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Amplificatore Operazionale - Reprise

Nel documento Elettronica Applicata (pagine 61-67)

Conoscendo la struttura di base dell’amplificatore operazionale, e avendo studiato le principali topologie di stadi di potenza, è possibile perfezionare lo schema di un amplificatore operazionale, introducendo in uscita uno stadio in classe AB (fig. 1.35).

Con questo stadio finale abbiamo migliorato l’uscita del nostro amplifica-tore operazionale; si ricordi comunque che, nei datasheet, si troveranno sicu-ramente schemi più complicati di quello appena mostrato: esistono notevoli complicazioni che ora noi non tratteremo, o tratteremo in seguito.

Questo schema, per quanto semplificato, è stato presentato per un obietti-vo particolare: capire da dove derivano le limitazioni finora affrontate, e altre limitazioni che non è stato possibile notare, per quanto riguarda il progetto di sistemi basati sull’amplificatore operazionale. Sappiamo che, in un ampli-ficatore operazionale ideale, le correnti entranti nei morsetti di ingresso (che abbiamo scoperto essere costituiti dalle basi di due BJT disposti in modo da formare uno stadio differenziale) non possono sicuramente essere nulle: se fossero nulle, infatti, i BJT non avrebbero una corrente di pilotaggio, dunque non sarebbero polarizzati, e l’amplificatore non potrebbe funzionare in stato di linearità!

T1 T2 T3 T4 T5 T6 T7 T8 T9 T10 T11 R1 v1 v2 vu +VAL −VAL

Figura 1.35: Schema circuitale di un amplificatore operazionale con amplificatore di potenza di classe AB.

La cosa fondamentale è che esista un percorso tra l’ingresso, ed un punto collegato al potenziale di riferimento del sistema; ciò ci fa intuire un fatto: non devono assolutamente esserci capacità di disaccoppiamento per la continua sugli ingressi di un amplificatore operazionale, poichè, se non entrasse più continua nel sistema, il dispositivo uscirebbe dallo stato lineare; al più, se proprio necessario, è possibile utilizzare una topologia come in figura 1.36.

In questo modo la resistenza in parallelo ha una corrente, che permette di polarizzare la base dei transistori.

1.7.1 Presenza di Offset

Riguardo l’uso in continua (DC) dell’operazionale, esistono sostanzialmente due tipi di imperfezioni, che ora discuteremo:

Figura 1.36: Schema del collegamento di pseudo-disaccoppiamento.

• Una tensione di offset: lo stadio differenziale di ingresso presenta

asim-metrie “intrinseche”, dunque, idealmente misurando (volendo, anche con un simulatore circuitale quale PSpice) il circuito da noi presentato, vi sarebbe sicuramente una piccola asimmetria. Per compensarla, è nec-essario introdurre una piccola tensione in serie alla resistenza differen-ziale rd, in modo da compensare gli effetti di offset, e quindi portando

vd a 0 V in stato di non eccitazione esterna;

• Due correnti di offset: come già detto, per polarizzare un dispositivo è

necessario introdurre delle correnti di bias, ossia di alimentazione, dette

Ib; il motivo, come sempre, è dislocato nello stadio differenziale: min-ime asimmetrie comportano l’introduzione di offset negli input; poichè abbiamo due rami dovremo introdurre, per correggere, due correnti di offset in contrapposizione a quelle presenti, al fine di regolare gli ingressi di polarizzazione (in continua).

1.7.2 Dinamica di ingresso di modo comune

Abbiamo già parlato del fatto che, con un carico puramente resistivo per i collettori dei BJT costituenti lo stadio differenziale, al fine di aumentare la dinamica di modo comune, ossia il campo di valori nel quale può variare l’ampiezza di un segnale di modo comune (applicato ad entrambi gli ingres-si contemporaneamente) senza che intervengano fenomeni di non linearità, sarebbe necessario modificare il guadagno differenziale (cosa non molto sem-plice/piacevole). Abbiamo visto che una soluzione è quella di introdurre uno specchio di corrente, ossia un generatore quasi ideale di corrente, in modo da ridurre notevolmente il peso di questo problema.

Quello che ora ci preponiamo di fare è quantificare la dinamica di ingresso di modo comune; per far ciò, introduciamo un segnale di modo comune, VC,

nel circuito, la cui ampiezza è da noi regolabile. La domanda che ci poniamo a questo punto è: quanto valgono VC,max e VC,min ? Qual è ossia questo famoso range di valori assumibili?

Per quanto riguarda VC,max, bisogna semplicemente confrontare la ten-sione di base della coppia differenziale con le tensioni di collettore: uno sta-dio di amplificazione funziona se e solo se il transistore funziona in zona lineare, ossia se la giunzione base-emettitore è polarizzata direttamente, e quella base-collettore inversamente. Considerando come caso limite di fun-zionamento (per convenzione) il caso VB = VC, ossia base e collettore allo stesso potenziale, qual è la massima tensione del collettore di T1 ?

Passando da T7, sull’ormai classico schema dell’operazionale (fig. 1.24), si vede che:

VC1 = VAL− VBE7

Per quanto riguarda invece T2, passando dal Darlington, si vede che:

VC2 = VAL− 2VBE

La minore delle due tensioni è sicuramente la VC2: considerando al solito di trovarci in un integrato, si può immaginare che le VBE siano tutte uguali; quando il primo dei transistori smette di funzionare, tutto il sistema va fuori linearità; la massima tensione di modo comune, dunque, sarà:

VC,max = VAL− 2VBE

E per quanto riguarda l’altro bound della dinamica, cioè il minimo? Beh vediamo che la base del transistore 3 ha come tensione:

VB3 = −VAL + VBE

La tensione del punto “A”, ossia del punto congiungente gli emettitori dei due transistori della coppia differenziale, sarà pari a:

VA= VC − VBE

Perchè il sistema funzioni, supponendo che la tensione di collettore sia, nel punto limite, pari a quella di base, VA, si ha che:

VA>−VAL+ VBE

Da qua:

Quindi:

VC,min = −VAL+ 2VBE

1.7.3 Dinamica di uscita

Per quanto riguarda la dinamica di uscita, i limiti principali sono quelli posti dallo stadio di uscita, ossia dallo stadio di amplificazione: i transistori T10 e T11 devono infatti condurre (chiaramente, uno per volta, trattandosi di uno stadio di classe AB); vi è una caduta di tensione sulla base di T10, quindi T6 deve essere acceso. La dinamica di uscita non potrà mai, per questo motivo, coincidere con l’alimentazione: le cadute di tensione per le accensioni dei transistori saranno necessarie (a meno di particolari dispositivi, quali gli amplificatori rail-to-rail).

1.7.4 Impedenze di ingresso

In un modello completo di amplificatore operazionale, bisogna tenere con-to del fatcon-to che le impedenze di ingresso non siano assolutamente infinite, bensì abbiano un valore, per quanto elevato, finito. Parlando di resistenza di ingresso, si può pensare che sia presente una resistenza legata al fatto che un segnale di modo differenziale in realtà faccia entrare parte della propria corrente nell’amplificatore; questa informazione è in realtà completa solo a metà, dal momento che, in sostanza, le resistenze sono tre: una effettivamente detta di modo differenziale, che appare solo a segnali di modo differenziali, ed una di modo comune che appare esclusivamente per segnali di modo comune. Esaminiamo almeno velocemente la derivazione di queste due impedenze. Resistenze di modo differenziale

Dato un certo segnale di ingresso di modo differenziale, vd, si può calcolare la resistenza di ingresso di modo differenziale, definendola come il rapporto tra la il segnale vd e la corrente entrante nell’amplificatore causata dal modo differenziale, id:

rid = vd

id

Dal momento che si introduce un segnale di modo differenziale vd, pos-siamo supporre che metà del segnale entri in un transistore, metà nell’altro; per ogni morsetto, dunque, si avrà un segnale pari a vd

ciascuna metà del segnale di modo differenziale vede, entrando, un’impeden-za pari a quella di ingresso nella base di un transistore bipolare polarizun’impeden-zato direttamente (e quindi in regione RAD, lineare), si avrà che:

id= vd

2 · 1

hie

Dove hie è un parametro ibrido, che indica l’impedenza di ingresso vista dalla base di un transistore bipolare. In termini di parametri “moderni”, si può presentare come:

hie = rbb′+ (β + 1)RE

Dove RE è la resistenza presente sull’emettitore del BJT in questione, e

rbb′ è la resistenza di base dovuta al semiconduttore costituente il transistore;

β è il guadagno in corrente del transistore; in totale, dunque, si ha che:

rid= vd

id

= 2hie

Resistenze di modo comune

Per quanto riguarda il modo comune, si può fare un discorso del tutto analo-go, o quasi: ragionando sempre sullo stadio di ingresso del circuito, ossia sullo stadio differenziale, quello che si potrebbe fare è sviluppare i modelli dei due transistori costituenti lo stadio, e ottenere, a partire dal circuito iniziale, un equivalente con un solo transistore, dai parametri modificati.

Si può anche dimostrare con conti relativamente semplici che la resistenza di modo comune si possa semplicemente ricondurre, dato un segnale di modo comune in ingresso, VC, alla seguente espressione:

ric= vc

ic

= hie+ ro(1 + β) ∼ ro(1 + β)

Dal momento che questa è l’impedenza in ingresso ad un circuito equiv-alente, è possibile “ri-sdoppiare” il risultato, considerando il seguente fatto: abbiamo considerato, per quanto riguarda la coppia differenziale, la topolo-gia dei due transistori in una sorta di “parallelo” di BJT. Essendo i BJT in parallelo, anche le loro resistenze di modo comune lo saranno, ma quindi, se il parallelo di due resistenze uguali deve fornire il risultato appena trovato, si può pensare che ciascuna delle due resistenze di modo comune (uguali) sia pari al doppio della resistenza appena trovata:

Per questo, il modello così trovato sarà basato sull’uso di due resistenze pari al doppio di quella ricavata. Dal momento che queste resistenze sono molto, molto elevate, esse sono sostanzialmente tendenti ad infinito rispetto a quella di modo differenziale, dunque si può evitare di tenerle in conto anche per quanto riguarda conti necessitanti una certa precisione.

1.7.5 Modello equivalente dell’amplificatore operazionale

Per terminare lo studio in continua dell’amplificatore operazionale, si vuole a questo punto presentare brevemente un modello semplificato, in grado di determinare (in maniera del tutto approssimativa) il guadagno complessivo del circuito. Si ha che: Ad= Vu vd Inoltre: v2 = ri2· gm1 · vd

Si può dunque ri-esprimere Vu come:

v3 = ri3· gm2 · v2 Quindi, l’approssimazione del guadagno, sarà:

Vu = ri2· ri3· gm1· gm2· vd

Questo modello può tornare dunque utile per avere una stima, per quanto approssimativa, del guadagno complessivo del circuito.

1.8 Applicazione: Progetto di un

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