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Datazione 40-60 d.C sulla base di dati epigrafici, stilistici, archeologici.

N. Inventario senza n inventario

2.3 Analisi contestuale

2.3.4 Analisi epigrafica

Tra i reperti selezionati, 12 presentano un testo epigrafico (19 % del totale) (tab. 1): cat. nn. 3-5 nella regio VIII Aemilia, cat. nn. 6-10 e 12-13 nella IX Liguria, cat. nn. 17 e 40 nella X Venetia et

Histria, suddivise per tipologia strutturale in 10 stele, 1 cippo-cinerario e 1 sarcofago. Nonostante le

sfingi su sarcofago siano 7, infatti, solamente l’esemplare di Altino si conserva integralmente, perché riutilizzato per seppellire Eliodoro e altri martiri267; tutti gli altri sono stati sezionati in più

parti e rimescolati nel corso delle spoliazioni (cat. nn. 51-55 ad Aquileia e 58 a Pola), al punto che solamente in un caso (cat. n. 51) la porzione sinistra di sarcofago è stata posta in connessione con un frammento della parte destra, pur mancando tutta la sezione centrale268.

Come è prevedibile con un numero così ridotto di epigrafi, non sono emerse particolari connessioni né tantomeno vincoli diretti tra le persone citate nei vari testi. Nel caso del cippo-cinerario cat. n. 17 poi, non rimane traccia del nome del defunto, che doveva essere riportato sul coperchio, ma solamente la sua appartenenza ad una legione la cui attribuzione definitiva rimane incerta: non è chiaro infatti se la “I” posta nel pannello decorato con le due sfingi affrontate si riferisca al numero della coorte della IV legione Macedonica o sia una correzione e vada ad integrare il “IIII” soprastante, indicando quindi la V legione269. Nel primo caso ci si troverebbe forse di fronte ad un

veterano aziaco e ciò si inserirebbe bene nel quadro delle deduzioni coloniarie effettuate da Augusto per ricompensare i veterani reduci della battaglia di Azio, che interessarono anche l’area di Ateste270; nell’impossibilità di dirimere la questione, rimane ugualmente una datazione entro la

prima metà del I sec. d.C. sulla base del tipo di supporto271.

267 Le prime lettere dell’epigrafe furono scalpellate per adattare il sarcofago al nuovo utilizzo e la parzialità di tale operazione si deve probabilmente alla sopraggiunta decisione di interrarlo.

268 Cfr. CILIBERTO 1996, p. 49. La correlazione tra i due frammenti è avvenuta successivamente al lavoro di catalogazione visibile in SCRINARI 1972, nn. 503 e 506, ove risultano ancora non in connessione.

269 Per la lettura cfr. BASSIGNANO 1997, che mantiene entrambe le possibilità.

270 Cfr. BOSCOLO 2016, pp. 115-116 con bibliografia precedente e p. 122 sul cippo-ossuario di Santa Margherita d’Adige. Sulla connessione tra iconografia raffigurata sui cippi-ossuario atestini e le deduzioni coloniarie riferite ai veterani cfr. anche GHEDINI 1989, p. 56.

Nelle altre iscrizioni figurano le seguenti gentes: Attia, Caesia, Cominia, Cornelia, Ennia, Fadiena,

Firmia, Geminia, Latronia, Mocca, Mucia, Petronia, Pompennia, Titia, Varia, Veamonia, Veustania, Vibia, Voconia. In nove epigrafi vengono citati dei cittadini di nascita libera (cat. nn. 3, 5-10, 12,

13), di cui tre anche con l’indicazione della tribù di appartenenza (Pollia per cat. nn. 7 e 10,

Camilia per cat. n. 12)272 e in cinque figurano dei liberti (cat. nn. 4, 5, 12, 13, 40); considerando

complessivamente le persone indicate, in 32 casi si tratta di ingenui (67 %), in 12 di liberti (25 %), in 1 caso di uno schiavo nato in casa (“verna”, cat. n. 5), in 3 casi non determinabile (cat. nn. 4 e 5 il simplex nomen di Euripus e Lesbia non consente di precisare se abbiano o meno la piena dignitas di cittadino romano; nel n. 17 non si conservano informazioni sul nome del veterano). I liberti figurano sia come dedicanti (cat. nn. 4, 5, 12, 40), in un terzo delle epigrafi, che come dedicatari (cat. nn. 4, 5, 12, 13) e sia in abbinamento con il proprio patrono (cat. nn. 12, 13) che isolatamente (cat. nn. 5, 40); nel caso della stele di Cotignola (cat. n. 4) i due adulti potrebbero essere due colliberti oppure un patrono e una liberta uniti in matrimonio o concubini273; gli ingenui sono

dedicanti nelle restanti 8 epigrafi (cat. nn. 3, 6, 7, 8, 9, 10, 13, 17). In due casi (17 % del totale), le titolari delle epigrafi sono donne (cat. nn. 5 e 40), entrambe di condizione libertina274.

Nell’iscrizione sul sarcofago di Altino (cat. n. 40) figurano due cognomina grecanici, Ariste e

Abascantus, che solitamente possono indicare la condizione di liberto di un individuo: in questo

caso ciò è certo per la donna ma non del tutto per l’uomo, che non esplicita il proprio status275.

Sono presenti anche elementi di onomastica indigena in alcune delle stele piemontesi (cat. nn. 6, 7 e 9): in quella da Boves figurano i gentilizi Veamonius e Mocca, il patronimico Iemmi filius e il nome personale della donna, Enannia276; nel reperto da Savigliano è citato il cognomen Vilagenio277 e

272 La tribù Camilia è citata anche in una delle altre stele della necropoli dei Fadieni: cfr. CAMODECA 2006, pp. 23- 24.

273 Cfr. CENERINI 2006, p. 38.

274 Sulla presenza considerevole di donne dedicanti cfr. ad esempio BUONOPANE, MAZZER 2005, p. 334 in riferimento ad Altino.

275 Nell’epigrafe infatti la donna è citata come [---]tia M(arci) l(iberta) Ariste, mentre l’uomo semplicemente come

Attio Abascanto.

276 Cfr. MERCANDO, PACI 1998, p. 212 e nota 17. 277 Cfr. MERCANDO, PACI 1998, p. 177 e nota 85.

infine in quello da Mondovì compare il gentilizio Veustanius278. Si segnala inoltre l’origine etrusca

del gentilizio Pompennius, citato nella stele di Gambulaga di Portomaggiore (cat. n. 3)279.

Non risulta alcuna indicazione circa le eventuali cariche politiche degli individui citati e, per quanto riguarda la professione, questa viene esplicitata solamente nel cippo-cinerario cat. n. 17 già citato e in merito a un secondo veterano, riportato sulla stele piemontese cat. n. 12 senza alcuna precisazione riferibile al reparto in cui militò.

In tre casi nell’iscrizione viene riportata la pedatura (cat. nn. 4, 5, 40), due nella regio VIII e uno nella X, mentre risulta essere del tutto assente tra le numerose stele provenienti dalla regio IX, in pieno accordo con la tendenza generale dell’area280. Le dimensioni dei tre recinti si attestano a XX

piedi (circa 5,90 m) nella stele di Ravenna281, in fronte L piedi (14,80 m) e in agro XXXXV (circa

13,30 m) in quella di Cotignola e in fronte LV piedi (circa 16,30 m) e in agro XXX (circa 8,90 m) sul sarcofago di Altino; se le ultime due sembrano rivelare qualche affinità dimensionale, distinguendosi dalla prima, così non appare considerando il contesto entro cui si pone ciascuna epigrafe. La pedatura della stele di Ravenna si riferisce infatti a dimensioni medie e comuni ad esempio a Bologna e Sarsina282; quella di Cotignola invece risulta essere, all’interno della regio

VIII, una delle maggiori riferite a sepolture singole283; il sarcofago di Altino, infine, si attesta ad un

livello medio-basso tra le dimensioni citate nell’ampissimo corpus altinate, composto da 177 iscrizioni riportanti la pedatura (tra 4 e 120 pedes)284. Quest’ultimo inoltre si differenzia dalla

maggioranza delle pedature altinati, caratterizzate da una maggiore estensione in agro che in fronte, presentando una larghezza superiore (e quasi doppia) rispetto alla profondità285.

278 Cfr. MERCANDO, PACI 1998, p. 216 e nota 35. 279 CAMODECA 2006, p. 22.

280 Sulla forte scarsità di indicazioni della pedatura in Liguria e in Piemonte, cfr. LIGUORI 2005, pp. 157-158. 281 Pedatura parziale a causa della frammentarietà della stele, priva del secondo acroterio laterale su cui doveva essere riportato il resto dell’estensione.

282 Cfr. CENERINI 2005, p. 138. 283 Cfr. CENERINI 2005, p. 139.

284 BUONOPANE, MAZZER 2005, pp. 330-331. 285 BUONOPANE, MAZZER 2005, p. 332.

L’assenza di associazione tra la dimensione del recinto e il prestigio sociale dei defunti già ampiamente osservata pare qui confermata, trattandosi in tutti e tre i casi di liberti, come pure la tendenza di questa categoria a esibire una certa opulenza in ambito funerario286.

In aggiunta alle informazioni sui defunti e alla pedatura, il sarcofago altinate cita anche le disposizioni testamentarie relative alla trasmissibilità della proprietà, al diritto di accesso e alla servitù di passaggio, con precisa formula giuridica che esplicita anche il legame tra il locus

sepulturae e i termini che ne delimitano l’areale287.

La stele di Gambulaga di Portomaggiore (cat. n. 3), invece, riporta un carme epigrafico riferito alla morte prematura del figlio ventitreenne e caratterizzato da un testo originale, privo di confronti puntuali. La presenza di un carme epigrafico, unica attestazione tra le iscrizioni associate a sfingi funerarie, accresce ancor di più la propria originalità poiché in connessione con i quattro carmina riportati sulle altre stele della necropoli prediale dei Fadieni, secondo una scelta che, nonostante la diversa qualità dei testi e della loro realizzazione288, assolveva alla funzione di attirare l’attenzione e

instaurare un dialogo con il viandante di passaggio, garantendo la sopravvivenza della memoria289.

Considerando infine il quadro cronologico delle epigrafi analizzate, le datazioni delle stele risalgono tutte al I sec. d.C., con una maggiore concentrazione tra gli inizi e la metà del secolo (unica eccezione il cat. n. 8, datato alla seconda metà); il cippo-ossuario si attesta sempre nella prima metà del I sec. d.C. mentre il sarcofago si data poco dopo la metà del II sec. d.C.

286 Cfr. ad esempio BUONOPANE, MAZZER 2005, pp. 333-334 e CENERINI 2005. 287 CRESCI MARRONE 2005, p. 310; GHEDINI, ROSADA 1982, p. 113.

288 CAMODECA 2006. Sull’uso di carmina epigraphica per un’acculturazione più ostentata che reale cfr. UGGERI 2015-2016, p. 95.