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fuori,/ Perché il vuol la civiltà [ ] A che gioco qua si gioca?/ Di sentire già

4. L’AMORE: i protagonist

L’agency delle donne

Ora però è venuto il momento di avvicinarci più da vicino agli attori in scena in queste storie d’amore. La casistica è piuttosto varia, tuttavia si fanno avanti con particolare insistenza alcune categorie di persone. Anche da questo aspetto non si possono ricavare statistiche e bilanci: le nostre fonti, specialmente la voce degli Inquisitori, gettano luce prevalentemente sui conflitti, sugli amori contrastati, sulla disparità e pertanto assegnano un ruolo di primo piano specialmente agli appartenenti del variopinto mondo del teatro. Oppure svelano il profondo coinvolgimento della servitù domestica negli affari e nei sentimenti delle famiglie o ancora la particolare attrazione esercitata dalle donne impegnate in alcuni mestieri urbani di grande visibilità, come abbiamo già visto.

L’allarme che proveniva dai parenti e che segnalava soprattutto la seduzione di ballerine, cantanti, massere e camerieri è tuttavia significativa delle peculiari caratteristiche culturali della società del tempo, sottolinea infatti la rilevanza del teatro, l’attenzione richiamata dai suoi interpreti e rende evidente fenomeni di ‘gusto’ e nuove attrattive personali incarnate da particolari figure femminili e maschili.

Ma al di là dei casi specifici, un elemento pare stagliarsi con particolare rilevanza nel consistente gruppo di donne e uomini coinvolti negli amori contrastati delle carte degli Inquisitori di Stato oppure degli incartamenti della Curia Patriarcale. Al di là delle differenze di ceto e di istruzione, ciò che li accomuna in genere è un deciso protagonismo, che si staglia ancor più nettamente per i personaggi femminili. L’agency delle donne è in primo piano1: gettano sguardi, inviano lettere, allacciano reti

protettive, cercano la complicità di parenti e amici, chiedono carte matrimoniali; come vedremo scappano di casa o meditano di farlo, si trovano all’alba con l’innamorato per sorprendere il parroco e convolare a nozze, contrastano i voleri del padre. Non rinunciano al loro amore alla prima avversità ma si ingegnano, tentano, osano, mettono in campo le informazioni e gli strumenti che hanno in mano, dimostrano caparbietà nei loro intenti. Delle 53 donne ‘sfrattate’ dalla città o dallo Stato che compaiono tra le annotazioni degli Inquisitori non poche fanno ritorno a Venezia. Antonia Garzoni che il 13 gennaio del 1747 era stata espulsa su richiesta dei famigliari del Nunzio Apostolico, «a salvezza d’un nipote», aveva trovato il modo, alcuni mesi dopo, di rientrare nella Dominante. Il Tribunale decideva di farla «fermar in prigione pochi giorni», poi, dopo l’ammonizione, era condotta a Padova dal fante2.

1

Stone ha messo in relazione una maggiore richiesta di libertà da parte delle donne con un’istruzione più diffusa, Famiglia, sesso e matrimonio, pp. 391-4.

2

Gli Inquisitori dovevano darsi molto da fare con Tonina Patriarca, che abbiamo incontrato nella supplica del padre del patrizio Antonio da Riva, destinato a Sopracomito in Levante, sfrattata da Venezia il 26 maggio del 1747, per impedire che lo seguisse e potesse avverarsi un matrimonio fuori controllo. Tonina ritornava senza permesso in città in giugno; riallontanata, veniva rilasciata il 9 agosto con l'ordine di stare tranquilla e di mettersi il cuore in pace. Ma Tonina teneva al suo Antonio. Il 10 dicembre il Tribunale era informato che si era trasferita a Malamocco per imbarcarsi e giungere a Corfù dove l’attendeva il da Riva. Gli Inquisitori mandavano il fante Ignatio Beltrame a prelevarla con la peota, la tenevano in prigione qualche giorno e dopo una solenne ammonizione la rimettevano in libertà, costringendola però a rimanere a Venezia3.

La bolognese Rosina Testori non era meno determinata: condotta a Vicenza nel 1752 «mal soffrendo l’allontanamento da lei di persona patrizia» aveva continuato a colmare le distanze con la carta da lettere per mantenere viva la relazione4. Nel 1763 veniva così condotta dal

fante a Pontelagoscuro5, presso il confine dello Stato, da cui non doveva

più rientrare per sei anni, pena la vita. Ma il 7 maggio dell’anno successivo, gli Inquisitori annotavano che Rosa Testori era ritornata, «con animo di nuovamente muovere le cose stese per le quali fu sfrattata»6.

Inutile dire che venne riallontanata.

Francesca Pavin Comina da Camisan, territorio vicentino, che viveva a Venezia divisa dal marito, aveva sedotto un giovane patrizio, Paolo Emilio Canal7, che coabitava con lei «con tal rovina di se stesso, che

perduto affatto in costei, prostituiva il carattere con azioni le più turpi, ed ignominiose». Comminato «alla rea femina» lo sfratto dalla città in 3 giorni, pena la vita, agli Inquisitori toccava rioccuparsene: era infatti rientrata e si era rifugiata nella zona franca costituita dalla casa dell’Ambasciatore Cesareo e dal suo entourage, poi era transitata in quella dell’ambasciata di Spagna, decisa a «rinovar le insidie e di continuar la rea pratica con lo stesso N.H. patrizio e con le stesse gravissime conseguenze». Veniva incarcerata e dopo più di un mese portata dal fante alla barca di Padova e sfrattata, «sotto la pena di finir poi la sua vita in un carcere»8.

L’agency femminile si dispiegava anche in altre direzioni, talvolta nel rivolgersi direttamente alle autorità e chiedere ragione delle misure patite o invocare giustizia per torti subiti in vicende amorose. Il 21 gennaio del 1763 Leonida Maria Montanari, nativa di Ravenna, che nel 1761 - mentre era al servizio della nobildonna Agnese Donà Foscarini -

3

Ivi, b. 533, 26 maggio, 9 agosto, 10 dicembre 1747.

4

Ivi, b. 536, 11 giugno 1763, c. 170r.

5

Pontelagoscuro si trova a pochi chilometri da Ferrara, ubicato sulla sponda destra del Po.

6

ASVe, IS, A, b. 536, 26 agosto 1762, 11 giugno 1763, b. 537, 7 maggio 1764. Ovviamente fu sfrattata di nuovo.

7

Paolo Emilio Canal, del ramo dell’Anzolo, di Girolamo e Michelangela Diedo, era nato il 17 novembre 1734; si sarebbe sposato nel 1787 con Orsola Laskovich, P. 1792, p. 108.

8

era stata fatta «imbarcare sopra la corriera di Ferrara», chiedeva di rientrare non conoscendo il motivo dello sfratto. Gli Inquisitori facevano un’indagine e «si ritrovò una supplica in nome della N.D. che ne richiedeva l’allontanamento come disturbatrice della quiete della sua casa». Ciò che Leonida aveva inquietato era forse il ricordo della figlia Giustina Donà dalle Rose, sposata nel 1733 con Polo Renier9, uno dei

partiti più prestigiosi del patriziato, che sarebbe divenuto nel 1779 penultimo doge. Affascinante e brillante politico era stato destinato all’unico matrimonio dei maschi della sua famiglia. Morta la moglie nel giugno del 1751 non aveva rinunciato alla sua libertà amorosa, come avremo modo di vedere anche in seguito. Nella supplica agli Inquisitori Leonida raccontava infatti la sua versione: aveva chiesto lei congedo alla nobil donna su «istigazione e sedduzione di rispettabil soggetto» che si era impegnato con una scrittura a «contribuirmi zecchini 120 all’anno per tutto il corso della mia vita». Allegava la carta sottoscritta dal ‘rispettabil soggetto’ che esordiva con: «Prometto io Polo Renier di Andrea di contribuire...». Non era una promessa matrimoniale ma certamente Polo Renier si era impegnato a dare una posizione e una sicurezza economica a Leonida, riconoscendo la relazione amorosa che doveva essere stata di lungo periodo. Si trattava di uno stato extramatrimoniale, ma data la notorietà del patrizio, non era certo compatibile con una collocazione come domestica. Ma a quel punto era intervenuta la supplica della Donà Foscarini. Leonida scriveva: «mi vidi trasportata fuori di questa città in altro cielo dove languisco e mi consumo»10. Gli Inquisitori annotavano

che nel frattempo la nobildonna Donà Foscarini era morta e liberavano la Montanari.

Veniamo a un caso che aveva fatto parlare di sé la città e che abbiamo già incontrato: il matrimonio clandestino di Giacomo Correr e Giovanna Gasparini, che dopo la relegazione del giovane, la consegna della donna al convento trevigiano, era sfociato nell’annullamento delle nozze. Se il patrizio veniva fatto convolare con Anna Petagno, Giovanna non sembrava rassegnarsi passivamente a tale soluzione e soprattutto richiedeva agli Inquisitori, attraverso un procuratore, il ritorno in possesso dei beni di sua proprietà a Venezia e un indennizzo per ciò che aveva subito. Giacomo prima di fuggire a Bologna, per recuperare denaro che poteva loro servire, aveva infatti venduto tutti i mobili che arredavano la casa di Giovanna e anche alcune gioie, tra cui un orologio d’oro, che lei gli aveva consegnato come dote11. Il Tribunale, il 28

9

Polo Renier era nato il 21 novembre del 1710 da Andrea e Elisabetta Morosini, cfr. Alvise da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Firenze, Giunti-Martello, 1977, pp. 517-531; Hunecke, Il patriziato veneziano, p. 242.

10

ASVE, IS, A, b. 536, 26 maggio 1761; Ivi, S, b. 720, supplica di Leonida Maria Montanari, 1761; Ivi, A, b. 536, 21 gennaio 1763.

11

Ivi, b. 531, 28 sett 1733. Gli Inquisitori annotavano che dopo il «taglio del matrimonio clandestinamente contratto Correr e Giovanna Gasparini», la relegazione a Chioggia del giovane, la sua liberazione e lo sfratto della Gasparini, si era venuto a sapere che «dal N.H. Giacomo Correr erano stati tolti li di lei mobili, parte de quali venduti, e parte impegnati con alcune gioie, et un orologgio d’oro e fu creduto necessario e conveniente al decoro del

settembre 1733, obbligò il padre del giovane, Todero Correr, «a soddisfar quanto vi era di debito»12. Si apriva così una lunga vertenza che

Giovanna conduceva con fermezza, anche dopo il suo rientro in città, consentito a seguito del matrimonio di Giacomo, nel 173513. La trattativa

si chiudeva solo due anni, dopo una sua supplica14, giunta ai primi di

settembre del 1737, che faceva il punto delle cose successe, dei torti subiti, dei suoi diritti15 e non tralasciava di mettere sotto accusa la pretesa

equità della giustizia veneziana:

La materia fu, ed è tutellata da questo gravissimo Tribunale, che conoscendo la giustizia di mie pretese commandò ad entrambi l’elezione de due patrizi, che decidessero deffinitivamente ogni cosa. Facile fu al N.H. Correr la scielta nel N.H. Pier Girolamo Cappello per suo giudice, ma impossibile fu a me il trovar giudice in tal materia in tali circostanze, ed in contraposizione del N.H. Cappello. [...quindi], conscia della religiosa giustizia di cotesto grande Tribunale, ho voluto col mezo di questa mia umile, ossequiosa supplica tutta rigata di lacrime renderle noto lo stato mio infelicissimo affidata dalle chiare ragioni della mia causa, ma molto più dalla ferma, e pietosa giustizia, che so certamente regnare negl’animi religiosi e giusti di VV.EE. che vorranno dar quel piano all’affare mio ben particolare et strano, che la loro caritatevole virtù saprà dettarle a consolazione d’una infelice, che vive più di singulti che di sostanze16.

Il 28 settembre gli Inquisitori annotavano che «il Procurator Giacomo Capello, eletto mediator da ambo le parti, ha terminato l’accomandamento delle differenze che vertevano tra N.H. Giacomo Correr de Todero e Giovanna Gasparini»17: non sappiamo se Giovanna sia