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Gli anapesti iniziali (77-85) sono abbastanza regolari:

77-85: wwq wwq/qq wwq wwq qq/ wwq qq qq wwq/ wwq qq qww qq/wwq wwq qwwqq/ qq qq wwq qq/ wwq wwq qq wwq/ wwq qq qq wwq wwq qq/ wwqq

L’unica particolarità metrica rivelante è la presenza del dattilo all’inizio del verso 80. In ambito pretragico, il ritmo anapestico ammetteva solo anapesti (wwq) o spondei (qq); i tragediografi però non esitavano a modificare le regole di composizione dei versi per ottenere nuovi ritmi80.

La situazione si fa più complessa nella prima coppia strofica81:

Prima coppia strofica: 86- 92= 98-104

1) wqwq wqwq ia dim 2) qqwq wqwq ia dim 3)qwwqwqwq cho ia dim 4)qqqwwqwwq qq hem 5)wqwwqwwq w hem 6)qqwwqwwqq qhem q 7)qqq wqq mol ba

80 Negli anapesti della parodo dell’Alcesti sono presenti dattili anche ai versi 96, 111, 131. 81 La scansione metrica che adotto nella mia trattazione è quella di Parker (2007).

L’incipit è costituito da 4 metra giambici, che la Parker preferisce vedere come due dimetri giambici separati in quanto non ritiene abbastanza forte il legame operato da ἢ. L’incalzare dei giambi rende bene l’agitazione che percorre gli interrogativi dei coreuti.

Al verso 3, il ritmo giambico82 è interrotto da un coriambo: la Parker nota che

l’aristofanio (qwwqwqq), interpretabile anche come forma catalettica del dimetro giambo-coriambico, è molto frequente come clausola di una serie di giambi; è raro invece che in questa posizione si trovi la forma completa del verso, come succede qui. La Dale infatti preferisce vederlo come un verso eolo- coriambico di otto sillabe, anche se a mio avviso l’interpretazione della Parker è più coerente con il contesto.

I versi 4, 5 e 6 vengono letti dalla Parker come dattili epitriti83, metri largamente

utilizzati dai lirici. La studiosa osserva che sequenze del tipo qwwqwwq sono frequenti anche in ambiente eolo-coriambico: ritengo però che la sua interpretazione sia più calzante. Non sono convinta nemmeno della lettura di Lourenço , che propone di vedere in chiave enopliaca il verso 91, indicandolo con il nome di erasmonideo. La sua classificazione non rispetta però i criteri del verso che erano stati individuati da Itsumi: egli infatti lo rappresentava metricamente come xqwwqwwqx, ma specificava che di solito la prima e l’ultima posizione non erano anceps, come accade per i dattili epitriti, ma erano occupate da una sillaba breve84. Il fatto che in questo caso troviamo un elemento lungo in entrambe

le posizioni suddette avvalora quindi la tesi della Parker.

82 Il giambo è un metro che si trova molto spesso in forma stichica nei peana a noi pervenuti. Il collegamento fra il genere lirico e questo tipo di ritmo viene avvalorato anche dal fatto che Eraclide Pontico facesse risalire la nascita del trimetro giambico alla triplice ripetizione del grido cultuale ἰὴ παιάν (fr. 158 Wehrli).

83 La denominazione utilizzata dalla studiosa venne coniata alla fine del XIX secolo da R. Westphal ed è basata sull’erronea supposizione che fossero dei versi formati dalla combinazione fra dattili ed epitriti (nella terminologia degli antichi, venivano indicati con questo nome i piedi costituiti da tre lunghe ed una breve: ce ne sono di quattro tipi, a seconda della posizione assunta dalla breve, ma i più famosi sarebbero stati l’epitrito giambico wqqq e trocaico qwqq ). La scuola urbinate preferisce invece vedere il verso come un’associazione fra cola enopliaci e sequenze giambiche o trocaiche con l’elemento libero realizzato di solito da una lunga. Pertanto almeno in ambito italiano prevale la denominazione di kat’enoplion epitriti, proposta da Gentili. Si tratta in ogni caso di un verso che poteva essere utilizzato anche per la composizione di peana, come attestano alcuni frammenti di Pindaro ( fr. D5 Rutherford), Bacchilide (fr. 4 Maehler) o Simonide (fr. 41 Page).

La forma inusuale di I 7 viene giustificata dalla necessità di inserire la formula ὦ Παιάν al verso 92; capiamo da questo che la strofe doveva essere stata scritta per prima e che l’antistrofe sia stata accomodata di conseguenza. La presenza di un baccheo nel verso che evoca l’epiteto cultuale di Apollo potrebbe, a mio avviso, non essere del tutto casuale. Dal termine stesso di Παιάν, deriva il nome di una sequenza metrica, il peone, utilizzato spesso nei canti di invocazione del dio85.

Si tratta di un piede composto da una qualsiasi combinazione di una lunga e tre brevi: le forme più diffuse, che prendono il nome dalla posizione dell’elementum

longum, sono il peone primo (qwww) e il peone quarto (wwwq), ma sono attestati

anche il peone secondo (wqww) o terzo (wwqw). Il verso è in pratica una successione di cinque unità divise in un rapporto di 2:3 ed è quindi strettamente legato ad altri due metra di 5 morae, il cretico (qwq) e il baccheo (wqq), tanto che Rutherford parla di cretic-paeonic-bacchiac metre86. Per questo verso, la Dale

propone un’interpretazione in chiave enopliaca, catalogandolo con la sigla ssq87.

Dopo la strofe della prima stanza, comincia una serie di anapesti marcatamente lirici ( 93-97). Anche le altre due sezioni anapestiche che seguono rispettivamente la prima e la seconda antistrofe (105-111; 131-135) sembrano essere state cantate. Lo possiamo dedurre dal fatto che in esse ritroviamo le caratteristiche che distinguono gli anapesti lirici da quelli recitativi:

• sfumature doriche nel linguaggio, come per esempio la sostituzione dell’alfa all’eta (es. φθιμένας al verso 93; ψυχᾶς al verso 108; ). La Parker però fa notare che questo criterio è il più debole nei casi in cui metri lirici e recitativi sono alternati, come accade qui. È infatti possibile che i doricismi presenti nei codici siano correzioni normalizzanti dei copisti, che li avrebbero adattati ai restanti metri lirici.

• i dimetri anapestici catalettici ( — — ), che nella forma recitativa∪ ∪ ricorrono solo alla fine del sistema, compaiono anche in altre posizioni. Qui

85 Non si ha un gran numero di attestazioni di peoni nei frammenti di peana del V secolo o di età ellenistica. Rutherford (2001), 77 ipotizza che i peoni fossero utilizzati in una forma

primordiale del canto, forse associata agli ambienti di Delfi o Creta, che non è ben rappresentata dai frammenti superstiti di peana letterari.

86 Rutherford (2001), ibidem.

li troviamo non solo con funzione clausolare, come al verso 85, ma anche in apertura dei tre sistemi di anapesti (93-105-131). Ci sono poi altri due dimetri anapestici catalettici al verso 107 e 133.

• maggiore libertà nelle soluzioni; ad esempio, è possibile trovare sequenze di quattro o più brevi, oppure al contrario avere un ritmo marcatamente spondaico (cfr. v. 94 ͟ ͟ ͟ ͟ / ͟ ͟ ͟ ͟ ) .

la dieresi fra i metra che compongono uno stesso verso non è sempre regolarmente osservata. Cfr. ad esempio v. 94 (οὐ γὰρ δὴ φροῦ/δός γ’ ἐξ οἴκων); 105 (καὶ μὴν τόδε κύ/ριον ἦμαρ). 93-97: qqwwq|wwqq qqqq qqqq wwqq wwqqq|wwqqq qwwqq|wwqqq qqwwq|wwqq ||| 105-111: qqwwq wwqq wwqq qqwwq|wwqq wwqqq| wwqwwq qqwwq| wwqwwq qqqq qwwqq| wwqq ||| 131- 13588: qwwqq|wwqq

88 Diggle nel suo testo espunge l’intera sezione dei versi 131-135. Questi anapesti erano stati considerati interpolati già da Wheeler e da Wilamowitz, che li considera sgraziati dal punto di vista estetico e superflui sul piano semantico (sarebbero una semplice ripetizione dei concetti espressi ai versi 119-120). Egli suggerisce che il passaggio sia stato aggiunto nel momento in cui Asclepio è stato divinizzato, ma non c’è nulla nel testo che faccia pensare a dei sacrifici rivolti specificamente a lui. Torraca ritiene che essi potessero essere stati composti in un secondo momento, dopo la divinizzazione del figlio di Apollo, per essere inseriti al posto della seconda strofe ed antistrofe (112-131), che sminuivano il potere del dio. Nel processo di trasmissione del testo, però, invece che sostituire la seconda coppia strofica erano stati aggiunti

wwqq

qqwwq|wwqq qqqq|wwqqq qqwwq|wwqq||

La Dale si chiede se non sia possibile inglobare i versi 93-97 nella strofe e di conseguenza i versi 105-111 in responsione nell’antistrofe, ma il testo, che in questi punti è incerto e lacunoso, rende difficile verificarlo. Anche la Parker ritiene che sia difficile determinarlo per scarsità di materiale comparativo in quanto di solito i passaggi epirrematici sono divisi fra due attori solisti o fra il coro ed un attore. I casi in cui il coro esegue sia le sezioni liriche che quelle anapestiche sono estremamente rari. Due casi analoghi sono stati individuati dalla Parker nell’Antigone (100-161) e nel Reso (527-564). Nell’Antigone, le due sezioni del sistema anapestico non hanno la stessa lunghezza (la prima sezione è composta da 12 metra, la seconda da 14); anche nel Reso il primo gruppo di anapesti è più corto di due metra rispetto al secondo, ma qui la differenza può essere colmata ipotizzando la caduta di un dimetro anapestico catalettico dopo il verso 537.

Nel passaggio del Reso abbiamo un’ ulteriore somiglianza con quello dell’Alcesti: la stanza è divisa fra due semicori e la distribuzione delle battute fra strofe e antistrofe non corrisponde. La divisione di una stanza fra più personaggi non è molto frequente in tragedia; quando però si attua, nella maggior parte dei casi la distribuzione delle battute corrisponde. Il fatto che in nessuno dei due passi euripidei ciò avvenga mi lascia molti dubbi su un’eventuale responsione, nonostante le sezioni anapestiche da correlare siano effettivamente molto simili. I problemi, da un punto di vista metrico, riguardano soprattutto i tre monometri anapestici ai versi 94b, 106 e 132, tutti e tre sospetti di corruzione e segnati fra

cruces dalla Parker.

dopo di essa.

La Parker al contrario pensa che questa sezione sia caratterizzata da una fraseologia tipicamente euripidea e sia di qualità non inferiore rispetto agli anapesti precedenti. L’unico verso di cui viene messa in dubbio l’originarietà è il 132.

Il monometro anapestico 94b fa sorgere delle difficoltà anche perché si trova dopo un dimetro anapestico completo e non dopo uno catalettico, come accade invece per il monometro al verso 106 che quindi potrebbe dare l’impressione di una chiusa. Kirchoff aveva provato a rendere il verso 94a un dimetro catalettico espungendo γὰρ, ma la particella è essenziale per il senso della frase89. Inoltre in

questa maniera dovremmo obbligatoriamente intendere il monometro come un’asserzione indipendente: ma la Dale fa notare che questa scelta sarebbe difficile sia da un punto di vista grammaticale che emotivo. Il coro è diviso in un gruppo tendenzialmente più ottimista ed uno più pessimista, ma tutti e due sono incerti e stanno ancora cercando di capire se Alcesti sia ancora in vita o meno: un’asserzione del tipo “già un cadavere!” sembra abbastanza strana così all’improvviso e, soprattutto, in questo contesto.

Kovacs invece costruisce il testo adottando la congettura di Willinks, che aveva inserito al verso 94a la particella δήπου90. La combinazione οὐ γὰρ δή που ricorre

anche al verso 1064 del Prometeo Incatenato di Eschilo, ma non compare mai in Euripide. Inoltre που introduce una sfumatura di dubbio che non è appropriata per il contesto.

L’emendamento più plausibile mi sembra quello di Elmsley, che aveva espunto νέκυς ἤδη intendendolo come glossa di φθιμένας. In ogni caso, anche la scelta della Parker di lasciare il testo originario mettendolo tra cruces è condivisibile perché il monometro problematico che verrebbe espunto da Elmsley si ripete uguale in tutte e tre le sezioni anapestiche, quindi sarebbe bene conservarlo.

Il monometro della terza sezione, al verso 132, in realtà si potrebbe eliminare in maniera altrettanto facile. La Parker stessa sospetta che quel βασιλεῦσιν sia interpolato, rilevandolo come superfluo per il senso della frase, ma per lo stesso principio di prudenza preferisce non eliminarlo e lasciarlo fra cruces.

Il secondo monometro anapestico invece, al verso 106, non sembra da espungere e non presenta assolutamente nessun problema dal punto di vista del senso: il semicoro più ottimista richiede all’altro gruppo di spiegare la laconica asserzione sull’arrivo del giorno fatale. Per cercare di aggiustare la metrica, Kovacs segue

89 L’espressione οὐ γὰρ δὴ secondo Denniston (19542), 243, viene utilizzata per chiarire lo sfondo escludendo almeno una possibilità.

90 Il testo di Kovacs si presenta quindi così: 94 a οὐ γὰρ δήπου

Hermann stampando τί τόδ’αὐδάσεις; ma il contesto qui richiede obbligatoriamente un presente (“che cosa dici”) e non un futuro (“che cosa sei in procinto di dire”). La Parker pertanto lascia anche questo monometro nell’incertezza, mettendo anche questo monometro fra cruces.

Un altro passo di cui la studiosa segnala la problematicità facendo ricorso alle

cruces è il verso 103. Questa volta è l’espressione οὐδὲ νεολαία a destarle

perplessità, prima di tutto da un punto di vista contenutistico. Perché il battere delle mani doveva necessariamente essere associato a giovani donne? Il suggerimento dello scolio, che propone che esse potessero produrre un rumore più sonoro91, non

la convince. Oltre che dal punto di vista metrico e di significato, il testo nella forma tradita non è accettabile neppure sul piano grammaticale in quanto νεολαία è un sostantivo (“giovane gruppo”) e non un aggettivo. L’aldina tenta di aggiustare almeno la responsione metrica sostituendo οὐδὲ con οὐ, ma i problemi riguardano troppi aspetti e la presenza di una profonda corruzione del testo è innegabile. Dindorf propone di ristabilire la responsione metrica sostituendo νεαλής (“fresca”, “non stanca”) a νεολαία. In questa maniera ci troveremmo ad avere a che fare con un aggettivo, ma la sua aderenza con il sostantivo a cui si riferisce rimarrebbe ancora dubbiosa. Inoltre la prima attestazione di questo termine risale alla fine del V secolo92, pertanto ritengo più prudente lasciare le cruces.

Al verso precedente (102), la responsione metrica è invece restaurata da Diggle che propone un ὃ al posto dell’ἃ tramandato dai codici. Adottando la congettura del filologo, dobbiamo giustificare l’accordo tra il relativo neutro singolare e un sostantivo femminile precedente (χαίτα) immaginando il termine come dipendente da una categoria (quella degli elementi che contraddistinguono le pratiche di lutto) che può essere indicata con il maschile neutro singolare93. Chi voglia preservare l’ἃ

tramandato dai codici, si trova davanti diversi problemi: intendendolo, come sarebbe più ovvio, come un pronome relativo femminile singolare, otterremmo un

91 Schol. ad loc.: νεολαία: ἡ νέα. κυρίως δὲ ὁ έκ τῶν νέων ὄχλος. νῦν δὲ τὴν ἀκμάζουσαν καὶ εὔτονον χεῖρα σημαίνει. λέγει δὲ ὅτι οὐδὲ κτύπος ἐστὶ χειρῶν γυναικῶν∙ νέων δὲ, διὰ τὸ μᾶλλον αὐτῶν ἐξακούεσθαι καὶ ἰσχύειν τὸν κτύπον.

92 Ar. Λήμνιαι fr. 2.387 Kassel Austin.

93 Cfr. Or. 920: αὐτουργός, οἵπερ καὶ μόνοι σῴζουσι γῆν; Hel. 440: Ἕλλην πεφυκώς, οἷσιν οὐκ ἐπιστροφαί. In entrambi i casi, però, la categoria a cui il termine appartiene non lo precede, come nell’Alcesti, ma lo segue.

dimetro giambico coriambico (wqwqqwwq). L’unico modo per far tornare la responsione con la strofe sarebbe rinunciare alla semplice congettura di Hermann per il verso 90 (στατίζεται invece di στατίζ’ tramandato dai codici). Altrimenti si potrebbe, come fa la Dale, ipotizzare che ἃ non sia la forma dorica per ἥ , come sembrerebbe scontato pensare, ma che vada interpretato come neutro plurale (e sia quindi breve in modo tale da corrispondere alla sillaba finale di στατίζεται, abbreviata dal successivo incontro con la vocale iniziale di ἀμφὶ). L’idea collettiva di χαίτα dovrebbe implicare un τριχώματα o τομαῖα sottinteso che giustificherebbe l’accordo con il pronome relativo.

Non è però possibile intendere πίτνει come “capitare”, come è suggerito dallo scolio94, in quanto questo significato in senso assoluto è attestato solo con un

soggetto del tipo di ξυμφορά e indica un capitare per caso, non un capitare vincolato da qualche norma. Dovremmo quindi necessariamente interpretarlo in modo letterale come “cadere”, riferito alla ciocca di capelli che viene recisa. L’immagine però mi sembra troppo forzata, pertanto riterrei opportuno adottare il testo emendato da Diggle.

Passiamo ora alla seconda coppia strofica:

Seconda coppia strofica: 112-121=122-130

1) aqwq qwq iam dim sync

2) qwq wqq ityph (iam dim sync cat) 3) qq|qwwq aeol hexasyll 4) qwwqwwq hem 5) qqwwq aeol pentasyll 6) qqqwwqq pher 7) aqwq w|wüwwq ia dim 8) qq|wq wqwq ia dim 9) qwwq|wwqwwqwqqI enop

94 Schol. ad. loc.: πένθει πιτνεῖ: συμβαίνει, εἴθισται τὸ ἀποκείρεσθαι. ἐπὶ γὰρ πένθει τὸ παλαιὸν ἀπέκειρον τὰς τρίχας.

Trovo molto utile la suddivisione della stanza in tre sezioni, contraddistinte da un cambiamento di ritmo, che viene proposta dalla Parker.

La fine di ogni parte è contrassegnata da un colon catalettico (2; 6) e quindi dal finale pendent (wqq).

La prima sezione (1-2) ha andamento giambico: anche la seconda stanza, come la prima, si apre quindi con una successione di 4 metra giambici, solo che in questo caso sono sincopati. La Parker fa presente che potremmo anche parlare di tetramentro catalettico sincopato nella sua parte centrale (xqwq qwq qwq wqq), se non volessimo accettare la divisione in due cola, ma la possibilità di istituire un parallelo fra l’inizio della prima e della seconda strofe la fa propendere per i dimetri. La Parker dà la denominazione di “giambo sincopato” a dei versi in cui sia presente la sequenza qwq perché fa riferimento alla scuola metrica anglosassone, per la quale in determinati contesti il cretico può corrispondere al giambo o nella responsione o nell’effetto metrico-ritmico. Quest’assunzione è basata sul ritrovamento di composizioni musicali di epoca tardo arcaica in cui la forma del cretico era portata alla lunghezza di sei tempi in modo tale da poter stare in responsione con un trimetro giambico. Si tratta però di testimonianze molto tarde: i primi papiri musicali pervenutici risalgono al III secolo a.C. e questo fenomeno di allungamento dei cretici appare in maniera chiara in papiri ancora più recenti. Troviamo però alcuni casi in cui le sequenze del cretico e del giambo sono sicuramente fungibili anche nella lirica tardo-arcaica, in particolare in Bacchilide. A mio avviso, perciò, la denominazione della Parker può essere utilizzata: per chi non volesse esporsi, però, si potrebbe sempre ricorrere ad una classificazione del verso come accumulo di sequenze metriche più brevi (giambo + cretico per II 1; cretico + baccheo per II 2).

La seconda sequenza (3-6) viene interpretata dalla Parker come eolica, caratterizzata quindi da metra che si sviluppano attorno ad un nucleo coriambico qwwq e che non sono organizzati katà metron. Questa interpretazione viene supposta in seguito all’individuazione di un ferecrateo a II 6 (base eolica + qwwqq ).

A partire da ciò, la Parker interpreta 3 come base più coriambo95, 4 come hemiepes

che ricalca il ritmo della stanza precedente ma che al tempo stesso mostra delle evidenti affinità con 3 (q aa qwwq), 5 come mezza base più coriambo. In particolare è interessante quest’ultimo verso (che la Parker chiama genericamente eolico pentasillabico ma che può essere considerato come un reitziano catalettico), in quanto lo troviamo associato all’hemiepes anche nell’epodo del IV Peana di Pindaro.

La terza sezione è costituita da quattro metra giambici e si chiude con una versione allungata del decasillabo alcaico (qww)qwwqwwqwqq che ci riporta in ambito eolico.

L’evidente commistione fra ritmi coriambici, dattilici e giambici che troviamo in entrambe le stanze evoca in maniera ancora più marcata la suggestione del peana, dato che, come nota Rutherford, la maggioranza dei peana di V secolo era organizzata in metri eolici con estensioni giambiche-dattiliche96 o solamente

dattiliche97.

95 La Parker lo classifica genericamente come verso eolo-coriambico di sei sillabe, mentre la Dale aveva utilizzato il termine dodrans, che ritengo più appropriato. Trovo troppo generica la tendenza della Parker a denominare versi eolici che non riesce a classificare con sicurezza semplicemente menzionando il numero di sillabe, pertanto di volta in volta cercherò di offrirne denominazioni (o almeno descrizioni) alternative.

96 Pind. pae. VIII fr. B2, pae. VIIb fr. C2, pae. II fr. D2, pae. VI fr D6, pae. VII fr. D7.

97 Pind. pae. IX fr. A1. Per i metri utilizzati nei peana di V secolo, cfr. e.g. Rutherford (2001), 76 ss.

Terzo capitolo: il primo stasimo