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Alla vigilia del Trattato di pace: l’Italia come vittima del fascismo e protagonista della Resistenza europea

1.3.1 Un’Italia sofferente, eroica e pronta alla ricostruzione: cinema neorealista e mostre della resistenza

Nei mesi precedenti la firma del Trattato di pace (ma in parte anche in seguito, con la richiesta di revisione dello stesso avanzata dalla nostra diplomazia), l’Italia cercò attraverso le relazioni culturali di diffondere l’immagine di un Paese che, dal 1943 al 1945, aveva combattuto strenuamente a fianco delle potenze alleate e aveva ricoperto un ruolo di primo piano nella resistenza europea al nazismo. Attraverso film, opuscoli e libri, conferenze e discorsi tenuti da professori, intellettuali e diplomatici italiani all’estero, si puntò a dissociare completamente l’immagine del popolo italiano da quella del fascismo. I tratti su cui s’insisteva maggiormente erano le profonde convinzioni pacifiste degli italiani, nascenti dalla civiltà dell’umanesimo e del rinascimento, il mito romantico dell’Italia come “giardino” e come “museo”; ma anche, per gli anni più recenti, le immani sofferenze patite dall’Italia sotto il fascismo (presentato come un regime che non aveva mai goduto di ampi consensi da parte della popolazione). Nelle stesse occasioni, si forniva una previsione positiva delle doti di recupero del Paese, promuovendo l’immagine di una grande riscossa morale dalle macerie la quale, partita con la resistenza, sarebbe proseguita con l’opera di ricostruzione. Sebbene esistessero letture conflittuali sui più recenti avvenimenti italiani, che in seguito si sarebbero scontrate duramente in una competizione per la memoria, nel periodo dei governi della coalizione antifascista esse furono per quanto possibile accantonate in nome dell’urgenza di ripresentarsi al mondo come Paese unitario.

La distribuzione in Francia del film di Roberto Rossellini Paisà, ad esempio, fu incoraggiata dall’ambasciata italiana di Parigi assieme alla proiezione del documentario L’Italia s’è desta, che illustrava i primi passi della “nuova Italia”30

. Anche Roma città aperta fu promosso dall’ambasciata parigina, nell’ambito di una “manifestazione di amicizia franco-italiana”, e venne “unanimemente accolto dai critici con commenti

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ASMAE, DGAP 1946-50, Francia, b.7. Ambasciata d’Italia a Parigi, Proiezione film italiano a Parigi, 22 ottobre 1946

29 entusiasti, quali si riscontra[va]no raramente nella stampa francese”31

. Se si pensa alle polemiche e alle stroncature che negli anni successivi saranno riservate ai film del neorealismo da parte degli ambienti governativi italiani, con l’accusa di ritrarre i lati più miseri e degradati dell’Italia e di mostrarli all’estero con grave danno all’immagine del Paese, si comprende l’eccezionalità di un momento in cui erano le stesse rappresentanze diplomatiche a favorirne la diffusione, in nome della straordinaria qualità e novità artistica delle pellicole.

Molte pubblicazioni riguardanti il ruolo delle forze armate italiane nel ’43-’45 e della resistenza furono messe a disposizione dal ministero della difesa e dell’esercito alle ambasciate straniere, in modo che le diffondessero a giornali ed associazioni d’amicizia estere: dal libro Cefalonia di Giuseppe Moscatelli ai bollettini delle azioni partigiane; dalle prime pubblicazioni dell’Ufficio Storico per la guerra di liberazione all’edizione nel ’46, curata dal ministero degli esteri, di un volume sul concorso italiano alla guerra contro la Germania. Giuseppe Saragat, nel periodo in cui fu ambasciatore a Parigi, si disse convinto che, anche grazie a queste iniziative, “l’interesse per le cose d’Italia” stesse aumentando in Francia “di giorno in giorno”. La “epopea dei partigiani, anche se è stata volutamente trascurata dai giornali, ha colpito profondamente lo spirito delle classi dirigenti” e i francesi che “credevano di assistere all’ultimo atto della Tosca […] si sono trovati di fronte alla grandiosità del dramma di proporzioni gigantesche”32

. Importante fu la realizzazione, da parte del Corpo volontari della libertà, di una “Mostra della resistenza italiana” che ebbe luogo a Parigi nel ’46 e che si decise di trasferire anche ad altre capitali, in modo che potesse “rappresentare agli occhi del mondo la base di partenza del nostro lavoro di ricostruzione”. Lo scopo dichiarato della mostra e il motivo per cui la Presidenza del consiglio aveva concesso un contributo di mezzo milione di lire per la sua organizzazione era quello di “influenzare l’opinione pubblica mondiale in favore dell’Italia in modo che facesse sentire il suo peso sulle decisioni dei quattro Ministri degli Esteri: si sperava così che non andasse dimenticato lo sforzo che l’Italia aveva fatto dall’8 settembre 1943 alla conclusione della guerra”33

. Nell’esposizione, su 135 pannelli, 25 erano dedicati alle forze armate italiane – un numero giudicato insufficiente dal ministero della difesa, che avrebbe voluto molto più

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ASMAE, DGAP 1946-50, Francia, b.7, Rappresentazione del film “Roma città aperta” a Parigi, 15 novembre 1946

32

ACS, PCM 51-54, f.15/2, n.12434 sottof.2, Francia. Relazioni con l’Italia, relazione dell’ambasciata di Parigi trasmessa dal MAE con telespresso n. 12/10030/C

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ACS, PCM 44-47, f. 14.1, n.67586, Mostra della resistenza italiana, lettera del CVL alla PCM del 30 luglio 1946

30 spazio per il contributo dell’esercito alla liberazione, ma ritenuto più che adatto dagli allestitori, i quali intendevano soprattutto documentare “l’epopea partigiana”, nella convinzione che fosse poco fruttuoso concentrare l’attenzione sullo stesso esercito che aveva precedentemente invaso la Grecia e la Francia agli ordini di Mussolini e in alleanza con Hitler, e molto più vantaggioso far conoscere all’estero la lotta popolare contro il nazifascismo, presentandola come fenomeno di massa. L’anno successivo fu dato alle stampe un volume in più lingue, La Resistenza italiana, e la mostra fu tenuta in Svizzera, inaugurata da Ferruccio Parri a Zurigo, e in seguito trasferita anche a Basilea e Ginevra.

1.3.2 Lo sguardo alla Francia tra incomprensioni, rivalità e tentativi di riavvicinamento

Naturalmente la pretesa dei governi di “unità nazionale” di cancellare in pochi mesi il ricordo dell’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania non poteva trovare facile affermazione. Accanto ad alcune aperture di credito, si registravano molte ironie, critiche e contestazioni: nel luglio del ’45 il ministero degli esteri era giunto a protestare con l’addetto all’informazione dell’ambasciata francese a Roma per il “tono e beffardo e denigratorio” con cui i corrispondenti di alcuni grandi quotidiani d’oltralpe trattavano le faccende italiane34. In una delle prime occasioni di ritrovo artistico dopo la fine delle ostilità, il congresso internazionale del film di Basilea svoltosi nella tarda estate del ‘45, la delegazione italiana (fra i cui componenti era il regista e sceneggiatore Alberto Lattuada) imputò alla intromissione statale durante il fascismo di aver “impedito ogni possibilità di una produzione artistica e libera” e propose all’attenzione dei cineasti stranieri un film – girato sotto gli auspici del ministero della guerra - sulla partecipazione italiana alla guerra dopo l’8 settembre 1943. Nel riferire sull’andamento del congresso il ministero degli esteri si compiacque della partecipazione italiana “modesta, ma efficace” e della capacità degli italiani di suscitare “vivaci discussioni specie nel campo dell’influenza statale sull’arte cinematografica”, ma registrò anche lo spiacevole atteggiamento del consolato francese, che aveva offerto un ricevimento ai delegati di tutti i Paesi tranne l’Italia, e di un gruppo di delegati e giornalisti che,

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ASMAE, DGAP 1946-50, Francia, b.7, telespresso n.12/12323 Signor Jacques Gachet – Addetto

31 all’inizio di un intervento del regista Luigi Comencini, aveva abbandonato per protesta la sala in cui si svolgevano i dibattiti35.

La tensione tra Italia e Francia, riscontrabile anche in questi episodi, andò tuttavia stemperandosi nel corso degli anni successivi per la comune volontà, maggioritaria nelle classi dirigenti di entrambi i Paesi, di chiudere le pendenze psicologiche lasciate dalla seconda guerra mondiale e valorizzare i tratti comuni delle due “sorelle latine”. Già nel ’46 fu infatti creata al Collège de France una cattedra di civiltà italiana, assegnata allo storico Augustin Renaudet, il quale si occupava di studi sull’umanesimo e inaugurò un ciclo di lezioni aperte al pubblico riguardanti il Rinascimento; inoltre fu concluso un accordo cinematografico per dare inizio a coproduzioni italo-francesi e reciproci invii di pellicole, e venne organizzata una mostra di pittura e scultura italiana nei locali del “circolo degli artisti” di Parigi. In ogni caso, la sensazione italiana era che gli scambi fra i due Paesi fossero del tutto asimmetrici e che occorresse al più presto iniziare a lavorare per un accordo culturale che disciplinasse la questione, e mettesse in evidenza che l’Italia non si considerava in posizione di subalternità. Il rappresentante italiano a Parigi, Benzoni, segnalava nell’agosto del ‘46 la “tendenza francese a considerare l’Italia quasi come una futura provinciale culturale francese” e l’idea diffusa nell’opinione pubblica che “il fascismo abbia praticamente interrotto ogni possibilità per l’Italia di abbeverarsi alla cultura francese e che perciò il nostro paese sia oggi sitibondo”. Questo induceva l’ambasciata a “far comprendere chiaramente al Quai d’Orsay” che, se in futuro si fosse voluto sviluppare le relazioni culturali italo-francesi, esse si sarebbero dovute svolgere “su un piede di pariteticità”. Si assisteva infatti ad una “invadenza francese in Italia già […] accentuata”, con una “profonda differenza esistente in fatto di istituzioni culturali francesi in Italia e di analoghi enti italiani in Francia”, nonché riguardo allo scambio di borsisti e studenti; insomma una “situazione di unilateralità […] ad esclusivo beneficio della Francia”36

. Il mezzo dell’accordo culturale, vero e proprio trattato internazionale da cui sorgevano obblighi giuridici per le parti contraenti, poteva servire ad un riequilibrio e l’Italia cercherà di stipularne numerosi negli anni successivi.

In Spagna fu un professore del regio liceo italiano di Madrid, Mario Penna, a dare alle stampe nel ‘45 un libro (Italia, otra vez) di appassionata difesa dell’Italia in cui cercava

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ACS, PCM 44-47, f. 13/2 n.49236, Congresso Internazionale del Film – Basilea (agosto-settembre

1945

36

ASMAE, DGAP 1946-50, Francia, b.7. Ambasciata d’Italia a Parigi, Relazioni culturali italo-francesi, 13 agosto 1946

32 di spiegare le cause della sconfitta e di riproporre i “valori eterni incarnati dalla cultura italiana”, in un Paese particolarmente scioccato dal contrasto fra la propaganda del regime fascista e la rovinosa disfatta dell’Italia. Il Ministero degli Esteri si sforzò di dare pubblicità al volume anche nei Paesi ispanofoni del Sud America, giudicandolo capace di condannare oggettivamente gli errori e le colpe del fascismo, ma al contempo di mettere in buona luce il popolo italiano martellato dalla propaganda e “vittima di una illusione collettiva di potenza”37

. Il modo italiano piuttosto disinvolto di presentare il ventennio ed il suo epilogo era oggetto di attenzione da parte dei servizi d’informazione degli alleati: quelli francesi, nell’ottobre del ’46, segnalavano da fonte qualificata come “abbastanza buona” che la propaganda italiana all’estero si sarebbe sviluppata, in vista del trattato di pace, su queste basi:

“L’Italie democratique a toujours existé et elle a toujour lutté contre le fascisme. Cette Italie democratique a toujours demandé l’aide de la France et de l’Angleterre pour abattre Mussolini mais elle s’est heurtée à deux personnes: Samuel HOARE et Pierre LAVAL. L’Italie democratique n’est pas responsable du fascisme, c’est l’Angleterre et la France qui sont les responsable”38.

Mentre ambasciate e consolati si sforzavano di riavviare iniziative per la promozione culturale dell’Italia, prendevano contatto con elementi locali per ridare vita ad associazioni culturali italo-straniere, si facevano promotori delle prime produzioni artistiche, cinematografiche e letterarie dell’Italia post-bellica, essi osservavano anche la ripresa delle iniziative da parte degli altri governi, intuendo il ruolo tutt’altro che secondario che la diplomazia culturale avrebbe potuto svolgere negli anni successivi, in un contesto di crescente sviluppo e velocità dei mezzi di comunicazione, e a maggior ragione per quei Paesi che, nel nuovo quadro dei rapporti fra gli stati, perdevano d’importanza politica e militare. L’attenzione dell’Italia si rivolgeva ai grandi vicini europei, e fra questi alla Francia in modo particolare, data l’esperienza che il Paese transalpino aveva accumulato nel campo degli scambi culturali. L’ambasciata italiana a Parigi, il 17 gennaio 1947, inviava a Roma alcune considerazioni che servivano da analisi e da stimolo affinché l’Italia emulasse i vicini:

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ASMAE, DGAP 1946-50, America Latina, b.3. Ambasciata d’Italia a Madrid, telespresso n. 3489/1270

“Italia otra vez” di Mario Penna, edito da Editorial Mayfe di Madrid, 9 giugno 1945

38

AMAEF, Europe 1944-…, Italie, b.188/8, Documentation extérieure et contre-espionnage,

33 “La decadenza della Francia nel quadro politico mondiale, ha portato quasi istintivamente queste sfere dirigenti a porre l’accento sul ruolo che essa può ancora avere nel campo intellettuale ed ha creato una corrente che tende a sostituire al perduto prestigio politico un prestigio culturale destinato ad attirare l’attenzione degli altri Paesi sulla nazione francese, sulla sua produzione letteraria ed artistica e su orientamenti filosofici più o meno originali. Elementi questi che, nella mutata situazione politica internazionale, sono stati giustamente giudicati come fattori permanenti di propaganda tanto più necessari a questo Paese in quanto con la loro divulgazione si intende bilanciare negli ambienti intellettuali l’influenza che potranno avere alcune concezioni anglosassoni, che stanno concretandosi in seno all’UNESCO, e che mirano a fare della cooperazione intellettuale tra le Nazioni più uno strumento di educazione e di rieducazione delle masse che un sistema tendente a facilitare tra l’élite mondiale la diffusione del pensiero e della scienza”

Questa concezione francese era simile a quella italiana, cosa che se da un lato poteva creare le condizioni per una proficua collaborazione nel campo culturale, dall’altra poneva le basi per un certo grado di competizione e di sovrapposizione fra i ruoli che entrambi i Paesi intendevano svolgere nel mondo postbellico. Tanto l’Italia quanto la Francia, sebbene in condizioni diverse, ambivano a porsi come portavoce della cultura europea classica, umanistica, latina, quasi in funzione di contraltare della cultura tecnico-scientifica di marca anglosassone. Benzoni proseguiva:

“La Direzione Generale per le relazioni culturali con l’estero [della Francia] dispone di cospicui fondi che vengono impiegati, sia periodicamente, a titolo permanente, sia per circostanze particolari […]. Oltre all’opera svolta dal Ministero degli Esteri, esplica una notevole azione di propaganda culturale anche l’”Alliance Française” […]”39.

Il senatore socialista francese Joseph Paul-Boncour, che era stato ministro degli affari esteri per due volte durante gli anni ’30, fu uno dei promotori nel dopoguerra dell’idea di un “blocco latino” comprendente Italia, Francia e Spagna (in subordine alla speranza che presto il Paese iberico si sarebbe liberato dal franchismo) il quale avesse una certa autonomia fra le due nascenti aree d’influenza americana e sovietica. A quasi un anno dalla fine della guerra, scriveva rivolgendosi al pubblico italiano:

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ASMAE, DGAP 1946-50, Francia, b.17, telespresso n. 00540/189, Cultura francese all’estero, 17 gennaio 1947

34 “L'ora è giunta di riavvicinare i due paesi, che il fascismo, utilizzando, amplificando, esasperando i malintesi latenti, aveva divisi e gettati l'uno contro l'altro, all'istante stesso in cui la Francia era prostrata e i suoi traditori la consegnavano al vincitore. Occorre farlo con urgenza. Perché lo si voglia o meno, due blocchi contrapposti si stanno delineando: da un lato gli anglosassoni, dall'altro la Russia con i satelliti, che la sua vittoriosa potenza le ha consentito di assicurarsi nell'Oriente europeo [...]. Quale il ruolo che spetta a noi, popoli latini, se non quello di unirci, di costituire anche noi un blocco? Non certo per opporsi agli altri due blocchi, che, d'altronde, ci soverchierebbero con la loro massa. […] Ma per servire da trait d'union e da conciliatori, svolgere il ruolo storico che spetta alle nostre vecchie civiltà, che ci hanno lasciato il retaggio glorioso di un culto comune della libertà umana, della dignità dell'individuo, l'amore della cultura e la cura dell'ideale”40

1.3.3 Gli sforzi della diplomazia italiana in America: la ripresa del ’46-’47 nell’America latina, le difficoltà negli Stati Uniti.

Per il momento, comunque, si trattava di propositi inattuabili e i principali Paesi latini perseguivano ciascuno autonomamente le proprie politiche. L’America meridionale costituiva un teatro d’azione privilegiata per la Francia, oltre che, ovviamente, per la Spagna, così come per l’Italia dati i vincoli creati dai molti emigrati (in particolare in Brasile e Argentina). I rappresentanti diplomatici ritenevano importante che l’Italia mantenesse un livello alto di presenza in quest’area, dove il prestigio francese vedeva un grande rilancio già nei primi anni del dopoguerra. Commentando la proiezione di un film sulla resistenza francese nel dicembre del 1947, l’ambasciata italiana a Rio de Janeiro notava come i transalpini fossero “sempre molto attiv[i] nel campo della propaganda culturale e politica”, e invitava il nostro ministero degli affari esteri a fornire pellicole di simile contenuto, in quanto “la valorizzazione dell’attività degli italiani potrebbe rappresentare, specialmente mentre si parla di revisione del duro trattato di pace impostoci, un utile contributo per suscitare simpatia e comprensione, particolarmente in questi paesi lontani, in cui molto si ignora di quanto è avvenuto in Europa e in cui si ricorda molto l’Italia mussoliniana mentre si dimentica spesso l’Italia cobelligerante e democratica”41

. Far conoscere la lotta partigiana era importante anche per contrastare le impressioni suscitate da “altri films” – ed ecco un esempio delle

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Il blocco latino, di J.Paul-Boncour, in “Italiani nel mondo”, a. II, n.6, 25 marzo 1946

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35 critiche che il neorealismo iniziava ad attrarsi - che dipingevano l’Italia come “esclusivamente popolata di sciuscià e di segnorine (sic)”.

In alcuni Paesi dell’America latina gli sforzi italiani furono notati, non benevolmente, dalle diplomazie straniere: in Perù “la propagande italienne, qui avait pratiquement disparu depuis la rupture, a réapparu brusquement d'une façon massive” – segnalava a Parigi con allarme l’ambasciata francese a Lima nel maggio del ’4642. Quanto all’Argentina, a metà del 1946 l’ambasciatore francese rimarcava gli inaspettati progressi compiuti dall’Italia nel volgere dell’ultimo anno: “la situation de l’Italie […] s’est constamment améliorée depuis quelques mois et même ces temps derniers, d’une façon extremement frappante. Quand je suis arrivé ici, il y a un an, elle était aussi diminuée que possible. […] On peut dire che l’Italie ne comptait plus”. Grazie all’azione dei diplomatici italiani “dans la presse, à la radio, l’Italie a repris une place notable et très nettement sympathique aux Argentins”. Un attivismo che si manifestava “notamment dans le domaine culturel” e trovava sponde sia negli ambienti governativi di Peròn sia nell’opposizione democratica. La volontà degli italiani in Argentina (“dont l’immense majorité était ardemment fasciste”) di riacquistare un ruolo preminente nella società li aveva spinti ad appoggiare anche economicamente le iniziative prese dall’ambasciata per tornare a diffondere la voce dell’Italia43

. La presenza di fratture e memorie divise sul fascismo all’interno della vasta comunità di origine italiana e l’importanza politica dell’Argentina nel quadro latinoamericano inducevano il ministero degli esteri a dedicare particolare attenzione a questo Paese: non si poteva dubitare della “attualità e [dell’]importanza della nostra azione culturale in Argentina”, ma occorreva affidare il compito a “una persona di particolare competenza, nuova dell’ambiente, non legata nel presente né legata nel passato a specifici atteggiamenti politici, ad esempio un giovane professore universitario”, un elemento “con esperienza dell'estero, conoscenze linguistiche, capacità organizzativa, attitudini sociali e insomma persona "seria e competente", che avesse il “compito di prendere in mano e rinnovare il vecchio Centro di Studi Italiani, di mantenere contatti con tutti i numerosi professori universitari italiani qui residenti, di fomentare, incoraggiare e potenziare manifestazioni culturali italiane, di studiare e a suo tempo concretare la creazione del proposto Istituto [di cultura]”44.

42

AMAEF, Italie, Amérique latine-Italie 1944-1949, b.82, Ambassade de France au Perou, Lima, Activité

italienne au Perou, 16 maggio 1946

43

AMAEF, Italie, Amérique latine-Italie 1944-1949, b.82, Ambassade de France en Argentine, Situation

de l’Italie en Argentine, 22 luglio 1946)

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36 Anche nell’altro maggiore Paese del continente sudamericano, il Brasile, per poter procedere ad un’opera di rilancio dell’immagine italiana era preliminarmente necessario pacificare ed unire gli emigrati, fra i quali numerose erano le tensioni politiche e le perplessità riguardo ai cambiamenti che stavano avvenendo nella madrepatria: il passaggio dal regime fascista alla democrazia e il possibile cambiamento istituzionale da monarchia a repubblica. L’ambasciatore Martini a Rio de Janeiro istruì nel febbraio ‘46 i consoli della sua città, di Porto Alegre e San Paolo a “usare la massima prudenza