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COMUNI, SIGNORIE, UNITA’ MONARCHICHE NELLE REGIONI ITALIANE

3. Statuti comunali, corporativi e associativi.

Gli ordinamenti giuridici componenti l’unità comunale trovarono una formale razionalizzazione in compilazioni unitarie denominate statuto. Lo scopo di tali raccolte era quello di recepire formalmente, precisandole dettagliatamente, le norme consuetudinarie fino ad allora osservate, conferendo loro forza cogente sia nei confronti di coloro che facevano parte dell’ordinamento, sia di coloro che con lo stesso, per le più svariate ragioni, venivano in contatto. Una volta che gli statuti recepivano le norme consuetudinarie, la loro modifica doveva passare necessariamente attraverso i meccanismi formali di revisione disciplinati dagli statuti stessi. Nei casi in cui gli ordinamenti particolari non raccolsero organicamente le loro normative, queste vennero comunque rispettate e la loro modifica avvenne in concomitanza con le evoluzioni e gli sviluppi della tradizione106.

Lo statuto comunale si articolava in tre elementi: le consuetudini cittadine; i brevia, (gli impegni giurati di rispettare il diritto della città presi dai magistrati quando assumevano le funzioni); le statuizioni delle assemblee cittadine. Vi sono casi in cui uno di tali elementi non è presente ed altri - come Pisa - in cui le norme consuetudinarie e le deliberazioni delle assemblee cittadine fanno parte di due diverse compilazioni107. Lo statuto disciplinava, oltre il diritto privato, il diritto criminale e conteneva disposizioni relative alle competenze delle magistrature. In esso erano anche

105 SESTAN E., Le origini delle signorie cittadine: un problema storico esaurito?, in <<Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano>>, LXXI, 1962, pp. 41-69.

106 CARAVALE M., Ordinamenti giuridici dell’Europa Medievale…, p. 488. 107 CALASSO F., Medioevo del diritto, I, Milano, 1954, pp. 431-435.

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presenti gli aspetti procedurali da osservare per la sua modifica: tale compito era in genere affidato ai reformatores, correctores, magistrati che si caratterizzavano per essere giuristi dotati di lunga e provata esperienza. Essi agivano così: proponevano un testo di riforma, totale o parziale, e lo sottoponevano all’approvazione dell’assemblea competente108.

Il diritto statutario era diritto comune la cui osservanza era prevista per tutti i cittadini del municipio e si collocava in un rapporto di specie a genere col diritto consuetudinario che si imponeva all’intera comunità degli uomini liberi della regione in cui si trovava il comune. L’amministrazione del diritto statutario spettava ai giudici comunali, i quali, nel rispetto della gerarchia delle fonti, applicavano prima la norma particolare e, successivamente, quando questa non era sufficiente, si risaliva alla regola generale. Secondo la gerarchia delle fonti, dunque, si applicava in prima istanza il diritto statutario; in caso di vuoto normativo, per l’assenza di una disposizione statutaria che disciplinasse il caso concreto, si applicavano le consuetudini del luogo, ossia le norme generali degli uomini liberi della regione; se anche queste non disciplinavano il caso specifico, si ricorreva alla interpretazione delle disposizioni giustinianee e canoniche ad opera delle dottrina giuridica109.

Il rinvio ultimo al diritto comune manca, invece, in alcuni statuti, in particolare quelli di Pisa e di Venezia. A Pisa il Constitutum legis - la raccolta, cioè, delle delibere assembleari - del 1233 dispose che in mancanza di una regola statutaria i giudici dovevano decidere “secundum bonum usum civitatis vel secundum quod eis iustius

visum fuerit”110. A Venezia, poi, gli Statuti di Jacopo Tiepolo del 1242 resero definitiva la norma, già presente nella promissio di Enrico Dandolo del 1192 e in quella dello stesso Tiepolo del 1229, secondo la quale in mancanza di norma statutaria i giudici cittadini dovevano rivolgersi agli usi locali e, ove anche in questi non avessero reperito alcuna regola adatta, erano tenuti a decidere “sicut iustum et equum eorum providentie apparebit”111.

108 IBIDEM, p. 424.

109 CARAVALE M., Ordinamenti giuridici dell’Europa Medievale…, p. 488. 110 CALASSO F., Medioevo del diritto…, p. 457 ss.

111 PANSOLLI L., La gerarchia delle fonti di diritto nella legislazione medievale veneziana, Milano, 1970, pp. 83- 87, pp. 113-117.

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La ragione del ricorso all’equità, al posto della dottrina giuridica, va ricercata, probabilmente, nella scarsa capacità di adattamento degli istituti giuridici giustinianei alla disciplina dei rapporti derivanti dai frequenti e molteplici scambi commerciali tra le due repubbliche marinare ed il resto del mondo mediterraneo. Esso appare interessante poiché conferisce ai giudici un ruolo centrale e da protagonisti in ordine all’interpretazione e all’evolversi del diritto cittadino.

E’ opportuno rilevare, inoltre, che la dicotomia diritto municipale - diritto consuetudinario della regione, sancita dalla gerarchia delle fonti, trovava riscontro anche sotto il profilo della corte di giustizia cui era affidata l’applicazione del diritto. Per quanto riguarda l’ordinamento consuetudinario, per esso non erano previste in città apposite corti: la sua applicazione era appannaggio dei giudici cittadini e, successivamente, a causa della graduale estensione della giurisdizione municipale sul contado, le antiche corti di giustizia della tradizione popolare andarono progressivamente esaurendo il loro ruolo e vennero sostituite da quelle delle nuove unità organizzative112.

Gli statuti municipali funsero da modello per quelli delle corporazioni che razionalizzavano le norme disciplinanti l’organizzazione del lavoro, i rapporti tra i membri dell’arte e i rapporti di questi con il Comune cittadino ed il resto della comunità urbana. Tali statuti prevedevano magistrature di governo, ufficiali addetti alla riforma del testo normativo, nonché corti il cui compito era quello di amministrare la giustizia e di dirimere le controversie insorte tra gli aderenti all’arte, attraverso l’applicazione della normativa statutaria113.

Statuti a parte, diversi da quelli cittadini, ebbe anche il popolo nel periodo in cui coesistettero due diversi Comuni all’interno della città. Le societates ed i suoi rapporti giuridici interni furono disciplinate da norme particolari; tali società assicuravano ai loro aderenti rapporti pacifici e, conseguentemente, si avvalevano di corti di giustizia che avevano il compito di dirimere i contrasti e le controversie insorte tra quelli. L'organizzazione della fiorentina Parte guelfa, con i suoi Capitani o consules militum

112 IBIDEM, p. 489.

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che la guidavano e mantenevano l’ordine all'interno, avendo autorità su tutti gli aderenti all'associazione, costituisce un esempio noto di tali ordinamenti particolari114. Assistiamo, dunque, ad un insieme di diritti che è plurale e molteplice, espressione della complessità della realtà comunale e degli ordinamenti particolari in cui la comunità si riuniva. Il rapporto tra questi diritti ed il loro eventuale, quanto necessariamente frequente contrasto, seguiva la gerarchia delle fonti poc’anzi indicata: in sostanza si passava dall’applicazione della norma particolare dell’ordinamento minore a quella più generale e onnicomprensiva dello Statuto cittadino.