Il primo riconoscimento internazionale di alto livello nel campo della cultura per l’Italia postbellica fu ottenuto con l’ingresso nell’Unesco. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, le scienze e la cultura era nata nel 1946 con sede a Parigi e riuniva inizialmente 37 Paesi; l’Italia chiese di entrare a farne parte subito dopo la firma del Trattato di pace nel febbraio 1947, dal momento che l’adesione non era subordinata all’appartenenza all’Onu. Il voto di ammissione fu programmato per la seconda conferenza generale dell’Unesco, che si tenne a Città del Messico fra il novembre e il dicembre di quell’anno. Il voto favorevole degli altri membri veniva considerato probabile ma non scontato: erano ancora vive le polemiche sorte attorno al Tratto di pace (considerato dall’Italia ingiustamente punitivo e oggetto di vibrate proteste anche da parte di un rappresentante della cultura italiana non compromessa con il fascismo, Benedetto Croce, nonché di Vittorio Emanuele Orlando che in qualità di presidente della “Dante Alighieri” aveva diffuso un appello a manifestare contro le condizioni imposte dai vincitori) e l’Italia aveva subito il primo veto all’ingresso nelle Nazioni Unite. Intervistato alla vigilia della conferenza di Città del Messico, il professore Umberto Morra, commissario dell’Irce, sottolineava l’importanza dell’ammissione all’Unesco:
“[Essa] acquista d’importanza se, sfortunatamente, l’Italia non sarà accolta nei prossimi mesi all’O.N.U. Le due adesioni sono assolutamente indipendenti: l’Unesco infatti ammette in principio fra i suoi membri stati non partecipanti all’O.N.U. e le pratiche preliminari per l’ammissione dell’Italia sono già svolte. […] Mi sembra che la partecipazione dell’Italia a un organismo internazionale dove non si tratta di andare a esporre richieste di aiuti, ma a collaborare con altri nel fissare un programma di attività, possa avere un gran rilievo e darci la sensazione precisa che è finito il nostro ostracismo. […] [Quella dell’Unesco] è un’opera di alta civiltà degna delle nazioni più civili, tra le quali, senza vanto, possiamo porre in prima linea l’Italia”87.
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ASSDA, Comitati esteri, Salisburgo 1945-1948, f. 504B, Comitato “Dante” Salisburgo, 31 marzo 1947
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L’Italia verrebbe ammessa a far parte dell’Unesco, in “Italiani nel mondo”, a. III, n.20, 25 ottobre 1947
61 L’impressione di “ostracismo” di cui parlava Morra poteva essere superata grazie al coronamento degli sforzi compiuti nei precedenti due anni dall’Italia per reinserirsi nella comunità internazionale su un piede, se non di parità, almeno di mutua comprensione e di pacificazione. L’Italia premeva per il riconoscimento del suo ruolo culturale, accarezzando già prima dell’ammissione all’Unesco il progetto di erigere a Roma un’università internazionale che richiamasse studenti da tutto il mondo e rilasciasse lauree riconosciute ovunque. A Città del Messico, con il voto unanime dell’assemblea, l’Italia fu ammessa nell’organizzazione l’8 novembre 1947: si trattava del “primo atto di rilegittimazione della comunità internazionale” nei suoi confronti “dopo la pagina nera della guerra e del fascismo”88
. A presiedere la delegazione italiana era il filosofo – vicino alla sinistra - Guido de Ruggiero, il quale nel rapporto a Sforza sulla missione notò come la partecipazione dell’Italia fosse gradita dagli altri membri, ed espose una convinzione:
“[…] data la debolezza della nostra posizione nella politica internazionale, nessuno teme che noi possiamo o vogliamo servirci della cultura come di una longa manus per acquistare un predominio politico, mentre è invece palese la fondata diffidenza delle piccole Nazioni nei confronti della Francia e dei paesi anglosassoni. La nostra situazione sarebbe per questo riguardo assai avvantaggiata, se facessimo qualcosa per sfruttarla. Ma purtroppo l’Italia ufficiale è totalmente assente dalla competizione internazionale per la…cultura; noi lasciamo vergognosamente disperdere con una indifferente incuria ogni nostra influenza, ogni nostro prestigio”89
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Le considerazioni di de Ruggiero sulla posizione “avvantaggiata” dell’Italia si accordavano con l’idea, che sarà ricorrente anche negli anni ’50 e costituirà una delle premesse del “neoatlantismo”, di una sostanziale estraneità dell’Italia al colonialismo. Questo le conferiva un capitale di simpatia spendibile specialmente in Africa, in Asia e in Medio Oriente, come media potenza innocua; de Ruggiero individuava proprio nelle relazioni culturali la forma migliore d’intervento per instaurare rapporti privilegiati con quei Paesi. Secondo il filosofo napoletano, i vantaggi della partecipazione all’Unesco sarebbero stati “notevolissimi”: oltre a finanziamenti per gli istituti scientifici e a
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M.Paola Azzario Chiesa, L’Italia per l’Unesco. 50 anni della Commissione italiana, Armando Editore, Roma 1999, p.19
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Relazioni di Guido de Ruggiero e di Edoardo Amaldi in Carte, Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco, Roma, citate in M.L. Paronetto Valier, L’Italia e l’Unesco, in L.Tosi (a cura di), L’Italia nelle
62 speciali stanziamenti per il recupero del patrimonio artistico danneggiato dalla guerra, l’Italia puntava a creare tramite l’organizzazione nuove “opportunità [di] far sentire nel paese e fuori la voce della cultura italiana e l’espressione dei suoi bisogni e delle sue aspirazioni”, in modo da “integrare l’opera delle numerose associazioni culturali sorte nel dopo-guerra e quelle degli organi burocratici che finora con troppa dispersione trattano dell’espansione della cultura italiana nel mondo”90
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Con l’ingresso nell’Unesco, l’Italia s’impegnava a costituire una “Commissione Nazionale” che avrebbe avuto il compito di formulare proposte di collaborazione nel campo della cultura, della scienza e dell’educazione, e di tenere in collegamento il governo con l’organizzazione parigina. Un organo che sarebbe stato formato “da numerosi esponenti della cultura italiana nei vari rami in cui questa si divide, in stretto collegamento con la Direzione generale della cultura” da poco istituita al ministero degli esteri. La Dgrc aveva finalmente sostituito la direzione generale degli italiani all’estero, la quale durante il fascismo aveva “riunito insieme, in uno strano ibridismo, la cultura e l’emigrazione. E, messa in funzione dell’emigrazione, la cultura si riduceva alla creazione e al mantenimento di scuole all’estero, da servire principalmente pei figli dei nostri emigranti”. Un concetto di cultura all’estero “angusto e inadeguato”, un criterio che la nuova direzione di Palazzo Chigi e la commissione per l’Unesco avrebbero profondamente rivisto: “specialmente in un paese di grandi tradizioni scientifiche, letterarie, artistiche come il nostro la cultura è uno dei principali rami dell’attività nazionale, che ha riflessi importantissimi anche sul piano internazionale”. L’Italia, perduta “per colpa del fascismo una posizione politica di primo ordine”, aveva “tutto l’interesse di riguadagnare per mezzo della cultura il suo prestigio nel mondo e di porre, sulle basi che la sua tradizione culturale le addita, la sua nuova politica internazionale”91
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L’Italia e l’Unesco: intervista con De Ruggiero, in “Relazioni internazionali”, a. XI, n.52, 27 dicembre 1947
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