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Applicazione: Progetto di un amplifica- amplifica-tore non invertente

Nel documento Elettronica Applicata (pagine 67-75)

Dati i modelli finora affrontati, vogliamo provare a progettare (o a studiare le tecniche di progetto), mediante l’uso di un amplificatore operazionale reale, un circuito in grado di guadagnare (ad esempio) 10; nel dettaglio, vengono fornite le seguenti specifiche:

• Guadagno in tensione: 10;

+ r i1 r i1 r i3 r O v d V u v 2 v 3 v 3 g m 1v d g m 2v 2

• Vu = ±10 V

Come si procede? Il primo passo e chiederci se le specifiche siano sensate: prendiamo dunque il datasheet del LM741, e studiamo la sezione maximum

ratings, ossia le grandezze considerate “sicure” per l’operatività del

compo-nente. Se l’amplificatore operazionale è alimentabile (ad esempio) con ±18 V, esso NON deve superare assolutamente questo valore di alimentazione, pena la distruzione fisica del dispositivo.

Una volta sfogliata la sezione absolute maximum ratings in cerca dei parametri critici dell’operazionale, consultiamo la sezione large signal voltage

swing: studio della dinamica per ampi segnali. Si può vedere che: • Se RL≥ 10 kΩ, Vmin = 12 V, Vtyp = 14 V

• Se RL≥ 2 kΩ, Vmin = 10 V, Vtyp= 13 V

Cosa significa ciò? Di solito un buon progettista lavora sul worst case, ossia sui valori minimi: si cerca di garantire specifiche minime, per eventual-mente offrirne di migliori, a costo di realizzare un dispositivo più costoso. Si cerca inoltre di avere un certo margine, un certo D-rating, ossia “una garanzia sulla garanzia”: un margine di errore sulla garanzia minima.

Considerando un carico pari a 2 kΩ, avremo che:

RL= 2 kΩ; V = 10 V; IM AX = V

RL

= 5 mA

Bisognerà dunque limitare le richieste di corrente in uscita a 5 mA; in questo modo, si otterrà una dinamica di uscita pari a 10 V. Volendo una dinamica maggiore, ad esempio 12 V, dovremo usare il carico da 10 kΩ, e dunque:

RL= 10 kΩ; V = 12 V; IM AX = V

RL

= 1, 2 mA Sarà necessario limitare le correnti di uscita a 1,2 mA.

Incominciamo a parlare del circuito; il punto chiave è il dimensionamento del resistore R2 (fig. ??).

Come sappiamo dai precedenti studi applicativi:

R2 = 9 · R1

Altra cosa che sappiamo è il fatto che, a meno di una corrente di po-larizzazione e di una di offset, nell’operazionale non entrerà nulla; possiamo dunque determinare i parametri di feedback, quantificando la corrente di feedback, IF, come:

R1

R2

vu

vi

Figura 1.38: Schema dell’amplificatore invertente.

IF = Vu

R1+ R2 =

Vu

R2· 109

Ora, stabilendo quanta corrente va nel feedback, possiamo dare dei limiti a R2. Supponiamo di avere un’uscita massima pari a 10 V: l’uscita dell’-operazionale sarà di 5 mA. Conviene attribuire a IF tutta questa corrente? Ovviamente no: se tutta la corrente andasse nella retroazione, l’uscita sarebbe pressochè nulla. Noi vogliamo che IF sia molto minore di 5 mA, ossia almeno un ordine di grandezza in meno. Quando si parla di “molto maggiore” o “molto minore”, si deve sempre leggere “un ordine di grandezza in più o in meno”. In particolari applicazioni, di precisione, si usa aumentare o diminuire di due ordini di grandezza.

Dopo questa breve divagazione, torniamo ai calcoli:

IF ≪ 5 mA −→ R2· 109 ≃R2 5 · 1010 V−3A = 2 kΩ Quindi:

R2 ≥ 20 kΩ

Quello che abbiamo appena trovato è un lower bound. Qual è il valore mas-simo? Al fine di trovare l’upper bound, possiamo provare a considerare ciò: il minimo valore di corrente nel feedback è limitato dai parametri parassiti

dell’operazionale, ossia dagli offset. Come intervengono gli offset sull’usci-ta del circuito? Il loro valore dipenderà da R2 ? Vediamolo, in un modello dell’operazionale (fig. 1.39).

Consideriamo non ideali solo gli offset. I generatori di offset sono indipen-denti tra loro, e dal segnale di ingresso. Dal momento che siamo interessati allo studio dell’uscita in funzione dei soli offset, possiamo non considerare temporaneamente il generatore di ingresso, ma solo i generatori modellizzanti gli offset. Utilizzando la linearità del circuito, dunque calcoliamo i singoli con-tribuiti dei tre offset, e sommiamoli sfruttando il principio di sovrapposizione degli effetti.

Offset di tensione

Consideriamo Ad = ∞, vd = 0: per il principio di equivalenza (e per co-modità) si può mettere Vof f al posto del generatore di ingresso, “spostandolo dall’interno del triangolo” (fig. 1.40).

Il contributo dovuto all’offset di tensione, dunque, è semplicemente cal-colabile come calcolo del guadagno di un amplificatore non invertente:

Vu|Vof f = Vof f ·



1 + R2

R1



Cosa ci dice ciò? La tensione di uscita varia solo con il guadagno del circuito (che sarà definito dalle specifiche, e quindi non si potrà modificare), ma non solo in funzione di R2; il fatto che per ridurre gli offset si debba ridurre il guadagno, rende “intoccabile” la tensione di offset.

Corrente di offset alta

La corrente di offset “alta”, ossia sul ramo alto, da dove passa?

Beh, non sicuramente dentro rid, in quanto essa è considerabile infinita; non dentro R1, dal momento che esso è compreso tra due 0 V: uno fisico e uno virtuale. Allora andrà tutta dentro R2, ottenendo quindi:

Vu|I

b+Ioff2 = R2Ib+ Iof f

2



Dove Ib è la nota corrente di bias. Corrente di offset bassa

Per quanto riguarda l’ultima delle correnti di offset, nonchè l’ultimo dei contributi di offset del circuito, possiamo immediatamente vedere ciò (fig. 1.42).

+ + rid Vof f Vi VO Vu rO R0 R1 R2 Ib+Iof f 2 IbIof f 2

R1 R2 R3 Vof f Vu

Figura 1.40: Spostamento della tensione di offset all’interno del modello dell’amplificatore operazionale.

La corrente di offset dovuta al “generatore basso” passerà tutta dentro il resistore R3: rid non permette il passaggio di corrente, quindi R1 e R2 sono irraggiungibili. Dal momento che la corrente sul resistore R3 provoca una caduta di tensione su di esso, il calcolo dell’uscita sarà ancora una volta riconducibile al calcolo del guadagno di un amplificatore non invertente:

Vu|I b−Ioff 2 = −R3Ib Iof f2   1 + R2 R1 

Sovrapposizione degli effetti

Una volta trovati i valori dei singoli contributi, possiamo sfruttare la linearità del circuito e dire che:

Vu|of f set = Vof f · AV + R2Ib+Iof f 2  − R3  Ib Iof f2   1 + R2 R1 

Ora si intuisce il motivo per cui abbiamo introdotto nel circuito la R3, finora non utilizzata: introducendo R3, abbiamo introdotto un altro grado di libertà nel circuito, grado che permette di essere sfruttato per diminuire le correnti di offset (dal momento che le tensioni sono intoccabili!). Ciò che si riesce fare, scegliendo un valore idoneo di R3, è dimensionare R2, mini-mizzando i termini di offset senza doverci troppo preoccupare di R3! Nella

R1 R2 R3 rid I Vu

Figura 1.41: Cosa fa la prima corrente di offset (I = Ib+ Iof f

2 )? R1 R2 R3 rid I Vu

Figura 1.42: Che cosa fa la seconda corrente di offset (I = Ib Iof f

2 )?

fattispecie, otteniamo la seguente relazione tra le resistenze imponendo che i contributi delle correnti di offset nell’equazione precedente si annullino a vicenda: R3  1 − R2 R1  = R2 −→ R3 = R1R2 R1+ R2 = R1⊕ R2

Se imponiamo quindi il fatto che R3 sia uguale alla resistenza vista sul-l’altro morsetto dell’amplificatore, ovviamente considerati spenti i generatori, il contributo di Ib diviene nullo e si è minimizzata la corrente entrante nel circuito.

Ciò che si può fare a questo punto è selezionare R2, in modo che il secondo termine sia trascurabile rispetto al primo, ottenendo:

R2 Vof fI · AV

Da qui, leggendo sul datasheet e sulle specifiche:

R2 ≪ 10 · 6 · 10−3

2 · 10−7 = 0, 3 MΩ Riducendo di un ordine di grandezza:

R2 ≤ 30 kΩ

Quindi, abbiamo trovato un bound per la resistenza: R2 può essere mag-giore di 20 kΩ, e minore di 30 kΩ!

Mediante questi conti abbiamo una strada di progetto per generici cir-cuiti basati sull’amplificatore operazionale, ed una picciola nota: al fine di eliminare gli offset, le resistenze equivalenti viste dai due morsetti devono essere tendenzialmente simili!

Nel documento Elettronica Applicata (pagine 67-75)