matrimoni», Francesca Cavazzana Romanelli, Matrimonio tridentino e scritture
parrocchiali. Risonanze veneziane, in I tribunali del matrimonio, p. 748. Non
sembra comunque paragonabile al panorama inglese, connotato da un numero assai consistente di mancate registrazioni, presentato da Rebecca Probert – Liam D’Arcy Brown, The impact of the Clandestine Marriage Act: three case-
studies in conformity, «Continuity and Change», 23, 2 (2008), pp. 309-330.
20
Cozzi, Padri, figli e matrimoni clandestini, p. 59.
21
Il decreto Tametsi, relativo alla sessione XXVI del Concilio di Trento recita infatti: «Tametsi dubitandum non est clandestina matrimonia, libero contrahentium consensu facta, rata & vera esse matrimonia, quamdiu Ecclesia ea irrita non fecit» e il passo continua dichiarando condannati da anatema coloro che affermano il contrario e proclamando la falsità di chi sostiene l’invalidità dei matrimoni dei figli di famiglia contratti senza il consenso paterno, Concilii sacrosancti et oecumenici Tridentini canones et decreta, collegit Philippus Chiffletius, Lugduni 1734, pp. 234-5. Proprio su quest’ultimo aspetto la discussione interna al Concilio di Trento si fece serrata e molti padri italiani sostennero le ragioni dei figli contro la tirannia paterna, Lombardi,
Matrimoni d’antico regime, pp.96-117; Jemolo, Il matrimonio nel diritto canonico, pp. 54-59.
22
Cozzi, Padri, figli e matrimoni clandestini, p. 300. La mappa cittadina disegnata dai clandestini include tutte le parrocchie veneziane: da quelle centrali a quelle periferiche.
23
inglese in cui campeggiavano insegne quali “qui si celebrano matrimoni”24.
Il matrimonio clandestino, riuscito o meno, se non implicava famiglie troppo in vista, poteva rimanere un affare circoscritto e costringere a prendere atto della situazione e a essere disponibili a una riconciliazione25. A Venezia si poteva contare su una certa comprensione
dei parroci e sulla benevolenza del Patriarca; anche lo Stato, che pur cercò dalla metà del Settecento di contrastare il totale monopolio ecclesiastico in tutta la materia matrimoniale, non potè o non volle perseguire una strada di vero rigore26. Se nelle carte del Patriarcato è
rimasta traccia degli ecclesiastici che si turavano le orecchie o che scappavano a gambe levate di fronte a due giovani che comparivano con tale proposito, ne sappiamo ben poco di quelli che erano assai più comprensivi delle ragioni dell’amore e che agivano ispirati dal criterio del favor matrimonii.
I dati che abbiamo sotto mano, quelli ricavati dall’Archivio Patriarcale, dagli Esecutori o dagli Inquisitori di Stato, meno affidabili quanto a illustrarci compiutamente il fenomeno, sono comunque assai preziosi: ci avvertono innanzitutto della crescita piuttosto rapida nel Settecento di una pratica trasgressiva, prima poco frequentata, e nello stesso tempo ne evidenziano il ricorso da parte di tutti i ceti sociali. Sfilano nei processi umili camerieri e bottegai, artigiani e uomini delle professioni liberali, caffettieri e aristocratici. Questo incremento ci parla dunque del desiderio di libertà sentimentale che si era fatto strada in ogni ambito della società e che confliggeva non solo con disparità evidenti ma con richieste e costrizioni familiari, aspettative e tradizioni culturali. Sensibilità diffusa, dunque, ma è pur vero che se soppesiamo la quota dei casi coinvolgenti uomini e donne del patriziato, in relazione alla percentuale di tale ceto rispetto al totale della popolazione, non potremo non rilevare la loro pregnanza. Stanno a dimostrarci quanta insofferenza si celasse tra le fila dei suoi membri, specie dei più giovani e quanto gli alberi genealogici avessero radici piuttosto atrofizzate.
Tuttavia quel che qui preme sottolineare è l’emergenza più generale del fenomeno dei matrimoni clandestini all’interno delle strategie che i giovani cominciarono a mettere in atto come strade di uscita da situazioni bloccate, da conflitti o difficoltà di vario genere: tale aumento fu reso possibile dalla circolazione di informazioni, di saperi, di conoscenze specifiche sui requisiti del matrimonio e sulle probabilità di riuscita. Queste informazioni, questo insieme di conoscenze, entrarono a far parte della cultura di cui era imbevuta l’intera società e non solo
24
Stone, Famiglia, sesso e matrimonio, p. 37. Molti stati cercarono di impedire i frequenti matrimoni notturni. Sulla pratica assai comune del matrimonio clandestino in Inghilterra e sui tentativi di regolazione: Probert –D’Arcy Brown,
The impact of the Clandestine Marriage Act.
25
Garnot, On n’est point pendu, p. 63.
26
Cfr. le considerazioni di Cozzi, Padri, figli e matrimoni clandestini, pp. 60- 64.
alcuni suoi settori privilegiati, e andarono a costituire ciò che potremmo chiamare ‘le pratiche del saperci fare’.
Ogni matrimonio clandestino aveva infatti alle spalle un bagaglio di notizie, indicazioni, orientamenti, che si era andato incrementando nel Settecento, alimentando la libertà degli individui, ampliandone l’orizzonte di vita e modificando le aspettative degli individui. A noi questo sta a cuore: scoprire le fonti e i circuiti di informazioni, chi autorizzava i giovani a premere sull'acceleratore della passione, a osare commettere un crimine, che tale era per la Chiesa e per lo Stato il matrimonio clandestino27.
L’energia di cui erano caricati i sentimenti trovava canali concreti entro i quali indirizzarsi e scorrere veloce; il cuore aveva gambe.
Come si fa
Nella maggior parte dei casi che conosciamo, l’attentato al parroco veniva attuato durante la messa del mattino, alle prime luci dell’alba. In molte di queste storie i due innamorati sceglievano di dichiararsi durante la benedizione finale, inginocchiandosi di fronte all’altare presso il quale il prete stava celebrando; così fecero Pietro Baretta e Teresa Piave nel maggio del 1764, ugualmente nello stesso mese del 1777 Caterina Businari e Paolo Craveri nella chiesa di S. Polo oppure il patrizio Almorò Giustinian Lolin28 e Matilde Bianza il 31 maggio del 178629. Non erano
solo la sacralità e la pertinenza del luogo che orientavano i giovani a tale scelta, vi era un ulteriore vantaggio: tutti i presenti alla messa erano trasformati a loro insaputa in testimoni e spesso in chiesa erano presenti più ecclesiastici, che a tempo debito, sarebbero stati ascoltati come voci più autorevoli. Inoltre i rischi dell’insuccesso apparivano assai contenuti: assistere alla messa, confusi tra coloro che assistevano, forniva un’ottima copertura: il parroco di S. Giacomo dell’Orio dichiarava, il 28 maggio del 1752, che mentre si apprestava a dare la benedizione che concludeva la messa delle undici del mattino «ascoltai una voce alta, che mi disse non so quali parole». Il pubblico frequentante le chiese era di tipologia assai varia, tra questo non rare erano le persone malate e deboli di testa e il parroco infatti in un primo momento associò la voce a «un’ossessa solita frequentar la mia chiesa per esser liberata». Si accorse poi della presenza di due giovani: «uno in livrea turchina», era infatti un
27
Sulla storia delle concezioni sul matrimonio clandestino Cozzi, Il dibattito
sui matrimoni clandestini.
28
Almorò Giustinian Lolin, del ramo di S. Vidal, di Alvise e Angela Barbaran, era nato il 2 settembre del 1766; il matrimonio con Matilde Bianca risulta registrato, P. 1792, p. 196.
29
ASPVE, SA, CMC, b. 96, rispettivamente: fasc. 9, 15, 24. Almorò, del ramo di S. Vidal, di Alvise e Angela Barbaran, era nato il 2 settembre 1766; il matrimonio con Matilde de Narcisa Brianza fu regolarmente registrato, P. 1792, p. 196.
lacchè di casa Marcello, «e una figlia molto macilenta che si prendevano per mano»30.
Anche Giorgio Caimo e Giovanna Bagnasco nel 1777 comparivano davanti al parroco benedicente di S. Provolo ma, più originali, preferivano un giorno e un momento assai speciali, la messa della notte di Natale31.
Gli stratagemmi del resto erano i più vari: Pietro Chiavellati e Cecilia Lazari nel settembre del 1758, scartavano il loro parroco di S. Angelo e miravano ben più in alto, forse sperando che la validità dell’atto potesse essere proporzionale all’importanza dell’ecclesiastico coinvolto. Mescolati tra i poveri che chiedevano la carità fuori della Curia, attendevano addirittura il Patriarca32 e mentre scendeva le scale per recarsi a dire
messa, si slanciavano in avanti a proferire il loro consenso. Il giovane Pietro riusciva a pronunciare la fatidica frase mentre la performance di Cecilia venne pregiudicata da un imprevisto: il maestro di camera del Patriarca interveniva con destrezza a coprirle il viso con lo zendale che le incorniciava il volto, così da attutire ogni suono, tanto che il prelato affermò di non aver sentito la voce della donna33.
Qualche altra coppia sorprendeva il parroco gettandosi ai suoi piedi durante una cresima, oppure lo seguiva dopo la messa mentre si ritirava in sacrestia. Il parroco di S. Giacomo dell’Orio dichiarava nell’ottobre 1712 che appena conclusa la messa e allontanatosi dall’altare, mentre era ancora con i paramenti sacri e perfino «con il calice in mano» si trovava al cospetto di una coppia: «se n’affaciano due, cioé Uomo e Donna, e disse l’huomo questa è mia moglie et la donna disse questo è mio marito»34.
Qualcun altro accostava il prete in chiesa o in canonica, fuori delle funzioni liturgiche, oppure inviava conoscenti a chiedergli di conferire. Don Giacomo Bonaccioli, parroco della chiesa di S. Pantalon riferiva che «portatomi al mio solito in chiesa per la porta della mia canonica, prima di celebrar la santa messa, un signore vestito da campagna ma con tabaro mi significò che dentro della medesima appresso la Cappelletta vi erano persone che desideravano parlarmi»35.
Altri ancora preferivano attirare il prete fuori dei suoi territori, intrappolarlo nella propria o altrui casa. Il 28 febbraio del 1721 la
30 Ivi, b. 95, fasc. 16. 31 Ivi, b. 96, fasc. 19. 32
Era Patriarca Giovanni Bragadin, cfr. Antonio Niero, La vita del Patriarcato
di Venezia dalle origini ad oggi. Profilo storico, Mestre, CID, 2005, p. 95.
33
Ivi, b. 96, fasc. 8. Si tratta di una scena simile a quella costruita da Manzoni come difesa di don Abbondio dall’attentato di Renzo e Lucia. Il parroco dei
Promessi Sposi per impedire a Lucia di proseguire la sua dichiarazione le
gettava il tappeto che ricopriva il tavolo del suo studio in modo da coprirle totalmente la testa, cfr. Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. VIII, Milano, Guglielmini e Redaelli, 1840, p. 144. A differenza del racconto del Manzoni, pur nel difetto della dichiarazione di consenso, il matrimonio fu convalidato.
34
ASPVE, SA, CMC, b. 95, fasc. 6, matrimonio clandestino di Angelo Mistura e Elisabetta Crivellari.
35
Ivi, b. 95, fasc. 10, si tratta del matrimonio clandestino del patrizio Sebastian Rizzi e Lucia Rimondi, del 1734.
cantante Agata Morelli e il conte ferrarese Carlo Bottazzi, una coppia che abbiamo già incontrato, riuscivano a far venire nel domicilio della cantante il parroco di S. Angelo con la scusa di visitare un’inferma. Il prete ascoltava dai due le vere ragioni e la loro volontà di sposarsi in mancanza della fede di libertà del giovane, impossibile da ottenere per gli ostacoli frapposti dal padre e li congedava dopo aver prospettato loro l’imprescindibilità di tale documento. Veniva richiamato con urgenza nel pomeriggio: la ragazza, incinta, rischiava di abortire ed era in gravi condizioni. Il parroco si recava di corsa alla casa della donna: la trovava a letto ma non in condizioni tali da giustificare l’allarme. I due giovani approfittavano della sua presenza per scambiarsi il loro mutuo consenso36.
Il 6 febbraio del 1755 il parroco di S. Silvestro si portava a casa della vedova Elisabetta Cavazza che gli aveva chiesto lumi e consigli su come poter rimuovere una contraddizione matrimoniale che era stata annotata da Giovanni Battista Mazzarola nel conto di sua figlia Lucrezia che voleva sposarsi con Battista Casali. L’incontro avveniva, come prospettato, solamente tra il prete ed Elisabetta, ma ecco che «nel mentre io così suggerivo alla detta Elisabetta, il detto Giovanni Battista Casali spinse la porta e s’introdusse nella camera che era socchiusa». Il Casali non si presentava solo bensì accompagnato da due persone e non perdeva tempo: «allora si fece sentire presso di me con queste precise parole: io fenirò la contesa e la causa; ella è il paroco questi presenti sono li due testimoni e questa è mia moglie»37.
Un ottimo pretesto per far accorrere il parroco era quello di prospettargli il punto di morte e pertanto l’obbligo di somministrazione del sacramento dell’estrema unzione. Il 28 febbraio del 1758 il parroco di S. Marcuola si trovava al cospetto di una situazione imprevista: nel letto giaceva un uomo «decrepito» che però pronunciava la formula di consenso maritale con una donna matura. Si trattava di Bernardo Ghislanzoni e della contessa Antonia Maria Bevilacqua Lazise, figlia di Michiel38.
Molti attentati avvenivano invece di notte, come si è già visto, il sonno del parroco era esposto al rischio di violente interruzioni: del resto molti erano i motivi per richiedere il suo intervento e la sua casa costituiva un riferimento imprescindibile per tutto il vicinato39. Non poteva certo
barricarsi a casa.
Il parroco di Pellestrina non aveva motivi per non aprire la porta la notte della domenica dell’11 febbraio del 1782. Era già a letto, stanco
36 Ivi, b.95, fasc. 7. 37 Ivi, b. 95, fasc. 18. 38
Ivi, fasc. 19. Bernardo Ghislanzoni fu segretario del Senato; lo ricorda anche il Muazzo: «Bernardo Gislanzoni zè un segretario pulito e onesto e che sono, se non fallo, el violoncello, ma el gà un muso da pianzotto e da Maddalena che el consola», Raccolta de' proverbi, detti, sentenze, parole e frasi veneziane, p. 938. I Bevilacqua Lazise erano una famiglia nobile veronese.
39
Sul ruolo del parroco Luciano Allegra, Il parroco: un mediatore tra alta e
bassa cultura, in Intellettuali e potere, (Storia d’Italia. Annali 4), a cura di
dalle incombenze della giornata e disse al servitore di far accomodare nella sua camera la persona che aveva bussato al portone e che si era annunciato con il proprio nome. Di Sante Manzato il piovano di Pellestrina sapeva, come tutti in isola, che una giovane di Chioggia aveva annotato una contraddizione matrimoniale a suo carico: lui ora amoreggiava con un’altra, tale Giustina Rosada, di origine vicentina, «il che dava da discorrer al paese sopra sponsali promessi de futuro». Mentre stava ripercorrendo mentalmente questa vicenda ecco che il Manzato si faceva avanti nella sua stanza, ma dietro a lui comparivano immediatamente altri due uomini e infine proprio la Giustina. «Restando io a tal vista sbalordito e dicendo che cosa è mai questa? s’affacciarono al mio letto i due giovani Manzato e Rosada e dopo aver detto ai due uomini sopra enunciati voi sarete testimoni, dissemi il giovine rivolto alla putta: signor Pievano questa è mia moglie, e la giovine replicò rivolta al putto: questo è mio marito»40.
Talvolta gli innamorati si nascondevano, complice l’oscurità, nei pressi della porta del parroco e attendevano che rientrasse in casa per compiere il loro agguato. Francesco Rigatti, titolare della chiesa di S. Martin, nel memoriale consegnato ai Capi del Consiglio dei Dieci descriveva accuratamente quel che era successo in quella notte del venerdì 13 marzo del 1779. Mentre rincasava verso le ore due «ritrovai alla porta due, a quali ricercando che volessero mi risposero parlar con lei che è il parroco». Quei due che si era trovato di fronte erano due uomini e Francesco Rigatti non ebbe sospetti. Così aprì la porta e li fece entrare ma nel farlo si accorse troppo tardi che, dal buio si era materializzata anche una giovane donna, che era sgattaiolata dentro la sua casa che subito «mi disse questo (cioè uno di quei due) è mio marito ed egli soggiunse questa è mia moglie. Io gli risposi che erano pazzi».
Anche l’alba a casa del parroco poteva riservare amare sorprese e se il sonno era stato risparmiato non altrettanto poteva esserlo il risveglio: «Questa mattina in albis comparve alla mia casa un tal Giovanni di Angelo Salvadori di mia contrà, cioè di Santa Maria Maddalena assieme con una figlia per nome Regina Armati di contrà S. Polo». Giovanni Mazzucco non faceva tempo a mettere a fuoco la situazione, congedando definitivamente il torpore della notte, che i due pronunciavano i verba
de praesenti. Lo smarrimento del parroco traspare nella sua relazione: «Io
volea dire, ma tosto senza parola alcuna se ne partirono».
Ma anche i percorsi in città non erano privi di pericoli per i poveri amministratori delle chiese. Don Antonio Agheri pievano di Santa Ternita il 23 dicembre del 1780 si era recato in visita al mezzà dell’avvocato Andrea Bardese in corte di Ca’ Querini nella calle lunga di S. Moisé. Fu fatto chiamare dal fruttariol Fabrizio Varotto. Don Antonio lo raggiungeva presso la sua bottega, in calle dell’Oglio a S. Ternita e qui veniva gentilmente accolto dal negoziante «dallo stesso mi fu esibito e presentato il caffé». Non aveva neppure il tempo di godersi il
40
ASVe, ECB, Processi, b. 38, matrimonio clandestino di Sante Manzato e Giustina Rosada.
corroborante liquido scuro che gli toccava assistere a un matrimonio clandestino, architettato dallo stesso venditore di frutta e da Anna Bosio, sua parrocchiana e da due testimoni convenuti appositamente.
Cosa si sa
Con molta probabilità possiamo escludere che la gran parte dei protagonisti di questi matrimoni clandestini, tentati o realmente avvenuti, avesse sfogliato o consultasse regolarmente il testo della Tametsi. Eppure è chiaro che padroneggiano alcune nozioni cruciali che proprio il decreto tridentino aveva definito nel 1563: prima di tutto che i matrimoni clandestini erano validi, anche se condannati, perché era lo scambio del consenso che ne esprimeva il valore teologico41, e
decadeva la nozione di clandestinità incentrata sull’assenza di accordo dei genitori. La definizione del reato di clandestinità che usciva dal Concilio di Trento era costruita sull’esclusiva mancanza delle forme solenni di pubblicità e non sul rapporto con le famiglie42. Oltre a ciò i
giovani erano informati sul requisito indispensabile per la validità dell’unione: la presenza del parroco della parrocchia in cui viveva uno dei due e di almeno due testimoni. Inoltre bisognava assicurarsi che il piovano ascoltasse le parole con cui avrebbero formulato il mutuo consenso. Questo era un punto delicato e meritava un piano d’azione speciale, come quello che aveva deciso di attuare il patrizio Sebastian Rizzi e che veniva ricostruito da un testimone: «mi occorse sentire il gentiluomo che furiosamente si portò dal Pievano che era inginocchiato sopra un scabello presso l’altar grande, ed alta voce gridò»43. Sebastian
Rizzi aveva pensato bene di usare un tono di voce tale da escludere la possibilità di non essere udito o che le sue parole potessero essere fraintese.
Alessandro Manzoni nei Promessi sposi avrebbe ricostruito questa fonte orale che circolava diffusamente e la riproduceva attraverso la voce di Agnese, la madre di Lucia:
Io ho sentito dire da gente che sa, e anzi ne ho veduto io un caso, che, per fare un matrimonio, ci vuole bensì il curato, ma non è necessario che voglia; basta che ci sia [...] Bisogna aver due testimoni ben lesti e ben d’accordo. Si va dal curato: il punto sta di chiapparlo all’improvviso, che non abbia il tempo di scappare. L’uomo dice: signor curato, questa è mia moglie; la donna dice: signor curato, questo è mio marito. Bisogna che il curato senta, che i testimoni sentano; e il matrimonio è bell’e fatto, sacrosanto come se l’avesse fatto il Papa. Quando le parole son dette, il curato può strillare; strepitare, fare il
41
Silvana Seidel Menchi ha commentato lucidamente tale principio rispetto alla sua ‘modernità’ e alle conseguenze che ne derivarono: «come principio normativo, la teoria del consenso fu un prodigio di limpidezza, di audacia intellettuale e di rigorosa coerenza. Nella prassi si rivelò un semenzaio di conflitti», Percorsi variegati, percorsi obbligati. Elogio del matrimonio pre-
tridentino, in Matrimoni in dubbio, p. 24.
42
Lombardi, Matrimoni di antico regime, p. 315 e segg.
43
diavolo; è inutile: siete marito e moglie [...] La cosa è tale quale ve la dico: per segno tale che una mia amica, che voleva prendere uno contro la volontà de’ suoi parenti, facendo in quella maniera, ottenne il suo intento. Il curato, che ne aveva sospetto, stava all’erta; ma i due diavoli seppero far così bene, che lo colsero in un punto giusto, dissero le parole, e furon marito e moglie44
.
Le giovani coppie di cui conosciamo le vicende dimostrano di essere meno titubanti di Renzo e Lucia e di avere in mano alcuni elementi in più rispetto al quadro secentesco ripercorso dal Manzoni: nel secolo