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Tipologia e distribuzione dei litotip

Datazione 40-60 d.C sulla base di dati epigrafici, stilistici, archeologici.

N. Inventario senza n inventario

2.3 Analisi contestuale

2.3.2 Tipologia e distribuzione dei litotip

Analizzando ad esempio il tipo di pietra scelta per la realizzazione dei reperti si individuano varie tendenze in qualche modo connesse a quanto detto finora183: nella regio VIII si tratta essenzialmente

180 Sulla viabilità cfr. GRAMATICOPOLO 2004 e DEGRASSI 2014; cfr. MATIJAŠIĆ 2001 sulle rotte di navigazione tra l’Istria e l’alto Adriatico.

181 UGGERI 1987, p. 326 per il fiume Adda, navigabile fino al piano di Chiavenna. 182 Cfr. ad esempio UGGERI 1987, p. 313.

183 Non sempre è stato possibile definire con certezza il litotipo: i dati qui di seguito riportati riguardano i reperti per i quali era disponibile o possibile l’identificazione.

di materiale di importazione, nello specifico calcare d’Aurisina del tipo “fiorita” (cat. n. 3)184, pietra

d’Istria (cat. nn. 4 e 5)185 e la cosiddetta “pietra di Vicenza” (cat. n. 1, Piacenza)186; nella IX al

contrario si hanno perlopiù provenienze locali: marmo della Val Varaita (CN) utilizzato per la stele di Alba (cat. n. 11)187, pietra scistosa locale (cat. nn. 6 e 9)188 e arenaria locale (cat. n. 12)189, salvo

tre casi in cui si ha una generica descrizione come “marmo bianco” (cat. nn. 7, 8, 10)190 e una in

calcare grigio non meglio precisato (cat. n. 13)191.

Nella regio X si ha un quadro più complesso: ai materiali di chiara importazione come il marmo apuano saccaroide dell’urna di Sorgà (cat. n. 15)192 e quello di buona parte dei sarcofagi193, talvolta

definito “di tipo greco” (cat. n. 52)194 o proconnesio (cat. n. 58)195 e in altri due più genericamente

(cat. nn. 40, 54 e 55)196, si alterna l’uso estremamente diffuso di pietra proveniente dalla regione, in

particolare di “pietra di Vicenza” (cat. nn. 16-18, a Orgiano - VI, S. Margherita d’Adige - PD e Villanova del Ghebbo - RO), calcare di Aurisina (cat. nn. 22-36, 41, 46, 50 nei centri di Altino, Aquileia e Oderzo) e pietra d’Istria (cat. nn. 56, 57, 59, 60, tutte da Pola). Vi è poi la sfinge da

Bedriacum (cat. n. 14) in nembro197 e altre, il cui litotipo è genericamente definito come “calcare”,

provenienti da Monselice (cat. n. 19), Adria (cat. n. 20), Altino (cat. nn. 21, 37-39), Iulia Concordia (cat. nn. 42-45) e Aquileia (cat. nn. 47-49 e 53). Questo ultimo raggruppamento (ad esclusione della

184 Descrizione petrografica in BEVILACQUA 2006, p. 197.

185 Cat. n. 4 più incerto, definito come pietra d’Istria in SCARFÌ 1964, p. 140 n. 214 e nella scheda di catalogazione del museo di Ravenna, come calcare bianco in MONTEVECCHI 2006, p. 50. Per la possibilità che sia pietra d’Istria, che giungeva facilmente a Ravenna via mare, cfr. l’ipotesi che sia opera di un’officina ravennate in CENERINI 2006, p. 38.

186 Dato risultante dalle analisi petrografiche condotte recentemente e di cui devo la conoscenza alla dott.ssa Micaela Bertuzzi, restauratrice presso il Museo Archeologico di Piacenza, che ringrazio.

187 Cfr. le analisi petrografiche in GOMEZ SERITO 2007, p. 155, n. 73. 188 MERCANDO, PACI 1998, pp. 211-212, n. 134 e 215-216, n. 138. 189 MERCANDO, PACI 1998, pp. 222-226, n. 148.

190 MERCANDO, PACI 1998, pp. 176-177, n. 101; p. 147, n. 73; pp. 182-183, n. 108. 191 MERCANDO, PACI 1998, pp. 239-140, n. 162.

192 Come anticipato (cfr. cap. 2.1) l’urna è attualmente conservata presso il Cleveland Museum of Art (Ohio, USA) perciò non è stato possibile visionarla. L’identificazione del materiale è riportata in CIPOLLA 1882 e confermata a livello macroscopico dall’osservazione delle fotografie di dettaglio fornite dall’archivio online del museo.

193 In due casi (cat. nn. 51 e 53), invece, il materiale è definito come calcare.

194 SCRINARI 1972, p. 163, scheda n. 507; sarebbe indicato come “marmo greco” anche il reperto n. 506 (cat. n. 51) che però è in calcare.

195 STARAC 2006, pp. 171-172, n. 162.

196 Per cat. n. 40 cfr. GHEDINI, ROSADA 1982, p. 112; per n. 55 cfr. GABELMANN 1973, p. 206 n. 8. 197 Viene così identificato da TAMASSIA 1989, p. 421.

sfinge padovana, quella da Adria e due da Altino, visibilmente differenti e più probabilmente in pietra tenera di Vicenza)198 pare verosimilmente assimilabile al gruppo di reperti in calcare di

Aurisina, sia per la vicinanza alla cava omonima e il facile collegamento con essa attraverso le vie di terra e soprattutto d’acqua199, sia perché tutte le altre evidenze in calcare distribuite nell’alto

Adriatico tra Altino e Aquileia e definite nel dettaglio (18 delle 33 sfingi in calcare) sono di questa tipologia.

Infine, l’unico reperto emerso nella regio XI (cat. n. 61) è realizzato in biocalcarenite locale200.

Sintetizzando quanto emerso dall’osservazione dei litotipi utilizzati, si evidenzia in sostanza la presenza di due grandi raggruppamenti corrispondenti a quelli desunti dall’analisi distributiva dei reperti. Vi è infatti un primo areale che predilige l’uso di pietre locali nella regio IX Liguria, già individuata come sede di una concentrazione di sfingi, e un secondo gruppo, più ampio, di diffusione di materiali dalle cave della Venetia et Histria sia entro i confini territoriali che nella

regio VIII, ricalcando così l’area a maggiore densità delimitata dai vertici Piacenza-Rimini-Aquileia

e a cui si aggiunge anche in questo caso l’appendice istriana di Pola, collegata con essa via terra e via mare. La sfinge transpadana realizzata in pietra locale, infine, conferma l’isolamento già evidenziato dall’analisi distributiva. Tra le eccezioni a questa suddivisione in macro-aree figurano alcuni reperti della regio X: l’urna in marmo apuano proveniente da Sorgà e il gruppo dei sarcofagi realizzati in marmo, tutti distribuiti nell’arco alto-adriatico tra Altino e Pola; in entrambi i casi però, l’usuale impiego del marmo ne giustifica la provenienza da fuori regione201 e in particolare il

materiale dei sarcofagi è principalmente di origine greca o microasiatica, come tipico per i reperti di

198 GHEDINI. ROSADA 1982, p. 106. 199 PREVIATO, ZARA 2018, p. 597.

200 SCARPELLINI 1993, pp. 206-207, n. 126 e dati sulle analisi petrografiche in CHIESA, SPERANZA 1993, pp. 53- 54.

questa classe in ambito adriatico202 grazie alla loro ampia circolazione lungo questa tratta

marittima203.

I tre materiali principalmente utilizzati nel secondo areale di concentrazione sono quindi il calcare d’Aurisina (19 reperti a cui si sommano in via ipotetica i 10 genericamente definiti come calcare), la pietra d’Istria (7 reperti) e la pietra di Vicenza (3 reperti, più ipoteticamente le 4 già citate); si tratta di pietre cavate in tre dei bacini di estrazione maggiori della X regio, insieme a quelli nella Valle del Cansiglio, nei Colli Euganei e nei Monti Lessini204, che ebbero tutti una grande diffusione

nella Cisalpina grazie alla presenza capillare di strade e vie navigabili205. Il calcare di Aurisina era

diffuso principalmente ad Aquileia e Altino, entrambe facilmente raggiungibili via terra e soprattutto via mare dall’omonima cava nel Carso206, ma è attestato anche a Gambulaga di

Portomaggiore (FE), che anticamente si affacciava sul ramo principale del Po ed era quindi molto ben inserito nel sistema idroviario antico207.

La denominazione di pietra d’Istria riguarda numerose cave sparse nella fascia occidentale della penisola istriana da poco più a nord di Parenzo fino alla sua estremità meridionale passando per Pola, dove abbiamo vari reperti realizzati in questo materiale208, mentre le due presenti a Ravenna e

Cotignola sono giunte probabilmente percorrendo la via marittima transadriatica già citata209.

La pietra di Vicenza, infine, è diffusa soprattutto tra i reperti più vicini alla zona di estrazione sul versante orientale dei Colli Berici (Orgiano – VI, S. Margherita d’Adige – PD, Villanova del Ghebbo – RO), ma il suo utilizzo anche per la realizzazione della sfinge di Piacenza si inserisce perfettamente nel quadro di una sua attestazione in un areale molto ampio nelle regiones VIII, X e

202 Cfr. ad esempio SCRINARI 1972, pp. 145-175 per Aquileia, confermato dallo studio minero-petrografico di BERTACCHI et al. 1985 su numerosi campioni di reperti marmorei, tra i quali anche sarcofagi, che si sono rivelati essere in grandissima parte di provenienza greco-anatolica e mai lunense; DESTRO 2015 per Iulia Concordia, benché non figurino sarcofagi con sfingi; STARAC 2006, pp. 170-188 per Pola.

203 Cfr. LEGROTTAGLIE 2016, p. 61 e PENSABENE 2013, pp. 145-195 anche per la preminente diffusione del marmo lunense in direzione invece della Gallia e della Spagna.

204 PREVIATO, ZARA 2018, pp. 597-598.

205 BUONOPANE 1987; LAZZARINI, VAN MOLLE 2015; PREVIATO 2015. 206 PREVIATO, BONETTO 2013, p. 148.

207 STEFANI 2006, p. 41.

208 PREVIATO, BONETTO 2013, p. 147 fig. 1 per la distribuzione delle cave; p. 149 per informazioni sulle cave e il tipo di pietra.

XI fino a Milano e Pavia210. Nel caso di Piacenza, inoltre, è documentata la forte presenza di questo

litotipo, insieme alla pietra d’Istria e al marmo greco-orientale, a conferma dell’orientamento di questa città verso le tratte provenienti dalla regio X e lungo la via d’acqua del sistema Adriatico- fiume Po; tale dato risalta ancora di più se confrontato con l’uso considerevole di marmo lunense nella vicina Veleia/Velleia (PC), posta lungo il percorso appenninico di diffusione dello stesso, che non trova riscontro nel capoluogo piacentino211. Il ruolo centrale del Po nel trasporto di materiale

lapideo verso ovest mediante alaggio212, poi, si somma alla generale preferenza di vie fluviali e

marittime per questo tipo di spostamenti, poiché più agilmente percorribili con carichi pesanti rispetto a quelle terrestri, ed è riscontrabile nella disposizione dei vari rinvenimenti in zone facilmente connesse attraverso vie d’acqua ai bacini di estrazione213: periadriatica tra le cave di

Aurisina e l’area di diffusione214, transadriatica tra le cave istriane e Ravenna215, fluviale lungo il

Bacchiglione per la pietra di Vicenza216; in tutti e tre i casi inoltre veniva sfruttata anche la via

endolagunare esistente tra Ravenna e Aquileia217, eventualmente poi risalendo la corrente fluviale

mediante alaggio, come nel caso di Piacenza lungo il Po218.

Lo stesso sfruttamento delle vie fluviali per il trasporto di materiale lapideo si riscontra anche nella

regio IX per quanto riguarda il marmo della Val Varaita (stele cat. n. 11, da Alba): estratto

nell’omonima valle, nel cuneese, venne utilizzato dalla metà del I sec. d.C. in molti siti della provincia, ove veniva trasportato in favore di corrente fino a giungere a Torino e Industria, sulle rive

210 PREVIATO, ZARA 2014, p. 72 e 76.

211 Per un approfondito studio dei percorsi appenninici di diffusione del marmo di Luni cfr. LEGROTTAGLIE 2016, in particolare p. 61 sulla sua scarsa presenza a Piacenza, a favore di altri litotipi. Sulla diffusione della pietra di Vicenza a Piacenza si veda ad esempio MARINI CALVANI 1990, pp. 779-780.

212 Cfr. PREVIATO, ZARA 2014, p. 75 per le pratiche di alaggio legate alla diffusione della pietra di Vicenza; pur non citando nello specifico Piacenza come tappa fluviale, descrive la percorribilità del Po sulla lunga distanza fino a raggiungere, attraverso vie d’acqua secondarie, Milano e Pavia.

213 Cfr. PREVIATO, ZARA 2014, p. 66 e la bibliografia citata nelle note precedenti relativamente ai singoli litotipi. Tuttavia vi sono varie testimonianze anche in merito al trasporto di materiale lapideo per via terrestre in varie regioni dell’antichità, per le quali si rimanda a LEGROTTAGLIE 2013, pp. 55-61.

214 PREVIATO, BONETTO 2013, p. 148, nota 26; STEFANI 2006, p. 41. 215 Cfr. nota 180 sulle rotte di navigazione tra l’Istria e l’alto Adriatico.

216 Cfr. PREVIATO, ZARA 2014 in generale per la dimostrazione dell’utilizzo del fiume Bacchiglione per il trasporto della pietra di Vicenza; in particolare pp. 65-66 per la vicinanza delle cave al fiume, dopo aver superato un dislivello di almeno 60 m e poi lungo un breve tratto di strada; p. 75 per i tragitti percorribili.

217 Cfr. PREVIATO, ZARA 2014, p. 75.

del Po, e fino ad Asti seguendo il corso del Tanaro, lungo il quale sorge Alba (CN). Per quanto riguarda le tre stele il cui materiale è genericamente descritto come “marmo bianco”, si osserva in due casi (cat. nn. 7, da Savigliano, e 10, da Corneliano d’Alba) la loro disposizione lungo le vie fluviali a valle delle cave della Val Varaita, all’interno dell’area di diffusione che giungeva fino ad Asti e Industria, perciò pare verosimile ipotizzare che si possa trattare del medesimo litotipo, sebbene sarebbero necessarie analisi più approfondite per affermarlo con certezza; nel caso di Beinette (cat. n. 8) ci troviamo invece al di fuori dell’areale raggiungibile in favore di corrente, ma si tratta comunque di una zona facilmente connessa al bacino di estrazione. In assenza di analisi petrografiche, tuttavia, non si esclude una provenienza esterna, ad esempio dalle cave lunensi219, per

almeno alcune delle tre stele in marmo bianco.