• Non ci sono risultati.

carattere e della casa l’obbligar il N.H Todero padre, col riflesso alla Gasparini,

che si era rifuggiata in Bologna, senza vestiti e senza danaro, a soddisfar quanto vi era di debito, che intanto furono fatti amministrar dalla cassa del Tribunale e spediti al N.H. Provveditor e capitano di Treviso trecentovintisei ducati d’argento, lire tre e soldi undici nel 29 ottobre del 1732 perché li facesse avere alla medesima per di lei soccorso», cc. 100-100r-v.

12

Todero Correr faceva presente le sue difficoltà a soddisfare questa richiesta e gli Inquisitori gli chiedevano di presentare copia del suo stato finanziario, in Ibidem.

13

Ivi, b. 531, febbraio 1735; gli Inquisitori permettevano, «essendo seguito il matrimonio del N.H. Giacomo Correr con persona nobile, il ritorno a Venezia alla signora Giovanna Gasparini», c. 100v.

14

Ivi, S, b. 714, 8 settembre 1737.

15

«Fui blandita io infelice Maria Giovanni Gasparini a condiscendere alle ricerche matrimoniali, che il N.H. Giacomo Correr de Todaro seppe farmi; condiscesi nel modo già noto, et il resi Padrone delle mie sostanze, fissate fra gioie e contante per il valor di cecchini 500 oltre a due fruttiere di argento da detto vendute al N.H. Todaro suo Padre per il valor di cecchini 25, et orologio d’oro da esso impegnato per cecchini 50; come appar da viglietto 25 marzo 1732 scritto di pugno d’esso N.H. debitore. Nella separazione d’entrambi mi furono esborsati cecchini 100 oltre a parte de miei mobili usuali, non compresi in detto viglietto, perchè in tal forma potessi prontamente esseguire con la partenza le supreme auttorevoli deliberazioni», in Ibidem.

16

Ibidem.

17

riuscita a strappare tutti i 4000 ducati che voleva18, ma certamente fece

tutto il possibile per governare al meglio la situazione.

Anche le figlie aristocratiche o dei ceti altoborghesi mostravano una determinazione prima assai meno evidente. La storia di Chiara Todeschini ne è un notevole esempio. Su richiesta del padre, Francesco, gli Inquisitori avevano più volte ammonito il pittore Santo Bosello abitante in contrà San Samuele, in calle di Ca’ Mocenigo, figlio dello staffiere dei fattori del Procurator Pisani, e alla fine lo avevano relegato per un po’ di tempo nella fortezza di Clissa. Anni dopo però Francesco Todeschini inviava un’altra supplica facendo noto che il Bosello aveva concepito un progetto per «poter furtivamente rapirmela di casa», dopo che per cinque anni era riuscito a tenerla gelosamente custodita. Giungeva tuttavia l’istanza del pittore a chiarire alcuni particolari della vicenda: prima di prendere provvedimenti dettati dal Todeschini e di punirlo ancora una volta, gli Inquisitori si degnassero stavolta ad ascoltare la sua voce, pregava il pittore. Non si trattava di un amore passeggero e colpevole ma con Chiara, la figlia minore di Francesco, «ho avuto affettuosa corrispondenza per dodici e più anni» e c’era stato tra loro un «sacro reciproco giuramento», prima che il Tribunale intervenisse a impedire la loro storia. Dopo la relegazione si era «sempre condotto con la dovuta obbedienza», preoccupato di ulteriori conseguenze, ma Chiara non aveva accettato di accantonare le speranze di realizzare una vita insieme a lui. Santo spiegava agli Inquisitori che Chiara:

risoluta nella invecchiata sua deliberazione non ha tralasciato di farmi in vari modi conoscere la costante sua tenerezza, del che serve di testimonio e confronto l’ultimo imprudente suo passo, da me notificato a S. E. Mons. Patriarca, il quale per l’ultimazione dell’affare, attende comandi auttorevoli. Alli 9 del corrente non solo è essa venuta a ritrovarmi a S. Agnese nell’abitazione di SS. Michieli, dove sono a dipingere con il signor Battaglioli, ch’era presente, ma inoltre apertamente mi disse che ad ogni costo volendomi per marito, stante l’ostinata irragionevole resistenza di suo padre, ella ha deliberato di fuggire di casa, e di fare ogni eccesso per giungere al suo intento19

.

Chiara Todeschini, a quanto apprendiamo dalla supplica di Santo Bosello, aveva forse inoltrato richiesta al Patriarcato per contrarre un matrimonio segreto o più probabilmente aveva in mente con la fuga di tentare un matrimonio clandestino. Il pittore si premuniva di avvertire di quanto Chiara stava architettando, che «potrebbe credersi forse dall’apparenza mia colpa», mentre era deciso a non «soffrire lo sdegno del Tribunale supremo, del quale adoro gli auttorevoli comandi e dal quale imploro col mezzo della caritatevole assistenza». Gli Inquisitori non comminavano significativamente altre pene per il Bosello, si limitavano a comandargli di abbandonare la pratica di Chiara, decidendo di inserire nel fascicolo riguardante la vicenda anche la supplica del pittore20.

18

Ibidem.

19

Ivi, IS, S, b. 727, supplica di Santo Bosello, 22 maggio 1777.

20

Quante figlie patrizie avevano cominciato a non accettare il partito scelto dai genitori, quante sotto l’influsso dell’amour-passion, volevano far naufragare impegni già intrapresi? La noldonna Bianca Tron21,

scrivevano i parenti agli Inquisitori, si rifiutava di sposare il patrizio Zan Francesco Manolesso di Zorzi, dopo averlo praticato per più di un mese, «osando il ridicolo prettesto che più non le piaceva». La bellezza, la piacevolezza dell’uomo, entravano ora più che un tempo nei requisiti che le donne richiedevano nello sposo segnalando come l’attrazione fisica e l’erotismo fossero argomenti da considerare con maggiore attenzione. «Il mio Memmo – scriveva Giustiniana Wynne descrivendo l’amante – così colto negli studi umani, così intelligente nelle belle arti, è un uomo che possiede la moda, ha una bella figura, ha grazia nella persona»22.

La vera ragione, secondo gli zii delle Tron, stava nella vita libera che Bianca e la sorella Eugenia, rispettivamente di 17 e 15 anni, conducevano dopo la morte del padre e sotto la tutela della madre spesso malata e troppo indulgente, tanto che «un cieco materno amore lasciò sempre le figlie in preda al loro capriccio». Soprattutto Bianca si era data «ad un libertinaggio detestabile» e seguiva l’esempio di un’altra donna libera, «la signora Domenica Zolio, moglie del signor N.H. Lorenzo Loredan, di costume ben noto che vive lontana dal marito». Era chiaro che tale vita le piacesse di più e che «non voleva addatarsi al legame d’un matrimonio, piacendogli piuttosto continuar in quello». In compagnia della Zolio Bianca usciva quasi ogni notte da casa e «passava in altri luochi tutti al pessimo costume; che nella sera di S. Gaetano fu condotta al Casin in S. Benetto, del N.S. Piero Mafetti dove si fece una collazione e passarono tutta la notte»23.

Indubbiamente l’agency che preoccupava di più era tuttavia quella delle donne dei ceti inferiori che muovevano verso giovani rampolli dell’aristocrazia o della buona borghesia in un desiderio di scalata sociale. C’era poco da stare tranquilli e i padri nelle suppliche descrivevano i propri figli come incauti, inesperti, le donne scaltre, astute, insomma seduttrici consumate: donne del popolo pronte a farsi avanti24. Inoltre sovente dietro a una sirena incantatrice vi era una

famiglia pronta a sostenerla. Quando il giovane patrizio inesperto si faceva avanti, i parenti gli chiedevano il conto, lo inducevano a promettere, a firmare carte25. Insomma le donne non erano isolate nella

loro aspirazione di spingersi avanti.

Un’altra figura femminile aleggiava minacciosa nelle fantasie dei padri: l’avventuriera, un’arrampicatrice sociale pronta a ingoiare

21

Bianca Tron, del ramo di S. Benetto, di Carlo e Giulia Maria Querini di Zuanne, si sarebbe sposata nel 1776 con Tommaso Consulmer di Domenico; la sorella Eugenia con Zuanne Veronese di Carlo nel 1779, P. 1792, p. 185.

22

De Robilant, Un amore veneziano, p. 36.

23

ASVe, IS, S, b. 726, 1776.

24

Sulle donne ‘scandalose’ che inquietavano le famiglie cfr. Lombardi,

Matrimoni di antico regime, pp. 275-284, 396.

25

patrimoni, a dissipare ricchezze sedimentate nei secoli. Catterina Lena, secondo Piero primo Capello, era una di queste donne, cui attribuiva una sorta di professione e non semplici pratiche di meretricio: «da molti anni faciente l’Avventuriera in questa città». La sfortuna aveva voluto che fosse incappata proprio nel figlio Piero secondo Andrea Benetto e «approffittando dell’imbecilità ed inesperienza [...] pratticava con grave sconcerto di sua economia d’insidiosamente condurlo alla firma di certe tali quali carte d’obbligazione a di lei favore, e di lui vita durante per la riguardevole summa di ducati seicento l’anno». Non solo era in pregiudizio l’onore della famiglia ma il patrimonio «che servir deve al sostentamento della numerosa nostra famiglia»26. Se «l’intraprendenza

delle donne del popolo minacciava l’ordine gerarchico della società»27,

anche alcuni personaggi femminili del teatro non nascondevano il desiderio di farsi strada in ambienti diversi da quelli di origine, di conquistarsi un’altra posizione e le commedie come i libretti teatrali ospitavano ampiamente le avventuriere. Il mezzo spesso poteva consistere proprio nel calcare i palcoscenici, di improvvisarsi virtuosa o ballerina. Dorina, figlia del caffettiere e impiegata in quell’esercizio, spiegava il suo obiettivo:

E più d’una bottega All’amor mio conviene

Di farmi idolatrare sopra le scene Già mi pare diventare

Madamina Ballerina. Servitori protettori Sospiretti, regaletti Battimani in quantità28

.

C’erano dei rischi da correre, ma le donne parevano disposte allora ad accettarli. Caterina Businaro, adocchiata dal conte Paolo Craveri, aveva acconsentito, come abbiamo visto, al suo corteggiamento e le cose erano andate avanti, sino alla proposta di una fuga e di un matrimonio clandestino per vincere l’opposizione del padre Craveri e del proprio. Caterina aveva rischiato il tutto per tutto, soprattutto perché Paolo era «persona nobile quale avevo fissato dovesse essere il mio sposo»29. Caterina aveva idee chiare in materia.

Servitù domestica

Vi sono molte Pamele nelle storie veneziane che narrano amori contrastati: non sempre, anzi raramente, riescono a coronare il loro sogno d'amore come nei romanzi e nelle numerose versioni teatrali che

26

ASVe, IS, S, b. 739, supplica di Piero Capello, 22 gennaio 1791.

27

Lombardi, Matrimoni di antico regime, p. 396; sulle ‘donne scandalose’ che inquietavano le famiglie, anche Ivi, pp. 275-284.

28

Pietro Chiari, Il caffé di campagna, di, Venezia 1761, p. 52.

29

ASVe, Avogaria di Comun, Miscellanea Civile 211, fasc. n. 8, Businara

proponevano infinite varianti della vicenda dell’eroina del Richardson, o comunque a convolare con il figlio del padrone o con il loro datore di lavoro. Una quota di matrimoni segreti regolarizzava queste relazioni, che assumevano la forma e sovente la sostanza di vere e proprie convivenze, per lo più in tempi di molto successivi rispetto alla stagione dell'innamoramento e delle reciproche promesse30.

Neppure questi casi e questi rapporti amorosi sono una novità del secolo, tuttavia ciò che colpisce è la quantità che emerge dalle carte degli Inquisitori, una quantità che per altro segnala unicamente i casi in cui la disparità metteva in moto un conflitto tale da sfociare in una richiesta di correzione o di intervento del Tribunale. Ma al di là del numero, gli aspetti più rilevanti e che dimostrano una diversità rispetto al passato sono due. Non si tratta di relazioni effimere e legate esclusivamente al commercio carnale, per lo più governate dagli uomini dei ceti superiori che anticamente avevano «un diritto di antica tradizione sui corpi delle donne a cui davano lavoro»31. Insomma non

abbiamo a che fare con le solite vicende di seduzione. Questi giovani uomini vogliono sposare queste donne e dall'altra parte le cameriere, le serve si aspettano, a differenza del passato, il matrimonio. La differenza sostanziale è che tutti e due i protagonisti di questi amori pensano che ciò sia possibile. È l'aspettativa che rende queste storie diverse; esse si proiettano nel futuro, non si accontentano del presente.

Del resto domestiche e domestici sono figure che nella città settecentesca avevano acquisito un peso e una rilevanza affatto speciale nelle fila dei lavoratori urbani. Entravano nella vita delle famiglie con più potere di negoziazione e maggiore influenza di un tempo: lo dimostra anche la rete di scambi divenuti più fluidi32. Troviamo alcuni

servitori tra i testimoni dei matrimoni segreti dei padroni e allo stesso tempo la cerchia amicale e parentale della famiglia in cui erano collocati si prestava a fare lo stesso ufficio per nozze dei domestici. Costoro sono inoltre voci assai ascoltate nei processi matrimoniali: non sono solo osservatori delle vicende della casa ma presenze assai più coinvolte e partecipi nel bene e nel male negli affari della famiglia.

Nel Settecento la femminilizzazione del mestiere33 dava maggiore

forza alle donne in servizio34. Nei ceti patrizi e altoborghesi poter

30

Plebani, Matrimoni segreti a Venezia.

31

Sara F. Mattheuws Grieco, Corpo, aspetto e sessualità, in Storia delle donne, p. 89.

32

Angiolina Arru, Il servo. Storia di una carriera nel Settecento, Bologna, Il Mulino, 1995; Eadem, Uomini e donne nel mercato del lavoro servile, in Il

lavoro delle donne, a cura di Angela Groppi, Roma-Bari, Laterza, 1996; Marzio

Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX

secolo, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 232-239.

33

«Nel corso del XVII e XVIII secolo la servitù femminile costituiva il più grande gruppo occupazionale nella società urbana rappresentando circa il dodici per cento della popolazione complessiva di ogni città europea», Olwen Hufton,

Donne, lavoro e famiglia, in Storia delle donne, p. 19 e segg.

34

Anche se in Italia e anche a Venezia in crescita minore che nel resto d’Europa, Arru, Uomini e donne nel mercato del lavoro servile, p. 255; Daniele Beltrami, Storia della popolazione di Venezia dalla fine del secolo XVI alla

contare su brave massere, cameriere fidate e accorte, significava sovente riuscire a difendere patrimoni vacillanti, esigui, ma anche migliorare i rapporti in famiglia, allentare tensioni, seguire maggiormente i figli. Una forza e dei ruoli che le scene teatrali amplificavano. Goldoni riconosceva il loro statuto e la loro importanza in diverse opere di successo. Nella prefazione a La serva amorosa rispondeva a chi aveva criticato la sua Corallina per il «troppo ingegno» e la «troppo fina condotta» esibiti, affermando di averne conosciute «delle bene educate, delle pronte di spirito, capaci de’ più difficili, de’ più delicati maneggi»35.

Le virtù delle governanti, specie quando erano il solo aiuto domestico, venivano risaltate mettendo in luce anche la peculiare familiarità che si creava tra padroni, specie se celibi o vedovi:

Biasio: ...Presto la impizza el fogo, la vien dal so paron/ la varda, e se no dormo, la me averze el balcon. La me scalda pulito le calze e la fanella, la me porta el caffè, la lo beve anca ella. ... Zulian: Sentì la mia. Ogni volta, quando che a casa torno,/ incontra la me vien, sia de notte o de zorno./ La me chiappa per man, e po la me despoggia, / e la me senta al fogo. Mo no xela una zoggia? / Biasio: Sentì la mia. La sera stemo nu soli al fogo, contemo delle fiabe, o femo qualche zogo.36

Sulla scena teatrale le servette aiutavano i giovani, escogitavano soluzioni, davano consigli, mostravano il loro parteggiare e prendere posizione nei confronti dei figli, spesso contro il dispotismo paterno.

Giovani le servette, giovani i figli, le scintille erano quasi inevitabili e con esse la prima iniziazione amorosa. Molte delle donne sfrattate che abbiamo incontrato erano delle Pamele, le abbiamo viste difendere talvolta con tutte le loro forze e risorse il proprio progetto di vita, come Giustina Padoanella che tentava di inseguire Francesco Zorzi Bon a Corfù, Catterina Miel, cameriera in casa Zacco, oppure Leonida Maria Montanari in servizio dai Donà delle Rose. Lucietta Beana, che il patrizio Vicenzo Iseppo Longo definiva «di vilissima condizione», era appunto una di queste donne; come tante di loro proveniva dall’entroterra veneto, da Portogruaro. Gli Inquisitori annotavano nel gennaio del 1770 la segnalazione del Longo riguardante Andrea37, il suo unico erede

maschio: «ha sedotto il figlio a seco unirsi in reo commercio e ha saputo affascinarlo in modo che, abbandonata da lui la casa paterna, era passato in Padova a convivere seco lei miseramente»38. Non era sufficiente

tuttavia l’arresto del giovane e la sua permanenza nel convento di S.

caduta della Repubblica, Padova, CEDAM, 1954, p. 213. Per la servitù in

servizio nelle case patrizie Hunecke, Il patriziato veneziano, pp. 327-354. Dennis Romano, Housecraft and Statecraft. Domestic Service in Renaissance

Venice, 1400-1600, Hopkins University Press, 1996. Mirella Saulini, Indagine sulla donna in Goldoni e Gozzi, Roma, Bulzoni, 1995.

35

Carlo Goldoni, L’Autore a chi legge, in La serva amorosa, in Idem, Commedie, I, p. 945.

36

Carlo Goldoni, Le massere, in Ivi.

37

Andrea Longo, del ramo dell'Anzolo, era nato il 20 gennaio 1752, da Vicenzo 2° Iseppo e Regina Canal; non risulta registrato un suo matrimonio, P. 1779, p. 79.

38

Spirito per breve tempo perché nuovamente nel marzo il figlio la raggiungeva a Padova 39.

Altre donne coinvolte sono figlie di servitori, famigli, agenti, come la giovane che il patrizio Antonio Grimani40 aveva deciso di impalmare nel

1752, forse anche approfittando della morte del padre Battista. La notizia era però trapelata e gli Inquisitori gli intimavano di non allontanarsi dal suo palazzo veneziano e di provvedere a licenziare il fattore di Montelago, padre della ragazza, e a far sloggiare tutta la famiglia41.

L’anno successivo il fattore scriveva al Tribunale avvertendo di avere trovato da sposare alla figlia, come probabilmente gli era stato suggerito, ma che il candidato sposo era un giovane di Montelago. Gli Inquisitori rispondevano disapprovando senza mezzi termini questa scelta, temendo la continuazione della relazione, vista la permanenza nello stesso luogo in cui si erano progettate le nozze disapprovate42.

Talvolta giungevano al Tribunale lagnanze di mogli trascurate o abbandonate a causa di amori con le domestiche: la contessa vicentina Marzia Gualdo, moglie del co. Lauro Antonio Velo, nobile di Vicenza, inviava nel 1768 una supplica perché si arginasse «l’abbandono e mali trattamenti che sofre dal marito a motivo del predominio che tiene sopra il di lui animo una vil serva di nome Domenica Nizzera». Gli Inquisitori, dopo aver verificato attraverso l’indagine del Podestà e Capitano lì residente, annotavano la loro decisione: «Fatta sfrattare e che vada al suo paese Nizza»43.

Il mondo delle suppliche svela tuttavia anche l’altra faccia dell’attrazione che si sprigionava dal contatto quotidiano e che porta in campo la servitù maschile e il rapporto con le figlie o le parenti dei datori di lavoro. «Essendosi saputo che la N.D. Sara Michiel passata dopo la morte di sua madre ad abitare in casa Capello, era stata seddotta da Zulian Tanini figlio del fattore di casa sino a prendere impegni di matrimonio con esso», gli Inquisitori decidevano, il 30 gennaio del 1755, di far passare Zulian Tanini al quartier generale del Lido sino a nuovo ordine, perché fosse di ammonizione «per l’essempio di domestica sedduzione in figlia nubile patricia per parte d’un servitore»44.

Nel luglio del 1773 il patrizio Girolamo Duodo45 supplicava

l’intervento del tribunale contro il proprio servitore Angelo Barnabò e

39

Fu dato ordine al rettore di Padova di intimare lo sfratto alla donna e a lui di «riddursi nel termine più breve alla sua patria», Ibidem.

40

Si sarebbe trattato del secondo matrimonio di Antonio Grimani, del ramo dei Servi, nato il 16 settembre del 1701, era all'epoca vedovo, si era sposato nel 1726 con Loredano Duodo q. Piero, P. 1759, p. 73.

41

ASVe, IS, A, b. 733, 16 ottobre 1752, c. 152r-v.

42

Ivi, b. 534, 7 marzo 1753, c. 163r.

43

Ivi, b. 537, 10 marzo 1768, cc.132r-v.

44

Ivi, b. 533, 5 marzo 1755: rimesso in libertà ma ammonito ad interrompere qualsiasi comunicazione con la N.D. Michiel, 223v.

45

Girolamo Duodo, del ramo di S. Maria Zobenigo, era nato il 19 maggio del 1719 e nel 1743 si era sposato con Maria Gambara; la figlia Loredana si sarebbe sposata nel 1773 con Girolamo Codognola, P. 1779, p. 67. Il figlio Carlo Antonio nato il 21 giugno 1752 si sarebbe sposato nel 1787 con Bianca Maria Farsetti, P. 1792, p. 132.

chiedeva che fosse rinviato «nella sua rustica patria». Narrava di «un ardito amoreggiamento della N.D. Loredana figlia» già promessa a un patrizio, ma nonostante le sue correzioni, il domestico non mostrava né gratitudine per le «mie vere beneficenze, che lo hano solevato dal nulla» e continuava la sua pessima condotta al punto di:

seguirla sugl’occhi miei, introdursela furtivamente nella stessa sua camera nell’ore della maggiore risserva, sedurla perdutamente ad uscire di casa, condurla in giro per la città sconvolgendomi la famiglia, procurarmi tutti li peggiori sacrifizi nel mio economico, rapirmi la domestica pace e dipendenza46

.

Qualche allarme proveniva inoltre dal talamo coniugale: alcune mogli patrizie preferivano la compagnia di domestici, specie se avvenenti