1.4.1 “Un pacifico impero civile e culturale”: Calosso contro il nazionalismo nella Dante
La sorte toccata alle scuole e agli Istituti di Cultura italiani durante la guerra non era stata diversa da quella dei comitati esteri della “Dante Alighieri” (che avevano raggiunto la ragguardevole cifra di 200 nel 1938, con 18mila soci), i quali si riorganizzarono dapprima sotto la guida del commissario straordinario (dall’ottobre del 1945) Umberto Calosso, socialista ed esule antifascista e, a partire dal 1946, con l’avvento alla presidenza di una figura prestigiosa, quella di Vittorio Emanuele Orlando, il quale sarebbe rimasto in carica fino al 1952. Nell’assumere la carica di commissario straordinario, il professor Calosso inviò una circolare ai presidenti dei comitati e ai soci
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La “Dante Alighieri” ai suoi soci all’estero, in “Italiani nel mondo”, a. III, n.4, 25 febbraio 1947
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ASMAE, DGAP 1946-50, USA, b.16, f.1150.65, Missioni diplomatiche, Consolato di Los Angeles,
48 nella quale rinnovava la definizione della “Dante” come “una società umana di coloro che in tutto il mondo amano la cultura e la lingua italiana”, non più “una società nazionalista per la rovina effettiva dell'Italia, come il fascismo tentò di ridurla”. Per Calosso era necessario tornare ad accogliere anche nelle cariche direttive “gli elementi di nazionalità non italiana” e aprire una “crociata di propaganda e reclutamento”: “invece di un impero etiopico avremo un pacifico impero civile e culturale”63
.
Il tema della conversione degli italiani dalla spinta espansionistica politico-militare a quella culturale, come più aderente alla natura del popolo e alla storia del Paese, tornò in occasione del congresso nazionale della Dante che si svolse a Roma, in Campidoglio, nel gennaio del ’46. Davanti all’assemblea dei soci e dei presidenti dei comitati il ministro della pubblica istruzione Enrico Molè, in rappresentanza del governo, affermò che “i popoli guerrieri scelgono gli eroi delle battaglie come loro insegna: noi abbiamo scelto il maestro della nostra lingua, Dante Alighieri”. Articolando il discorso nel senso di una più esplicita contrapposizione al mondo tedesco, Molè interveniva poche settimane più tardi in questo modo:
“Mentre i popoli bellicosi, le razze che si proclamano elette e sono in realtà rissose prepotenti sopraffattrici, hanno come eroi nazionali e assumono come simboli della loro propaganda etnica i protagonisti sanguinanti e truculenti delle saghe nibelungiche e dei cicli guerrieri, l'Italia leva in alto come l'espressione più autentica della sua civiltà, che parla allo spirito e ha dato parole eterne al patrimonio ideale del mondo, il suo maggior poeta"64.
In questi acri giudizi contava certamente il ricordo vivissimo delle stragi naziste che avevano sconvolto l’Italia centrosettentrionale nella fase dell’occupazione tedesca e della Repubblica di Salò, ma anche la volontà di proporre come inconciliabilmente lontani due Paesi che pochi anni prima erano entrati in guerra da alleati, con le piazze che straboccavano di isterismo bellicista. L’inaggirabile consapevolezza di aver sostenuto a lungo (o per attivo coinvolgimento, o per passivo disinteresse) un regime che aveva posto il bellicismo e l’imperialismo al vertice della vita dello stato induceva, per contrapposizione, ad offrire ora un’immagine esageratamente antimilitarista degli italiani. Un segno di quanto fossero spinose le relazioni con gli ex alleati dal punto di vista psicologico è dato dal lungo lasso di tempo che dovette passare prima che il
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Notiziario delle associazioni, in “Italiani nel mondo”, a. I, n.13, 25 ottobre 1945
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49 ministero degli esteri accennasse con prudenza alla “opportunità di una graduale ripresa dei rapporti culturali con la Germania”: quasi due anni dopo la fine della guerra, un periodo più lungo rispetto a tutti gli altri Stati belligeranti65.
Cosciente dell’immagine pretenziosa e a tratti fanfaronesca che il regime aveva impresso alle manifestazioni italiane all’estero, Calosso indicava ai soci un nuovo modello di “uomo dantesco” che “non gesticola”, non muove il collo, non si atteggia in pose ridicole come quelle di Mussolini. Inoltre, dal momento che “notevole percentuale di coloro che studiano la lingua italiana nel mondo, è costituita da persone che coltivano la musica e il canto”, nel futuro della Dante le iniziative musicali e corali avrebbero assunto una “speciale importanza”66
. Per gli italiani era importantissimo “sottolineare l’umanesimo internazionale della nostra lingua e cultura”, ricordando agli stranieri che “un tempo [l’italiano] era la lingua internazionale della cultura e del commercio, e come residuo di questo vasto impero le rimane ancora il suo carattere di lingua della musica”. Calosso, assieme al consiglio centrale, apportò anche alcune modifiche allo statuto della società, dovendosi poi misurare con la contrarietà espressa da alcuni delegati al congresso annuale del ‘46, ad esempio sul fatto che fosse stato depennato dalla denominazione l’aggettivo “nazionale” (si tornava cioè da “Società nazionale Dante Alighieri” a “Società Dante Alighieri”), o sulla proposta di creare dei “comitati operai” per avvicinare un più vasto numero di persone67.
Secondo la testimonianza del presidente del comitato di Roma, Torquato Carlo Giannini, la “Dante” era rimasta effettivamente vittima dell’ingerenza politica fascista che aveva sortito l’effetto di allontanare i soci:
“Solo negli ultimi anni, quando cominciò il periodo delle infauste nostre guerre, il Governo alzò la mano sulla "Dante" all'interno e all'estero, cercando di conglobarla nel macchinismo della propaganda pseudo culturale-politica che non consentiva né oasi, né isole. Ne conseguì che i soci stranieri abbandonarono la "Dante"; ed i nazionali si limitarono, salvo poche eccezioni, a pagare il contributo sociale nulla chiedendo, nulla aspettandosi in cambio. La caduta del regime produsse lo stesso effetto del taglio del laccio che imbriglia una molla; la molla scattò nell'interno del paese, malgrado la tristezza dell'ora, a mano a mano che questo era liberato. Roma diede il segnale, chiamò i soci ad una Assemblea la quale affermò i propositi, le tradizioni e la libertà della "Dante".”
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ASMAE, DGAP 1946-50, Italia 1948, b.161, Appunto per la DGRC, febbraio 1947
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ASSDA, Comitati Esteri, Salisburgo, f. 504B, Circolare di Umberto Calosso dalla sede centrale del 3 novembre 1945
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50 Giannini dipingeva con amarezza, pochi mesi dopo la liberazione, il quadro della rete dei comitati nei paesi stranieri, su molti dei quali era perfino impossibile avere notizie:
"All'estero la situazione della "Dante" permane, si direbbe con frase militare, alquanto confusa. La sospensione quasi completa delle comunicazioni internazionali rende assai difficile formarsi un'idea anche approssimativa di quanto è accaduto, di questa situazione. Le animosità create dalla guerra hanno sospeso ogni rapporto nostro spirituale con la maggior parte dei paesi: si parla di Case della "Dante" espropriate, requisite e distrutte; distrutte sarebbero pure alcune biblioteche, sciolti quasi tutti i Comitati e forse dispersi gli archivi e documenti della loro apprezzata attività. In vari paesi l'ondata di avversione per un regime, al quale si imputa la corresponsabilità della tremenda guerra mondiale, ha raggiunto anche la "Dante". Ma non si distrugge così facilmente l'opera di mezzo secolo, quando essa nelle sue origini nelle sue intenzioni ha per iscopo l'affiatamento degli studiosi di ogni parte, la diffusione di tesori di cultura umanistica, artistica ed economica facendone patrimonio comune a tutte elementi capaci di goderne, avviamento questo, fra altri fattori, ad una solidarietà internazionale. La "Dante" non può essere confusa con certi enti o sodalizi, creati dalle opportunità del momento, senza provata utilità, spesso in contrasto con altri organismi nazionali e stranieri e perciò non vitali. (...) Gli amici dell'Italia, della sua storia e dei suoi scrittori potranno così, a preferenza di qualsiasi altro modo, mostrare la loro simpatia per un Paese, ove il senso dell'universalità ha dominato, salvo qualche parentesi di traviato nazionalismo, destinato a non durevole vita, poiché non trova terreno favorevole nell'anima del nostro popolo"68.
Nell’invitare il ministro degli esteri De Gasperi alla conferenza d’apertura del 56° anno della Società (significativamente intitolata “Dante e l’Italia nuova”), Giannini indicava fra gli scopi della sua attività “mostrare al pubblico alleato qui residente che sempre vivo è in Roma lo spirito dell’umanesimo e il culto delle vere universali glorie nostre”69
. Da Gasperi rispondeva con un “affettuoso incoraggiamento perché l’opera della Dante Alighieri torni ad essere efficace strumento di illustrazione della cultura e del pensiero italiano nel mondo”. A tale compito si rivolgevano gli sforzi costanti di Calosso, che sollecitava la collaborazione delle sedi diplomatiche italiane affinché fossero salvaguardati beni e sedi della Dante nelle più disparate zone geografiche.
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T.C. Giannini, “La Dante Alighieri riprende il suo cammino”, in “Italiani nel mondo”, a. I, n.3, 10 giugno 1945
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ASMAE, Gabinetto del Ministro 1943-58, b.106, f. 75, Soc. Naz. Dante Alighieri, lettera di Giannini a De Gasperi, 29 gennaio 1945
51 1.4.2 Un lento lavoro di recupero per i comitati all’estero
A guerra appena terminata, praticamente in ogni Paese del mondo, con l’eccezione dell’Argentina, i comitati esistenti prima delle ostilità avevano o cessato di esistere o interrotto ogni tipo di attività e di contatto con la sede centrale. Le situazioni più gravi erano ovviamente quelle dei comitati che sorgevano in Paesi contro i quali l’Italia fascista aveva mosso guerra, e nelle loro colonie ed aree d’influenza più dirette. La tentata ricostituzione del sodalizio in Egitto, ad esempio, fu oggetto di un attento vaglio da parte delle autorità britanniche, che ricordavano la Dante come “sponsored and pushed by the Fascist Government” ma erano disposte ad accordare fiducia a Calosso, a condizione che la società si limitasse “to the cultural spheres only” e potesse sopravvivere senza l’aiuto finanziario dello stato70
. D’altro canto Maurizio Boccara, un chirurgo italiano residente al Cairo e incaricato dalla sede centrale della Dante di riprendere in mano il comitato locale, espose un anno più tardi al presidente Orlando la convinzione che in Egitto la “invadenza Anglo-Americana” mirasse a scalzare l’influenza culturale “e spirituale” dei Paesi latini: “Noi Italiani, ci troviamo in una situazione alquanto precaria, e dovremo trovare delle vie nuove, non ancora battute dagli altri, per avere il diritto di cittadinanza in mezzo a tanti interessi contrastanti dal punto di vista intellettuale”71
. Proponeva perciò di puntare al massimo, nelle scuole, sui contenuti artistici spaziando dalla pittura, alla scultura, alla musica e all’architettura, terreni sui quali l’Italia poteva ritagliarsi una nicchia d’impareggiabile prestigio.
Nell’ottobre del 1945 il commissario straordinario Calosso scriveva un’allarmata lettera a Giuseppe Saragat, ambasciatore in Francia, per segnalargli la situazione dei comitati di Parigi e Tunisi. Nella capitale francese lo stabile che ospitava l’associazione, acquistato per oltre tre milioni di franchi nel 1943 dalla sede centrale di Roma, era stato requisito dall’autorità militare e Calosso temeva che non sarebbe più tornato ai proprietari. Occorreva persuadere i francesi del nuovo orientamento della società e ricordare che il presidente del comitato parigino, regolarmente costituito secondo le leggi francesi, era l’illustre italianista Henri Bédarida: “quindi la nostra causa è buona e merita di esser difesa fino in fondo”. A Bédarida venne affidato l’incarico di riformare il comitato, la cui attività era interrotta dal 1944, ma ancora nel febbraio ’46 il professore
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KA, FO 371, Italy 1945, f.49971, Dante Alighieri Institute in Cairo, British Embassy, Rome, 13 marzo 1945
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52 della Sorbona scriveva a Calosso che “allo stato attuale delle cose” non gli sembrava possibile riprendere una “normale attività” a Parigi: occorreva infatti che si chiarisse “diplomaticamente la posizione dell’Italia, i cui beni sono ancora considerati giuridicamente come beni appartenenti a nemici”72
.
A Tunisi il palazzo della “Dante”, costruito nel 1926, era andato gradualmente ampliandosi grazie al contributo della comunità italiana ma era stato requisito nell’agosto del ‘43 dalle autorità francesi ed espropriato per “pubblica utilità”, con ogni altro bene mobile ed immobile, in quanto l’associazione era stata qualificata come ente di propaganda e non come società culturale e filantropica (la questione si trascinerà negli anni seguenti in una lunga controversia giuridica fra Italia e Francia sulla necessità di un indennizzo, bloccando l’attività del comitato)73.
Calosso interessò il Ministero degli Esteri anche all’importanza dei comitati olandesi, in passato “particolarmente fiorenti”, specialmente quello dell’Aja, che doveva “assolutamente continuare a funzionare”, pena l’esaurirsi di ogni attività culturale italiana nel Paese. Il mezzo scelto dal commissario straordinario per tentare di salvare o ricostituire i comitati era quello di individuare per ogni città una personalità di prestigio possibilmente straniera, di sicura fede antifascista e che avesse legami intellettuali con l’Italia, e proporgli il compito di radunare attorno a sé un gruppo di amici della cultura italiana il quale, raggiunta una certa consistenza numerica, avrebbe proceduto secondo le leggi del Paese a costituirsi in associazione, legata alla casa madre di Roma. In alcuni casi ne sorgevano contrasti fra i passati presidenti dei comitati, che non accettavano l’esautorazione, e i nuovi designati; in altri l’invito veniva rivolto ai passati presidenti e direttori ma declinato per la gravità dell’impegno richiesto; talvolta le condizioni venivano considerate premature per poter riprendere con le attività della Dante.
Un professore della Northwestern University dell’Illinois, l’oriundo Joseph Guerin Fucilla, contattato da Calosso per la ricostituzione di un comitato nella zona di Chicago, rispondeva con franchezza: “benché ci sia abbastanza benevolenza verso l’Italia, vi sono ancora molti che mirano questa grande nazione come nemica, e perciò nutrono risentimento per ogni sorte (sic) di propaganda, anche quella culturale. Questa attitudine, per esempio, ha avuto ed ha tuttora effetto sullo studio dell’italiano nelle scuole”. Per potere sperare in una rinascita della Dante, dunque, si sarebbe dovuto
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ASSDA, Comitati Esteri, f.449H, Comitato di Parigi 1945-47, Lettera di Henri Bédarida a Umberto Calosso dell’8 febbraio 1946
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53 aspettare che “i residui dei rancori bellici” si esaurissero. Per di più, i comitati della società dantesca in alcune città erano stati particolarmente esposti alla penetrazione politica: “Qui nella regione di Chicago la Dante ha purtroppo acquistato un cattivo odore sotto il controllo del governo fascista”, continuava Fucilla, e a questo si aggiungeva lo scarso interesse manifestato sia dagli emigrati italiani (fra i quali si contavano pochissime persone anche solo “moderatamente colte”) sia dagli americani per iniziative come la “lectura Dantis” o le conferenze letterarie74
. Poche settimane dopo arrivava alla sede centrale della Dante un giudizio analogo dal professor MacAllister dell’università di Princeton: “Italy is still regarded by many as an enemy country and adverse sentiment is too strong". Inoltre "the fascist record of the "Dante" is so strongly remembered that it might prove a poor rallying point. There might well be disastrous clashes between former controlling cliques and new members and new ideas"75.
Il già ricordato Giannini, vicepresidente della Dante, fu incaricato dalla società di contattare professori di italiano o italiani in America, allo scopo di creare le condizioni per “esportare quello che ci resta oggi come maggior bene: la cultura”. Convinto che, per quanto duro, il trattato di pace non avrebbe potuto levare all’Italia il “primato culturale”, egli cercò vie di collaborazione con i consoli italiani nelle principali città statunitensi. Spesso ricevette dalle autorità diplomatiche risposte che smorzavano l’entusiasmo: il console a Boston, verso la fine del ’46, lo informò che lo State Department di Washington aveva dato disposizione alle autorità scolastiche affinché fosse “data in tutti i modi la preferenza, tra le lingue neo-latine, allo spagnolo”, il che spiegava perché l’insegnamento dell’italiano fosse stato “pressoché abbandonato” e molti professori non ritenessero di dar seguito agli inviti loro rivolti di creare associazioni culturali e corsi di lingua italiana. Nella stessa comunità italo-americana, “e questo è davvero scoraggiante, la gioventù […] non vuole frequentare corsi di italiano”, continuava il console; molte organizzazioni ricreative e di cultura erano rimaste in mano ad esponenti “notoriamente fascisti ed invisi al nostro Governo ed anche a parte della collettività italo-americana locale”76. Particolarmente in un contesto come quello nordamericano era chiara a Giannini la necessità di cambiare le modalità e i contenuti
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ASSDA, Comitati Esteri, f. 415F, New York 1946-50, lettera di Joseph G.Fucilla a Umberto Calosso, 8 dicembre 1945
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ASSDA, Comitati Esteri, f. 415F, New York 1946-50, lettera di MacAllister del 12 gennaio 1946
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ASSDA, Comitati esteri, f. 415F, New York 1946-50, lettera del console generale d’Italia a Boston, 1 novembre 1946
54 della promozione culturale italiana, cercando di annodare strettamente le figure e i movimenti del passato con la vita presente del Paese nei campi del pensiero e dell’arte, e mostrando come la loro valenza oltrepassasse i confini della Penisola:
“Noi dobbiamo interessare [gli statunitensi] alla nostra cultura, non come ad una branca di archeologia, ma in quanto si rannoda con le caratteristiche, le intenzioni, le prospettive del popolo nostro. Del passato dobbiamo valerci non come un titolo di credito scontato, ma come avallo del nostro prossimo futuro. Dobbiamo mostrare loro, qui e fuori, dovunque si incontrino, la vera figura dell'Italia, risultante dai suoi pensatori, dai suoi scrittori, dai suoi scienziati, non in termini di notorietà, nazionale, ma di valore intrinseco. La notorietà mondiale, ad esempio, di Vilfredo Pareto o di Benedetto Croce è conseguenza della universalità delle loro dottrine […]”
Allo stesso tempo occorreva abbandonare la saccente convinzione, instillata dalla boria fascista, che gli stranieri – e specialmente gli americani – non avessero nulla da insegnare agli italiani in fatto di cultura. Un atteggiamento respingente e provinciale che aveva contraddistinto gli elementi più vanagloriosi dell’apparato propagandistico del fascismo all’estero, persuasi di essere portatori di una forma più alta di civiltà:
“Le scempiaggini purtroppo ripetute e credute, che i nostri cosiddetti pubblicisti hanno scritto o divulgato negli ultimi vent'anni, sul "paese dei dollari" e sull'"affarismo americano" ci hanno fatto grandissimo torto, perché hanno messo a nudo la nostra voluta ignoranza, figlia di vanagloria senza base. [...] L'italiano, e specialmente italiano che ha rapporti con l'estero deve riflettere che esiste anche nel terreno culturale una bilancia fra esportazione ed importazione; nessun paese, per quanto ricco, può illudersi di esportare soltanto”77.
1.4.3 La presidenza Orlando e i tentativi di ricostruzione: la collaborazione con le sedi diplomatiche
Con l’arrivo di Vittorio Emanuele Orlando alla presidenza la gestione commissariale terminava e la Dante poteva riacquistare una certa autonomia. A metà del ’46 il consigliere centrale, Antonio Nogara, tracciò un bilancio dell’attività svolta dalla presidenza generale nei primi sei mesi dell’anno: in Europa, la ripresa era ancora stentata e i comitati ricostituiti si limitavano all’Austria (Vienna e Salisburgo, a fronte
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55 dei cinque esistenti prima della guerra) dove però la polemica in corso contro l’Italia sulla questione altoatesina rendeva poco agevoli le loro attività, alla Danimarca (con la recente rinascita del comitato di Copenhagen), alla Finlandia (con Helsinki) e alla Svezia (Stoccolma).
In Olanda era rimasto aperto il comitato dell’Aja, ma il professor Romano Guarnieri, il principale animatore della iniziative culturali italiane nei Paesi Bassi già dagli anni ’20, segnalava confidenzialmente a Roma l’opportunità di rimuoverne i direttori e ristrutturarlo completamente: esso era infatti inviso a molti olandesi a causa dei legami che aveva mantenuto, durante l’occupazione tedesca, con il partito collaborazionista. Si doveva ripartire con attenzione e serietà: “Il bluffismo non è per l’Olanda. Palloni gonfiati si afflosciano ben presto in questo clima. E’ necessario costruire su basi solide col tempo e la perseveranza”78
. Un giudizio interlocutorio fu espresso anche dal ministro d’Italia all’Aja, Bombieri, nel maggio ’46: “L'impressione che si trae da questi primi contatti è che una ripresa dall'attività della Dante sia prematura. Esistono ancora a nostro riguardo dei pregiudizi ed una certa freddezza. Ancora l'atmosfera non è chiarita sufficientemente: l'opinione pubblica non è abbastanza orientata ed illuminata. Dovranno passare ancora dei mesi finché l'opera di riavvicinamento, iniziatasi colla riapertura della Rappresentanza italiana, possa dare i suoi effetti”. Il rappresentante italiano, scrivendo alla Direzione Italiani all’Estero, ribadiva con durezza il monito già