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COMUNI, SIGNORIE, UNITA’ MONARCHICHE NELLE REGIONI ITALIANE

4. Arbitrium signorile e autorità vicariale.

Nel corso del XIII secolo assistiamo al passaggio, in molti municipi, dalla forma di governo repubblicano a quella del regime signorile. I fattori che determinarono questo passaggio furono molteplici: la varietà degli ordinamenti municipali; le controversie che caratterizzarono i loro reciproci rapporti, nonché il mutamento che subì la società contadina nel suo complesso. La modifica istituzionale che ne derivò fu espressione del prevalere di una delle consorterie su tutte le altre organizzazioni particolari e della capacità di questa di stabilire efficacemente, più del governo municipale, un certo equilibrio nei rapporti di forza tra gli ordinamenti interni al Comune, in maniera tale che nessuno di loro subisse degli svantaggi eccessivi115.

I tempi e le modalità della transizione dalla forma di governo comunale a quella signorile furono differenti da città a città, così come molteplici, in relazione al luogo, furono i fattori che determinarono tale trasformazione. La durata del governo signorile, peraltro, si diversificò e ciò dipese dalla capacità di quest’ultimo di mantenere intatti gli equilibri interni che aveva il compito di tutelare.

Le differenze tra tale forma di governo e quella municipale furono sostanziali. Il sistema comunale vedeva, quale tratto caratteristico, la tutela, ad opera dei magistrati, della variegata normativa che vigeva all’interno della città; nel sistema signorile, al

114 CARAVALE M., Ordinamenti giuridici dell’Europa Medievale…, p. 490. 115 IBIDEM, p. 490.

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contrario, il signore poteva prescindere dal diritto vigente nel momento in cui esercitava la propria potestà di governo, amministrava la giustizia e prendeva provvedimenti circa la difesa militare contro i nemici esterni: egli, infatti, poteva stabilire in piena libertà quali fossero le decisioni più efficaci per la difesa degli interessi della comunità, della giustizia, della tutela del territorio e delle persone116. Al riguardo appare particolarmente interessante la delibera con cui nel 1277 l'assemblea cittadina veronese conferì il governo ad Alberto Della Scala: essa gli assegnò il potere di reggere la città a propria discrezione, di disporre liberamente dei beni del Comune, di amministrare la giustizia anche in contrasto con le norme statutarie, di modificare gli statuti117. Tale delibera era sintomatica dell’attribuzione al signore di un’amplissima potestà giurisdizionale, che le fonti denominano arbitrium, che rende bene l’idea di un potere d’imperio assolutamente affrancato dall’obbligo di osservare l’ordinamento giuridico in vigore118.

Il potere del signore si consolidava o attraverso un vero e proprio atto formale, oppure semplicemente attraverso il suo esercizio in fatto. In questo secondo caso si assisteva ad una violazione dell’ordinamento municipale - il che comportava, conseguentemente, l’annichilimento dei poteri delle magistrature comunali - senza che a quest’utlimo si avvicendasse un ordine altrettanto formale. Nel primo caso, invece, era la conseguenza di una delibera presa formalmente dagli organi istituzionali del Comune. In quest’ultima ipotesi, non era infrequente che gli statuti comunali recepissero la decisione assembleare e cercassero di armonizzare con essa le potestà delle magistrature municipali e quelle degli ordinamenti particolari. Così, ad esempio, a Verona dopo l'attribuzione dei poteri ad Alberto Della Scala gli statuti stabilirono che il podestà cittadino doveva impegnarsi con giuramento a rispettare l'arbitrium del signore, doveva richiedere il medesimo giuramento agli altri magistrati comunali, aggiungendo che tutti gli uomini armati agli

116 IBIDEM, p. 491.

117 CASTAGNETTI A., La Marca veronese-trevigiana (secoli XI-XIV), Torino, 1986, p. 277; VARANINI G.M., Della

Scala, Alberto e Della Scala, Mastino, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXVII, Roma, 1989, p. 366.

118 MASI G., Verso gli albori del principato (note di storia del diritto pubblico), in <<Rivista di storia del diritto italiano>>, IX, 1936, pp. 110-119.

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ordini del Comune o delle arti dovevano essere a disposizione del Della Scala119. A volte, poi, la concessione dell'arbitrium veniva limitata ad alcuni settori del governo: così, ad esempio, sempre a Verona nel 1272 il Consiglio maggiore lo aveva assegnato al podestà Andalò degli Andalò per quanto riguardava le decisioni in tema di guerra e di repressione dei reati più gravi. Il titolo che il signore riceveva dall'assemblea cittadina era in genere quello di “Capitano del Comune”, o altro consimile120.

La fonte della potestà signorile dunque, in caso di nascita sulla base di un provvedimento formale, era costituita dall’ordinamento comunale. Sotto il profilo strettamente giuridico, l’assemblea municipale aveva il potere di apportare delle modifiche alla delibera del signore, con la conseguente reviviscenza dell’ordinamento comunale. Gli accadimenti di Firenze, dove nella prima metà del Trecento la titolarità del potere signorile spettò prima a Roberto d’Angiò, poi a Carlo di Calabria e, infine, a Gualtieri di Brienne, rendono bene l’idea di quanto andiamo affermando: una volta che l’assemblea cittadina riteneva ormai superata l’esperienza signorile, riportava in essere le forme di governo municipale121.

Nei primi anni del Trecento iniziò a farsi conoscere l’istituto del vicariato, che costituì un’innovazione rispetto al tradizionale assetto istituzionale cittadino. Nelle

terrae Imperii era proprio l’imperatore a conferire il ruolo di suo vicario - e cioè di suo

rappresentante - a colui che, all’interno della realtà Comunale, era titolare, in fatto o in diritto, dell’autorità di governo signorile. La legittimazione del potere derivava, dunque, dalla potestà imperiale, la cui giurisdizione non veniva sconfessata dagli ordinamenti locali di quelle regioni122.

La prima metà del Trecento conobbe l'avvio di questa nuova forma istituzionale. Le concessioni vicariali riguardarono - come da tempo ha messo in rilievo il De

119 CASTAGNETTI A., La Marca veronese-trevigiana (secoli XI-XIV)…, p. 277.

120 ERCOLE F., Dal Comune al Principato. Saggi sulla storia del diritto pubblico del Rinascimento italiano, Firenze, 1929, p. 66.

121 CARAVALE M., Ordinamenti giuridici dell’Europa Medievale…, p. 492. 122 IBIDEM, p. 492.

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Vergottini123 - sia cittadini che godevano già di una posizione prevalente all’interno del loro Comune, sia famiglie feudali, o signori, del tutto avulsi dalla città di cui ottenevano l’autorità di governo; il primo è, ad esempio, il caso di Matteo Visconti, vicario di Milano nel 1311 e quello della famiglia Pio che ricevette il titolo per Modena nel 1329; il secondo quello di Cangrande Della Scala per Vicenza nel 1312, di Galeazzo Visconti a Piacenza nel 1313 e di Castruccio Castracani a Pistoia nel 1324124.

La forma di governo vicariale conteneva, sin dalle sue origini, dei tratti distintivi che la differenziarono dai precedenti regimi municipali. Il vicario non era un magistrato dell’ordinamento cittadino, ma era una longa manus della giurisdizione del dominus imperiale. Si assisteva, pertanto alla presenza di due giurisdizioni distinte e sovrapposte: quella vicariale e quella comunale. Non è un caso che il titolo ripeta quello che Federico I e Federico II avevano adottato per i loro agenti nelle terrae Imperii dell'Italia centro- settentrionale, incaricati tra l'altro di stabilire nelle realtà cittadine un governo diarchico composto da loro e dai magistrati scelti dalla comunità, un governo, cioè, molto simile a quello che in altre monarchie dirigeva le città regie. Il vicario del Trecento si distingueva dall’agente imperiale del progetto svevo, in cui si riscontrava una certa debolezza della monarchia germanica; al pari di quello, comunque, simboleggiava una giurisdizione diversa e separata da quella del Comune125.

All’interno del sistema di governo vicariale, la presenza della giurisdizione signorile fece sì che la molteplicità degli ordinamenti assumesse un assetto organizzativo completamente nuovo. Nel periodo della signoria-vicariato, il Comune perse il suo ruolo di guida e di elemento unificante. In sostanza, il potere del signore si rapportò direttamente con tutte le realtà istituzionali e questo elemento rese non più necessaria l’intermediazione del Comune. In altri termini, signorie territoriali, Comuni rurali del contado, municipi cittadini minori si collocarono all’interno dell’ordinamento signorile quali sistemi particolari in diretto rapporto con il vicario, e di questo solo riconobbero il

123 DE VERGOTTINI G., Vicariato imperiale e signoria, in Studi di storia e di diritto in onore di Arrigo Solmi, I, Milano, 1941, pp. 41-61.

124 CARAVALE M., Ordinamenti giuridici dell’Europa Medievale…, p. 492. 125 IBIDEM, p. 493.

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ruolo unitario e la conseguente giurisdizione superiore, ricevendo in cambio tutela contro i nemici e riconoscimento dei diritti e privilegi di cui disponevano126. Il Comune maggiore, allora, divenne solo uno dei tanti ordinamenti particolari in cui il vicariato si articolava: in alcuni casi esso mantenne inalterata la funzione unitaria nei confronti delle organizzazioni cittadine, come le corporazioni, le società popolari, le organizzazioni familiari e di vicinato e di alcune università del contado127; in altri casi, invece, l'autorità signorile incise anche in queste realtà, facendo così diminuire la funzione unitaria che il Comune aveva avuto nei loro riguardi128.

Le principali caratteristiche della forma di governo signorile sono due. Da un lato, la predominanza della potestà signorile, separata e distinta da quella del Comune principale, agevolò il venire in essere di apparati amministrativi e di governo del tutto nuovi, direttamente dipendenti dal signore e totalmente differenti dalle magistrature municipali: l’organo principale del governo unitario si identificò con il consiglio del signore, il quale iniziò a servirsi di agenti centrali e periferici i quali esercitavano le proprie funzioni in nome del signore. Dall’altro lato, le relazioni tra gli ordinamenti particolari assunsero forme del tutto nuove rispetto al passato: la signoria fece sì che il rapporto tra le classi dirigenti cittadine, da una parte, e i Comuni rurali e signorie territoriali, dall’altro, fosse ispirato a criteri di maggiore equilibrio ed equità, attraverso una più attenta tutela dei privilegi di tutti e un amministrazione del contado più efficiente rispetto al passato, la quale si indirizzò verso la suddivisione di questo in distretti posti sotto l’autorità di agenti periferici129.

Si deve aggiungere, infine, che l'evoluzione istituzionale appena descritta non riguardò tutti i Comuni delle terrae Imperii. Molti di loro mantennero la forma di governo muncipale, la quale conobbe sviluppi e mutamenti diversi in relazione alla dialettica politica interna. E’il caso di Firenze - che nella prima metà del Trecento visse, accanto a brevi

126 IBIDEM, p. 493.

127 Si veda ad esempio il caso di Mantova studiato da VAINI M., Dal Comune alla signoria. Mantova dal 1200 al

1328, Milano, 1986, pp. 296-316.

128 CARAVALE M., Ordinamenti giuridici dell’Europa Medievale…, p. 494.

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signorie, lunghi periodi di governo municipale130- , di Siena - dove il governo dei Nove si protrasse fino al 1355 - e di Venezia, dove in seguito alla Serrata del Maggior Consiglio l’oligarchia al potere si garantì il monopolio delle principali magistrature131. Altri Comuni furono, poi, assimilati in signorie territoriali che facevano perno non già su un Comune dominante, bensì sui domini fondiari della regione: l’esempio principale ci è dato dai Comuni piemontesi - molti dei quali passarono sotto la signoria dei marchesi del Monferrato, di quelli di Saluzzo, dei conti di Savoia e dei conti d’Angiò132- e dalle città friulane assoggettate al dominio del patriarca di Aquileia133.

130 NAJEMY J.M., Corporativism and consensus in Fiorentine electoral politics, 1280-1400, The University of North Carolina, 1982, pp. 42-125.

131 MARANINI G., La costituzione di Venezia. Dalle origini alla serrata del Maggior Consiglio, Firenze, 1974, I, pp. 207-312.

132 ASTUTI G., Formazione degli ordinamenti politici e giuridici dei domini sabaudi fino a Emanuele Filiberto, in

Storia del Piemonte, I, Torino, 1961, pp. 135-137.

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PARTE II

I REGNI GIUDICALI