• Non ci sono risultati.

Le parti corali dell'Alcesti e i contatti con i generi della lirica corale

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Le parti corali dell'Alcesti e i contatti con i generi della lirica corale"

Copied!
158
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

Corso di Laurea in Filologia e Storia dell'Antichità

Tesi di Laurea Magistrale

Le parti corali dell'Alcesti

ed i contatti con i generi della lirica corale

Relatore: Candidata:

Prof. Enrico Medda Francesca Carbonetti

Correlatore:

Prof. Andrea Taddei

(2)

A Maurizio ed Elisabetta.

Perché, oltre ad essere i miei genitori,

sono anche due persone straordinarie.

Grazie.

(3)

Indice

Premessa...1

Primo capitolo: osservazioni preliminari...3

L’evoluzione del coro dalla lirica alla tragedia...3

Un prospetto d’analisi...6

Piccola parentesi sulla tradizione del mito di Admeto ed Alcesti...10

Secondo capitolo: la parodo...15

Introduzione...15

Analisi testuale (77-135)...17

Analisi metrica...26

Prima coppia strofica: 86- 92= 98-104...26

Seconda coppia strofica: 112-121=122-130...33

Terzo capitolo: il primo stasimo...36

Introduzione...36

Analisi testuale (213- 237)...37

Analisi metrica...42

Prima coppia strofica: 213-225= 226-237...42

Quarto capitolo: il secondo stasimo...50

Introduzione...50

Analisi testuale (435- 475)...54

Analisi metrica:...64

Prima coppia strofica: 435- 444= 445-454...64

Seconda coppia strofica: 455-465=466-475...66

Quinto capitolo: il terzo stasimo...70

Introduzione...70

Analisi testuale (568- 605)...71

Analisi metrica:...81

Prima coppia strofica: 568-577= 578-587...81

Seconda coppia strofica: 588-596=597-605...84

Sesto capitolo: il kommos epirrematico fra il coro ed Admeto...86

Introduzione...86

Analisi testuale della prima parte del kommos: sequenze anapestiche di Admeto (861-871; 878-888) e prima coppia strofica (872-877= 889-894)...94

(4)

Analisi testuale della seconda parte del kommos: sequenze anapestiche di

Admeto (895-902; 912-925) e seconda coppia strofica (903-911= 926-934) ..108

Analisi metrica della seconda coppia strofica: 903-911= 926-934...115

Settimo capitolo: il quarto stasimo...118

Introduzione...118

Analisi testuale (962- 1007)...120

Analisi metrica...130

Prima coppia strofica: 962-972= 973-983...130

Seconda coppia strofica: 984-994= 995-1005...132

Conclusioni...134

Edizioni consultate dell’Alcesti:...140

Bibliografia generale:...141

(5)

Premessa

L'obiettivo del mio lavoro è mostrare come le allusioni ai generi della lirica all'interno delle parti corali tragiche, ben lungi dall'essere semplici riferimenti colti, possano costituire una vera e propria guida per l'interpretazione della vicenda o per la lettura di una singola scena o di un personaggio.

Il dramma che ho deciso di esaminare è l'Alcesti, una tragedia interamente basata su aspettative prima instaurate poi disilluse, su oscillazioni fra una prospettiva speranzosa e una disperata1, fra la promessa di un ritorno alla vita sancita

addirittura dall'autorevolezza della voce divina e la constatazione dell'irrevocabilità della morte, avvalorata dalla sua validità universale che non risparmia neppure i figli degli dei.

Gli elementi finali della tragedia sono enunciati fin dall’inizio, dal prologo di Apollo, ma durante lo sviluppo del dramma vengono avversati da ostacoli allo svolgimento dell’azione di salvezza che suggeriscono pieghe alternative che la vicenda potrebbe prendere.

Questa ambiguità e la sensazione dell’inconoscibilità della verità vengono rafforzate dalla maniera con la quale Euripide si serve delle allusioni ai canti della lirica corale.

Facendo leva sulla forte connessione che questi avevano con l'occasione nella quale venivano tradizionalmente eseguiti2, il tragediografo li inserisce invece in contesti

1 Dale (1954), xv, definisce il dramma come « un’abile alternanza di speranza e demoralizzazione».

2 Cfr. e.g. Segal (1989a), 348: « In archaic Greece song is directly tied to performance and often to a specific, ad hoc cultic perfomance. A threnos, paean, marriage-song, or encomium is sung at that specific cultic occasion. The tragedian cuts the song loose from the specific occasion. His chorus, performing its song for the fictional rites within the play, is freer of its immediate social function.» Vedi anche Gentili (19953) 166. Swift (2012), 149, oltre a notare che i cori lirici erano eseguiti in occasioni ben definite e che il loro canto rappresentava la maniera normale e socialmente approvata di rispondere ad una determinata situazione, aggiunge che nel momento in cui un tragediografo allude ad un determinato genere lirico non sta facendo semplicemente sfoggio di erudizione, ma sta evocando tutta la serie di norme e di assunti culturali che sono legati a quel genere. Tiene anche a puntualizzare che quando un drammaturgo allude ad un genere lirico non si sta riferendo ad un testo letterario, ma ad un aspetto della vita civica e rituale (152).

(6)

radicalmente differenti3, con l’obiettivo di suscitare nell’animo degli spettatori

tutta una serie di aspettative per poi deluderle. Questi elementi dei canti corali quindi vengono risemantizzati e finiscono per suscitare emozioni opposte rispetto a quelle che dovevano provocare nell’ambito lirico che gli era proprio.

Si trovano così accenni al canto salvifico del peana che, invece di offrire una speranza di salvezza, sottolineano l'irrevocabilità del male, oppure rimandi agli imenei e alle processioni nuziali che rendono ancora più forte il dolore per la situazione luttuosa presente.

Lo stesso effetto di disorientamento viene ottenuto da Euripide mescolando fra loro in una stessa ode elementi provenienti da tipi diversi di canti corali, molto spesso in contrasto fra loro. Nel caso particolare dell’Alcesti, in cui il confine fra vita e morte è talmente labile che chi doveva morire in realtà vive, ma è come se non vivesse, e chi si è offerto di morire è contemporaneamente vivo e morto, è interessante la combinazione fra elementi tipici dei peana e dei threnoi.

Il motivo per cui ho scelto di adottare questa linea interpretativa per occuparmi dell’Alcesti è che ritengo che un’analisi delle sue parti corali possa essere utile come filo conduttore per districarsi fra le opzioni concorrenti e le ambiguità della tragedia4, permettendo di arrivare ad una comprensione lineare ed unitaria dei fatti,

che ovviamente è solo una delle molte possibili, ma che mi sembra convincente. In base a questa mia analisi, le allusioni ai generi della lirica corale arcaica costituirebbero per Euripide un vero e proprio strumento drammaturgico, in grado di fornire filtri interpretativi efficaci, di condizionare la predisposizione emotiva degli spettatori verso eventi e personaggi e di guidare la loro percezione della vicenda tragica.

3 Furley (1999-2000), 194, sostiene che Euripide utilizzi questo contrasto fra il modello tradizionale di un canto e un contesto drammatico che non gli si addice come uno strumento drammaturgico. Vi ricorrerebbe per segnalare una svolta drammatica o per sottolineare quanto un personaggio agisca in opposizione alla norma sociale.

4 Kranz (1933), 113, ritiene che in genere le parti corali siano quelle dove appare più chiara la natura e la trama della tragedia.

(7)

Primo capitolo: osservazioni preliminari

L’evoluzione del coro dalla lirica alla tragedia

Parlando del coro tragico, è impossibile non partire dal suo forte contatto con la lirica corale arcaica e tardo arcaica, da cui si era originato e di cui ricalca modi musicali, strutture metrico-ritmiche e linguistiche, formule rituali.

La derivazione del coro tragico dall’ambito della lirica corale era chiaramente percepita dai Greci stessi. Solo per fare qualche esempio, Solone attribuisce la prima tragedia messa in scena ad Arione, un compositore di ditirambi5; Erodoto

identifica Clistene di Sicione come il responsabile dello spostamento dei cori tragici dalla celebrazione di Adrasto a quella di Dioniso6; Diogene Laerzio sostiene

che le prime rappresentazioni tragiche fossero eseguite solo da gruppi corali7;

Aristotele fa derivare la nascita della tragedia da coloro che guidavano i cori dei ditirambi8.

Quest’ultima testimonianza è particolarmente interessante in quanto crea un legame diretto fra il ditirambo in onore di Dioniso e la forma primordiale della tragedia, che sarebbe scaturita da esso nel momento in cui Tespi affiancò ai coreuti il primo attore. Il cambiamento portò ad una trasformazione strutturale essenziale: dal momento che sulla scena non c’era più un solo personaggio, seppure collettivo, ma due, rese possibile il dialogo. Con esso, la struttura del discorso mutò, assumendo una forma mista, non più solamente narrativa, come accadeva per la lirica, ma caratterizzata dall’alternarsi fra la narrazione di avvenimenti e la loro riproduzione mimetica.

Man mano che la tragedia si evolveva, lo faceva anche la forma corale ad essa associata, adattandosi alle esigenze del nuovo contesto.

I coreuti cominciarono ad indossare delle maschere, come il resto degli attori, e ad esibirsi in canti che non rispondevano alla reale esigenza di un dialogo con il dio, ma che si inserivano nell’ambito della finzione drammatica. Nonostante il carattere fittizio di queste esecuzioni, non penso che il valore rituale e performativo del coro

5 Solon. fr. 39 Gentili- Prato. 6 Her. Hist. V.67.5.

7 Diog. Laert. III.56. 8 Arist. Poet. 1449a 11-12.

(8)

lirico fosse andato totalmente perduto9: era però passato in secondo piano rispetto

alla funzione di tipo narrativo che i coreuti avevano assunto. Il loro compito principale consisteva nel collegare la realtà attuale con quella drammatica, quasi sempre corrispondente ad un passato eroico e non meglio precisato10, e potevano

farlo in quanto erano partecipi di entrambe queste dimensioni grazie alla loro duplice natura di gruppo sociale fittizio, che agisce in una dimensione mitica, e di cittadini dell’Atene del V secolo. Sarebbe quindi come se i coreuti avessero la facoltà di oscillare fra due identità, una rituale/ performativa, che avevano in comune con i cori della lirica arcaica, e l’altra specialistica, fittizia, che dipendeva dalla trama della della tragedia11.

Per quanto riguarda la determinazione di questa seconda identità ovviamente i coreuti, essendo personaggi del dramma, dovevano essere in qualche modo collegati alla vicenda messa in scena. Oltre a questa limitazione, però, non c’erano altre costrizioni, né dettate dalle vicende mitiche rappresentate né dalle convenzioni teatrali.

La determinazione dell’identità del coro è una libera scelta del tragediografo e diventa pertanto un vero e proprio strumento drammaturgico, che permette di orientare la predisposizione degli spettatori nei confronti della vicenda e dei personaggi12. I coreuti, in virtù della loro posizione intermedia fra attori e spettatori 9 Il carattere rituale viene considerato come una componente ancora importante del coro tragico dagli studiosi appartenenti alla cosiddetta performative turn (cfr. e.g. Calame 1994-1995; 2013 in Gagné- Hopman; Henrics 1994-1995; Sourvinou Inwood 2003). Questa corrente interpretativa si basa sull’assunzione che la tragedia greca non sia da concepire come opera letteraria, ma innanzitutto come rappresentazione scenica, in cui l’azione è accompagnata da musica e danza che la completano e godono di altrettanta importanza. Il fatto che queste rappresentazioni avessero luogo in occasione di una festa religiosa, come le Grandi Dionisie, ha portato gli studiosi che si sono avvicinati a questa corrente a considerarle come fortemente rituali. Il coro tragico manterrebbe quindi il suo compito di mettere in relazione la πόλις con il dio, seppure secondo modalità differenti rispetto a quelle sperimentate in ambito lirico.

10 Calame (1994-1995), 136 ss.

11 Su questa linea si orienta Gruber (2009), 13, che parla di una doppia identità dei coreuti tragici. Da una parte, essi costituiscono un coro rituale- performativo perfettamente inserito nella song

and dance culture, dall'altra rappresentano un gruppo di personaggi la cui identità fittizia è

condizionata dalla trama della tragedia. Gruber non pensa però che questo doppio ruolo implichi una scissione di funzioni o un contrasto interno alla natura del coro tragico: ritiene invece che entrambe gli aspetti concorrano a determinare la struttura flessibile ed aperta del coro. Proprio grazie a queste due identità e alla possibilità di oscillare fra l'una e l'altra, il coro è l'unico personaggio che sia in grado di uscire al di fuori della dimensione drammatica. 12 Anche gli scoliasti antichi, come testimonia il numero degli scolii o delle hypotheseis che commentano la scelta dell’identità del coro, dovevano cogliere l’importanza di questa decisione per l’impostazione della tragedia. Un’osservazione sulla composizione del coro è presente, ad esempio, nella seconda hypothesis dell’Alcesti (ὁ δὲ χορὸς συνέστηκεν ἔκ τινων πρεσβυτῶν ἐντοπίων).Cfr. anche e.g. sch. Soph. Ai 134a, dove si osserva che la scelta di un coro formato

(9)

e della loro capacità di interagire con entrambe le realtà, nel modo di approcciarsi alle vicende del dramma costituiscono un modello comportamentale ed emotivo per il pubblico. Per capire quanto la ricezione della trama da parte degli spettatori sia condizionata dall’atteggiamento del coro, potremmo pensare a come sarebbe stata percepita diversamente la figura della Clitemnestra dell’Agamennone se il coro, invece che essere composto da anziani diffidenti e sospettosi nei suoi confronti, fosse stato formato da donne a lei fedeli. Un discorso simile, ma in senso inverso, può essere fatto per la Medea, immaginando un coro di uomini al posto delle donne che almeno all’inizio supportano la protagonista e capiscono la difficoltà della sua situazione13.

Veniamo quindi al caso del coro dell’Alcesti: esso è composto da anziani cittadini di Fere, da sempre fedeli ai loro sovrani. Entrambi questi elementi caratterizzanti, la predisposizione positiva verso Alcesti ed Admeto e la vecchiaia, sono fondamentali per comprendere l’impostazione che Euripide vuole dare alla tragedia.

La φιλία dei coreuti, che si manifesta fin da subito con la loro preoccupazione per la sorte della donna e con le parole di ammirazione sia nei suoi confronti che in quelli del marito, porta il pubblico a predisporsi favorevolmente verso entrambi i personaggi.

In particolare, il fatto che un coro maschile mostri ammirazione ed affetto per una figura femminile è una rarità: di solito sono esclusivamente i cori femminili ad essere simpatetici con le donne, mentre quelli maschili mostrano una certa

da cittadini di Salamina è conveniente sia perché, essendo liberi, essi possono parlare

apertamente, sia perché, essendo concittadini di Aiace, avrebbero potuto condividere il suo dolore e gli si sarebbero sempre rivolti con rispetto, in quanto suoi sudditi. Un effetto del genere,

continua lo scoliaste, non sarebbe stato possibile mettendo in scena un coro di Achei o un coro di schiavi.

13 Gould (1996), 229, prende proprio l’esempio di Medea per sostenere la sua tesi sulla totale libertà di decisione dell’identità corale e sull’importanza che essa riveste nella struttura del dramma. Euripide avrebbe potuto anche optare per un coro di uomini di Corinto o di donne della Colchide proprio perché non c’era nulla nella vicenda mitica che potesse condizionare la sua scelta, che quindi diventa significativa. La solidarietà di donne corinzie con Medea pare tanto più intensa proprio perché esse ne percepiscono chiaramente l’origine straniera (Me. 132), ma nonostante ciò si identificano totalmente con lei tanto da assumerne lo stesso stato d’animo, amplificandolo attraverso la potenza della voce collettiva. La loro identità rimane però sempre presente, tanto che man mano scivolano dal supporto totale verso l’eroina tragica al deprecare la sua natura barbara, troppo soggetta alle passioni violente, e al tentativo di dissuaderla dal suo intento ai loro occhi immorale di uccidere i figli.

(10)

diffidenza verso l’altro sesso14. La singolarità della scelta del coro maschile sta

anche nel fatto che la focalizzazione della tragedia su un evento di tipo intimo e privato avrebbe portato più naturalmente a pensare ad un coro di donne, maggiormente legate alla sfera domestica15.

Per quanto riguarda il secondo elemento caratterizzante, quello della vecchiaia16,

esso permette ad Euripide da una parte di giustificare la passività dei coreuti e dall’altra di attribuire loro una grande quantità di riflessioni e di espressioni di contenuto gnomico, conformi all’esperienza e alla saggezza di uomini in età avanzata e in quanto tali autorevoli17. Questa caratteristica è particolarmente

accentuata negli stasimi, quando i coreuti si trovano da soli sulla scena e hanno la possibilità di comunicare esclusivamente con gli spettatori e di offrire loro filtri interpretativi per gli eventi appena accaduti, spunti di riflessione, approfondimenti mitologici più ampi. È anche il momento ideale per sottolineare i punti chiave della vicenda e i concetti che saranno fondamentali per la sua evoluzione, come avremo modo di constatare procedendo con l’analisi dei componimento corali dell’Alcesti.

Un prospetto d’analisi

Come ho detto nell’introduzione, è mia intenzione analizzare i punti in cui il coro fa sentire la propria voce per cercare di capire a fondo quale sia il suo ruolo, la sua importanza e il suo contatto con la lirica corale. I momenti in cui i coreuti prendono la parola costituiscono però solo una parte della componente corale presente in tragedia.

14 Foley (2003),19, sottolinea che il coro dell’Alcesti è l’unico che sia formato da uomini ma mostri simpatia per una donna. Foley (2001) 315-316, ipotizza che questo legame fra coro di uomini e personaggio femminile possa crearsi perché Alcesti, con la sua eroica decisione di morire al posto del marito, si è guadagnata una fama maschile.

15 Foley (2003), 21, osserva che l’Alcesti è forse l’unica tragedia incentrata su un evento di vita privata che abbia un coro composto da uomini.

16 Sulla loro età avanzata si insiste al verso 212 dell’Alcesti, nell’hypothesis β (ὁ δὲ χορὸς συνέστηκεν ἔκ τινων πρεσβυτῶν ἐντοπίων) e nello scolio al verso 77 ( Schwartz, 220, 26-27: ἐκ γερόντων Φεραίων ὁ χόρος. διαιρεῖται δὲ εἰς δύο ἡμιχόρια). Un altro indizio dell’età avanzata dei coreuti può essere colto nel verso 674, in cui il corifeo chiama Admeto παῖς, esattamente come aveva fatto Fere.

17 D. Mastronarde (1998), 61; sull’autorevolezza dei cori degli anziani, che a volte possono intervenire anche fisicamente e prendere decisioni importanti, cfr. U.S. Dhuga (2011), 3.

(11)

Parlando del χορικόν, Aristotele nella Poetica lo aveva considerato come suddiviso in quattro parti: πάροδος , στάσιμον, κομμοί e ἀπὸ τῆς σκηνῆς18. Le prime due parti

erano esclusiva del coro, come viene specificato dalla definizione. La parodo è la prima sezione ad esso attribuita e ne doveva accompagnare l’entrata in scena. Si trova quindi legata necessariamente ad un movimento e pertanto può essere realizzata in versi che non implichino un’esecuzione cantata, ma che scandiscano la marcia, come gli anapesti recitativi.

Per lo stasimo invece questi ritmi sono categoricamente esclusi: non dobbiamo però farci indurre dall’etimologia del termine a pensare ad una sua esecuzione totalmente priva di movimenti19. Al contrario, il fatto stesso che Aristotele lo

definisca «canto del coro privo del ritmo anapestico e trocaico» lo associa automaticamente ai metri lirici e ai movimenti di danza che li accompagnavano. Bruno Gentili, per conciliare il fatto che alcuni dei commenti antichi definivano lo

18 Arist. Poet. 1452b 14- 19: μέρη δὲ τραγῳδίας οἷς μὲν ὡς εἴδεσι δεῖ χρῆσθαι πρότερον εἴπομεν, κατὰ δὲ τὸ ποσὸν καὶ εἰς ἃ διαιρεῖται κεχωρισμένα τάδε ἐστίν, πρόλογος ἐπεισόδιον ἔξοδος χορικόν, καὶ τούτου τὸ μὲν πάροδος τὸ δὲ στάσιμον, κοινὰ μὲν ἁπάντων ταῦτα, ἴδια δὲ τὰ ἀπὸ τῆς σκηνῆς καὶ κομμοί. χορικοῦ δὲ πάροδος μὲν ἡ πρώτη λέξις ὅλη χοροῦ, στάσιμον δὲ μέλος χοροῦ τὸ ἄνευ ἀναπαίστου καὶ τροχαίου, κομμὸς δὲ θρῆνος κοινὸς χοροῦ καὶ ἀπὸ τῆς σκηνῆς. L’interpretazione comune è che la parodo e lo stasimo siano delle parti comuni a tutte le tragedie, mentre kommoi e canti ἀπὸ τῆς σκηνῆς siano presenti solo in alcune.

B.Gentili (1984-1985), 27-28, interpreta il periodo in maniera totalmente diversa, intendendo ἴδια come “peculiari”, nel senso di nettamente distinte da parodo e stasimo. In questo modo, la frase non implicherebbe che la presenza di queste ultime due parti del χορικόν non sia essenziale, ma semplicemente che esse siano decisamente differenti dalle prime due. I canti sulla scena si distinguono da parodo e stasimo perché monodici, i kommoi perché hanno carattere trenetico e sono comuni sia agli attori che al coro.

P. Scattolin (2011), 164 ss, cerca di interpretare la frase, prospettando una duplice possibilità. L’aggettivo κοινὰ potrebbe essere riferito a tutte le parti costituenti della tragedia enunciate fino a quel momento oppure solo alla parodo e allo stasimo. Nel primo caso, gli elementi enumerati prima sarebbero comuni a tutti i drammi mentre i canti sulla scena e i kommoi diventerebbero prerogativa solo di alcuni e andrebbero considerati come esterni alla componente corale; nel secondo caso, queste due tipologie di canti verrebbero visti come sottocategorie del χορικόν che non sempre sono presenti nelle tragedie, in contrapposizione con parodo e stasimo che invece sono parti fisse. Propendo per la seconda opzione, in quanto i kommoi in seguito vengono esplicitamente definiti come propri del coro e anche i canti sulla scena potrebbero essere interpretati come monodie o amebei lirici/ lirici-epirrematici, che pur non implicando l’intervento del coro sono eseguiti in metri lirici e quindi legati alla sfera del χορικόν.

19 W. Kranz (1933), 114: «Das Wort Stasimon, so hat die frühere Untersuchung schon gelehrt, bezeichnet nicht, wie man einst glaubte, den Gesang, den der Chor anstimmte, ʻwenn er seinen Standplatz in der Orchestra eingenommen hatʼ zu schweigen von jener spätantiken Erklärung, die einen ʻstehgesangʼ, einen Gesang ohne Tanz, daraus machen wollte, sondern er sagt etwas aus über Melos, Rhythmos, Tempo, Inhalt, die er nämlich als ʻgesetztʼ, ʻstatarischʼ, ʻmoderatoʼ, bezeichnet.Die Aristotelische Definition -στάσιμον μέλος χοροῦ τὸ ἄνευ ἀναπαίστου καὶ τροχαίου-scheint eben diese musikalisch-rhythmische Bedeutung des Wortes treffen zu wollen, da nach ihm also jedes tragische Chorlied, das nicht aus ʻAufschlageʼoder ʻlaufʼrhythmen besteht, den Namen Stasimon verdient ».

(12)

stasimo come un canto a fermo dopo la parodo20 con il considerare la danza come

attività specifica del coro, ne parla come di «un’idea di danza composta, misurata, che esclude movimenti accelerati e mimetici […]: un corale con danza che conferiva ai coreuti atteggiamenti stilizzati e movimenti ritmici in tempo moderato, intercalati da lunghe pause, tali da suscitare un’impressione di staticità in opposizione ad altri tipi più cinetici di danza»21.

La situazione cambia per le ultime due parti: il κομμός viene definito dal filosofo come canto di lamento che il coro condivide con l’attore22, mentre in merito al

nesso τὰ ἀπὸ τῆς σκηνῆς non viene data nessuna spiegazione. È probabile però che indicasse la totalità delle prestazioni cantate dagli attori che in un qualche modo comportassero un contatto con gli elementi corali. Una definizione di tale genere includerebbe gli amebei lirici (in cui entrambe i dialoganti si esprimono in metri lirici), lirico- epirrematici (nel caso in cui uno si esprima in metri recitativi e l’altro cantando) o persino le monodie cantate dagli attori, se le intendiamo come uno sviluppo di un dialogo lirico in cui fosse stata espansa la sezione di un solo attore. Di quest’ultima categoria parlerò solo nella misura in cui possa essere utile al mio discorso.

20 Cfr. e.g. sch. Ar. Ra. 1281c oppure il trattato bizantino Περὶ τραγῳδίας attribuito a Michele Psello.

21 Gentili (1984-1985), 32.

22 Il carattere luttuoso è accessorio per alcuni studiosi, soprattutto di fine del XIX secolo, che indicano con il termine di κομμός qualsiasi scambio lirico fra i coreuti e uno dei personaggi, anche se esso non si presentava sotto forma di θρῆνος. Essi ipotizzavano un procedimento di genericizzazione nell’uso del termine, asserendo che il κομμός era nato come canto di dolore, poi si era esteso alla resa di forti emozioni, anche di carattere non luttuoso (cfr. e.g. Masqueray 1893, 17).

Vi è molta incertezza nell’attribuire nomi specifici ai generi della lirica corale, sia per l’esiguità dei brani lirici che ci sono pervenuti per intero, sia perché è difficile individuare delle caratteristiche fisse in rapporto alla variabilità dei modi di esecuzione, delle circostanze performative e dei cambiamenti a cui ciascun forma di canto lirico andò incontro nel corso del tempo. Contribuisce alla difficoltà di fissare una nomenclatura anche il fatto che la critica antica non si fosse preoccupata di farlo: ci sono brevi passaggi in Platone ed Aristotele in cui viene mostrato un qualche tentativo di classificazione, ma sempre in maniera non abbastanza approfondita da permetterci di arrivare ad un quadro chiaro. L’opera più antica nella quale venga tentata una classificazione dei generi lirici è la Crestomazia di Proclo (II secolo d.C.), ma anche in questo caso le notizie sono spesso confuse.

(13)

Tornando al caso specifico dell’Alcesti, quindi, i passi che intendo analizzare sono:

• Parodo (77-135)

• Primo stasimo: lamento sul dolore di Admeto (213-237) • Secondo stasimo: prima lode di Alcesti (435-475) • Terzo stasimo: lode della casa di Admeto (568-605) • Amebeo lirico- epirrematico fra Admeto e coro (861-934)

• Quarto stasimo: inno alla Necessità e seconda lode di Alcesti, che merita di essere venerata come una dea (962-1007)

Prima di entrare nel vivo del discorso, vorrei fare una precisazione su cosa si intende quando si parla di allusioni ad un genere lirico in un contesto tragico. Non si tratta, almeno nella maggior parte dei casi, di riprese di pezzi lirici pre-esistenti che vengono inglobati in un contesto estraneo, né tanto meno di riferimenti ad un’ ode in particolare. Più che altro, intendo il procedimento per cui la tragedia utilizza dei meccanismi e delle forme legate al genere lirico per evocare tutta una serie di suggestioni e pensieri che sono dietro di esso. Il contatto fra forma tragica e non tragica, quindi, non si limita ad una serie di calchi linguistici, metrici e tematici, ma implica l’evocazione di un intero sistema culturale.

Su questa base si muove il lavoro di Laura Swift, The hidden chorus, che ho trovato estremamente interessante23. La studiosa, pur ammettendo che ormai la

presenza in tragedia di caratteristiche ricollegabili alla sfera lirica è universalmente accettata, lamenta una generale mancanza di interesse per l’esplorazione delle diverse modalità con cui questi elementi vengono inglobati o per la comparazione fra i diversi modi in cui uno stesso genere corale può essere evocato. Le allusioni ai generi lirici non possono essere considerate delle semplici decorazioni o dei virtuosismi. Laura Swift riconosce che queste allusioni possono essere fatte sulla base di diversi livelli, che vengono definiti di basso, medio e alto grado di interazione. Ovviamente incanalare nettamente ogni caso in una di queste tre “caselle” è un lavoro tanto inutile quanto soggettivo, cosa di cui si rende conto anche la studiosa, che propone di vedere questa categorizzazione semplicemente

23 Molto utile per l’analisi della penetrazione dei generi lirici all’interno delle tragedie di Sofocle è anche lo studio di Rodighiero (2012).

(14)

come un aiuto per capire con quali modalità e in quale misura un genere lirico possa influenzare la nostra interpretazione del dramma. Esso diventa un filtro che ci permette di avere una visione più ricca e complessa del contesto tragico.

A mio avviso, oltre alle modalità di questo contatto fra tragedia e lirica, è importante indagare anche sulla finalità e riflettere su quali cambiamenti l’allusione alla lirica può apportare nel contesto tragico, offrendoci un nuovo punto di vista o mettendo in evidenza degli elementi particolari. Vedremo, caso per caso, come la tragedia nel suo processo di inglobamento di generi estranei li modifichi ma ne esca a sua volta modificata.

Piccola parentesi sulla tradizione del mito di Admeto ed Alcesti

La leggenda di Admeto ed Alcesti sembra avere origini molto antiche, probabilmente nel territorio della Tessaglia. Qui si formarono anche altri miti affini, come quello di Protesilao e Laodamia o di Orfeo ed Euridice24, accomunati dagli

elementi della relazione amorosa e della discesa negli Inferi seguita da un ritorno alla vita, seppure temporaneo o dai termini poco chiari. Questo schema ricalca l’esempio mitico del rapimento di Kore da parte di Plutone e la sua successiva risalita nel mondo dei viventi25.

24 Per il contatto fra i tre filoni mitici, cfr. Plut. Am. 761 E 7- F 1 (Εὖ δέ πως ἐπὶ μνήμην ἦλθεν ἡμῖν Ἄλκηστις. Ἄρεος γὰρ οὐ πάνυ μέτεστι γυναικί, ἡ δ’ ἐξ Ἔρωτος κατοχὴ προάγεταί τι τολμᾶν παρὰ φύσιν καὶ ἀποθνήσκειν. Εἰ δή πού τι καὶ μύθων πρὸς πίστιν ὄφελός ἐστι, δηλοῖ τὰ περὶ Ἄλκηστιν καὶ Πρωτεσίλεων καὶ Εὐρυδίκην τὴν Ὀρφέως, ὅτι μόνῳ θεῶν ὁ Ἅιδης Ἔρωτι ποιεῖ τὸ προσταττόμενον·) ; Luc. D.Mort. 23.3 ( ἀναμνήσω σε, ὦ Πλούτων: Ὀρφεῖ γὰρ δἰ αὐτὴν ταύτην τὴν αἰτίαν τὴν Εὐρυδίκην παρέδοτε καὶ τὴν ὁμογενῆ μου Ἄλκηστιν παρεπέμψατε Ἡρακλεῖ χαριζόμενοι.) in cui Protesilao chiede ad Ade di poter ritornare alla vita per amore della moglie e porta all’attenzione del dio due precedenti, rappresentati dalle vicende di Orfeo e di Alcesti.

25 Lesky (1925) ricondusse il mito ad un filone folkloristico ancora più ampio. Egli constatò il ripetersi presso molti popoli del motivo del sacrificio di uno dei due coniugi per l’altro, quando anche i genitori stessi non erano disposti a morire al suo posto. Nelle zone occidentali, come la Germania, la Russia, la Finlandia e la Svezia, lo schema prevede l’uomo che muore al posto della donna: in alcune versioni diffuse in Ponto ed Armenia assistiamo invece ad un’inversione di generi, ma la struttura di base rimane identica. Sulla sua scia, molti tentarono un’interpretazione in questa direzione: Giuseppina Basta Donzelli (2003), ad esempio, vede

l’Alcesti di Euripide come la drammatizzazione di tutta una serie di motivi fiabeschi e

folkloristici. Il dono straordinario del dio, il sacrificio per amore, il ritorno dalla morte: si tratta di una serie di componenti che, inserite in una favola, non presentano problemi di sorta, ma che, calati in una realtà più realistica come quella della tragedia, rendono la situazione impossibile da districare se non con un nuovo ricorso alla componente del fiabesco, rappresentata in questo caso dalla vittoria di Eracle su Thanatos.

(15)

Già nell’Iliade si fa riferimento ai due sovrani di Fere26, senza però approfondirne

la storia. Sembra comunque conosciuto il forte legame della loro famiglia con la figura di Apollo27, amicizia di cui molto probabilmente parlava anche Esiodo28.

La vicenda della coppia doveva essere ampiamente diffusa a livello popolare, come testimonia una strofa di un παροίνιον attribuito a Prassilla29 e che viene ripreso in

innumerevoli occasioni30: Ἀδμήτου λόγον

, ὦ 'ταῖρε, μαθὼν τοὺς ἀγαθοὺς φίλει,

τῶν δειλῶν ἀπέχου γνούς, ὅτι δειλῶν ὀλίγα χάρις. L’esortazione ad essere amici con uomini valorosi rispecchia i valori dell’ambiente simposiaco ed il fatto che si alluda proprio alla figura di Admeto per esemplificare la lezione morale31

presuppone che la sua storia fosse conosciuta da tutta la comunità .

26 Hom. Il. Β.711, dove Eumelo, capo di un contingente Tessalo, viene indicato come figlio di Admeto e di Alcesti, la più bella fra le figlie di Pelia.

27 Hom. II Γ.763, dove si dice che Eumelo possedesse cavalle particolarmente agili e veloci che erano state allevate da Apollo.

28 Dando credito allo scolio al verso 1 dell’ Alcesti (Schwartz, 216, 4-6: ἡ διὰ στόματος καὶ δημώδης ἱστορία περὶ τῆς Ἀπόλλωνος θητείας παρ’ Ἀδμήτῳ αὕτη ἐστὶν, ᾗ κέχρηται νῦν Εὐριπίδης. οὕτως δέ φησι καὶ Ἡσίοδος), Esiodo doveva aver fatto menzione anche del periodo di schiavitù di Apollo presso la casa di Admeto.

Cfr. fr. 16 col. II P. Oxy. 2495, che potrebbe essere riferito a questo particolare del mito. Il frammento è molto probabilmente riconducibile al Catalogo delle donne, poema epico attribuito ad Esiodo, in cui la vicenda di Admeto potrebbe essere stata raccontata dai suoi albori, a partire dalla storia di Coronide, madre di di Asclepio. Sappiamo per certo che questo componimento epico facesse riferimento alla vicenda della ninfa dagli scolii alla Pitica III di Pindaro, nei primi 58 versi della quale il poeta racconta il mito ispirandosi, secondo lo scoliaste, proprio alla versione di Esiodo. Coronide, amante di Apollo, lo tradisce con il giovane Ischi, quindi il dio la fa bruciare ma salva il bambino di cui la sua amata era incinta, Asclepio. Allevato dai centauri, dai quali impara l’arte della guarigione, Asclepio diventa talmente abile da riuscire a resuscitare un morto, colpa per la quale viene fulminato dalla folgore di Zeus. Il racconto di Pindaro si ferma qui, ma sappiamo da Apollodoro (III, 120-123) che per vendicare la morte del figlio Apollo ucciderà i Ciclopi, figli di Zeus, e per questo sarà condannato a servire per un anno la casa di un mortale, Admeto figlio di Fere. Da notare che ad alcuni di questi presupposti mitici (Asclepio fulminato da Zeus perché resuscita i morti e consequenziale uccisione dei Ciclopi da parte di Apollo; periodo di servitù del dio in casa di Admeto) fa riferimento Apollo nel prologo dell’Alcesti (1-27).

29 Prax. fr. 3 Page.

30 Aristofane ne riproduce l’incipit al verso 1238 delle Vespe:‘Ἀδμήτου λόγον ὦταῖρε μαθὼν τοὺς ἀγαθοὺς φίλει.’. Lo scoliaste, commentando il verso, tiene poi a sottolinearne la fama ricordando che era ripetuto anche nei Χείρονες di Cratino (fr. 254 Kassel Austin) e nei Πελαργοί di Aristofane ( fr.444 Kassel Austin )

31 Parker (2007, xvii) e Méridier (19707, 48) sostengono che il valore morale di cui si parla sia riferibile ad Admeto e alla sua ospitalità nei confronti di Eracle, ma ciò non non è universalmente riconosciuto. Ad esempio, Bowra (1936), 405, rifiuta di scorgere una qualsiasi forma di lealtà o coraggio nel comportamento del sovrano di Fere, tanto da arrivare a considerare il componimento simposiaco come privo di ogni collegamento con la vicenda di Admeto ed Alcesti che viene raccontata da Euripide. Dale (1954), xi, tenta una posizione meno radicale ipotizzando che il riferimento sia alla virtù di Alcesti e alla viltà dei genitori di Admeto. Anche la critica antica faceva fatica a riconoscere il merito di Admeto: Eustazio aveva proposto un interpretazione che riferisse ad Alcesti la menzione alle persone valorose e a Ferete ed Admeto quella ai vili (Comm. ad Hom. Iliad. B 711).

(16)

Nonostante la fama di cui godeva, il mito non era stato utilizzato da Eschilo e Sofocle, almeno a detta della seconda hypothesis32 dell’Alcesti. Questa

affermazione sembra però essere in contraddizione con un passo di Plutarco, che spiega la definizione di Apollo come φυγάδ᾽ ἀπ᾽ οὐρανοῦ θεόν che Eschilo dà nelle Supplici (al verso 214) alla luce del periodo che il dio aveva passato come servo in casa di Admeto e di cui aveva parlato Sofocle nel suo Admeto33.

Sappiamo però per certo dalla Suda che un’Alcesti doveva comparire fra i lavori di Frinico (attivo fra 511-490 a.C.), ma dell’opera ci è rimasto solo un frammento34 e

due possibili allusioni ad essa in Eschilo.

Ai versi 171-172 e 721-728 delle Eumenidi si fa riferimento al fatto che Apollo avesse fatto ubriacare le Moire per far sì che Admeto sfuggisse alla morte35,

innovazione che doveva essere stata apportata proprio da Frinico. Un altro possibile riferimento alla sua Alcesti ci viene da Servio36, che sostiene che Euripide abbia

preso dal suo predecessore la figura di Thanatos che brandisce una spada per tagliare una ciocca di capelli di Alcesti37. Ammettendo a questo punto la presenza

di Thanatos nel dramma di Frinico, viene spontaneo immaginare di conseguenza

32 Hyp. B 4: Παρ’ οὐδετέρῳ κεῖται ἡ μυθοποιία.

33 Plut. De def. Orac. 417 f, attribuisce all’ Admeto di Sofocle il verso οὑμὸς δ᾽ ἀλέκτωρ αὐτὸν ἦγε πρὸς μύλην ( fr. 851 Radt ). A detta di Hermann, la frase sarebbe stata pronunciata da Admeto in relazione ai lavori di Apollo, che da suo sottoposto si recava al mulino al canto del gallo. La macinatura era un lavoro duro, che veniva anche imposto come punizione agli schiavi: abbiamo quindi un’immagine del servizio di Apollo sicuramente meno idilliaca di quella proposta da Euripide (Alc. 569- 577). A detta di alcuni studiosi, (e.g. Weber 1930, 49 n.1; Torraca 1963, 24; Parker 2007, xvii) quindi, se questo frammento fosse appartenuto veramente ad un’opera di Sofocle sulla vicenda di Alcesti ed Admeto, si sarebbe dovuto trattare di un dramma satiresco. Questo concilierebbe anche l’esistenza dell’opera con l’affermazione dello scoliaste sul fatto che nessuna tragedia fosse stata scritta sul mito di Admeto ed Alcesti. La Dale (1954), xiv, trova un altro modo di conciliare le due testimonianze ipotizzando che forse l’opera non era incentrata sulla vicenda di Alcesti ma su un’altra parte della vita dell’uomo. 34 Phryn. fr. 1 Snell.

35 In base a questo dettaglio grottesco, eliminato da Euripide che parla genericamente di un inganno ai danni delle Moire (Alc. 12; 32-34 ), molti deducono che l’opera di Frinico fosse un dramma satiresco.

36 Serv. Ad Aen. IV 694: prima si dice che Euripide avesse delegato Mercurio a tagliare la ciocca di capelli ad Alcesti, poi che alcuni sostenevano che invece fosse la Morte stessa ad entrare in scena brandendo la spada, elemento che Euripide avrebbe dovuto riprendere dal suo predecessore (il nome di Frinico è ricostruito nel testo da Otto Jahn, ma la sua correzione è universalmente accettata).

37 Eur. Alc. 74. Oltre a Servio, anche Macrobio parla di questo rito della spada citando il parallelo nell’Alcesti.

(17)

anche quella di Eracle38 e dedurre che anche in questa versione del mito fosse stato

l’eroe a riportare in vita la fanciulla39.

Non possediamo nessun’altra notizia, ma alcune informazioni stilistiche sono deducibili dal giudizio generale sulle opere di Frinico che ci viene tramandato dalle fonti antiche: ad esempio, Ebeling40 mette in luce il fatto che le sue tragedie fossero

particolarmente inclini ad assumere un carattere patetico41 e che le parti corali

godessero di grande importanza42. È molto probabile inoltre che Frinico, con la sua

propensione per i toni patetici, non si sia lasciato sfuggire l’occasione per rappresentare l’eroica decisione di Alcesti di morire al posto del marito e che quindi abbia messo in scena la vicenda a partire da un momento precedente43.

Euripide invece si limita ad accennare velocemente a questa risoluzione nel breve monologo che Apollo rivolge direttamente al pubblico all’inizio del dramma. La scelta della donna viene privata di gran parte del pathos e viene presentata non come conseguenza di uno slancio eroico, ma come decisione premeditata e presa quasi razionalmente. Questo effetto è ottenuto da Euripide separando il giorno in

38 Non tutti ne riconoscono l’evidenza diretta (cf. eg. Ebeling 1898), ma è sicuramente molto probabile. Potremmo prendere come testimonianza anche l’unico verso dell’Alcesti di Frinico che ci è arrivato, tramandato da Esichio. Sotto la voce ἀθαμβές l’erudito infatti scrive: · Φρύνιχος Ἀλκήστιδι· σῶμα δ’ ἀθαμβὲς γυιοδόνητον τείρει (fr. 2). Queste parole potrebbero implicare il fatto che sia avvenuta una dura lotta, il che è un punto a favore per pensare che anche Frinico avesse adottato la versione di Eracle che strappa Alcesti a Thanatos. Così sostiene, ad esempio, Weber (1930), 34, e penso che sia l’ipotesi più plausibile.

39 Apollodoro, dopo aver raccontato la storia di Admeto ed Alcesti (I, 104.6 ss), riferisce che secondo alcuni la fanciulla sarebbe stata riportata alla vita da Kore, secondo altri da Eracle (I,106.7-8). La prima versione della vicenda, che poi verrà adottata anche da Platone in Symp. 179 b4- d2, dovrebbe essere la più antica in base a quanto afferma lo scoliaste a commento del verso 1 dell’Alcesti. Alcuni studiosi, però, pensano che sia la seconda versione quella primordiale, in quanto in essa la salvezza della donna dipenderebbe dalla pura forza bruta e non dai sentimenti, come avverrebbe invece nell’altro caso. Méridier (19707), 48 n. 2, cita i nomi di Bloch e Robert come sostenitori di questa tesi; Lesky (1925), 35, era arrivato alla stessa conclusione, vedendo la lotta di Eracle contro Thanatos come un elemento maggiormente conforme allo spirito della fiaba popolare, che a suo dire percorre tutto il dramma, e attribuendo un’origine orfica (e quindi più tarda) all’altra variante. Anche la Dale (1954), ix, era dello stesso avviso. A favore della tesi avversaria che vede coinvolta Kore, però, vorrei far notare che il mito aveva avuto origine in Tessaglia, come abbiamo visto, zona particolarmente legata al culto di Persefone. Pertanto un originario coinvolgimento della dea, che solo in seguito sarebbe stato sostituito dall’intervento salvifico di Eracle, potrebbe essere probabile.

40 Ebeling (1898), 70.

41 Cfr. Plut. Quaest. Conv. 615A 5-6: Φρυνίχου καὶ Αἰσχύλου τὴν τραγῳδίαν εἰς μύθους καὶ πάθη προαγόντων.

42 Arist. Probl. 920a11-13, in cui si dice che nelle tragedie di Frinico era riservato un grande spazio al coro. Molto probabilmente Euripide nella sua Alcesti limita le parti liriche rispetto al suo predecessore, ma non per questo riduce l’importanza del coro che, come avremo modo di notare, svolge un ruolo fondamentale dal punto di vista strutturale.

43 Ebeling (1898), 72, pensa sia partito dal matrimonio fra Admeto ed Alcesti e che l’allusione alle nozze ai versi 915 ss della tragedia euripidea sia un rimando all’opera del predecessore.

(18)

cui ad Admeto viene data la possibilità di evitare la morte da quello in cui Alcesti vi va effettivamente incontro al suo posto. Secondo la ricostruzione proposta da Ebeling, nella versione della leggenda adottata da Frinico molto probabilmente questi eventi si susseguivano senza nessun intermezzo, mentre invece Euripide li distanzia interponendo un lasso di tempo ben determinato. Pur non essendo specificato, infatti, questo periodo sembra essere universalmente noto per i personaggi tragici. Il giorno del decesso non è conosciuto solo da Apollo in virtù della sua onniscienza (Alc. 27: φρουρῶν τόδ᾽ ἦμαρ ᾧ θανεῖν αὐτὴν χρεών) e da Alcesti, a causa del suo diretto coinvolgimento nella vicenda (Alc. 158-159: ἐπεὶ γὰρ ᾔσθεθ᾽ ἡμέραν τὴν κυρίαν ἥκουσαν), ma da tutta la comunità, rappresentata dal coro (Alc. 105: τόδε κύριον ἦμαρ).

Ponendo la morte di Alcesti all’inizio del dramma, Euripide opera un cambio di prospettiva radicale rispetto a Frinico, focalizzandosi non sul momento del decesso, ma su quello del ritorno alla vita. Questa resurrezione viene continuamente evocata, sperata e smentita, creando una trama di attese e di aspettative che poi vengono deluse. Il dialogo fra elementi contrastanti che attraversa tutta la tragedia riguarda anche l’accostamento di scene di un realismo quasi comico, tanto da spingere alcuni studiosi a considerare l’Alcesti un dramma satiresco44 (basti pensare

al diverbio fra Admeto e Fere o alla condotta poco consona di Eracle nel momento in cui viene accolto nella casa reale) e di altre invece di carattere luttuoso.

(19)

Secondo capitolo: la parodo

Introduzione

La parodo dell’Alcesti è una parodo di tipo simpatetico45. Dopo un prologo in cui

erano stati esposti gli antefatti dell’azione drammatica e un vivace dialogo fra Apollo e Thanatos, il coro entra sulla scena senza nessuna anticipazione o presentazione, ponendosi interrogativi sulla sorte di Alcesti e mostrandosi sinceramente preoccupato per lei, che viene caratterizzata come “la migliore fra le donne”46. Ostentando sin dall’inizio l’evidente simpatia dei coreuti verso la

protagonista, il tragediografo spinge gli spettatori ad imitarne il comportamento47.

I cittadini di Fere si precipitano sulla scena spinti da un sentimento di angoscia ed incertezza48: sanno che la loro sovrana deve morire in quel giorno preciso, ma non

sono a conoscenza se il trapasso sia avvenuto o meno, quindi cercano indizi all’esterno della reggia.

Maria Pia Pattoni trova in questa parodo il ripetersi di un modello presente anche nell’Ippolito di Euripide e nell’Aiace di Sofocle49: il coro, completamente

all’oscuro di tutta una serie di fatti di cui invece gli spettatori erano a conoscenza grazie alle informazioni dispensate da una divinità nel prologo, entra sulla scena con una serie di ipotesi sul destino del protagonista. La risposta a questi interrogativi viene data solo nel primo episodio, quindi è come se la parodo rappresentasse un’interruzione dello sviluppo drammatico, una parentesi tra

45 Pattoni (1990b),90. Il primo esempio di questo tipo di parodo si trova nel Prometeo di Eschilo, ma sarà Euripide il tragediografo che ne farà uso in proporzione maggiore.

46 Cfr. Eur. Alc.. 83-84: Ἄλκηστις, ἐμοὶ πᾶσί τ’ ἀρίστη/δόξασα γυνὴ/πόσιν εἰς αὑτῆς γεγενῆσθαι. Il motivo dell’ἀριστεία di Alcesti sarà centrale nella tragedia e verrà ribadito più volte dal coro (Alc. 150-151; 226-229; 435 ss.; 742), dalla serva (Alc. 152 ss.) , da Admeto (Alc. 432-434; 1060), e da Alcesti stessa (Alc. 306; 324-325)

47 Questa funzione del coro di “fissare la risposta emotiva degli spettatori” veniva di solito accentuata all’inizio del dramma, mentre nel corso della tragedia magari si affievoliva ed era accompagnata da altri ruoli, come quella di portavoce del poeta, commentatore lirico, spettatore esterno. Questo anche perché, durante l’evolversi della vicenda, i sentimenti ed il punto di vista del pubblico sono maggiormente condizionati dai personaggi e c’è meno bisogno della guida emotiva del coro. Non è però il caso dell’Alcesti, in cui i coreuti ribadiscono a più riprese durante tutto lo svolgimento del dramma la loro partecipazione al dolore di Admeto o l’ammirazione per la coppia reale di Fere.

48 Hyp. β, 5: οἳ {καὶ} παραγίνονται συμπαθἠσοντες ταῖς Ἀλκήστιδος συμφοραῖς.

49 Pattoni (1990b),99. Le tre tragedie sono vicine anche da un punto di vista cronologico perché l’ipotesi più accreditata colloca l’Aiace verso la fine degli anni 40 del V secolo a.C., mentre l’Alcesti sarebbe stata rappresentata nella tetralogia del 438 a.C. e l’Ippolito in quella del 428 a.C.

(20)

l’annunciazione di una serie di eventi e la loro effettiva realizzazione. Con questa sospensione temporanea si ottiene l’effetto di incrementare l’atmosfera di attesa e al tempo stesso di concentrare l’attenzione sul personaggio che sta per entrare, commiserandone i dolori e predisponendo in maniera simpatetica gli animi degli spettatori.

La parodo dell’Alcesti è strutturata come un sistema anapestico alternato a due coppie strofiche:

77-85: anapesti di marcia50 eseguiti secondo la parakataloghé, una sorta di

recitativo sostenuto dall’aulo. 86-92: strofe α 93-97: anapesti 98- 104: antistrofe α 105-111: anapesti 112-120: strofe β 121-130: antistrofe β 131-135: anapesti

Data l’occasione, avremmo potuto aspettarci un Klagelied per la morte di Alcesti51;

il coro invece entra recitando degli anapesti, che vengono però bruscamente interrotti da incursioni liriche. La scelta di cambiare la modalità espressiva è sicuramente molto efficace dal punto di vista drammaturgico per esplicitare lo stato mentale dei coreuti.

Nonostante un iniziale tentativo di razionalità, i cittadini di Fere sono in balia dell’ansia e della confusione mentale, che li porta ad esprimersi in maniera disordinata. Facendo ricorso a metri lirici, meno riconducibili ad un ritmo regolare, l’impressione che Euripide suscita è quella del prevalere dell’emotività52.

50 Scelta poco comune per una parodo, ma comunque riscontrata anche in altri casi. Eschilo usa gli anapesti di marcia nei Persiani, nelle Supplici e nell’Agamennone, Sofocle nell’Aiace ed Euripide, oltre che nell’Alcesti, anche nell’Ecuba e nella Medea.

51 Per Pattoni (1990a), 37, il coro non adatterebbe mai degli spunti trenodici veri e propri e i

Klagelieder sarebbero eseguiti solo da Admeto ed Eumelo. È però vero che nel caso del canto di

Admeto (861-934) il coro funge da accompagnatore del lamento.

52 Questo sarà ancora più evidente nel dialogo lirico-epirrematico fra Admeto ed Alcesti (244-272).

(21)

Analisi testuale (77-135)

Χo53 — τί ποθ’ ἡσυχία πρόσθεν μελάθρων; (77) τί σεσίγηται δόμος Ἀδμήτου; — ἀλλ’ οὐδὲ φίλων πέλας <ἔστ’>, οὐδείς, ὅστις ἂν εἴποι πότερον φθιμένην (80) χρὴ βασίλειαν πενθεῖν ἢ ζῶσ’ ἔτι φῶς λεύσσει Πελίου τόδε παῖς Ἄλκηστις, ἐμοὶ πᾶσί τ’ ἀρίστη δόξασα γυνὴ πόσιν εἰς αὑτῆς γεγενῆσθαι. (85) κλύει τις ἢ στεναγμὸν ἢ [στρ. α χειρῶν κτύπον κατὰ στέγας ἢ γόον ὡς πεπραγμένων; οὐ μὰν οὐδέ τις ἀμφιπόλων στατίζεται ἀμφὶ πύλας. (90) εἰ γὰρ μετακύμιος ἄτας, ὦ Παιάν, φανείης. — οὔ τἂν φθιμένας γ’ ἐσιώπων. — † οὐ γὰρ δὴ φροῦδός γ’ ἐξ οἴκων νέκυς ἤδη † — πόθεν; οὐκ αὐχῶ. τί σε θαρσύνει; (95) — πῶς ἂν ἔρημον τάφον Ἄδμητος κεδνῆς ἂν ἔπραξε γυναικός; πυλῶν πάροιθε δ’ οὐχ ὁρῶ [ἀντ. α πηγαῖον ὡς νομίζεται χέρνιβ’ ἐπὶ φθιτῶν πύλαις. (100)

(22)

χαίτα τ’ οὔτις ἐπὶ προθύροις τομαῖος, ὃ δὴ νεκύων πένθει πρέπει,†οὐδὲ νεολαία† δουπεῖ χεὶρ γυναικῶν. — καὶ μὴν τόδε κύριον ἦμαρ . (105) — † τί τόδ’ αὐδᾷς;† — ᾧ χρή σφε μολεῖν κατὰ γαίας. — ἔθιγες ψυχᾶς, ἔθιγες δὲ φρενῶν. — χρὴ τῶν ἀγαθῶν διακναιομένων πενθεῖν ὅστις (110) χρηστὸς ἀπ’ ἀρχῆς νενόμισται. ἀλλ’ οὐδὲ ναυκληρίαν [στρ. β ἔσθ’ ὅποι τις αἴας στείλας, ἢ Λυκίαν εἴτ’ ἐφ’ ἕδρας ἀνύδρους (115) Ἀμμωνιάδας δυστάνου παραλύσαι ψυχάν· μόρος γὰρ ἀπότομος πλάθει· θεῶν δ’ ἐπ’ ἐσχάραν οὐκέτ ἔχω τίνα μηλοθύταν πορεύθω. (120) † μόνος† δ’ ἄν, εἰ φῶς τόδ’ ἦν [ἀντ. β ὄμμασιν δεδορκὼς Φοίβου παῖς, προλιποῦς’ ἦλθ ἃν ἕδρας σκοτίους (125) Ἅιδα τε πύλας· δμαθέντας γὰρ ἀνίστη, πρὶν αὐτὸν εἷλε διόβολον πλῆκτρον πυρὸς κεραυνίου.

(23)

νῦν δὲ βίου τίν’ ἔτ’ ἐλπίδα προσδέχωμαι; (130) πάντα γὰρ ἤδη τετέλεσται † βασιλεῦσιν·† πάντων δὲ θεῶν ἐπὶ βωμοῖς αἱμόρραντοι θυσίαι πλήρεις· οὐδ’ ἔστι κακῶν ἄκος οὐδέν. (135) Già a partire dall’entrata in scena, il coro mostra un tipo di comportamento che gli sarà proprio per tutto il resto della tragedia, cioè quello di mettere in dubbio le certezze dello spettatore.

In questo caso, davanti ad un pubblico che aveva considerato come certa la morte di Alcesti in seguito all’arrivo di Thanatos, il coro ribatte offrendo prove evidenti che minano questa sicurezza. Nota infatti come manchino tutte le testimonianze che di solito accompagnavano il decesso: la casa è troppo silenziosa (77-78), non si sentono le grida di lutto, i gemiti e i battiti di mani (86-88; 103-104), davanti alla porta non ci sono né servi per dare informazioni (79-80), né acque lustrali (98-99), né capelli recisi in segno di cordoglio (101-103).

Le grida, i gemiti e i battiti di mano facevano parte della pratica del γόος, un lamento collettivo riservato a parenti ed amici. Accanto a queste componenti del cordoglio rituale vengono nominati due elementi materiali che sarebbero stati rivelatori del decesso: l’acqua di fonte ed il ciuffo di capelli.

L’uso di allestire catini d’acqua fuori dalla casa del deceduto per permettere ai visitatori di purificarsi in seguito al contatto con la morte è storicamente attestata54;

non lo è invece quella di esporvi una ciocca di capelli. La rasatura in segno di lutto era una pratica comune55, così come l’usanza di portare una ciocca di capelli sulla

tomba del defunto56: qui però il taglio sarebbe avvenuto in un momento diverso. Il

54 Burkert (1985), 79.

55 Nell’Alcesti vi viene fatto riferimento più volte in associazione all’indossare vesti nere. Prima è semplicemente un’ intenzione del coro (Alc. 215-217: τέμω τρίχα,/ καὶ μέλανα στολμὸν πέπλων/ ἀμφιβαλώμεθ᾽ἤδη) poi una situazione effettiva (cfr. vv. 817- 818, attribuiti al servo che si stupisce che Eracle non abbia compreso l’entità del lutto; vv. 923-924 per la menzione delle vesti nere). Oltre che nell’Alcesti, altre attestazioni letterarie di questa pratica sono nell’Iliade (Il. Ψ 135-137), in Saffo (fr. AP 7 489), in Platone (Phd 89 c).

56 L’avrebbe fatto Achille per onorare Patroclo (Il. Ψ 134 ss.) e Oreste sulla tomba del padre. L’elemento de ricciolo sul sepolcro viene utilizzato da tutti e tre i tragediografi ( Aesch. Ch.

(24)

passo che abbiamo esaminato sarebbe quindi l’unica attestazione letteraria per questa pratica, come fa notare la Dale nel suo commento, e le informazioni che ci vengono date sono estremamente scarse. Non sappiamo se la ciocca di capelli fosse della morta57 o dei visitatori, se fosse appesa davanti alla casa per segnalarne la

contaminazione da parte della morte o se l’avessero lasciata i partecipanti alle esequie prima di entrare.

In ogni caso, il problema non è di reale importanza per la comprensione del testo. Basta riassumere che il coro sembra dubitare della morte di Alcesti perché non ne vede segni concreti.

Con questa argomentazione negativa ottenuta attraverso un accumulo di assenze viene messo in dubbio il decesso della regina, che gli spettatori avevano dato per acquisito dopo l’ingresso di Thanatos. Non viene però offerta in maniera sostitutiva un’altra realtà a cui appigliarsi. Infatti, anche se da una parte l’assenza di prove potrebbe portare a sperare per la vita di Alcesti, dall’altra rimane il dato incontrovertibile che quello era il giorno fatale (105).

Questa doppia tensione del coro fra due realtà opposte viene drammaturgicamente resa dalla scelta di far recitare la parodo da due semicori58, il cui stato emotivo è

differente. Ad un gruppo tendenzialmente più speranzoso se ne affianca un altro convinto che il decesso sia ormai da considerarsi come avvenuto. I due gruppi di coreuti espongono i motivi che li spingono ad optare per un’interpretazione

168; Soph. El. 51 ss; Eur. El. 91). L’unica attestazione che potrebbe suggerire un’attuazione di questo rituale anche nella realtà storica è in un epitaffio ritrovato a Nicopolis (Kaibel EG 512, 1-2) che recita: ………..αἱ δ’ἐπὶ τύμβ[ῳ

κείραντο πλοκάμο[υς Μοῦσα, Θέμ]ις, Παφίη.

Il testo è ricostruibile perché venne ripreso dal poeta Agathias in uno dei suoi epigrammi ( Ant.

Pal. VII. 593: Τὰν πάρος ἀνθήσασαν ἐν ἀγλαΐᾳ καὶ ἀοιδᾷ,/ τὰν πολυκυδίστου μνάμονα

θεσμοσύνας,/ Εὐγενίαν κρύπτει χθονία κόνις· αἱ δ’ ἐπὶ τύμβῳ/κείραντο πλοκάμους Μοῦσα, Θέμις, Παφίη.

57 In questo caso, verrebbe spontaneo pensare all’intenzione espressa da Thanatos di “cominciare il rituale con la spada” (74), che Servio e Macrobio avevano collegato alla pratica del tagliare una ciocca dei capelli del morente. Se fosse da intendere in questo senso, i coreuti avrebbero cercato nella vista della ciocca di capelli della regina la prova inconfutabile del passaggio di Thanatos.

58 La presenza di questa divisione all’interno del coro è attestata da tutti i manoscritti che ci tramandano l’Alcesti e dallo scolio al verso 77 (Schwartz 220, 26-27) ἐκ γερόντων Φεραίων ὁ χόρος. διαιρεῖται δὲ εἰς δύο ἡμιχόρια . La distribuzione delle battute non è però chiarissima: immaginiamo che dovesse esserci cambio di interlocutori fra verso 78 e 79 a causa della presenza di uno iato (-τί σεσίγηται δόμος Ἀδμήτου;/ - ἀλλ’ οὐδὲ φίλων πέλας οὐδείς,) e che le battute fra i versi 93 e 97 e fra i versi 105 e 111 fossero distribuite fra i due gruppi di coreuti, a causa del contenuto discordante.

(25)

piuttosto che per un’altra, anticipando l’ambiguità della condizione di Alcesti che in effetti si trova proprio in bilico fra la vita e la morte. Il fatto che i coreuti possano avere opinioni contrastanti non è frequente: di solito il coro si presenta come un personaggio collettivo che si esprime attraverso un unica voce. Non mancano però casi di un’analoga divisione di pensiero fra i coreuti59.

In ogni caso, i due semicori sembrano unificarsi nel momento in cui la parte più ottimista, dopo l’osservazione fatta dall’altro raggruppamento sul fatto che quello era il giorno deciso dal destino per la morte di Admeto, si dichiara vinta (108: ἔθιγες ψυχᾶς, ἔθιγες δὲ φρενῶν60).

A partire dalla coppia strofica β (112 ss), ogni incertezza sulla sorte di Alcesti è dissolta. Il coro è pienamente convinto dell’irrevocabilità della morte della regina, tanto da sostenere che nemmeno oracoli celebri come quello di Apollo Licio a Patara o quello di Zeus Ammone nell’oasi di Sivah sarebbero stati utili per riscattare la vita di Alcesti (112-121).

Una tale riflessione sull’ineluttabilità del destino di morte della regina mette di nuovo in dubbio un’altra delle certezze degli spettatori. Prima di andarsene dalla casa di Admeto, infatti, Apollo aveva profetizzato il ritorno alla vita di Alcesti per opera di Eracle61.

Il coro però non è al corrente di questo dato, e aggrava il suo sbaglio interpretativo non limitandosi solo a considerare irrevocabile il decesso della donna, ma persino anticipandolo, nel momento in cui immagina la sovrana, ancora viva, nelle case oscure dell’Ade62.

59 Uno dei più famosi e significativi è quello dell’Agamennone di Eschilo ( 1348-1371). Dopo aver udito le grida di Agamennone provenire dal palazzo reale, ognuno dei dodici coreuti esprime la propria opinione in merito al da farsi pronunciando una battuta della durata di un trimetro giambico.

60 Ψυχή e φρένες non vanno intese come due sinonimi, come suggerisce la Dale: mi trovo invece più d’accordo con l’interpretazione di Méridier, poi ripresa da Seeck (2008),73, che pensa più ad una necessità di indicare la profondità del dolore, che interessa sia l’animo che la mente. 61 Eur. Alc. 65-71: τοῖος Φέρητος εἶσι πρὸς δόμους ἀνήρ/ Εὐρυσθέως πέμψαντος ἵππειον μετὰ/

ὄχημα Θρῄκης ἐκ τόπων δυσχειμέρων,/ὃς δὴ ξενωθεὶς τοῖσδ’ ἐν Ἀδμήτου δόμοις/ βίᾳ γυναῖκα τήνδε σ’ἐξαιρήσεται./κοὔθ’ ἡ παρ’ἡμῶν σοι γενήσεται χάρις/ δράσεις θ’ ὁμοίως ταῦτ’, ἀπεχθήσῃ τ’ ἐμοί.

62 Eur. Alc. 121-132. Siamo nel contesto di un’ipotetica opera di salvataggio da parte di Asclepio, che se fosse stato ancora in vita, avrebbe potuto far tornare Alcesti dall’Ade. Cfr. Dale (1954) 63, che nota questo stravolgimento temporale operato dal coro commentando l’uso dell’aoristo al verso 125. Una situazione analoga si troverà al verso 360 (κατῆλθον ἄν). Goodwin (1912), 151, cerca una spiegazione alternativa associando questo passaggio dell’Alcesti all’uso dell’aoristo di λέγω o ἀποκρίνομαι con ἄν per riferirsi ad un futuro immediato. Ritengo però che questa supposizione sia obiettabile su più fronti. Prima di tutto, l’uso citato da Goodwin è

(26)

Questa propensione dei coreuti all’errore è testimonianza del loro deficit conoscitivo. Essi erano entrati in scena dopo il prologo informativo di Apollo, pertanto manca loro tutta una serie di informazioni di cui invece il pubblico poteva beneficiare. La loro condizione, ben lontana da quella di spettatori ideali sostenuta da Schlegel63, è al contrario vincolata da un’inferiorità cognitiva rispetto al

pubblico, e questo scarto si fa ancora più grande nel caso in cui, come nell’Alcesti, i prologhi siano recitati da divinità. L’onniscienza della figura divina infatti permette non solo di chiarire agli astanti gli antefatti e i rapporti di causa-effetto delle vicende, ma di anticiparne anche le conclusioni. In una maniera quasi paradossale, quindi, il coro cerca oracoli in luoghi remoti64 e ne smentisce l’utilità, mentre

invece gli spettatori avevano ricevuto una profezia, che poi si realizzerà, proprio di fronte alla casa di Admeto65.

Si instaura quindi quasi una sorta di gioco di ironia tragica: il coro non solo nega la fondatezza degli elementi che preludono alla salvezza di Alcesti, ma cerca aiuto proprio da chi è meno indicato per fornirlo.

I potenziali salvatori indicati in questa parodo, infatti, sono Apollo66 ed Asclepio67,

che non solo sono totalmente impotenti in questa situazione, ma possono essere addirittura considerati, in maniera più o meno diretta, come i responsabili della morte di Alcesti. Spiego il mio ragionamento.

attestato solo in prosa (soprattutto in Platone) e mai con l’ aoristo di verbi come ἔρχομαι, che non hanno legami con la sfera del “dire”, “decretare”.

63 Schlegel (18463), 76-77, sosteneva che i coreuti rappresentassero il prototipo dello spettatore ideale in quanto, facendo parte sia del mondo “reale” che del mondo drammatico, avevano la possibilità di mediare le vicende tragiche, altrimenti profondamente disturbanti, e di guidare lo spettatore a contemplarle attraverso il filtro delle proprie emozioni, tradotte in canto lirico. 64 Conacher (1988), 161, commentando questi versi, sottolinea la scelta di due località agli estremi

della terra quando ci sarebbero stati oracoli altrettanto celebri molto più vicini, come quello di Delfi o di Dodona. La menzione da parte di Euripide di queste zone così difficilmente raggiungibili, a mio avviso, non è casuale, ma è finalizzata ad enfatizzare l’ignoranza del coro che, secondo un gioco di ironia tragica, cerca in luoghi remoti (non trovandola) una speranza che era stata fornita agli spettatori direttamente sul posto.

65 Hamilton (1978), 278, fa notare come questa profezia sia alterata e contraddetta durante tutto il corso del dramma, con il risultato che l’aspettativa iniziale del pubblico viene turbata dalla possibilità di un finale ugualmente persuasivo (in questo caso, la definitiva permanenza di Alcesti nel regno dei morti). Si crea pertanto un conflitto tra le aspettative che gli spettatori desumono dal prologo e quelle che ricavano dall’azione. Quest’incertezza verrà dissipata solo alla fine della tragedia.

66 Eur. Alc. 91-92. 67 Eur. Alc. 122-129.

Riferimenti

Documenti correlati

RITENUTO di dover procedere alla formazione di un elenco aperto di operatori economici esercenti l’attività di commercio al dettaglio di generi alimentari e/o prodotti di

il seguente Avviso Pubblico per la formazione di una graduatoria di persone bisognose residenti, alla data di pubblicazione del presente avviso, nel Comune di Giba, per

E’ stato infine evidenziato come sia necessario potenziare la comunicazione sul sito del Comune e in altre contesti pubblici rispetto ai servizi navetta di collegamento con la

R50/53 - Altamente tossico per gli organismi acquatici, può provocare a lungo termine effetti negativi per l'ambiente acquatico R51/53 - Tossico per gli organismi acquatici,

Qualora le risorse economiche all’uopo destinate dovessero risultare insufficienti rispetto al numero delle richieste pervenute, si riterranno escluse dall’ammissione del

— Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti

SANIFICAZIONI AMBIENTI COMUNI E AMBIENTI RISERVATI AGLI ASSEGNATARI Le aree comuni delle Residenze Universitarie sono soggette a sanificazione secondo la PROCEDURA

Questo modo di pregare che può apparire una “frammentazione” dello stesso unico Dio, non sarà accettato dalle altre religioni monoteistiche (ebraismo e islamismo) ma noi siamo