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che le idee cartesiane si andavano consolidando i suoi primi fautori cercarono

2. UN SENTIMENTO IN CRISI: L’OBBEDIENZA

Gli ormeggi della famiglia

Novembre 1760: tra i banchi del caffé di Floriano sotto le Procuratie circola il nuovo numero della Gazzetta di Gozzi. Qualcuno legge ad alta voce. Sentite cosa dice quel buon diavolo di Gasparo:

Sogliono alcuni padri valersi co’ loro figliuoli di una certa massima, cioè che non importa loro di essere odiati, purché ne vengano temuti; non sapendo che la sola amicizia ed intrinsichezza gli farebbe amare e ubbidire, e che laddove non è amore e domestichezza, nasce la malizia, la simulazione, la dissimulazione, la bugia, e talora la licenziosità e la scostumatezza. Chi può star volentieri con le persone temute?1

.

Il foglio narrava degli scompigli avvenuti in casa di un padre così severo e rigido da provocare una violenta reazione dei figli; un fatto accaduto veramente e non una “novelletta”, teneva a precisare lo scrittore2.

Possiamo immaginare che i convenuti al caffé non avessero alcuna difficoltà nel collegare l’articolo del giornale con ciò che ogni giorno si veniva a sapere sui conflitti che opponevano giovani e genitori, padri e figli. Qualcuno avrà difeso le ragioni dei figli, qualcuno avrà rimpianto i tempi passati, i tempi dell’ubbidienza, quando vigeva un dispositivo in grado di informare e regolare le relazioni tra le generazioni3.

Ma di tali fatti non erano ingombri solo i fogli dei giornali, i libretti delle scene teatrali e i romanzi più alla moda. Accanto alla parola che è di scena adesso – obbedienza – ve n’è un’altra che chiede di entrare con una certa prepotenza e che ci segnala che i problemi non erano circoscritti alle famiglie e allo scontro tra le generazioni. Questi episodi infatti riempiono le pagine dei registri delle Annotazioni degli Inquisitori di Stato, soprattutto a partire dalla seconda metà del Settecento: è quindi Stato l’altra parola che finora non era apparsa all’orizzonte ma che di qui in avanti non potremo più ignorare.

Gli Inquisitori di Stato, nati dalla costola del Consiglio dei Dieci e in costante relazione con tale consesso, componevano la magistratura penale che presiedeva alla segretezza degli affari dello Stato, ai delitti di

1

Gozzi, Gazzetta Veneta, n. XXXIV, in Idem, Opere, VIII, Padova, Tipografia della Minerva, 1819, p. 162-3.

2

«Io però non dico veruna cosa che non mi sia stata narrata dagli amici, o da persone che per affetto alla gazzetta colla voce o con polizze cercano d'impinguarla», Ivi, p. 162.

3

Marco Cavina, Il padre spodestato, L’autorità paterna dall’antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2007. Pater familias, a cura di Angiolina Arru, Roma, Biblink, 2002. Tiziana Plebani, Se l’obbedienza non è più una virtù. Voci di

figli a Venezia (XVII-XVIII secolo), «Cheiron», numero monografico a titolo Generazioni familiari, generazioni politiche, a cura di Laura Casella, di

natura politica e all’ordine del ceto patrizio4. Scorrendo l’intera

documentazione di note di quello che era considerato il ‘supremo’ Tribunale, consegnata in diciotto corposi volumi in folio e inaugurata nel gennaio del 16435, ci si può fare un’idea di quali fossero considerati i

nemici dello Stato e di come il fronte delle minacce si andò radicalmente trasformando nel tempo, dal secondo Seicento alla fine della Repubblica. Può essere utile, anche ai nostri fini, offrire una breve comparazione. I primi tre registri riguardano gli anni 1652-1673: le annotazioni che vi sono registrate stanno a indicare l’avviamento di un processo avviato da una denuncia segreta o da un confidente o per “pubblica voce”, seguito da un’indagine atta a verificare il fondamento dell’accusa. Analizziamo dunque questi primi vent’anni: le preoccupazioni e gli interventi si accentrano soprattutto sui «maneggi esteri»6. Risuonano nelle pagine degli Inquisitori gli strascichi della

faccenda di Bedmar, di quella presunta congiura spagnola ai danni della Serenissima, che spingeva a seguire attentamente le mosse degli ambasciatori nella Dominante. Si sorvegliavano accuratamente anche le frequentazioni dei forestieri e dei dignitari stranieri con nobili e borghesi cittadini e residenti. Il 24 maggio del 1665 veniva ad esempio avviato un processo contro Catterina Maletti e l’annotazione recita:

4

Sugli Inquisitori di Stato Andrea Da Mosto, L'Archivio di Stato di Venezia:

indice generale, storico, descrittivo ed analitico, Roma, Biblioteca d'arte, 1940,

pp. 54-5; Romano Canosa, Alle origini delle polizie politiche. Gli inquisitori di

Stato a Venezia e a Genova, Milano, SugarCo, 1989.

5

I registri degli Inquisitori coprono 145 anni e si contano circa 7000 annotazioni; si sono conteggiati gli anni 1728-1736 e 1743-1785 per un totale di 3528 annotazioni, mentre per gli altri anni si sono effettuati conteggi a campione. Sino agli anni ’30 del Settecento la media delle annotazioni annue si aggira sulle 30 unità, sale negli anni 40 oltre le 50. Negli anni ’50 e sino alla metà degli anni ’60 oltrepassa di gran lunga il centinaio di annotazioni per anno (ad esempio 1752: 155; 1756, 143; 1760, 100; 1762, 156; 1764, 114; poi il numero ritorna a scendere. Sulle Annotazioni degli Inquisitori di Stato: Augusto Bazzoni, Le annotazioni degli Inquisitori di Stato di Venezia, «Archivio storico italiano», vol. XI (1870), pp. 45-82, in particolare: «il metodo seguito è uniforme e serbato secondo le regole tracciate. Nella colonna di sinistra v’ha il racconto dell’azione incriminata, un sunto del processo, i provvedimenti presi, le disposizioni date dal Tribunale. In fianco, nella colonna a destra, v’è il compendio della sentenza pronunziata, colla firma dei tre Inquisitori», pp. 51-2. Sul loro archivio, inserito per lungo tempo in quello del Consiglio dei Dieci sino alla risistemazione del 1785, Amelia Vianello, Gli archivi del

Consiglio dei dieci. Memoria e istanze di riforma nel secondo Settecento veneziano, Padova, Il Poligrafo, 2009, pp. 102-112.

6

Un parallelo si può tracciare, in tal senso, con le francesi Lettres de cachet: sino agli anni ’20 del Settecento le richieste di restrizione riguardano affari politici e religiosi mentre poi aumentano le richieste provenienti dalle famiglie, in particolare dal 1750, cfr. Les Desordre des familles. Lettres de cachet

des Archives de la Bastille, présenté par Arlette Farge et Michel Foucault, Paris,

Gallimard, 1982, pp. 17-19. Sull’attenzione verso i forestieri: Gaetano Cozzi,

Religione, moralità e giustizia a Venezia: vicende della magistratura degli esecutori contro la bestemmia, Padova, CLEUP, 1968, pp. 26-31.

«poiché nella sua casa vi prattichi il segretario del Residente di Firenze e diversi gentilhuomini»7.

Anche turchi ed ebrei sono presenze costanti e inquietanti nei registri degli Inquisitori e ci confermano l’impressione che allora i pericoli sembravano provenire dall’esterno e comprendevano anche la fuoriuscita di segreti professionali, specie quelli delle manifatture protette quali il vetro, il sapone o altro ancora; per tale ragione, il 25 agosto 1667, venne fatto comparire davanti al Tribunale «Pietro dissegnador da punt’in aria e altro figlio di quello che tien bottega della stessa profession a san Cassan et le fu cominato rigorosamente et non dovesse partir da questa città»8.

I registri degli Inquisitori ci forniscono un prezioso punto di osservazione di ciò che impensieriva i tutori dell’ordine, al di là delle insidie provenienti dagli altri stati: cattiva condotta del clero, libelli infamanti, discorsi contro il governo, stampe pericolose, brogli nelle elezioni delle cariche. Al termine delle indagini e dei processi degli Inquisitori non di rado troviamo degli ‘sfrattati’, persone fatte cioè condurre fuori dai confini dello Stato dal Fante, il braccio esecutivo degli ordini del Tribunale9. Sfila davanti ai nostri occhi un gruppetto di uomini

espulsi dalla Serenissima: il bilancio di questi fuoriusciti, non solo per questi primi vent’anni bensì sino alla metà del secolo successivo, tratteggia un panorama connotato prevalentemente al maschile. Sono rare le donne allontanate ancora per questi tempi ma la proporzione si modificava negli anni a seguire tanto che nelle prossime pagine inizieremo presto a entrare in confidenza con la figura della ‘sfrattata’.

Guardando i primi registri del Tribunale potremo convenire che il ceto patrizio non offriva seri motivi di allarme, piuttosto venivano segnalate alcune forme di indisciplina riguardanti in particolare l’abbigliamento e l’adozione di fogge straniere10: alcuni nobiluomini

venivano ripresi nel 1668 per l’uso della perucca come Ottavio Labia, che, indispettito dal divieto, si era spinto a convincere altri a negare il voto proprio a chi aveva proposto il decreto che le proibiva11. Una

severa ammonizione subivano anche i patrizi Girolamo Priuli, Alvise Foscari 3°, Gerolamo Zustinian e Lunardo Loredan: era giunta infatti la voce che, trasgredendo gli ordini, «havessero portati alcuni pochi capelli posticci»12.

Negli anni successivi, pur rimanendo desta l’attenzione sui dignitari stranieri e sui temi legati agli ordini ecclesiastici, in particolare i Gesuiti,

7

ASVe, IS, A, b. 527, 24 maggio 1665, c. 25r.: «Formatisi il processo fu dato ordine che venisse al Tribunale, ma non fu trovata la donna».

8

Ivi, 25 agosto 1667, c. 29r.

9

Su tale figura cfr. Bazzoni, Le annotazioni, p. 63.

10

Cfr. Tiziana Plebani, La sociabilità nobiliare veneziana nel secondo

Settecento e i problemi dell'abbigliamento, in Sociabilità aristocratica in età moderna. Il caso genovese: paradigmi, interpretazioni e confronti, a cura di

Roberto Bizzocchi e Arturo Pacini, Pisa, Edizioni Plus-Pisa University Press, 2008, pp. 87-104.

11

ASVe, IS, A, b. 527, 18 luglio 1668, c. 33v-34r.

12

i motivi di intervento sui patrizi iniziano ad aumentare. Camuffamento o abbandono dell’abito patrizio13, frequentazione di monasteri anche in ore

notturne14, irriverenza in chiesa15, uscita dallo Stato senza la dovuta

autorizzazione16, facevano assaggiare pene più severe della strigliata da

parte dell’Inquisitore più anziano, compreso il trasferimento coatto in qualche fortezza dello Stato17.

Sbaglieremmo tuttavia a credere che le questioni d’ordine sociale che trovavano accoglienza nelle pagine degli Inquisitori riguardassero esclusivamente membri del patriziato: sotto gli occhi dei magistrati scorreva una società vischiosa e dai confini di ceto alquanto permeabili nelle frequentazioni, nei pensieri, ormai anche nelle aspettative18. I

tentativi di regolare la grande promiscuità incrementata dai numerosi caffé e spacci di acque, soprattutto nei pressi della Piazza S. Marco, per ovvi motivi di segretezza, data la vicinanza della sede politica e la grande circolazione di notizie di ogni sorta, si dimostravano piuttosto fallimentari19.

La lenta corrosione dei principi d’autorità alimentava non solo forme di miscredenza ma ancor più desideri di libertà amorosa e di indirizzo della propria vita20: temi che ormai circolavano sotto molteplici spoglie,

13

Ivi, b. 528, 3 gennaio 1682, c. 24r., ammonizione al N.H. Piero Sagredo fu di Alvise per far rimuovere la novità introdotta dalla moglie «di farsi condur lo strascico da un moretto».

14

Ivi, 7 marzo 1680, cc. 16v-17r.: nella sera del 17 febbraio alle due di notte vari nobili e alcuni abati si erano introdotti nel monastero di San Cosimo alla Giudecca; trattenuti nei Camerotti poi vennero ammoniti «di non andar di notte nei parlatori».

15

Ivi, 8 agosto 1677, c.10r.: ammoniti due nobili per irriverenza in chiesa.

16

Ivi, b. 529, 27 marzo 1686, c. 1v.: annotato che il N.H. Francesco Savorgnan non può uscire dallo stato senza licenza per mesi quattro; Ivi, 30 marzo 1686, c. 2r.: al N.H. Piero Dolfin «fu comandato di non andar a Roma col principe di Branuich».

17

Ivi, 31 dic. 1691, c. 22v.: il N. H. Nicolò Erizzo, trasgredito l’ordine di non andare al Ridotto di San Moisé, condotto nella fortezza di Palma.

18

Cfr. per il parallelo controllo del Consiglio dei Dieci in Francesca Meneghetti Casarin, «Diseducazione» patrizia, «diseducazione» plebea: un dibattito nella

Venezia del Settecento, «Studi veneziani», n.s., XVII (1989), pp. 117-56.

19

ASVe, IS, A, b. 528, 20 giugno 1699, cc. 39v-40r.: dato «il gravissimo disordine introdotto da qualche tempo in qua, che il concorso della nobiltà al Broglio, ch’è luogo venerabile, e sacro, rispettato da chi ci sia, e dove si deve coltivar, e mantener quella perfetta unione, e sincera amorevolezza che ben conviene», che era messo in pericolo «in gran parte dal commodo, e dall’ozio, particolarmente nelle botteghe che vendono acque, caffè, et altro, situate sotto le Procuratie vecchie e nuove, in Piazza, et in Canonica, dove da molti nobili che vi vanno, usando anco discorso naturalmente senza la dovuta cautella, e circospezione d’ogni materia, ch’è molto facilmente rilevata dalla varietà delle persone otiose d’ogni conditione che vi capitano, et anco di segretari, agenti e domestici di ministri de principi» decidevano di ordinare a tutti i gestori di botteghe da acque, caffè, et altro, in tutta la Piazza sino alla Piazzetta di S. Basso, alla Canonica e appresso la bottega degli Armeni, che fossero «totalmente levati li banchi, e sedie di qualunque sorte, tanto esteriori, quanto interiori, e che le stesse botteghe alle 24 ore debbano essere assolutamente serrate». In seguito sarà un continuo concedere deroghe e poi ripristinare lo stesso ordine.

20

anche in canzone. Gli Inquisitori annotavano il 3 gennaio 1689 che si era venuti a conoscenza che nella Chiesa dell’Ospedaletto «sia stata publicamente cantata dalle giovani di quel coro certa compositione volgare in lode di soggetto mondano, con disposizioni non proprie, riguardo al luogo dove non si deve lodar altri che la Maestà divina»21.

Dalla fine del Seicento nelle pagine degli Inquisitori si fanno più frequenti i provvedimenti di sfratto sulle donne, come quello che investiva nel giugno del 1694 Meneghina Padoana abitante in calle della Testa, per comportamenti sospetti22 oppure, qualche anno dopo, la

francese che era solita accogliere, al ponte dell’Angelo «molti soggetti patrizi, anche che vanno in Senato e insieme molti forestieri»23.

Più rilevante ai nostri occhi è l’annotazione del 7 dicembre 1701 riguardante tale Madalena Veronica, una forestiera della contrada di S. Marcilian: vi erano fondate relazioni che assicuravano che il ventenne nobiluomo Alvise Michiel24, fu Tomaso, fosse in procinto di prenderla

per moglie. Gli Inquisitori commentavano che era in gioco il «dishonore del carattere patrizio con obbrobrio alla veneta nobiltà» e intimavano lo sfratto della giovane con partenza entro le ventiquattro ore25.

Con il procedere del tempo la bilancia dei pericoli prendeva a pendere sempre più verso l’interno e i motivi di allarme paiono proprio originarsi dalle fondamenta dello Stato veneto ovvero dalla struttura familiare del patriziato e ne sono portavoce coloro che ne erano stati i garanti sino allora, i padri.

La prima richiesta d’aiuto formalizzata nei registri del Tribunale arrivava da Marco Dandolo: il 26 gennaio del 1718 gli Inquisitori annotavano che, visti «l’irregolare e pericolosa direzzione del figlio Fantin26, il quale non ostante più ammonitioni e castighi paterni continua

una vita scandalosa, impropria et indegna del suo carattere», l’abbandono della casa paterna e il rifugio «in casa di donna di mala vita», il Dandolo supplicava il Tribunale di applicare qualche «ripiego salutare» al fine di scongiurare un «inconveniente disonorevole alla sua famiglia»27. Di quale

inconveniente si poteva trattare? Non v’è dubbio che ciò che si temeva era un matrimonio disuguale. Gli Inquisitori decidevano di spedire Fantin Dandolo, che all’epoca aveva ventotto anni, non proprio un

21

ASVe, IS, A, b. 528, 3 gennaio 1689, c. 8v.

22

Ivi, b. 529, 11 giugno 1694, c. 25r.

23

Ivi, 30 giugno 1700, cc. 43v-44r.; fu ordinato alla donna di andarsene dallo Stato.

24

Alvise Michiel, nato il 29 marzo dell’anno 1681, del ramo di S. Apostoli, da Tomaso e Orsetta Basadonna, Capellari, albero K, c. 82v.; non risulta registrato un suo matrimonio.

25

ASVe, IS, A, b. 529, 7 dicembre 1701, c. 2r.; verificato che la giovane non aveva ubbidito ma si era rifugiata nelle vicinanze della casa dell’ambasciatore di Francia, venne ordinato il suo arresto, eseguito il 4 marzo 1702; dopo sei mesi di camerotti, venne liberata. Veniva anche sfrattato il servitore del Michiel, Ippolito Gardi, che l’aveva aiutata a ripararsi, Ivi, 6 marzo 1702, c. 2v. Luca De Biase, Amor di Stato, Palermo, Sellerio, 1992, pp. 31-2.

26

Fantin Dandolo, del ramo di S. Tomà, di Marco e Piera Pisani, era nato il 21 giugno 1689, P. 1759, p. 99.

27

adolescente ma un uomo fatto e finito, nel castello di Chioggia per ben quattro anni; prima che fosse effettivamente liberato, il 27 aprile 1723, ne dovette trascorrere un quarto, per poi rimanere «in sequestro nella casa paterna», conclusosi a dicembre dello stesso anno alla morte del padre, forse accolta senza troppo dispiacere28.

Qualche anno dopo un simile allarme proveniva dalla famiglia cittadinesca Gallo, che dal 1694 era stata accolta nel patriziato veneziano29: anche lo zio paterno dava man forte al fratello Giovanni

Battista per sollecitare l’intervento degli Inquisitori sul giovane Antonio30

che aveva architettato una fuga con «donna di partito»; il Tribunale gli faceva assaggiare i Camerotti e poi, su richiesta dei parenti, preoccupati della gravità della punizione, la disciplina del quartier generale di S. Nicolò del Lido31.

Da quella data le richieste di intervento da parte dei padri cominciano lentamente a incrementarsi: man mano che si procede negli anni questa insidia prende a occupare sempre più spazio nei registri degli Inquisitori, come una scintilla che prima intacca gli angoli del foglio ma poi divampa con una fiamma incontrollata a mangiarsi tutta la superficie della carta. È ciò che accadrà nella seconda metà del secolo e le cifre sono piuttosto eloquenti; più di trecento sono infatti gli interventi sui figli, e ancor più rilevante è lo spazio che tali faccende si conquistano nei registri degli Inquisitori: negli anni ’60-’70 del Settecento un terzo se non la metà delle annotazioni riguardano figli o figlie disobbedienti e conseguenti richieste di intervento da parte dei padri32.

Il fenomeno è dunque significativo e, come vedremo, in realtà non riguarda solo il ceto aristocratico, che per altro, come ben sappiamo, era tutto fuorché un ceto compatto bensì un universo assai multiforme per possibilità economiche, stili di vita e status sociale e culturale. Col passare del tempo aumenta il numero dei borghesi che chiedono

28

Dopo la morte del padre a Fantin Dandolo, insieme al fratello Zuanne, fu concessa la libertà di poter agire i propri interessi, Ivi, b. 530, 23 aprile 1723, c. 97v.; Fantin inoltre si sposava il successivo mese di marzo con la nobildonna Elena Marin di Girolamo da cui aveva sei figli, ASVe, Avog. SMNF. È rilevante osservare il maggior grado di autonomia dello stato di orfano di padre: Garnot,

On n’est point pendu pour être amoureaux, p. 31.

29

Gio Batta Gallo era stato segretario presso i Capi da Mar e nel Generalato di Palma e poi Provveditor d’Armada, ASVE, Barbaro, Albori,

30

Antonio Gallo, di Gio. Batta di Giovanni e Lucia Boncio, era nato il 5 ottobre 1690, ASVe, Avog, SMNF, e Barbaro, Albori.

31

ASVe, IS, A, b. 530, 27 sett. 1720, cc. 14v-15v. Il 12 dicembre, dopo la custodia al Lido, il giovane veniva condotto di fronte all’Inquisitore anziano e severamente ammonito, rimesso in libertà con il divieto però di «farsi vedere in Piazza». Antonio tuttavia si sposava con la borghese Angela Giusti, forse la stessa non apprezzata dal genitore, probabilmente dopo la morte del padre, avvenuta nel 1726 e nel 1735 faceva testamento, dichiarandole tutto il suo amore e lasciandola erede universale, ASVE, Notarile, Testamenti, Atti Bonaldi, 138,29.

32

Le Annotazioni registrate dagli Inquisitori per gli anni ’60-’70 ammontano a 3528.

interventi sui figli e talvolta si rivolgono ai magistrati anche umili famiglie33.

Se tutto ciò introduce interessanti elementi di riflessione sul ruolo che lo Stato moderno rivestiva nella risoluzione dei conflitti familiari, l’aspetto che ci interessa maggiormente in questa sede è tuttavia un altro e risiede nella possibilità di avvicinarci, seguendo gli intenti di Febvre, alla vita affettiva di allora, ai sentimenti dei padri o delle madri, a quelli dei figli e di comprendere meglio quali dinamiche si stessero originando. Anche se ci troviamo di fronte a un apparato “correttivo” che sa dispiegare alcuni elementi di forza, ciò che ci preme non è tanto indagare sui meccanismi detentivi e le loro logiche bensì tendere l’orecchio per auscultare il movimento sotterraneo che aveva iniziato a scuotere le fondamenta dell’autorità in famiglia e non solo quelle: come un sasso lanciato in uno specchio d’acqua, esso investiva con onde concentriche ampi contesti sociali.

Le carte degli Inquisitori sanno parlarci, a loro modo, dei sentimenti in gioco e soprattutto ci consentono di reperire tracce delle soggettività coinvolte nel processo, parole oltre che pratiche provenienti dai diretti interessati e di realizzare almeno in parte i nostri desideri a riguardo: far parlare i padri, dare la parola ai figli. La nascita della soggettività moderna, che allentava i lacci che tenevano ben saldi gli individui alle comunità, ai gruppi di appartenenza e alle generazioni del passato, ebbe una grande influenza sulla famiglia34, e non certo solo su quella

aristocratica. Potremmo riprendere anche per il nostro ambiente veneziano una bella immagine di Edward Shorter:

La famiglia della società tradizionale possiamo immaginarla come una nave ben salda agli ormeggi, con grandi cavi discendenti da ogni lato a fissarla al