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Le richieste presentate al re dai tre bracci uniti, dal braccio ecclesiastico e dal braccio militare.

ISTITUZIONI RAPPRESENTATIVE NELLA SARDEGNA ARAGONESE: IL PARLAMENTO DI PIETRO IV D’ARAGONA, I PARLAMENTI D

7. Le richieste presentate al re dai tre bracci uniti, dal braccio ecclesiastico e dal braccio militare.

Le prime richieste lette e presentate al re furono quelle concordate dai tre bracci insieme, le quali miravano e frenare gli abusi degli ufficiali regi, che negli ultimi tempi si erano fatti frequenti, e a regolare l’amministrazione della giustizia.

Con l’approvazione del re, la Carta de logu, promulgata anni prima dalla giudicessa Eleonora e in vigore nel solo giudicato d’Arborea, fu confermata. La conferma della Carta, che regolava la giustizia fra i Sardi, non ne implicò però

336 CASULA F.C., La Sardegna catalano-aragonese, II, Sassari, 1990, pp. 640-650.

337 SCARPA A.M., Il Marchesato di Oristano. Aspetti storico-istituzionali (Università degli Studi di Cagliari, Facoltà di Lettere e Filosofia, Istituto di Storia Medievale, Tesi di dottorato di ricerca in Storia Medioevale, a.a. 1986- 1987). Sulla contea del Goceano si veda OLIVA A.M., Il Goceano punto nevralgico della storia sarda, in <<Medioevo.

Saggi e Rassegne>>, n. 12, 1987, pp. 147-150.

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l’estensione a tutta l’isola339. Sassari aveva, infatti, i suoi Statuti340, così Iglesias341. E tanto i primi quanto i secondi furono confermati342.

Venne poi stabilito che le cause civili tra non Sardi (plet, questio, debat de part a

part) venissero concluse entro tre mesi per la prima istanza, entro due mesi per la

seconda ed entro un mese per la terza e che le persone preposte a giudicare le cause (assessors) non prendessero più salari dalle parti litiganti.

Si sperava in questo modo di risolvere una situazione incresciosa che durava da anni. Le cause civili, infatti, non venivano mai concluse, poiché quelli che amministravano la giustizia, non contenti del loro salario, ne chiedevano uno alle parti e lasciavano di conseguenza, poiché ciò andava a loro tornaconto, che le cause non finissero mai. Con altre norme venne poi stabilito, oltre il salario degli uscieri

(porters), latori delle ingiunzioni fuori o dentro le mura della città, che gli ufficiali

regi, sotto pena di mille fiorini di multa, osservassero le esecutorie regie e che le cause civili avessero una speciale procedura secondo i1 tipo di esse. Si richiedeva per queste cause - ad eccezione di quelle relative a dogane, fuochi, saline, rendite - la presenza di un assessore che tenesse “tavola”, che fosse obbligato cioè ad un controllo periodico dei suoi atti, al fine di garantire alle parti equità e imparzialità343.

Alle richieste presentate dai tre bracci fecero seguito quelle presentate dal braccio ecclesiastico. Il clero, cui erano stati riconosciuti da tempo speciali privilegi e speciali libertà attraverso i capitoli della infeudazione del regno di Sardegna, rivendicò questi privilegi e queste libertà, che negli ultimi tempi non erano stati rispettati. I rappresentanti del braccio chiesero così ed ottennero dal re che le chiese e le persone appartenenti al clero fossero immuni e franche dal pagare pedaggi, dogane e tributi. E, poiché da alcuni anni Guglielmo Zatrilla, quale procuratore regio dell'isola, chiedeva il diritto della tratta (treta), dell'esportazione cioè del grano, agli

339 IBIDEM, p. 43.

340 MADAU DIAZ G., Il codice degli Statuti del libero Comune di Sassari, Cagliari, 1969.

341 D’ARIENZO L., Il Codice del “Breve” pisano-aragonese di Iglesias, in <<Medioevo. Saggi e Rassegne”, n. 4, 1978, pp. 65-89.

342 BOSCOLO A., I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo (1421-1452)…, p. 44. 343 IBIDEM, p. 45.

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ecclesiastici come ai laici (un carlino per ogni starello di grano esportato), si ottene che al clero fosse concesso di esportare liberamente, senza pagamento di alcuna imposta, i frutti dei benefici, delle terre e dei possessi situati nell'isola. I rappresentanti ottennero poi l'abolizione dell'imposta sul trasporto del vino e il pagamento di una somma, che era da tempo dovuta alla Chiesa di Cagliari344.

Questa possedeva come beneficio a Cagliari alcune case, che nel 1387 erano state distrutte da un incendio che, scoppiato improvvisamente, aveva recato gravi danni alla città345. Il re Giovanni I, perché la Chiesa si rifacesse della perdita subita, aveva stabilito con un atto pubblico che ogni anno dall'introito delle saline regie le venisse corrisposta una rendita, ma gli ufficiali regi non avevano rispettato il provvedimento e non avevano mai pagato la somma che il re aveva promesso. I rappresentanti del braccio ottennero così che dalle rendite delle saline si pagasse la somma dovuta.

Un altro problema che interessava il clero, oltre quello delle libertà e dei benefici, era quello delle decime. La popolazione dell'isola per le continue guerre si era assottigliata: le rettorie e le vicarie avevano la cura di pochi fedeli, in massima parte poveri, e quelli non volevano, né d'altra parte potevano, versare le decime. Accadeva, talvolta, che i fedeli versassero soltanto metà delle decime. E il clero desiderava che queste venissero versate interamente, ricorrendo anche, se necessario, alla forza e all'intervento dei rappresentanti dell'autorità regia. Si era poi verificato qualche caso di intromissione del foro reale in cause spettanti al foro ecclesiastico, così da verificarsi, anche, il caso di alcune persone, appartenenti al clero, messe in prigione da ufficiali regi. I rappresentanti ottennero la risoluzione delle varie questioni con l'intervento diretto degli ufficiali regi per il versamento delle decime, fermo restando tale versamento nelle mani dei rettori e dei vicari e con l'obbligo per gli stessi ufficiali di un giuramento inteso a far rispettare il foro e le libertà ecclesiastiche. Poiché, infine, la

344 IBIDEM, p. 46.

345 PINNA M., Incendio di Cagliari del 1387, in “L’Unione Sarda”, 20 dicembre 1931; TODDE G., Strutture

abitative a Cagliari dal Quattrocento al Seicento, in La famiglia e la vita quotidiana in Europa dal 400 al 600. Fonti e problemi, Roma, 1986, p. 450.

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chiesa di San Gavino e altre chiese dipendenti dalla diocesi di Torres, padrone di certe saline presenti in quel territorio, avevano avuto il divieto, da parte degli ufficiali regi, che intendevano proteggere le saline appartenenti alla Corona, di estrarre e commerciare il sale, questo divieto fu abolito346.

Da tutte queste concessioni si ebbe come conseguenza un rafforzamento degli ecclesiastici, non più controllati, i quali vennero a trovarsi in una posizione di primo piano. Fino a che le loro richieste non formarono poi, per approvazione del re, Capitoli di Corte con l'obbligo di scrupolosa osservanza, si da rendere la loro posizione ancora più solida e radicata.

Alle richieste del braccio ecclesiastico fecero seguito quelle del braccio militare. I feudatari miravano a rafforzare la loro posizione, tendevano a rendere più elevata la loro autorità e a, conservare le loro prerogative. E, poiché si era verificato il caso che il procuratore regio aveva concesso feudi per baratto ad alcune persone che non erano paggi, né uomini d'armi, e che semplicemente erano persone cui il commercio e le conseguenti ricchezze avevano dato la possibilità di comprare un feudo, i feudatari ottennero che il procuratore potesse fare concessioni a tali persone soltanto per licenza del re. Si mirava così, anzitutto, a limitare l'acquisto di feudi da parte di mercanti347.

Con altre norme i feudatari stabilirono, ottenendo l'approvazione del re, che la giurisdizione civile e criminale a loro spettante, tanto malvista da Pietro IV e tanto dannosa per i Sardi, non subisse intralci e che ciascun feudatario, avente tale giurisdizione, rispettando i limiti di essa e secondo le carte di concessione del feudo, potesse procedere contro il procuratore e gli ufficiali da lui messi nelle terre senza diritto di appello da parte di questi. Stabilirono poi, qualora venisse commesso un reato in una qualsiasi parte dell'isola, che i malfattori che si recassero in un'altra parte e lì venissero catturati, fossero ricondotti al feudo nel quale avessero commesso il reato, e lì condannati. Questa norma doveva essere rispettata per cinque anni. I malfattori, commesso un delitto, si rifugiavano spesso in un altro feudo e ciò portava

346 BOSCOLO A., I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo (1421-1452)…, p. 46, p. 47. 347 IBIDEM, p. 47.

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gravi intralci all'applicazione della giustizia anche perché i colpevoli venivano spesso protetti dai feudatari dei territori nei quali si rifugiavano, e talvolta ne ottenevano dei salvacondotti. Per le cause penali, relative alla loro classe, i feudatari ottennero che il re e il reggente la cancelleria non potessero avocarle fuori dell'isola, che ciascun feudatario potesse appellarsi al re, che il viceré non potesse condannare a morte o alla mutilazione un feudatario senza consultare il sovrano e senza averne avuto risposta scritta; per le cause civili, infine, che i provvedimenti relativi a interessi di parte fossero contrassegnati dal cancelliere o dal reggente la cancelleria e ciò per controllare se questi fossero stati presi giustamente348.

I feudatari ebbero, inoltre, dal re il consenso di comprare o di costruire case in qualsiasi località dell'isola, a meno che nelle carte di concessione del feudo non fosse stabilito che dovessero stare nei loro feudi, e il consenso di recarsi ogni anno per sei mesi in Aragona e in Catalogna per prendere pratica alla Corte.

Si tendeva con queste concessioni a stare il meno possibile nei feudi e a trascorrere il tempo nelle città e ad aggirare, di fatto, l''obbligo di residenza in loco che, come abbiamo visto in precedenza, era stato ribadito dal Parlamento di Pietro IV. Infine ottennero, oltre l'abolizione di un ufficio ritenuto inutile, quello cioè della conservatoria regia, doppione, in fondo, della procuratoria, che il soldo della gente a cavallo venisse dato secondo il numero dei cavalli in modo da limitare le spese e gli abusi, e che l'assessore del governatore fosse tenuto a tener “tavola” ogni triennio e a rispettare questa disposizione.

La “tavola” di sindacatura periodica degli atti dei pubblici ufficiali, era una istituzione aragonese, introdotta nell'isola da Pietro IV. Era diventata, però, nel periodo di Alfonso - con grande danno degli abitanti della Sardegna - una semplice formalità, alla quale: non si dava alcun peso. Pietro IV nel 1348 aveva reso tale istituto

obbligatorio e operativo ogni triennio e vi erano sottoposti tutti gli ufficiali regi residenti nell'isola, eccettuato il governatore, per il quale la durata del controllo era

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quinquennale. La “tavola” doveva essere regolata a norma dei Capitoli sanciti da Alfonso II nella Corte di Monzòn (1289), da Giacomo II nella prima e nella seconda Curia barcellonese (1291-1299) e nella Curia di Lerida (1301). Il triennio doveva essere computato da carnevale a carnevale. Più tardi, sotto Giovanni I, venne escluso dalla sindacatura il governatore. Ma le disposizioni date dai sovrani non venivano in genere osservate e gli ufficiali, essendo la “tavola” divenuta, quando anche si teneva, una formalità, potevano commettere qualsiasi abuso. Ancora dopo il Parlamento alcuni ufficiali non rispettarono le norme: nel 1429 Alfonso venne obbligato, infatti, a dare disposizioni perché nell'isola si rispettasse la sindacatura triennale349.

Con le varie concessioni avute anche i feudatari rafforzarono in Sardegna, come gli ecclesiastici, la loro autorità. Quella degli ufficiali regi fu, invece, diminuita e controllata350.