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supplica di Nicolò Pedrocco, agosto 1776 e Ivi, b 727, supplica di Nicolò

Pedrocco, aprile 1777.

75

Domenico Pagan chiedeva che fosse inoltre allontanato dal padre un ecclesiastico, don Giuseppe Rizzi, giudicato un cattivo consigliere.

76

Sui dissidi in famiglia: Joanne M. Ferraro, Marriage wars in late Renaissance

Venice, Oxford, Oxford University Press, 2001; Daniela Hacke, Women, sex and marriage in early modern Venice, Aldershot : Ashgate, 2004.

77

Giulia Calvi, Il contratto morale. Madri e figli nella Toscana moderna, Roma- Bari, Laterza, 1994, pp. 112-113.

78

Stone, Famiglia, sesso e matrimonio, p. 8.

79

Hazard, La crisi della coscienza europea, p. XII. A tale proposito ha scritto Carlo Capra sul contrasto tra figli e padri a metà Settecento: «La generazione precedente, per contro, era ancora legata a un modello familiare dominato dai rapporti d’autorità [...] a cui andavano sacrificate le istanze individuali, e a un modello educativo fortemente intriso di elementi religiosi, che vedeva nel bambino un essere incline al peccato e all’errore, da correggere e da raddrizzare prima che fosse troppo tardi», Carlo Capra, I progressi della ragione.

preponderante nella documentazione che ci è pervenuta per i secoli precedenti e particolarmente coinvolgente la volontà delle figlie. Nel 1544 una giovane veneziana trasferitasi a Feltre scriveva alla madre, rimasta in laguna, confessandole la sua viva speranza di sposare l’uomo con cui amoreggiava da tre anni. Il suo desiderio tuttavia era posto in secondo piano; nel concludere la sua lettera, si rimetteva infatti all’obbedienza dei genitori: «Non di meno, carissima madonna madre, essendove figliuola desiderosa in tutte le cose obedientissima et connoscendovi avida d’ogni mio bene, rimeto il tuto al sano giuditio vostro essendo sempre pronta ad osservare et operare quanto per voi et per nostro padre mi sarà commesso»80.

Un secolo dopo a Venezia Arcangela Tarabotti componeva un’opera dal titolo esplicito, La Tirannia paterna, in cui si rivolgeva direttamente ai padri in difesa delle figlie, svelando ciò che veniva occultato dal precetto dell’obbedienza:

In vero preziosissimo tesoro fu in ogni secolo, e è da stimarsi la libertà. Chi dunque rapisce questa, ch’è un tesoro, è un empio masnadiero. Tali, e peggiori voi sète, che servendovi di pretesti santi, per ispogliarle del libero arbitrio, potete anche meritatamente esser chiamati sacrileghi81

.

Quel genere di accuse e la rivendicazione della propria libertà, soprattutto del decidere del proprio stato e della scelta del coniuge in quegli stessi anni cominciavano a circolare anche tra le giovani donne patrizie e borghesi82: Gracimana Contarini nel gennaio del 1688 inviava

una ferma supplica agli Inquisitori di Stato appellandosi a ciò che definiva la «libertà del mio arbitrio», affinché tutelassero la sua piena facoltà di dirigere il «più importante de miei interressi del Matrimonio»83

contro le manovre messe in atto dallo zio tutore.

Potremmo pensare che alcune parole, tra cui in primis obbedienza, proprio dal tempo di Tarabotti iniziassero a perdere energia, che altre invece la acquistassero, come libero arbitrio, sentimento, diritto di

natura. Le parole scadute erano quelle in mano ai padri, quelle che

pulsavano erano monopolio dei figli. Se torniamo ai giovani veneziani del Settecento e ci inoltriamo nella seconda metà del secolo incontriamo meno indecisione e remore e ascolteremo giudizi piuttosto netti su ciò che ora viene definito come “dispotismo” paterno.

80

Gigi Corazzol – Loredana Corrà, Esperimenti d’amore. Fatti di giovani nella

Feltre del Cinquecento, Feltre, Libreria Pilotto, 1981, p. 59.

81

Il titolo venne poi modificato cfr. Arcangela Tarabotti, La semplicità

ingannata, edizione critica e commentata a cura di Simona Bortot,

presentazione di Daria Perocco, Padova, Il Poligrafo, 2007, p. 270.

82

Deborah Crivellaro, Le «figlie innobedienti»: il caso Attilia Capra Chiericati

(sec. XVII-XVIII), «Archivio Veneto», V, 198 (2004), pp. 60-90.

83

ASVe, IS, S, b. 714; Il caso di Gracimana Contarini è trattato in Plebani, Se

«Dei padri! Dei padri! Non ce n’è... ci sono solo dei tiranni»

La sovranità dei padri era del resto stata oggetto di un notevole ridimensionamento in campo culturale e politico in tutta Europa, a partire dal Seicento, in relazione con un nuovo modello di Stato e di autorità che avanzava. Il potere del padre ne usciva seriamente incrinato, i doveri di obbedienza e sudditanza della moglie e dei figli venivano ridimensionati e circoscritti. La famiglia vi appare oramai come un luogo di negoziazione e i singoli individui, portatori di diritti naturali irrinunciabili, potevano anche contare sullo Stato come garante e regolatore dei loro rapporti.

Il potere del padre da assoluto veniva declassato a “relativo” e comunque, se reputato privo delle caratteristiche che ne giustificavano l’affidamento della conduzione della famiglia, diveniva giudicabile e il suo statuto modificabile. Il padre doveva fare i conti con l’ordine dello Stato84.

Nonostante ponesse la sovranità del padre ad origine di ogni sovranità umana, già Bodin, nello scorcio del ‘500, aveva dovuto ammettere che la realtà non rispecchiava pienamente la sua dottrina:

la mancanza di autorità del padre e il venir meno del timore reverenziale nei suoi confronti è una delle principali fonti dei processi e delle liti di oggi: ormai i magistrati sono occupati quasi esclusivamente a dirimere le questioni fra marito e moglie, fra fratelli e sorelle, e ancor più fra padri e figli85

.

Il dialogo di Torquato Tasso, uscito a pochi anni di distanza, nel 1582, sul padre di famiglia esprimeva bene la distanza che andava crescendo tra l’idea del padre come monarca assoluto e una situazione in bilico tra il potere e il sentimento. Prima di tutto nel Tasso la comparazione dei poteri tra principe e padre si presentava assai sfumata: nonostante alcune similitudini, il governo dello stato e quello della casa apparivano di natura diversa86. La gerarchia era inoltre capovolta e il padre doveva

uniformarsi alle regole della sfera di governo:

l’educazion de’ figliuoli è cura in guisa del padre di famiglia, ch’ella insieme è del politico, il quale dovrebbe prescrivere a’ padri il modo co ‘l quale dovessero i figliuoli allevare, accioché la disciplina de la città riuscisse uniforme87

.

84

Sul rapporto tra lo Stato e i padri nella prima età moderna, cfr. Angelo Turchini, Sotto l'occhio del padre. Società confessionale e istruzione primaria

nello Stato di Milano, Bologna, Il Mulino, 1996; Angiolina Arru, Le contraddizioni dell’identità maschile: un’introduzione, in La costruzione dell’identità maschile nell’età moderna e contemporanea, 1° settimana di studi,

Pimonte, febbraio 1998, a cura di Angiolina Arru, Roma, Biblink, 2001, p. 9.

85

Jean Bodin, I sei libri dello Stato, a cura di Margherita Inardi Parente, Torino, UTET, 1964, libro terzo, p. 213 (ed. or. Les six livres de la République, 1576); cfr. Ginevra Conti Odorisio, Famiglia e Stato nella «Republique» di Jean Bodin, Torino, Giappichelli, 1999.

86

Torquato Tasso, Il padre di famiglia, in, Torquato Tasso, I Discorsi dell’arte

poetica, Il padre di famiglia e l’Aminta, annotati per cura di Angelo Solerti,

Torino, Paravia, 1901, pp. 137-138 (ed. or. Il padre di famiglia, 1582).

87

Erano successivamente i teorici del pensiero politico e del contrattualismo i fautori del ridimensionamento del potere paterno e della distinzione con la sovranità dello Stato; se già Grozio, nel primo Seicento, perimetrava i confini dell’azione paterna, che peraltro doveva essere condivisa con la madre88, ritenendo arbitrario tutto quanto

eccedesse da tali limiti, con Thomas Hobbes riceveva una poderosa spallata. Anche il dominio paterno aveva necessità del consenso del figlio stesso, un consenso che doveva essere «espresso o sufficientemente dichiarato»89. Se il tema del consenso pareva

accomunare il sovrano al padre, Hobbes concludeva differenziando i due poteri e il loro governo: «tuttavia una famiglia non è propriamente uno Stato»90.

Il pensiero che nello “stato naturale” ogni uomo fosse uguale all’altro e che tra donne e uomini, adulti e minori, non esistesse un principio assoluto di gerarchia, di autorità o superiorità, iniziava a circolare con forza, erodendo le vecchie categorie mentali e introducendo un nuovo modo di vedere e di rapportarsi anche tra sessi e generazioni. Se non era il dominio che teneva insieme una coppia e i figli, ciò che li univa non poteva che ritrovarsi nella sfera dei sentimenti.

John Locke approfondiva la critica all’origine del potere del padre di famiglia attaccando duramente un testo che aveva riscosso molto interesse, uscito nel 1680: il Patriarca di Robert Filmer, il quale aveva costruito il suo procedere dimostrando che tutta l’autorità derivava dal primo patriarca, Abramo91, e che il dominio del padre non era solo

economico bensì di natura politica92. Nel primo dei suoi trattati sul

governo93, Locke smontava invece la tesi della derivazione del potere da

Adamo94, innanzitutto perché il suo potere di monarca avrebbe

comunque avuto inizio non alla sua nascita ma solo dopo la creazione di Eva e perché in ogni caso la donna era presentata come signora delle creature e proprietà del mondo; allo stesso modo anche il presunto «diritto di natura fondato sul padre non poteva che aver preso avvio successivamente, dato che Adamo non fu creato insieme ai figli»95.

Dunque il potere di Adamo, ironizzava Locke, consisteva in «un

88

Huig de Groot, Le droit de la guerre et de la paix, Amsterdam, Pierre de Coup, 1724, p. 279 (ed. or. De iure belli ac pacis, 1625); il rapporto con i figli configura,a differenza di quella formata con la donna, di una società di disuguali, non in rapporto alla verità ma riguardo al diritto, Ibidem.

89

Thomas Hobbes, Leviatano, a cura di Tito Magri, Roma, Editori Riuniti, 2005, p. 126 (ed. or. Leviathan, or the Matter, Forme and Power of a

Commowealt ecclesiastical and civil, 1651).

90

Ivi, p. 130.

91

Robert Filmer, Patriarca o il potere naturale dei re, in John Locke, Due

trattati sul governo col Patriarca di Robert Filmer, a cura di Luigi Pareyson,

Torino, UTET, 1948, pp. 439-527: p. 449 e segg. (ed. or. Patriarcha, 1680).

92

Ivi, p. 462.

93

Locke, Due trattati sul governo, a cura di Luigi Pareyson, Torino, UTET, 1948, p. 449 e segg. (ed. or. Two Treatises of Government, 1690).

94

Ivi, pp. 78-95.

95

bellissimo modo d’esser governante senza governo, padre senza figli e re senza sudditi»96.

Anche la sovranità paterna era ridimensionata e compartita con la madre, a cui Locke attribuiva uguale diritto e contributo alla generazione, certamente sulla scia anche delle importanti scoperte scientifiche dei suoi tempi che implicavano l’abbandono della radicata idea che l’apporto dell’uomo al concepimento fosse di tipo spirituale e riguardasse l’anima. Seppur si potesse poi ammettere l’esistenza di un potere dei genitori sui figli97, questo si palesava di natura esclusivamente

transitoria: «I legami di questa soggezione sono come le fasce in cui sono involti [....] L’età e la ragione, man mano che crescono, sciolgono quei legami fino a farli cadere del tutto e lasciano l’uomo alla sua propria libera disposizione»98.

Ancor più nel secondo trattato, Locke procedeva nella demolizione delle ineguaglianze “naturali” viste come politiche: l’unione tra un uomo e una donna è istituita da un contratto volontario, basato sulla scelta di procreazione dei figli. Non vi è all’interno un rapporto di dominio bensì «reciproco aiuto e assistenza, nonché una comunione d’interessi necessaria non solo a coniugare la cura e l’affetto tra i coniugi, ma necessaria anche alla loro prole comune»99. Se la base del contratto

diveniva la volontà comune di mettere al mondo dei figli, la stabilità della coppia coniugale, necessaria durante la loro infanzia, non aveva ragione di essere ancora obbligatoria qualora essi avessero raggiunto l’autonomia100:

vi sarebbe motivo di chiedersi perché questo contratto, laddove sono state assicurate la procreazione l’educazione della prole e si è provveduto alla successione ereditaria, non possa considerarsi risolto per consenso, o allo scadere d’un tempo determinato,o a certe condizioni, come qualsiasi altro contratto volontario. Non vi è, infatti, né nella natura della cosa, né nei suoi fini, la necessità che esso debba sempre durare tutta la vita101

.

È assai significativo il fatto che Locke, in caso di conflitto, introducesse tra marito e moglie proprio lo Stato, nella figura del magistrato civile102,

confermando la natura di un terreno regolato da contratto e dal diritto. Come abbiamo visto nel caso del giovane Antonio Bon e come vedremo in molti altri casi veneziani, tra l’ordine dello Stato, la ragione familiare e

96

Ivi, p. 80.

97

Il potere dei genitori specificava Locke «non va oltre il compito di potenziare mediante la disciplina che ritiene più efficace, una tale forza e salute nei loro corpi e un tale vigore e dirittura nelle loro anime, da bastare a renderli il più possibile utili a se stessi e agli altri», in Ivi, p. 143.

98

Ivi, p. 131.

99

John Locke, Il secondo trattato sul governo. Saggio concernente la vera

origine, l’estensione e il fine del governo civile, introduzione di Tito Magri,

traduzione di Anna Gialluca, Milano, BUR, 2007, p. 163 (ed. or. The Second

Treatise of Civil Government, 1690).

100

Ivi, pp. 163-165.

101

Ivi, p. 167.

102

Sul suo ruolo: «il magistrato civile non limita il diritto o il potere che l’uno e l’altra hanno [...] ma decide delle eventuali controversie che potrebbero sorgere fra marito e moglie a proposito di quei fini stessi», Ivi, pp. 169-175.

i figli si inserivano infatti sempre più alcune istituzioni e ruoli professionali a indirizzare e mediare i conflitti domestici, tra cui avvocati, intervenienti e giudici ecclesiastici e civili103, con esiti talvolta imprevisti.

La negoziabilità dello statuto familiare, secondo Locke, era tale che poteva attribuire alla donna la scelta univoca di recidere il legame: «Il potere del marito è così tanto lontano da quello di un monarca assoluto che la moglie ha in molti casi la libertà di separarsi da lui, quando il diritto naturale o il loro contratto lo consenta»104. Anche Pufendorf

proseguiva in questa direzione, segnando la distanza tra il reggimento di uno Stato e di una famiglia: in casa non vi erano sudditi, la coppia si creava grazie a una «corrispondenza d’amore fondata sopra l’impegno assunto nella matrimonial convenzione»105 e l’autorità maritale e paterna

non era pertanto «un’autorità propriamente così detta, che importi diritto di castigo, e di violenza» e neppure derivava da Dio bensì dalla »stipulazione matrimoniale» 106. Gli faceva eco David Hume che scriveva

in favore del divorzio e contro ogni costrizione familiare, sintetizzando: «Il cuore ama la libertà»,107.

Le idee di Locke e questo ampio dibattito non se ne stavano chiusi nei libri ad aspettare che qualcuno andasse a rovistare tra i polverosi scaffali di una libreria, bensì alimentavano le conversazioni nei caffè, le pratiche e le idee di una cultura che utilizzava molti strumenti e linguaggi. Nel Carnevale del 1750 a Venezia debuttava Il padre di

famiglia di Carlo Goldoni, due anni più tardi era la volta de La figlia obbediente. Bastava accostarsi a questo genere di teatro, come a gran

parte del melodramma, per accorgersi di quanto si fosse trasformata la concezione della paternità: le armi della forza erano spuntate e messe sotto accusa dallo spirito del tempo. Un padre per essere autorevole doveva essere giusto e soprattutto amorevole108. Non era più concepibile

la vita in famiglia come in un regno dispotico, da cui era difficile anche uscire. Florindo, un personaggio de Il padre di famiglia, spiegava perché voleva sposarsi pur non essendo innamorato:

Prendo moglie per essere capo di famiglia; per uscire dalla soggezione del padre; per maneggiare la mia dote, per prendere la mia porzione della casa paterna; per dividermi dal fratello; per fare a modo mio, e per vivere a modo mio109

.

103

Marco Bellabarba, La giustizia nell’Italia moderna XVI-XVIII secolo, Roma- Bari, Laterza, 2008, pp. 189-193.

104

Ivi, pp. 168-169.

105

Samuel Pufendorf, Il diritto della natura e delle genti, rettificato, accresciuto

e illustrato da Giovambattista Almici, Venezia, Pietro Valvasense, 1757, p. 288

(ed. or. De iure naturae et Gentium, 1672).

106

Ivi, p. 282.

107

David Hume, Saggi morali, politici e letterari, p. 378. David Hume che pensava che l’uomo fosse superiore alla donna, tuttavia riteneva che «la sovranità del maschio è un’autentica usurpazione e distrugge quella vicinanza di grado, per non dire di eguaglianza, che la natura ha stabilito fra i sessi», Ivi, p. 374.

108

Plebani, Se l’obbedienza non è più una virtù.

109

Carlo Goldoni, Il padre di famiglia, a cura di Anna Scannapieco, Venezia, Marsilio, 1996, dall’edizione Bettinelli del 1751, pp. 183-4. Si veda anche la

Le battute di Florindo ricalcavano le ragioni e le parole con le quali il bolognese Francesco Albergati Capacelli motivava l’accettazione del matrimonio impostogli dal genitore nel 1748, a soli 19 anni, e con essa la possibilità di uscire dal giogo parentale110.

I padri tirannici divenivano figure odiose e riprovevoli sulle scene teatrali e nelle pagine dei romanzi: il pubblico parteggiava per i giovani, chiedeva una fine diversa. Ricordate il brano della Gazzetta di Gozzi? Quegli stessi avventori del caffè, che abbiamo immaginato commentare il brano che narrava di un padre padrone, arrivati alla fine potevano leggere la conclusione della vicenda. Il padre «abbracciò e baciò i figliuoli, li rassicurò, pianse con loro teneramente e scambiò la natura sua». Gasparo Gozzi aggiungeva, a mo’ di morale: «Scrivo tutto questo fatto per ordine di lui medesimo, il quale desidera che possa essere di qualche giovamento»111.

I padri amorosi e illuminati non imponevano forzatamente ai loro figli degli sposi, bensì, come Orgone, il genitore della Silvia de Il gioco

dell’amore e del caso messo in scena da Marivaux, chiedeva a lei di

esprimersi chiaramente sul giovane che le presentava:

ho deciso queste nozze con suo padre, che è un mio vecchio e intimo amico; ma a condizione che si stabilisca fra di voi una reciproca simpatia e che abbiate tutta la libertà di dire quel pensate; ti proibisco assolutamente di essere compiacente con me: se Dorante non ti conviene, non hai che da dirlo, lui se ne ritorna; se tu non convieni a lui, lui se ne ritorna allo stesso modo112

.

Amore filiale e amore paterno si confrontavano fuori delle gabbie dell’obbedienza, che cominciava a non trovare più totale appoggio nel diritto comune113 e che, a seguito dell’ampio dibattito interno al Concilio

di Trento, risultava assai indebolita anche in materia ecclesiastica114. Non

può stupire dunque trovare ampia risonanza di questa discussione sull’autorità paterna in uno dei più ristampati e diffusi manuali per