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ricca introduzione di Scannapieco e i commenti al testo Commedie che

Gaetano Cozzi definì infatti ‘politiche’: Gaetano Cozzi, Note su Carlo Goldoni,

la società veneziana e il suo diritto, in La società veneta e il suo diritto. Saggi su questioni matrimoniali, giustizia penale, politica del diritto, sopravvivenza del diritto veneto nell’Ottocento, Venezia, Marsilio, 2000, p. 4.

110

Francesco Albergati Capacelli spiegava in una lettera a Elisabetta Caminer quel matrimonio: «La certezza di acquistar così la libertà d’entrare nel mondo, la quale mi veniva tolta da una rigida educazione, mi fece aderire allora al partito d’una sposa, che m’era indifferente, e ad un legame che m’era odiosissimo»; il matrimonio durò due anni e poi venne annullato nel 1751; Francesco Albergati Capacelli, Lettere alla Bettina, a cura di Renato Trovato, «Studi e problemi di critica testuale», XXVIII, (1984), lettera n. 23, p. 128.

111

Gozzi, Gazzetta Veneta, p. 164.

112

Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux, Il gioco dell’amore e del caso, Milano, Garzanti, 2005, p. 17 (ed. or. Le jeu de l’amour et du hazard, 1730).

113

Anche Ferro ricordava tale concezione del passato: «Nei primitivi tempi, il padre era per diritto il principe, ed il vero governatore naturale de’suoi figliuoli», Dizionario del diritto comune, e veneto, voce Governo, II, p. 48.

114

Gaetano Cozzi, Il dibattito sui matrimoni clandestini: vicende giuridiche,

sociali, religiose dell'istituzione matrimoniale tra Medio Evo ed età moderna, anno accademico 1985-86, Venezia, Dipartimento di studi storici-Storia delle

confessori115, la Pratica del Confessionario del cappuccino spagnolo Jaime

de Corella. L’opera era costruita su un fittizio ma probabile dialogo tra confessore e confessato, che rispecchiava i più frequenti casi di peccato; se veniamo alla casistica riguardante il quarto comandamento, ci imbattiamo in un severo rimprovero e nella mancata assoluzione a un padre che confessava di cercare di impedire al figlio di prendere moglie, volendolo destinare al sacerdozio:

Fa molto male in questo e pecca gravemente, perché il figlio è libero nell’elezione del suo stato [...] E questo peccato si riduce a spezie d’ingiustizia, poiché V. S. usurpa a suo figlio il jus, che ha d’eleggersi lo stato secondo la vocazione che ha. Materia è questa nella quale i Padri dovrebbero aver gran scrupolo, & i Confessori caricarvi la mano116

.

Nell’accusare duramente i padri che monacavano forzatamente le figlie, negava loro l’assoluzione per tale grave peccato; l’autore ribadiva infatti la libertà di ogni individuo di decidere del proprio stato: «Dio l’ha lasciato in elezione di ciascheduno [...] E quello che Dio ha lasciato in libertà, vogliono i Padri farlo precetto: questi tali stanno in male stato, né ponno essere assoluti, mentre non desistono di violentare la volontà de’ lor figli»117.

Anche Alfonso de Liguori, che pure richiamava i padri al dovere di correzione dei figli118, su questo punto scriveva:

115

Su questo genere di editoria prima e dopo Trento cfr. Miriam Turrini, La

coscienza e le leggi. Morale e diritto nei testi per la confessione della prima età moderna, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 65-139.

116

Jaime de Corella, Pratica del Confessionario, tradotta dallo spagnolo, Parma, per Paolo Monti, 1707, p. 51 (ed. or. Practica de el confesonario, 1685).

117

Ibidem. Toni più sfumati, anche perché l’opera è di parecchio precedente

Instituzione del Parroco ovvero Specchio de' Parrochi di Sebastiano D'Abreu,

portoghese, tradotto Venezia per Luigi Pavino, 1707, v. 1 «Non essere i Figli tenuti ad obbedire al Padre circa l'elezione dello stato, la quale esser dee libera: onde possono farsi religiosi senza consenso del Genitore [... ] Possono altresì farsi Sacerdoti, o prendere Moglie, quantunque contradica il Padre, purche la moglie sia degna. ... Aggiungo, benchè non sia tenuto il Figlio ad obbedire al Padre nell'elezione dello stato, se vorrà nulla dimeno prender Moglie, peccherà così facendo, contro la volontà Paterna. Primo s'egli prenderà per Moglie una, che non è degna, e perciò con ignominia della Famiglia. Secondo, benchè non pecchi assolutamente quel Figlio, il quale contro il consenso del Padre prenda una Moglie degna, peccherà egli però, se molto espediente sia al Padre, & alla Famiglia, che il Figlio prenda per Moglie quella, che vuole il Padre, ch'ei prenda», p. 485. Tuttavia nello spiegare i doveri dei geniitori verso i figli: «Sono altresì obbligati a non forzarli ad uno stato che essi ricusano. Quindi peccano mortalmente que' Genitori, i quali maritano le Figlie, e dan Moglie a Figli contro lor voglia», p. 486.

118

Alfonso Maria de Liguori, Istruzione al popolo sopra i precetti del decalogo

per bene osservarli e sopra i sacramenti per ben riceverli per uso de' parrochi e missionari, Monza, per Luca Corbetta, 1829 (ed. or. Istruzione al popolo, 1767):

«Dove non giungono le buone parole e le correzioni, bisogna dar di mano a' castighi, specialmente quando i figli non sono fatti grandi ancora, perché quando sono grandi sarà impossibile il poterli più raffrenare [...] Ma bisogna castigar i figli con discrezione, non con furore, come fanno certi padri e madri: e non ricavano niente, perché in tal modo i figli più s'imperversano. Prima bisogna ammonire, poi minacciare, ed in fine castigare, ma da padre, non da comito di galera, con discrezione, e senza imprecazioni, o parole

in quanto all’elezione dello stato, o di matrimonio, o di vita celibe, o di farsi prete, o religioso, il figlio (come insegnano s. Tommaso e tutti) non è obbligato ad ubbidire a’ genitori. In quanto però al matrimonio pecca il figlio, se volesse fare un maritaggio che apporta il disonore alla famiglia [...] All’incontro peccano mortalmente quei padri e madri, che costringono i figli a farsi preti o monaci; ed in quanto alle figlie, se le costringono a farsi monache, o pure ad entrare in qualche monastero, incorrono la scomunica imposta dal concilio di Trento. Peccano ancora i genitori, se forzano i figli a maritarsi, quando quelli vogliono menar vita celibe, o pure se gli impediscono di pigliar lo stato religioso119

.

I giovani ebbero certamente molte più armi a loro disposizione, più argomenti, più alleati di un tempo, anche grazie alla riflessione che proprio i più acuti illuministi misero a loro disposizione a partire dalla propria sofferta esperienza. La penna che Diderot impiegava per emulare l’opera di Goldoni e trattare del padre di famiglia era intinta in un inchiostro ben più corrosivo di quello utilizzato dal commediografo veneziano. Con l’affermazione del figlio, in una delle scene cruciali della

pièce teatrale: «Dei padri! Dei padri! Non ce n’è... ci sono solo dei

tiranni»120, Diderot pareggiava i conti con la propria storia. Aveva infatti

subito una lettre de cachet del padre, ed era stato rinchiuso in convento per impedire che sposasse la sua amata121. La figlia avrebbe ricordato tale

scontro nella biografia che gli dedicò:

Egli ha dipinto l’inizio di questa relazione nel Padre di famiglia. Violento come Saint-Albin non ebbe bisogno di altri modelli. Gli ostacoli che suo padre oppose al matrimonio, il carattere brusco, duro e imperioso di suo fratello, ecco il canovaccio di quest’opera: la sua immaginazione vi aggiunse solo quel tanto che ritenne necessario per accrescerne l’interesse122

.

Una lettre de cachet si era procurato anche il padre di Voltaire, minacciandolo di arresto e di esilio nelle Antille, a causa del suo amore proibito123, una carcerazione che invece non aveva risparmiato Mirabeau.

La situazione non era molto diversa al di qua delle Alpi124. «Sempre si

discorreva di ricorrere al governo, di mettere in fortezza, chiudere in una torre e gettare le chiavi in un pozzo»125 scriveva Alessandro Verri