offensive Basterà chiuderli in una camera, scemare il vitto, proibir loro le vest
3. L’AMORE: i luoghi e le occasion
«Amore è che mi fa fare la scelta»
Siamo marito e moglie Giacché voi vi degnaste D’una rustica mano. Per altro vi assicuro, Che alla cittade, e in conversazione Da Donna saprò far di condizione1
.
Abbiamo visto allentarsi le maglie con cui l’obbedienza teneva vincolati i figli, consentendo che altri sentimenti trovassero varchi per emergere e che altre energie venissero mobilitate. Non che i giovani non si innamorassero o non si piacessero anche prima, di nascosto o a dispetto dei genitori. Si potrebbe scrivere un intero libro sul ruolo di mezzane recitato dalle finestre e dai balconi, prendendo a spunto Shakespeare, le avvertenze dei predicatori e i numerosi processi sulle disattese promesse matrimoniali2.
Alcuni elementi del gioco dell’amore, dell’emozione e dell’attrazione tra i sessi che prenderemo ora in esame non costituiscono certo una novità; pur tuttavia sono calati in una realtà diversa, in una cultura che legittimava i sentimenti come forze vitali e ‘naturali’ espressioni degli individui, che stava solo a loro governare. Né ora pareva più giustificabile sacrificare gli affetti o costringerli in una dimensione residuale; «Non vi è altro bene al mondo che un’amabile amica, degna dei movimenti del nostro cuore»3, scriveva Pietro Verri nella maturità,
segnalandoci che nell’aspirazione a una ‘vita compiuta’ il posto dell’amore nel secolo diveniva assai più centrale e una strada per condurre a una vita equilibrata e felice, capace di coniugare la sensibilità con la ragione4.
Se non possiamo escludere l’affetto nell’orizzonte matrimoniale dei secoli precedenti, né siamo in grado di sondare la ‘qualità’ del sentimento, forse più plausibilmente potremmo pensare che l’intricata matassa di interessi familiari, materiali e di emozioni che aveva tradizionalmente prevalso5 e in cui gli interessi avevano fatto la voce più
1
Giovanni Bertati, L’avaro, libretto del dramma giocoso per musica, Venezia, Gio. Battista Casali, 1775, dialogo della contadina Laurina con Stefanello, figlio di signore, p. 61.
2
Sull’iconografia delle finestre in relazione al matrimonio cfr. Silvana Seidel Menchi, Cause matrimoniali e iconografia nuziale. Annotazioni in margine a
una ricerca d’archivio, in I tribunali del matrimonio, pp. 670-676.
3
Pietro Verri, lettera al fratello Alessandro, in Anglani, «Il disotto delle carte», p. 215, ma si vedano anche le precedenti.
4
Sulle trasformazioni della concezione di ‘eudemonia’, ovvero vita compiuta e in quanto tale felice, da virtù dalla caratterizzazione prevalentemente razionale e tendenzialmente ascetica all’edonismo socializzante del Settecento: de Luise- Farinetti, Storia della felicità, pp. 289-400.
5
Hans Medick –David Sabean, Interest and Emotion in Family and Kinship
grossa, cominciasse ad essere dipanata dai giovani e non solo da loro. A partire soprattutto dalla metà del secolo, da più parti la critica alle nozze stipulate per logiche d’interesse familiare si faceva pressante e il modello del matrimonio d’inclinazione conquistava sempre più terreno, anche per la spinta del secolo verso la felicità6. «Qual è dunque la donna che fa per
me?» chiedeva esasperato il figlio in un cruciale dialogo de Il padre di
famiglia di Diderot. «Quella che, per educazione, stato e patrimonio, può
assicurarti la felicità e soddisfare le mie speranze» rispondeva il genitore. Ma il giovane ribatteva: «Così il matrimonio significherebbe per me un legame d’interesse e d’ambizione! Padre mio, non avete che un figlio; non sacrificatelo a una mentalità che riempie il mondo di sposi infelici»7.
Più di un figlio aveva indubbiamente pronunciato frasi simili nel passato ma le probabilità di successo di un’opposizione al dominio paterno e alla sua direzione della sfera sentimentale erano assai scarse. Il
metus8 del padre era saldamente incardinato nei principi di sovranità e
nell’universo gerarchico che informavano la vita, le relazioni tra gli individui e il loro modo di percepirsi nella prima età moderna. Ma, come si è visto, a metà Settecento il percorso di critica all’autorità, alla legittimità del dominio paterno, e il rafforzamento di una prospettiva individualistica ne avevano eroso in gran parte la forza e le ragioni. Ed erano in molti ormai a pensarla e a sentirla in questo modo e non solo alcuni isolati intellettuali. Un notevole incoraggiamento ai matrimoni di inclinazione contro le pratiche di nozze forzate dalle famiglie era derivata dai risultati dell’intenso dibattito avvenuto all’interno del Concilio di Trento: alla fine, come è noto, era prevalsa la posizione che ribadiva la centralità dei soggetti contraenti le nozze e la loro libera volontà9. Su tale orientamento la distanza tra lo spirito di famiglia, il
valore contrattuale del matrimonio e quello sacramentale si era andata nel tempo approfondendosi.
Inoltre questo ‘sentire’, specie dagli anni ‘70 del Settecento, aveva iniziato a intaccare il terreno sul quale, nei ceti aristocratici, si erano consolidate alcune ‘pratiche compensatorie’, ovvero dei canali di sfogo naturale dei bisogni affettivi e sessuali mortificati dai costituti del matrimonio: cicisbeismo, adulterio e reciproche libertà di direzione della propria vita all’interno della coppia10. Tali vie di uscita però non
apparivano più allettanti alternative per i giovani. La soluzione prospettata dalla madre della veneziana Giustiniana Wynne, «Maritati, e
Interest and Emotion, Essays on the Study of Family and Kinship, Cambridge
1984, pp. 9-27.
6
Maurice Daumas, Le mariage amoureux: histoire du lien conjugal sous
l'Ancien Regime, Paris, Armand Colin, 2004.
7
Diderot, Il padre di famiglia, p. 119.
8
Giuliano Marchetto, Il volto terribile del padre. «Metus reverentialis» e
matrimonio nell’opera di Tomas Sanchez (1550-1610) in I tribunali del matrimonio, pp. 269-288.
9
Lombardi, Matrimoni di antico regime, pp. 258-263; Margherita Pelaja – Lucetta Scaraffia, Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 115-6.
10
poi continua un’amicizia, che così t’è cara»11, per uscire da una situazione
che sembrava bloccata a causa delle differenze sociali con l’innamorato patrizio Andrea Memmo12, e poteva solo danneggiarla nel mercato del
matrimonio, non era più accettata negli anni seguenti con la medesima disinvoltura; se imposta creava conflitti che conducevano alla richiesta di separazione13. Il gioco della galanteria risultava artificiale, i suoi dettami,
come il suggerimento rivolto dalla dama Cornelia Barbaro Gritti a un amico in ambasce tra i propri sentimenti amorosi e il divario sociale con la donna oggetto del suo affetto – «l’amorosa non si sposa mai» –, non reggevano più14.
Diderot mostrava tutta la differenza di mentalità che separava due generazioni, che su questo si confrontavano: il padre indicava strade antiche: «Che differenza tra un amante e uno sposo! Tra una moglie e un’amante! Uomo senza esperienza, tu non lo sai», ma il figlio sdegnato rispondeva: «Spero di non saperlo mai»15.
Non era solo il filosofo oltremontano a cavalcare questo tema; i teatri di tutta Europa anche in musica rinfocolavano tale distanza di sentire, segnalando una cesura psicologica e temporale, una mutazione antropologica che si erano fatte strada nel cuore e nella ragione degli individui. Ne Le Nozze in contrasto, un dramma giocoso scritto da Giuseppe Bertati, rappresentato per la prima volta a Venezia nel 1779 e con successo riproposto sino a fine secolo in moltissimi teatri europei16,
Dandina cantava la sua volontà di ricomporre il matrimonio con il cuore, abbandonando altre strade:
Di viver fanciulla non ho stabilito; anch’io vò marito E presto lo avrò. Ma vò contentarmi, ma il cor vo che goda, perciò maritarmi non voglio alla moda; acciò dopo un mese mi veda il paese,
che anch’io col Servente qua, e là me ne vo17
.
11
Bruno Brunelli, Un’amica del Casanova, Palermo, Sandron, 1924, p. 69.
12
Andrea Memmo, di Piero e Lucia Pisani, nato il 29 marzo del 1729, si sarebbe sposato nel 1769 con Elisabetta Piovene.
13
Cfr. Plebani, Socialità e protagonismo femminile nel secondo Settecento, pp. 70-80.
14
Ivi, p. 77.
15
Diderot, Il padre di famiglia, pp. 121-2.
16
Claudio Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Cuneo, Bertola & Locatelli, ha identificato ben 21 libretti.
17
Giovanni Bertati, Le Nozze in contrasto, Venezia, s. n., 1779, p. 53. La stessa critica si ritrova in Lo sposo disperato, dramma giocoso per musica di Giovanni Bertati, rappresentato al teatro Giustiniani S. Moisé autunno 1777; lo sposo ‘rustico’, non cittadino e ignaro delle pratiche del ‘mondo’ protestava: «Dunque lei sta in gabinetto/conversando co' Signori,/ E il marito ha da star
«Amore è che mi fa fare la scelta», assicurava in quegli anni il marchese Francesco Albergati Capacelli alla figlia del gazzettiere veneziano Domenico Caminer, per convincerla che il legame sentimentale che stava coinvolgendoli era ben diverso da quello che aveva dovuto stringere per volere del padre, che gli aveva assegnato una sposa a soli diciannove anni. Dopo quell’esperienza, segnata da logiche del passato e sfociata fin da subito in un ménage di vite separate e indifferenti, Capacelli scriveva alla sua Bettina:
Io non voglio legami che mi stringano a soggezioni cerimoniose, a convivere con una donna senz’anima, e a donar la mia pace e i miei più dilettevoli trattenimenti, perch’ella viva interamente a suo senno, e a norma della moda e della sregolatezza presente18
.
Se dunque un’energia nuova e inedite aspettative conducevano a guardare con altri occhi i legami matrimoniali, non per questo scomparivano dall’orizzonte le difficoltà. Queste per lo più avevano un nome: disparità. Tuttavia se accostiamo alla forza penetrante della cultura della sensibilità, l’affievolirsi via via più tangibile dei valori che avevano alimentato la predominanza aristocratica e il mantenimento delle gerarchie sociali, onore, virtù come purezza di sangue, genealogia, comprenderemo perché il terreno su cui l’avversione alle mésalliances aveva un tempo prosperato, si fosse fatto piuttosto friabile.
La virtù e l’onorabilità si ricalibravano su altre istanze, quelle che la
Pamela del Richardson aveva fatto circolare in tutta Europa e che
rendevano possibile il superamento delle barriere sociali, sulla base di nuovi valori. Gli aveva fatto eco il Goldoni con una assai fortunata riproposizione della vicenda della servetta, in cui anche i personaggi minori, come la governante Jevre, chiamavano in causa la natura a ristabilire quelli che ora erano considerati principi di giustizia sociale:
Io ho sentito dir tante volte che il mondo sarebbe più bello, che se non l’avessero guastato gli uomini, i quali per cagione della superbia, hanno sconcertato il bellissimo ordine della natura. Questa madre comune ci considera tutti eguali, e l’alterigia dei grandi non si degna dei piccoli. Ma verrà un giorno, che dei piccoli e dei grandi si farà nuovamente tutta una pasta19
.
La cultura del tempo consentiva di portare sulle scene di un teatro, dinnanzi a un pubblico eterogeneo, una giovane domestica, Pamela, che spiegava al suo padrone che cosa fossero l’onore e la virtù:
Signore, io sono una povera serva, voi siete il mio padrone. Voi cavaliere, io nata sono una misera donna; ma due cose eguali abbiam noi, e sono queste la ragione e l’onore. Voi non mi darete ad intendere d’aver alcuna autorità sopra l’onor mio; poiché la ragione m’insegna esser questo un tesoro indipendente da chi che sia. Il sangue nobile è un accidente della fortuna; le azioni nobili caratterizzano il grande20
.