani di Alfonso andavano più in là della Sardegna: c’era già in lui l’idea del completo dominio del Mediterraneo occidentale nel quale la Sardegna doveva rappresentare, dato anche l’insuccesso

327 IBIDEM, p. 22.

328 TORE G., Le origini dell’istituto viceregio nella Sardegna aragonese, in <<Medioevo. Saggi e Rassegne>>, n. 11, 1986, pp. 167-169.

102 in Corsica, una buona base329.

Il donativo però gli premeva prima di ogni altra cosa. Le spese per la spedizione di Corsica erano state molto elevate; a queste si erano poi aggiunte altre spese per fortificazioni, effettuate in Sardegna soprattutto nei territori del settentrione riacquistati alla Corona. Nel 1420, attraverso l'arcivescovo di Arborea, Elia di Palmas, aveva contratto un prestito di trentacinquemila fiorini d'oro d'Aragona con Francesco Carroz, feudatario dell'isola, e con alcuni mercanti. Altri tremila fiorini aveva avuto in prestito da un altro feudatario, il fratello di Francesco Carroz, Berengario. Gli erano stati poi dati dai consiglieri della città di Cagliari cinquemilacinquecento fiorini, corrispondenti al prezzo pattuito per la vendita di alcune ville situate nel Campidano di Cagliari. Ma queste somme non erano state sufficienti e nello stesso anno aveva inviato un notabile del seguito, Berengario de Bardaxi, in Catalogna e in Aragona, perché da queste avesse aiuti sufficienti per supplire alle spese. Tanto la Catalogna quanto l'Aragona non dovettero rispondere all'appello con generosità330 poiché, proprio nel periodo in cui il Parlamento era stato convocato, Alfonso si era dovuto rivolgere al re di Castiglia Giovanni, di cui aveva sposato la figlia Maria chiedendogli il rimanente della dote, ammontante a cento ottantamila fiorini d'oro331. La necessita ch'egli aveva della somma è dimostrata da una lettera da lui indirizzata all'arcidiacono di Niebla, Fernando Diaz, procuratore degli affari di Corte, e da alcune lettere indirizzate all'arcivescovo di Toledo e ai nobili castigliani, affinché gli dessero tutto l'appoggio necessario e affinché svolgessero presso il suocero opera persuasiva al pagamento. Nello stesso arco di tempo di tempo egli era stato costretto a cedere in pegno allo stesso Francesco Carroz, per la somma anzitempo avuta in prestito, il castello del Goceano. La situazione finanziaria di Alfonso non era, dunque ,florida, mentre per l'attuazione del programma che si era proposto doveva disporre di forti somme.

329 SOLDEVILA F., Història de Catalunya, II, Barcelona, 1962, pp. 649-713; DEL TREPPO M., L’espansione

catalano-aragonese nel Mediterraneo, in Nuove Questioni di Storia Medioevale, Milano, 1964, pp. 279-285.

330 DEL TREPPO M., L’espansione catalano-aragonese nel Mediterraneo…, p. 279, p. 280.

331 BOSCOLO A., Lettere della regina Maria di Castiglia relative alla Sardegna, in <<Studi Sardi>>, X-XI, 1950- 51, pp. 497-504.

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Il donativo, se pur modesto per il re ed elevato per l'isola, rappresentava quindi un contributo che giungeva, data la situazione, molto utile per i bisogni dell'isola stessa. Convocato il Parlamento, i tre bracci stabilirono di offrire al re, in cambio delle concessioni che egli avrebbe accordato alle loro richieste, un donativo di cinquantamila fiorini d'oro d'Aragona, pagabili in cinque anni in ragione di diecimila fiorini all'anno. Per procurare ogni anno i diecimila fiorini i tre bracci, attraverso i trattatori incaricati di tutte le modalità del donativo, avevano così disposto, per consiglio del re - forma questa di donativo che non trova precedenti - che venisse stabilita per tutta l'isola un'imposta speciale sulle merci in importazione e in esportazione: erano esenti da imposta il frumento, l'orzo, la carne e il pane. L'imposta, che era di 9 denari per ogni libbra di alfonsini allora correnti, pari a 120 denari, di merce importata o esportata, era stata accuratamente studiata332. Soltanto dai traffici, infatti, si poteva trarre con sicurezza la somma dovuta: il commercio nel settentrione aveva subito un arresto, eccettuata Alghero, ma nel meridione, dopo la guerra, era ripreso abbastanza attivo e i mercanti, specie importatori, erano al centro della vita isolana più che gli stessi feudatari333.

Il procedimento relativo alla esazione dell’imposta era stato reso molto semplice. A tale fine ogni anno tre persone, già scelte in precedenza dai bracci, una per ciascun braccio, dovevano essere nominate con potere identico a quello che avevano in questi casi i Deputati del Generale, incaricati in Catalogna delle esazioni per il Fisco e per la Corona; dovevano restare in carica soltanto per un anno e dovevano risiedere, per un miglior controllo, il primo e il quarto anno a Cagliari, il secondo a Sassari, il terzo ad Alghero, il quinto a Bosa334.

Fu stabilito che gli eletti dovessero render conto del loro operato come esattori ciascun anno ai tre successori. E, perché l'esazione procedesse con ogni cura, agli eletti, che dovevano prendere il nome di deputati, fu concesso il potere di firmare gli

332 BOSCOLO A., I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo (1421-1452)…, p. 24, p. 25.

333 DEL TREPPO M., I mercanti catalani e l’espansione della Corona d’Aragona nel secolo XV, Napoli, 1972, p. 159.

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atti necessari alle riscossioni e il potere, altresì, di irrogare pene alle persone che non avessero corrisposto i pagamenti e che avessero commesso frodi. Ai nominati fu, inoltre, concessa la facoltà di chiedere somme in prestito, in modo da completare i diecimila fiorini annui, qualora questi non fossero stati raggiunti con la riscossione in tempo debito; le somme mutuate dovevano essere restituite effettuata la riscossione.

Appena prendevano possesso dell'ufficio, i deputati dovevano prestare giuramento di svolgere bene e lealmente il compito che veniva loro affidato e dovevano nominare un notaio, che tenesse gli atti dell'ufficio. Questi dovevano restare in carica soltanto per un anno e ricevere, così come gli eletti, un salario per l'opera prestata.

Ad evitare, infine, che il lavoro svolto dagli esattori potesse subire intralci da parte degli ufficiali regi, fu stabilito che gli ufficiali non potessero chiedere rendiconti, né potessero affrettare in modo alcuno l'esazione. Pagati poi al quinto anno i cinquantamila fiorini, l'imposta doveva essere abolita: con una disposizione particolare fu fissato, infatti, che dopo il quinto anno essa non potesse essere più mantenuta per nessun motivo. Evidentemente si temeva da parte del re un'azione per mantenerla. Annualmente, infatti, i diecimila fiorini sarebbero stati di vantaggio per sopperire a una parte delle spese necessarie all'isola. Il fisco regio avrebbe così speso meno del necessario e le somme da destinare all'isola sarebbero potute servire per altri scopi.

Il donativo di cinquantamila fiorini toglieva così ad Alfonso, per cinque anni, una parte delle preoccupazioni che la Sardegna avrebbe potuto dargli. Il re poteva recarsi sicuro in Sicilia. La calma era ritornata e la Sardegna poteva, almeno in parte, provvedere da sé ai suoi bisogni. L'accordo venne così firmato, oltre che dai rappresentanti di ogni braccio, dal sovrano, che prometteva di rispettare le misure prese dai tre bracci. Per il braccio reale firmarono anche i sindaci delle incontrade del Goceano, del Monteacuto e di Chiaramonti, che non parteciparono, tuttavia, al Parlamento335. Le tre incontrade, specie quelle di Monteacuto e di Chiaramonti, che

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avevano parteggiato per il visconte di Narbona, erano ancora, infatti, spinte da Nicolò Doria336, in preda alle ribellioni e ai disordini. Il Goceano, nello stesso tempo, era stato occupato da un fautore del visconte, Bartolo Magno. Fu riacquistato alla Corona d’Aaragona dal marchese di Oristano, Leonardo Cubello, e due giorni dopo la chiusura del Parlamento, l’8 febbraio, il re avocò a sé i beni di Bartolo e li assegnò a persone di sua fiducia. Tra le incontrade che si erano di recente schierate dalla parte del visconte, l’unica che sembrava rassegnata a passare sotto il dominio aragonese era quella di Osilo, che formava una baronia337.

Stabilito il donativo mediante una capitolazione che venne firmata il 6 febbraio e la cui discussione aveva avuto inizio il 27 del mese precedente, il re accordò le richieste presentate dai tre bracci, le quali rientravano nei suoi fini e nel suo programma338.

Con il Parlamento di Alfonso viene così colmata la lacuna formale e sostanziale del precedente che non aveva posto il problema del Donativo, per le ragioni su esposte, in quegli atti.

7. Le richieste presentate al re dai tre bracci uniti, dal braccio ecclesiastico e dal